Varanasi, 18 febbraio 2019
Chousati ghat, 18 febbraio 2019. Pellegrinaggio di Kota, Rajasthan.
Mi siedo al Chousati ghat quando il sole è già alto sull’altra sponda del Gange. Oggi, anche qui, ci sono diversi pellegrini che fanno il bagno e si rivestono. Sono di Kota, nel Rajisthan e sono venuti qui, al Kumbh Mela, insieme a tre loro sadhu. Le donne, dopo il bagno, indossano sarees di svariati colori: arancione, rossi con fiori diversi e marrone con sfumature verde pisello.
Pellegrini di Kota dopo il bagno al Chousati ghat.
Alcuni uomini del gruppo portano il turbante bianco, mentre i più giovani indossano pantaloni e giubbini classici e camminano scalzi. Due di loro mi chiedono di scattare delle foto assieme, così prendo confidenza e iniziamo a chiacchierare. Hanno 37 e 40 anni, e come lavoro, il più giovane, commercia in argento e sarees attraverso internet e limitatamente all’India mentre l’altro fa il grafico.
Guru del Madhia Pradesh
Poco dopo arrivano altri pellegrini, soltanto maschi. Sono di Indore, nel Madhia Pradesh e stanno viaggiando con il loro guru, un omone enorme, tutto vestito di rosso. Mi parlano del loro fiume sacro: il Narmada, che anch’io conosco molto bene. Se ne vanno salutandomi con il loro “Narmade har!” Rimango ancora lì, seduta al sole, a leggere un altro pezzo di questo splendido “Guerra e pace”. E’ un momento in cui sono molto coinvolta, in particolare nei personaggi di Pierre e Andrey e faccio fatica a staccarmi dalla lettura.
Donna sadhu davanti alla sua tendina, lungo i ghat.
Dopo un po’, prendo la direzione che va verso Sud per cercare di scovare le poche donne sadhu che stanno rintanate nelle tende. Poco prima del Kedar ghat c’è una nuova tenda con una donna sadhu diversa da quelle che ho incontrato ieri. Sta insieme a degli altri sadhu.
La vita nelle tende dei sadhu, lungo i ghat.
Nel piazzale di fronte al palazzo dei barcaioli incontro il ragazzo che lavora per “Avventure nel mondo.” Mi racconta che nei giorni scorsi ha accompagnato un gruppo di turisti insieme all’altra guida, quella di Chowk. Incredibile: fino ad una settimana fa erano rivali e ora lavorano insieme!
Arrivi di pellegrini in barca.
Al Kedar ghat ci sono barconi straccarichi di pellegrini che scendono e formano un lungo sciame sulla spiaggetta che sta prima della scalinata. Poco prima dell’Harichandra ghat vedo seduto su un gradino un uomo anziano che gironzola qua e là un po’ come faccio anch’io. Mi dice che è svizzero e abita vicino al confine di Domodossola. A Varanasi trascorre lunghi periodi e alloggia proprio nella mia stessa guest house.
Artista sadhu della Croazia.
In una tenda lì accanto c’è un’altra sadhu. Viene da Koprivnica, in Croazia, vicino al confine con l’Ungheria. Quando è qui in India vive in un ashram, nell’Himachal Pradesh, insieme al suo guru e ad altri sadhu, che lei chiama fratelli. Ha frequentato l’Accademia ed è un artista, ma ora non disegna più nulla. E’ vedova dal 2003 ed ha un figlio ormai grande, sposato, che vive in Croazia.
Un sadhu.
Da diverse tende oggi fuoriescono delle musiche allegre. In alcune ci sono dei ragruppamenti da sadhu disposti accanto al focolare che si stanno passando una pipa di terracotta. Ognuno la prende, sistema uno straccetto dove si aspira, e poi, ogni bocca emette una grossa nuvola di fumo. Li guardo sbalordita e, senza accorgermi sono entrata a far parte del loro cerchio ed è arrivato il mio turno per la pipa. “No, no, thank you!” dico loro, e scappo via.
La sadhu che distribuisce benedizioni, a pagamento, con lo scopino.
In una rientranza c’è un’altra tenda con delle sadhu: sono due soltanto. Una distribuisce benedizioni a pagamento con lo scopino mentre l’altra appoggia soltanto il lavoro della compagna invitando i fedeli a versare un’offerta. Noto una madornale differenza tra la sensibilità e l’intelligenza della donna croata e la sfacciataggine di queste altre due. Termino il mio cammino verso Sud al Raja ghat, dove finiscono gli accampamenti di questo versante. Qui rimango seduta un po’ di tempo a ncora a leggere.
Il pittore canadese al lavoro lungo i ghat.
Passa il canadese che mi saluta di fretta perchè deve correre a lavorare da qualche parte al suo nuovo disegno. Nel frattempo si siedono accanto a me due donne di Istanbul, una delle quali, in particolare, è molto desiderosa di parlare. Metto via il mio reading book e chiacchiero un po’ con loro. Sono sempre curiosa di capire le persone, le loro storie, come si svolgono le loro vite e i valori che le caratterizzano. Quete due turche stanno in un costoso hotel, nei pressi dell’Assi ghat. Sono sui sessant’anni. Una è insegnante di letteratura e abita accanto alla casa dello scrittore Pamuk che fortunatamente conosco. L’altra, quella più loquace, fa l’interprete e vive a Londra. Stasera ripartiranno in treno per New Delhi e mercoledì rientreranno a Istanbul.
Passaggi lungo i ghat.
Sono quasi le 15:00 e riprendo il cammino del ritorno rimanendo sui ghat, ma dirigendomi verso i ristorantini di Bangali Tola. Mi fermo in una tenda dove sta distesa un’altra sadhu. E’ sola, nella sua piccola tenda, e anche lei, durante l’anno, vive in un ashram nel Nord dell’India.
Sadhu solitaria.
E’ una persona sorridente, delicata e dolcissima. Mi commuove la sua semplicità e quando mi porge il piattino delle offerte, eccezionalmente, le lascio una moneta. Passo davanti a tende dove i sadhu stanno impastando e cucinando il cjapati sulle piastre scaldate dal fuoco o su fornelli a gas.
Sadhu che cucina.
Molti di loro mi chiamano con un gesto della mano per darmi la scopettata in testa o per farmi i segni sulla fronte. Altri sadhu, invece, mi invitano a bere il cjai sotto la loro tenda.
Donna di Raipur.
In una scalinata c’è un numeroso gruppo di pellegrini che arriva da Raipur nel Chhattisgarh. Le donne portano preziosi ornamenti d’oro infilati nelle orecchie e nel naso oltre a bracciali e cavigliere. Mi fermo ancora davanti alla tenda dove c’è un raro black baba seduto con un amico che non è né sadhu né black baba.
Black baba con ospite.
Arrivo al Chousati ghat dove incrocio una lunghissima fila indiana di altri pellegrini di Raipur, che probabilmente andranno a ricongiungersi al gruppo che ho incontrato poco fa sulla scalinata. Al “Baba restaurant” di Bangali Tola arriva anche il canadese. Si chiama Steven, mi dice. Parliamo a lungo delle nostre intense giornate sui ghat. Mi piace moltissimo l’acutezza e l’ironia con cui osserva la vita degli indiani. Nel pomeriggio torno sui ghat attraverso la città vecchia. Sul piazzale del mercato di Bangali Tola, seduta, sull’asfalto dissestato, c’è una ragazza di 22 anni con un neonato in braccio che ta allattando. Accanto a lei stanno gli altri due figli, di poco più grandi.
Ragazza mendicante con tre figli.
Scendo al Dashashwamedh ghat e raggiungo la terrazza che sta più su, al Tripura Bharn ghat, quella che dall’alto arriva quasi fino al Gange. Sulla scalinata stanno sempre seduti tre sadhu. “We are really sadhu” mi dicono. Vivono in un ashram, qui a Varanasi, e sono molto distinti sia nel loro abbigliamento arancione, sia nel loro modo di dialogare.
Arrivi in barca nel tardo pomeriggio.
Appoggiata alla ringhiera della terrazza, guardo in silenzio la distesa dell’acqua che sta iniziando a splendere sotto il sole del tramonto. E’ un incanto! E finalmente, da quassù, riesco a prendere la linea e a parlare con mio figlio che sta in Italia. Sono i miracoli della tecnologia! Poi, mi rimetto a leggere un altro pezzo di Tolstoj e rimango lì fino a che, dopo il tramonto, la temperatura scende e si leva un po’ di vento.
Serata di luna piena sulla riva del Gange.
Varanasi, 19 febbraio 2019
Questa mattina sono presa dalla ricerca di qualche studio fotografico che mi scannerizzi la foto con le caratteristiche richieste per registrarmi sul sito visti iraniano. Questa procedura è richiesta per poi ottenere il visto in areoporto. In un posto di Bangali Tola non sanno come fare, in un altro, sempre nei paraggi, mi dicono di tornare dopo un’ ora, quando arriverà l’esperto.
Godowlia, staccionate vuote.
Proseguo fino a Godowlia, ma non riesco a risolvere nulla. Così, giro da un negozio di fotografia all’altro finchè risolvo quel problema. Poi, di sera, anche con l’aiuto di Alina, non riuscirò a registrami e scriverò di nuovo al consolato di Milano per ricevere lumi. Per farmi mettere foto sulla chiavetta, mi sono allontanata parecchio da Godowlia e tornando indietro, all’incrocio con la chiesa protestante, m’inoltro nella parte sinistra e mi addentro in un viottolo di Kodai Chowki.
Staccionate vuote anche a Chowk.
E’ una zona di negozi che sbocca sulla strada principale di Chowk. Qui, ci sono rivendite di coperte, cuscini e materassi, attrezzature elettriche, argenterie e bigiotterie. In alcuni negozi sono esposti un’infinità di braccialetti che le donne indiane portano numerosi su entrambe le braccia, facendoli arrivare, spesso, fino ai gomiti. A Chowk le staccionate dei pellegrini sono vuote. Probabilmente, a quest’ora, sono a fare il bagno al Gange e, soltanto nel pomeriggio riempiranno le file per il Vishwanath Temple. Attraverso la strada trafficata e imbocco un’altra gali. Un uomo sta tingendo dei tessuti all’esterno della sua bottega.
La tintoria.
Mi guarda mentre sto osservando le pentole con l’acqua colorata e lui che continua ad immergervi le stoffe e a masticare il paan. Più avanti ci sono dei negozi di sarees: là dentro, i proprietari se ne stanno seduti, tranquilli, ad attendere i clienti. In effetti, ci sono due tipi di venditori: quelli che si comportano come se la cosa non li riguardasse ed hanno spesso i negozi pieni, e quelli che s’affannano a chiamare i clienti che passano con pochi che li ascoltano.
Negozio di sarees.
Questa gali sbuca a Godowlia. Anche qui le staccionate dei percorsi per la visita al Vishwanath Temple sono vuote e, pellegrini, turisti, animali e scooter vanno e si fermano un po’ dovunque. Vicino alla discesa ai ghat di Bangali Tola incrocio un gruppo del Bihar che sta andando al Gange con i bagagli sulla testa.
Madre e figlia del Bihar.
Trascorro un po’ di tempo su una gradinata, seduta tra due caprette e attorniata da una miriade di palline nere rinsecchite sparse sulle pietre. Al Meer ghat il Black baba sta appendendo, con uno spago, una bottiglia d’acqua alla ringhiera della sua tana. E’ un uomo molto ordinato nelle pochissime cose che possiede. Con Alina e Marc torniamo a pranzo nello stesso ristorante di Godowlia dell’altro ieri e poi, ci sediamo, per il cjai, lì vicino. A Bangali Tola ci separiamo e io me ne torno sui ghat.
Donne di Jodhpur.
Poco dopo il Dashashwamedh ghat, mentre sto chiacchierando con un gruppo di Jodhpur, mi sento avvolgere da un abbraccio. E’ il mio amico baba dei tamburelli, completamente nudo.Anch’io lo abbraccio: sento una forte energia sprigionarsi da questo personaggio piccolo e minuto. “I love you” gli dico e lui mi risponde “Me too!” Ha 55 anni e durante l’inverno sta ad Haridwar e sulle montagne dell’Himalaya, dormendo sempre all’aperto. Quando gli dico la mia età, mi risponde che sono molto vecchia.
Con il mio amico baba.
Al Manmandir ghat c’è ancora il Black baba che ora mi guarda arrabbiato. Chiede a tutti 100 rupje, quasi 2,00 euro per farsi fotografare, ma nessuno glieli da. Lì, accanto al Black baba e alla vicina bancarella, stanno sedute due giovani sorelle musulmane. Hanno 23 e 20 anni e quella più giovane indossa il velo. Studiano entrambe per diventare insegnanti e frequentano il terzo anno in un college privato. Abitano a Badoi Carpet City un luogo poco distante da Varanasi, specializzato nella lavorazione dei tappeti.
Con due studentesse islamiche dei dintorni di Varanasi.
La ragazza della bancarella è di Chennai ed è induista. Ha 13 anni e frequenta la tredicesima classe di una scuola privata. Ha scelto come specializzazione la lingua inglese che parla in modo molto disinvolto facendo anche l’ interprete tra me e le due sorelle musulmane.
Donna del Bihar.
Varanasi, 20 febbraio 2019
Evitando di cenare con le melanzane fritte delle gali, il mal di pancia prima si è attenuato e poi è passato, per fortuna! Marc, invece, il ragazzo di Alina, è ancora indisposto.
Una delle tante puje che s’incontrano, al mattino, lungo i ghat.
Dopo il cjai del mattino alla solita Tea-stall, vado a camminare verso Sud, nella direzione dell’Assi ghat. All’altezza del palazzetto dei barcaioli, sull’argine del fiume, rivedo i due grossi bramini dell’altro giorno: uno sta seduto sulla stessa panca mentre l’altro sta sciacquando il suo perizoma.
Bramini sui ghat.
Lì, in parte, un sacerdote sta celebrando una puja con l’unico maschio della famiglia e le donne in disparte. Su un piatto c’è del riso cotto e il sacerdote aggiunge una banana spezzettata. Accanto c’è una ciotola bombata con i pochi resti del defunto. Mi siedo sulla gradinata, all’ombra del palazzetto dei barcaioli. Di fronte e a lato ci sono due templi, uno dei quali abitato da un sadhu che ora sta distribuendo le benedizioni. Alla mia destra c’è il lungo fiume e più in là il Gange.
Dall’Andra Pradesh.
Sulla scalinata si fermano a riposare delle pellegrine di Hyderabadh, nell’Andhra Pradesh. Scatto a qualcuna di loro una fotografia con il cellulare, ma loro, una dopo l’altra, desiderano essere ritratte e non sentirsi escluse.
Pellegrina dell’Andra Pradesh.
Al Kedar ghat scopro due donne impegnatissime a celebrare una puja per conto loro. Sono munite di un libriccino che leggono con molta enfasi.
Donna dell’Andra Pradesh.
Poco più là qualcuno ha costruito un’opera d’arte con cubetti di fango assemblati e disposti a cerchi concentrici. In mezzo si eleva un “Lingam di Shiva”.
Puja tra donne, in disparte. Kedar ghat.
All’Harischandra ghat, dove è concentrato il maggior numero di sadhu, arrivati qui per il Khumb Mela, stanno riprendendo con una telecamera un sadhu.
Costruzione del Lingam di fango.
Lui, sta seduto su una specie di trono e pare una celebrità. All’Harishchandra, come tutti i giorni, c’è il gruppo dei volontari del “Pronto soccorso Harichandra”, ma oggi incontro delle altre persone, con la stessa cassettina sanitaria, ma con la scritta “Pronto soccorso Banares”. Queste, vanno a soccorrere i malati direttamente nelle tende.
Intervista al sadhu che io chiamo “Divo”.
Nei dintorni del ghat delle cremazioni, incontro una sadhu che sta costruendo con le mani il focolare di cemento e fango, davanti alla sua piccola tenda. Mi avvicino e lei mi chiede di spalmare l’impasto insieme a lei. Non esito a farlo, in quanto, anche a me, da sempre, piace il contatto con la terra.
Uomo e donna sadhu lungo i ghat.
Più giù c’è un’altra sadhu: questa sta distesa su una coperta. Indossa una camicia e dei pantaloni arancione ed ha disegnati i simboli di Shiva sulla fronte. Poco più distante, in un’altra piccola tenda, c’è un’altra donna. Questa, l’ho già incontrata qualche giorno fa e la rivedo sempre lì, seduta nella stessa posizione, con gli occhi fissi sul Gange. Anche oggi, quando torno verso il Shivala ghat la ritrovo lì, ancora sola. Anche tra le sadhu c’è chi preferisce la solitudine, ma c’è anche chi sta in tenda con un’altra donna, e chi, invece, preferisce coabitare con piccoli gruppi misti.
Donna sadhu a passeggio lungo i ghat.
Gli uomini sono, in genere, più socievoli e spesso hanno dei seguaci al seguito. Pochissime donne, ma anche pochi uomini, parlano l’inglese a parte la parola “money” per chiedere l’offerta. Poco più in là, in una tenda mista, c’è un’altra sadhu che sta massaggiando uno di loro. Lui, sta protestando per l’interruzione che gli ha provocato la mia presenza. Più in là, sempre in agguato e armata di scopino, seduta sull’ingresso della sua tenda, c’è la grossa sadhu che ho già conosciuto nei giorni passati.
Donna sadhu che sta massaggiando un uomo sadhu, all’interno della loro tenda.
Tornando al Kedar ghat trovo gli allievi della scuola privata soprastante in un momento di pausa dalle lezioni. Sono ragazzini di dodici-tredici anni, che frequentano, rispettivamente, la sesta e la settima classe.
Scolari sul ghat in un momento di pausa delle lezioni.
Nel pomeriggio torno sui ghat e vado per un breve tratto verso Nord. Nel piazzale dopo il Dashashwamedh c’è una delle bambine clown che sta chiedendo l’elemosina. Più tardi, al buio, la rivedrò di nuovo, ma insieme ad un’altra bambina clown, un po’ più grandicella. Alla ringhiera del Meer ghat, c’è il mantello grigio del Black baba appoggiato, ma lui non c’è. La ragazza della bancarella invece è già lì, al lavoro, dopo aver trascorso la mattinata a scuola.
Bambina vestita da divinità per chiedere l’elemosina.
Salgo sopra la terrazzona del Tripura Bharn ghat e saluto i tre sadhu che stanno sempre lì sotto. Paiono tre remagi! Uno di loro si sente in dovere di farmi una precisazione rispetto a quanto mi aveva detto l’altro giorno. Mi dice che soltanto uno di loro, quello al centro, è un vero sadhu, anche se tutti tre abitano nello stesso ashram. Tornando indietro, passo sotto i pilastri del Dashashwamedh ghat e vedo una ragazza, seduta accanto ad altri due sadhu. Lei ha la carnagione molto chiara ed è russa. Il frastuono e il rimbombo della cerimonia soprastante ci impedisce di parlare.
Sarees stesi ad asciugare.
La sera con Alina riusciamo finalmente ad inviare al consolato iraniano di Milano la scheda della mia registrazione per il visto. Ma non è certo che lo concedano! Lo saprò, soltanto, dopo cinque giorni lavorativi, cioè verso giovedì della prossima settimama.
Donna sadhu mentre sta costruendo il suo focolare.
Varanasi, 21 febbraio 2019
Andando dal Chousatti al Dashashwamedh ghat, c’è una mucca distesa di lato, con del sangue sparso sulle pietre e un ragazzino che l’abbraccia come fosse una persona. “She is my cow! The doctor is coming!” mi dice, vedendo che lo sto guardando preoccupata.
Ragazzino che abbraccia la sua mucca ferita, nei pressi del Dashashwamedh ghat.
Al Dashshwamedh ghat mi siedo su un tavolone.
Bambina, anzi bambino, travestito da divinità per chiedere l’elemosina.
Quasi subito si avvicina una bambina, anzi, scoprirò più tardi che si tratta di un maschietto, travestito da divinità, tra quelli più piccoli. Non mi chiede dei soldi, ma una caramella che non ho. Gli dico che gliela porterò più tardi. Lui, mi porge un orecchino sporco, trovato chissà dove. Mi chiede di infilarglielo nell’orecchio, ma a parte la sporcizia mescolata al colore cosparso dalla faccia ai capelli, non riesco a metterglielo. Ha il buchetto troppo piccolo o forse otturato. Lui guarda i miei bracciali uno per uno. Hanno tutti una storia e lui mi indica proprio quello che mi ha portato mia nipote, dall’Australia, qualche anno fa. Lo sfilo e lui vorrebbe sapere quanto valgono le medagliette di latta che lo compongono. Poi, conta i dischetti, orgoglioso di saper arrivare fino al dieci e s’infila il braccialetto al suo piccolo polso. E’ troppo grande, ma lui lo spinge fin sotto il polsino della camicetta e con uno scatto si alza e va a rincorrere due turisti occidentali che stanno passando di lì.
Bambino mendicante travestito da divinità.
Sotto al colonnato che sostiene il piazzale che sta poco dopo il Dashashwamedh ghat mi fermo a parlare con il mio amico baba dei tamburelli. Si chiama Shiva Raj Giri Naga Baba e mi racconta ancora che vive sei mesi all’anno ad Haridwar e Rishikesh, nell’Uttarakhanda, senza mai leggere e senza alcun accesso ad internet.
Il mio amico baba con la sua discepola russa.
Accanto a lui c’è una sua discepola di 28 anni. Lei è russa, laureata in marketing, e trascorre i sei mesi del visto con questo baba, nel suo ashram all’aperto, insieme alla sua moltitudine di seguaci. In Russia fa l’insegnante di yoga, qui, invece, non lavora. Il baba mi aggiorna sul suo numero di cellulare, che non è più quello che aveva qualche anno fa. Mi piace il contatto fisico con questo baba, sentire la sua energia leggera e intensa, ma anche trattenuta. Dopo un po’ di tempo che gli stringo la mano, ho l’impressione, per un attimo, di percepire nel suo sguardo una certa ostilità. Lui, ha gli occhi molto vispi e sempre un sorriso sulle labbra che ricorda quello di un ragazzino furbo e intelligente. E’ velocissimo nel capire le cose e non mi chiede soldi. Ho visto che dal suo solito show serale ha tolto il suono dei tamburelli e l’ha sostituito con la benedizione dello scopino, che va tanto di moda in questo periodo. Gli mostro la foto con lui che ho postato sul blog, ma non riesce a vederla e si fa spiegare dalla ragazza sadhu cosa rappresenta. Il baba mi invita ad andare con il suo gruppo sull’altra sponda, a visitare un tempio e a meditare. Io, scuoto il capo con un sorriso. In fondo, in fondo, ho una gran paura di questo mondo ignoto e anche del nulla.
Arrivo di barche con pellegrini dell’Uttarakhand.
Poco più su, salgo sulla scalinata che porta ad un cancello che si apre, verso i ghat, sul retro di un lussuoso hotel. Sto andando a cercare un po’ d’ombra. Oggi è scoppiato improvvisamente il grande caldo e non è possibile stare fermi al sole. Questo cancello viene aperto soltanto qualche rara volta, per fare entrare o uscire i clienti che arrivano o ripartono con le barche.
Manmandir ghat, passaggio di un corteo nuziale.
Laggiù, dal lungo fiume, improvvisamente arriva la musica che accompagna un corteo nuziale che dall’alto della scalinata vedo passare. Quando scendo, mi fermo a guardare le barche strappiene di pellegrini che ripartono dopo aver fatto il bagno nel Gange e visitato il Vishwanath Temple. I pellegrini che stanno sul barcone ora, sono dell’Uttarakhand e poco più giù, incontro una famiglia di Patna che si ferma per chiedermi da che Paese provengo.
Arrivi in barca. Pellegrini dll’Uttarakhand.
Un numeroso gruppo, di Patna ancora, lo incontro poco dopo: sta seduto, sfinito, sulle pietre del Dashashwamedh ghat. Rimango ancora sui ghat perchè è il modo più rapido per tornare alla guest house, dove mi aspettano Marc e Alina per andare a pranzo. Verso il Lalita ghat ci sono numerosi bambini che giocano allo scivolo sulla pendenza lastricata che scende vrso il fiume.
Fratellini mendicanti lungo i ghat.
Lì vicino due bambini con i fratellini piccolissimi in braccio, muniti di biberon, stanno andando verso i ghat più affollati per chiedere l’elemosina.
Uomo del gruppo di pellegrini di Patna.
Varanasi, 22 febbraio 2019
Questa mattina ho dormito più del solito e mi sono svegliata quasi alle 10:00. Ieri sera con Alina abbiamo prenotato il mio volo da Varanasi a Delhi, e da lì andrò prima a Sharjah e poi a Shiraz. Già all’arrivo a New Delhi, dovrò spostarmi in autobus dal Terminal 1 al 3, e questo mi preoccupa un po’. E cosa ho sognato? Ero arrivata a Sharjah, un areoporto piccolissimo, sperduto tra le montagne, e non riuscivo a trovare le indicazioni per le altre partenze. Ho appoggiato lo zaino su uno scaffale e mi sono messa a parlare con due turiste occidentali che si ricordavano di avermi già incontrata da qualche altra parte. Loro avevano l’auto e si sono offerte di accompagnarmi al terminal delle partenze per Shiraz. Abbiamo percorso un pezzo di strada in un ambiente simile ad Almora e Kasar Devi, verso l’Himalaya. Ci siamo fermate a bere qualcosa e ripreso il percorso mi sono accorta di aver dimenticato lo zaino, proprio là, dove l’avevo appoggiato. Fortunatamente, avevamo percorso poca strada e non è stato un grosso problema tornare indietro. Le due donne, entrambe di mezza età, dovevano laurearsi fra poco e io ho promesso loro che sarei andata alla loro festa. Una delle due si chiamava Marta.
Stamattina, devo fare le cose in fretta per andare all’Assi ghat dove ci sono Alina e Marc che mi stanno aspettando per andare a visitare il “Bharat Kala Bhavan Museum Plan”, alla Banaras Hindu University. Percorro velocissima il lungo fiume, passo davanti alle numerosissime tende con i sadhu appollaiati sull’entrata che mi chiamano con un cenno della mano. Qua e là, ci sono sempre delle donne, a volte le stesse che ho già incontrato, ma spesso diverse. Anche loro mi invitano a fermarmi e a sedermi alla loro tenda. Lo scopo è quello di chiedermi del denaro, ma “sono di fretta” rispondo a tutte e a tutti. All’Assi ghat, a mezzogiorno in punto, Alina è già lì, puntualissima e Marc arriva poco dopo. Prendiamo un caffe sulla terrazza di un ristorante e, con un moto risciò elettrico raggiungiamo la zona adiacente all’università. Da qui, ci dicono, possiamo prendere soltanto un ciclo risciò, ma noi preferiamo andare a piedi. Il museo è molto interessante, ma dobbiamo depositare borse, macchine fotografiche e cellulari in uno stipetto. E’ rigorosamente vietato scattare delle foto! Alina ha una preziosa macchiana fotografica e non si fida a lasciarla nello stipetto, così, lei e Marc si danno il turno per entrare al museo. Al piano terra ci sono diverse sculture di divinità ritrovate in varie parti dell’India, dal Nord al Sud, risalenti ai periodi che vanno dal I all’XI secolo a.D. Le sculture rappresentano: Shiva, Parvati, Visnu, Buddha, Ganesa, Chamunda, la dea Ganga, Garuda, Tara, Indra, coppie di innamorati, e tante donne dai seni bombati e dalla vita sottile. Le sulture ritrovate in Panjab risalgono al II secolo, sono in pietra grigia e appaiono molto simili alle statue greche. Marc, che è un appassionato di storia, mi dice che quella parte dell’India, nel “Kusana period”, faceva parte dell’Impero greco. Nella sala principale del piano terra, è esposta anche una grande statua di Krishna del IV secolo, appartenente al periodo “Gunta” e proveniente da Varanasi.
Una sala, lì accanto, è dedicata al pittore russo, Nicholas Roerich. Questo artista ha prodotto oltre 7.000 dipinti che rappresentano le montagne e la vita sull’Himalaya, il luogo dove ha soggiornato per lunghissimi periodi nella prima metà del ‘900. Nicholas Roerich è riscito a catturare, in modo sorprendente, lo spirito di quei luoghi. Muore ad Almora, nel 1947.
Le altre stanze presentano delle fotografie di Gandhi, delle ricostruzioni di ambienti, con arredi, utensili e persone in miniatura, piccole bambole con la testa in terracotta, vestite con gli abiti del Rajasthan, del Panjab, dell’Uttar Pradesh e del Maharashtra. Una grande sala è dedicata alle pitture in miniatura che vanno dal XVI al XIX secolo. Questi dipinti mi ricordano quelli del museo di Chamba e, difatti, alcuni, appartengono alla scuola di Kullu, situata in quella zona.
Una grande sala, al primo piano, è dedicata ad Alice Boner, una scultrice nata in Italia da genitori svizzeri e visssuta dalla prima infanzia là, ma poi trasferitasi in Orissa, per lunghissimi periodi. Le sue sculture in metallo rappresentano le posizioni dell'”Uday Shankar’s dance”, spettacolo che vide per la prima volta a Zurigo nel 1926 e che di seguito studiò in tutte le sue manifestazioni.
Seguono, nelle altre stanze, diverse sculture e teste di Buddha risalenti al V e al VI secolo, e una statua di Shiva del X-XI secolo a.D. Segue un’altra sala con vasi e stoviglie in terracotta risalenti al I e II secolo, delle altre sculture in pietra, degli oggetti e degli animali in miniatura, dei piccoli busti e, appesa alla parete una enorme, antica, planimetria di Varanasi.
Pranzo insieme ad Alina e Marc all’Assi ghat e torno, da sola, per la strada principale che porta a Godowlia. Lì devo prelevare dei soldi allo sportello automatico per cambiarli in dollari con Alina. E’ già buio, ma sul percorso riesco a scorgere ben tre moschee illuminate e diversi grandi magazzini che nei giorni scorsi non avevo notato. L’attività commerciale della città si anima in particolare di sera, e a volte, con le illuminazioni accese, molti aspetti delle strade mi sembrano completamente diversi rispetto al giorno. Torno a Bangali Tola attraverso la gali che si trova attaccata alla banca J&K. Devo prendere la direzione giusta agli incroci, per arrivare nella zona del sarto e ritirare i due paia di pantaloni che mi ha confezionato. All’inizio del viottolo c’è un assembramento di gente che blocca il passaggio. “Che succede?” chiedo ad un passante. “E’ un party, un matrimonio! Si può passare!” mi risponde, sorridendo.
Varanasi, 23 febbraio 2019
Godowlia. venditrice di stecchetti per pulirsi i denti.
E’ di nuovo sabato! Lo si nota già dal primo mattino, guardando il gran numero di mendicanti accovacciati in terra con i loro piattini e le mani tese. Stanno, per lo più, lungo la Main street che da Bangali Tola porta al Dashahwamedh ghat. Vado fino a Godowlia per comprare un ago grosso che mi serve per sistemare un top, diventato troppo stretto. Sono le 9:30 e i negozi sono ancora chiusi. Apriranno dopo le 10:00, mi dicono. Approfitto per cercare un ristorante indiano che sta nella zona, ma non ricordo esattamente dove. Si entrava lungo una scala interna, stretta e buia, e si saliva al primo piano. Riesco a d individuarlo e a prendere come riferimento la grande moschea che sta di fronte.
Altro aspetto della venditrice di rametti.
Torno a Godowlia mentre il negozietto delle mercerie sta aprendo: l’ago che sto cercando non ce l’hanno, ma ne compro uno simile, ugualmente. Vado sul Gange: è la che trascorro quasi tutte le mie giornate. Il Dashashwamedh ghat è più affollato di sempre e i baba sono già al lavoro con gli scopini. Anche una delle bambine che paiono dei clown è in giro con un pentolino di alluminio per raccogliere le elemosine. Vado a sedermi più su, sulla stessa scalinata dell’altro ieri, quella che sta all’ombra del lussuoso hotel con la vista sul Gange. Oggi il cancello è aperto.
Decorazioni ai piedi di una pellegrina di Delhi, eseguite con l’henne.
Difatti, di lì a poco, arriverà una famiglia di indiani carichi di borse e valigie. Non mi rivolgono alcun saluto, forse perchè me ne sto seduta sui gradini. Entrano, poi, tre turisti, due ragazze e un giovane uomo, probabilmente europei. Questi mi sorridono amichevolmente. Scende, di seguito, una occidentale con la tazza del caffe in mano. Indossa un paio di leggins a fiori e porta una cuffia in testa. Non mi guarda nemmeno! Sale una coppia di giovani europei: mi guardano, fanno un accenno di sorriso o forse una smorfia e entrano nell’hotel. Alla fine, arrivano due robusti indiani, vestiti di bianco e con il turbante in testa che mi salutano con un ampio sorriso. Dopo un po’ di tempo, scende un dipendente dell’hotel per chiudere il cancello. Guarda il mio quaderno di appunti appoggiato con un angolo sul binario del cancello, e mi fa cenno, in un modo che a me pare sprezzante, di spostarlo.
Party nuziale sui ghat.
Torno verso il Dashashwamedh ghat passando sotto le fondamenta che sostengono il grande piazzale. Questo luogo, ora, è diventato il riparo di una parte dei numerosi sadhu arrivati qui per il Khumb Mela. Là sotto sta anche il mio amico baba che intravedo passando. Lui sta disteso su una stuoia e mi saluta con un cenno della mano. Veramente mi fa segno di avvicinarmi, ma oggi preferisco tirar dritto.
Momenti di un party nuziale sui ghat.
Fa molto caldo, ma si è alzato un leggero venticello che mitiga la temperatura. Poco prima del grande ghat, una donna di Chhattisgarh mi chiede di fare un selfie. Sono sempre molti gli indiani che mi chiedono di scattare delle foto insieme a loro, in particolare quelli che viaggiano in piccoli gruppi.
Coppia nuziale con lo sposo vestito da mahrajà.
Già prima di raggiungere il Dashaswamedh ghat, sento arrivare il suono dei tamburi che accompagnano i cortei nuziali, numerosissimi in questi giorni. Mi avvicino ad osservare un gruppo di parenti che sta eseguendo una danza in cerchio per accompagnare gli sposi. Molte nuove coppie sono vicino al fiume e stanno aspettando le barche per raggiungere l’altra sponda.
Sposa al Dashashwamedh ghat.
Le spose sembrano tutte uguali, vestite di rosso con un grande velo dai ricami dorati sul capo e sul corpo. Portano tutte un grande anello appeso al naso, degli orecchini, lunghe file di bracciali ai polsi, anelli alle dita dei piedi e intorno alle caviglie. Tengono sempre un oggetto tra le mani. Gli sposi di oggi sono quasi tutti vestiti con l’abito classico. Soltanto uno indossa il costume da “maharaja”, ma tutti ne portano il cappello. Gli sposi, inoltre, portano una collana di fiori gialli intorno al collo. Sia la sposa che lo sposo hanno delle decorazioni raffinate sulla pelle delle mani e dei piedi.
Le decorazioni delle mani.
E’ quasi l’una e sembra sia il momento più intenso del’arrivo dei cortei nuziali al Gange. I suonatori stanno intensificando i loro battiti e percuotono i tamburi con sempre più forza. Se salgono sulle barche, il suono si allontana e va verso l’altra sponda.
Con una coppia di sposi al Dashashwamedh ghat.
Sul ghat, lì accanto, c’è un gruppo di donne di Delhi che sta cantando una puja insieme al sacerdote. Il rituale è rivolto al dio Vishnu, mi dicono.
Le donne di Delhi mentre cantano una puja.
Pranzo con Alina e Marc sulla terrazza della “German bakery” di Bangali Tola. Loro sono in partenza per Jaipur e mi mancheranno molto. Regalo ad Alina un paio dei miei due nuovi pantaloni di khadi. Lei sceglie proprio quelli che mi piacciono di più. Quindi, nel pomeriggio, corro al Gandhi shop a comprare dell’altro khadi. Lì, oggi, c’è un commesso un po’ più giovane e sveglio, ed anche più attivo di quelli che ho trovato le altre volte. Porto la stoffa al sarto e torno sui ghat. Al Dashashwamedh c’è addirittura un party nuziale con gli invitati seduti qua e là che mangiano il cibo distribuito da un grosso pentolone. Le donne, elegantissime nei loro sarees sintetici, tutte ingioiellate, curate sia nel trucco che nelle decorazioni di mani e piedi, danzano, cantano e stringono i loro figli tra le braccia. E’ tutto un ripetersi, qui, sul Gange: le spose e gli sposi vestiti allo stesso modo, i pellegrini che fanno il bagno e mettono a stendere i panni, i sacerdoti che celebrano le puja, i venditori che cercano i clienti, i mendicanti che chiedono l’elemosina, i barcaioli che vanno e vengono, i turisti che scattano le foto e via, di seguito.
Corteo nuziale sulla barca per andare sull’altra sponda.
E’ già calata la sera e il vento è diventato più intenso. Mi sposto nella direzione dell’Assi ghat e mi fermo un attimo davanti ad una tenda di due black baba.
Black baba (la categoria di baba che mangia i resti delle cremazioni) mentre cucina.
Proseguo tra altri sadhu nudi seduti davanti al focolare o in giro, a passeggio, nonostante sia freddino. Poco più giù, dopo il Kedar ghat, c’è una donna con il giovane figlio che sta distribuendo del cibo e del cjai. Dice che è un cibo sacro, offerto dal suo maestro, un anziano guru, molto attivo, che sta lì, sotto la tenda. Sia lei che il figlio sono suoi ospiti in un’abitazione che sta qui sopra, accanto al fiume. La donna è ucraina, si occupa di estetica e yoga e vive a Milano. Insiste molto perchè lasci un’offerta, ma non l’ascolto.
Banchetto ayurvedico all’Harishchandra ghat.
Di fronte alla tenda dove sta la donna ucraina c’è un banchetto ayurvedico con un medico che ascolta i pazienti e capisce i loro problemi tastando soltanto il loro polso. Il medico, poi, distribuisce ad ognuno delle pastiglie sfuse, avvolgendole in un pezzo di giornale. Tra le persone che stanno a guardare l’attività medica di questo banchetto, c’è una “lady-man” taylandese, di religione buddhista. E’ proprio un incrocio tra uomo e donna! E’ molto simpatica e mi racconta molte cose riguardo ai suoi due viaggi in Italia. Torno a Bangali Tola attraverso i ghat. Lascio alle spalle le pire dell’Harishchandra ghat che stanno ardendo in continuazione e i sadhu, lì accanto, indaffarati a cucinare la loro cena.
Vasetti di fiori intorno al focolare di una tenda,
Mi fermo ancora un attimo più su ad osservare le strategie dell’uomo che legge la mano mentre sta catturando un gruppo di ragazze spagnole. Poi, poco più su, guardo con tenerezza la tenda del baba che ha disposto i vasetti di piante intorno al suo focolare.
Harishchanda ghat, verso sera.
Varanasi, 24 febbraio 2019
Oggi il cielo è coperto e sul Gange c’è un po’ di foschia, ma la temperatura è mite. Nella tarda mattinata, verso il Kedar ghat, incontro il canadese che è già di ritorno dal suo giro. Mi mostra il suo ultimo disegno che rappresenta proprio le attività che si svolgono in quel ghat. Il foglio, già di piccolo formato, l’ha piegato in quatto parti per farlo stare nel taschino della camicia, così ha rovinato un po’ il disegno. Lì, al Kedar ghat, è comparsa una tenda-rosticceria con una donna che frigge polpette vegetali di varie forme.
Preparativi per la puja.
Su un ripiano, delle donne dell’Andra Pradesh stanno mettendo su dei piatti tutti gli elementi necessari per celebrare una puja: la noce di cocco, la banana, gli incensi, le candele, i fiori, delle sostanze di colore giallo e delle altre bianche. Poco più in là, degli uomini a dorso nudo, ne stanno già celebrando un’altra, ma per i defunti di più famiglie.
Puja per gli antenati al Kedar ghat
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In questa puja, in ogni piatto, ci sono le solite palline che rappresentano gli antenati e il rituale è diverso da quello che stanno celebrando le donne di poco fa. Qui, al Kedar ghat, incrocio l’ucraina che ho conosciuto ieri sera. Ha anche oggi le treccie ed è vestita con un sari di colore rosa confetto. E’ assorta nei suoi pensieri e non risponde al mio saluto. E’ mezzogiorno e diversi sadhu stanno già pranzando o forse facendo colazione. Altri sadhu camminano nelle due direzioni, nudi, con il corpo coperto di cenere e le collane al collo.
Harishchandra ghat. Tendopoli.
Nella tenda dove ieri l’ucraina e suo figlio stavano distribuendo il cibo sacro, dei ragazzi stanno lavando il riso contenuto in una bacinella di alluminio. Sul davanti di questa grossa tenda sono appesi dei grandi poster con le immagini di guru e divinità.
Lavaggio del riso prima della cottura del pasto della “prasada”, il cibo sacro.
Tutte le tende hanno i loro idoli, quasi sempre disposti intorno al focolare, sul davanti o sui lati dei ripari. Qua e là, sui tettucci delle tende, spiccano delle bandiere arancione, il colore dei sadhu. Sul lungo fiume, incontro la donna dello scopino, la più venale tra le sadhu. Sta andando nella direzione opposta alla mia. E’ piccola, grassotella con la faccia tonda, la bocca grande e i capelli raccolti in un chignon. Oggi, mi sorride e mi stringe a se, come fossimo delle grandi amiche, anche se non le ho mai dato nessuna offerta.
Focolare di una tenda con le monete disposte intorno.
Dalle tende dell’Harishchandra ghat, escono delle musiche che i giovani ascoltano con un’espressione estasiata sul volto. L’Assi ghat non è molto animato a quest’ora. Le postazioni dei baba sono vuote e le barche stanno attraccate alla riva, senza pellegrini a bordo. Sulla riva c’è soltanto una bancarella con delle taniche vuote e un venditore di bastoncini di zucchero filato rosa appesi, uno per uno, su una struttura di legno triangolare.
Celebrazione di una puja per un matrimonio all’Assi ghat.
La mandria di bufali che solitamente sta qui vicino, si è spostata più giù e sta in piedi, ferma, forse in attesa di qualcosa. Qui, in alto, c’è qualche venditrice di collane, con la merce disposta sopra le pietre. Mi sembra tutto così tranquillo! Anche la gente seduta quassù se ne sta in silenzio.
Interno di una tenda.
Su un’altura di pietra compaiono quattro donne e un uomo con il necessario per celebrare una puja. ” E’ per un matrimonio” mi dice l’uomo del gruppo. Sono quasi le 14:00 e mi avvio per tornare a Bangali Tola ripercorrendo il cammino dell’andata. Il lungo fiume quaggiù è decisamente più tranquillo anche se le tende della zona Harishchandra sono ancora numerose.
Tendopoli lungo i ghat.
All’interno di qualche tenda c’è qualche turista seduto che chiacchiera con i sadhu. In alcune, invece, i sadhu stanno riposando. Passo davanti al sadhu-divo con gli occhiali da sole. Lui sta semi disteso su un tavolone e quando mi vede mi annuncia che vuole un dollaro per ogni foto che gli scatto. Rivedo, passando, il banchetto della medicina ayurvedica con il medico e i suoi assistenti sadhu al lavoro, nella loro postazione.
Tendopoli nei pressi dell’Harishchandra ghat.
Nella tenda di fronte, ora, stanno distribuendo il thali gratuito nei piatti di foglie. Prendono sia il riso che le salse da tre pentoloni di alluminio e li mettono nei piacci con dei grossi mestoli. Potrei mangiare qui: l’ucraina, ieri sera, mi ha giurato che l’igiene è sicura. Ci penso un attimo, ma rinuncio per il semplice motivo che non mi sento di mangiare con le mani e non oso chiedere un cucchiaio.
La cucina di una piccola tenda.
Più su c’è un baba che sta facendo bollire l’acqua per il cjai sollevando una gran fumera. Lì accanto, nella tenda attaccata, c’è un gruppo di sadhu con una rara black baba.
Tenda con donna Black baba.
Nel pomeriggio scendo al Chousati ghat che trovo molto animato. C’è un gran movimento di barche cariche sia di industi che di musulmani che vanno sull’altra sponda. Anche il Dashashwamedh ghat è animatissimo e i baba con gli scopini sono davvero tanti e tutti indaffarati.
Aspetti della vita nella tendopoli.
Sotto una fila di tende, a fianco della scalinata che sta dopo il Dashashwamedh ghat, tra i sadhu con lo scopino c’è anche una nuova donna. Al Manmandir ghat, passo davanti alla tana del Black baba e lui è lì, in piedi, elegantissimo nel suo mantello grigio. Al Lalita ghat c’è una barca di pellegrini in partenza e qualche sadhu seduto sulle gradinate. Mi fermo un po’ lassù, ma fa freddo e sono vestita troppo leggera.
Bambini travestiti da divinità.
Torno indietro e poco prima del Manmandir ghat ci sono le due bambine o bambini travestiti da divinità che stanno giocando allo scivolo, insieme ad altri bambini, lungo una discesa. Un turista le ferma per fotografarli e loro si mettono in posa. E’ il loro lavoro! In quei volti infantili, in certi momenti di distrazione, mi pare di scorgere la fatica e, tanta tristezza!
Il fotografo e i bambini travestiti da divinità.
Varanasi, 25 febbraio 2019
Vado a Godowlia, alla “J&K Bank”, attraverso le gali. Percorrendo quel viottolo si sentono sempre i rumori dei telai in azione. Oggi c’è una porta aperta: entro in un corridoio buio dal quale si affaccia uno stanzone tetro con le vecchie macchine al lavoro e una sola persona che le controlla.
Telaio in funzione.
Dopo aver prelevato le rupje allo sportello automatico, entro in un altro viottolo e sbocco nella Naisalak street, la zona islamica della città. Lì, il traffico è terribilmente caotico: un’ambulanza, una specie di furgoncino, sta cercando di passare suonando la sirena, ma un risciò con un divano sopra si è incastrato con un carretto di tubi e ha bisogno di tempo per farsi da parte.
Il traffico nella zona di Naisalak.
Le persone, ai lati della grande strada, si muovono lentamente e non s’arrischiano ad attraversare la strada. Quelle motorizzate suonano con insistenza il clacson creando ancora più confusione.
Chowk. File di pellegrini per entrare al Golden Temple.
All’incrocio con un’altra via, un militare con un basco rosso in testa cerca di dirigere il traffico, con qualche timido gesto delle braccia. Arriva una gip bianca della polizia, con la sirena accesa e con un uomo con diverse stelle sulle spalle al posto del passeggero. La vettura passa lentamente e gira all’incrocio per tornare nella stessa direzione dalla quale è arrivata. Cerco di uscire dal caos e di andare verso il Gange. Guardo la posizione del sole per orientarmi e, proprio di fronte ad una grande moschea rosa e verde, entro in una nuova gali. Sono nel quartiere musulmano, nella stradina che congiunge la Naisalak street con il piazzale di Chowk.
Naisalak, quartiere accanto a quello di Chowk.
Qui, ci sono stata tempo fa ed è una zona piena di macellerie, rosticcerie, negozi di uova, botteghe di alimentari. Svolto in un altro vicolo e qui cambiano gli articoli: ci sono negozi di borse, ciabatte, stoffe, mercerie, bracciali, abiti da sposa, articoli per la casa.
Donne nel quartiere musulmano.
Anche dentro le gali c’è un bel traffico, ma qui possono passare soltanto moto, vespini e biciclette. Il viottolo è stretto, gli edifici sono alti e i gas di scarico fanno fatica ad alzarsi nell’aria. Inoltre, proprio ora, tutti i negozianti stanno spolverando le loro merci con lo scopino, sollevando un gran polverone.
Interno di un negozio di tessuti di Naisalak.
Mi fermo a guardare le passamanerie di una bottega: il negoziante vede che sto cercando qualcosa e mi chiama. “Mi servirebbe un uncinetto” gli dico più a gesti che a parole. Tra scatole e scatolette mi trova uncinetti di tutte le misure e di vari prezzi. Compro quello che costa meno, naturalmente!
Chowk.
Lui è musulmano e abita a 60 km da qui. Mi dice che in questa zona l’80% degli abitanti appartiene a questa religione. Quando gli dico che sono italiana, lui subito fa riferimento a Sonia Gandhi, e mi dice che, secondo dei sondaggi, dovrebbe ottenere il 71% dei voti alle prossime imminenti elezioni. Esco dalla gali a Chowk, come previsto, e trovo le solite lunghe file di pellegrini che aspettano il loro turno per entrare al Vishwanath Temple, il Golden Temple.
Vetrine di Naisalak.
Entro in un altro vicoletto, pieno di negozi anche questo. Alzo gli occhi a guardare il sole e mi accorgo che sto andando verso Nord anzichè ad Est, verso il fiume. E’ una zona di mercati, anche questa. Gli indiani chiamano mercato qualsiasi zona abbia una certa quantità di negozi. Un tizio di media età vuole accompagnarmi al fiume dicendomi che sta andando proprio là. Conosco ormai queste strategie e gli dico che preferisco proseguire da sola, ma non mi ascolta. Arrivati al Gange, lui insiste nel chiedermi dei soldi, si fa pressante, dice una somma, poi la dimezza e la riduce ancora.
Donne dell’Andra Pradesh.
Esco sul Gange all’altezza della grande moschea, dove c’è la scritta: “Peshwa’s Sree Ganesh Mandir 1807”. Proprio lì accanto, c’è l’hotel elegante che si è esteso con tavoli e piante su tutto il ghat. Sul molo, nell’area riservata dell’hotel, c’è un grande barcone a due piani con sopra delle donne indiane vestite di rosa e degli uomini con addossso camice o giubbini senza maniche, dello stesso colore.
Donne velate del Rajasthan.
Mi metto a leggere su internet delle informazioni su alcune città iraniane che vorrei visitare prossimamente. Poi, mi sposto verso la zona di Bangali Tola, rimanendo sui ghat. Fino al Shindia ghat c’è poca gente, ma da qui inizia la ressa sul lungo fiume sia per il bagno che per l’asciugatura dei panni. Al Shindia ghat ci sono soltanto uomini. Le donne stanno poco più giù, in un posto più appartato: stanno strizzando i sarees e pettinandosi. Sono dell’Andra Pradesh, mi dicono. Il solito passaggio del Manikarnika è chiuso.
Le demolizioni accanto al Manikarnika ghat.
Per oltrepassarlo bisogna salire, attraversare la zona delle demolizioni e poi ridiscendere. Torno sulla riva del Gange: sono arrivata poco prima del sottoportico dove sta l’altro mio amico baba. Lui, il baba, è sempre in meditazione e con gli occhi chiusi. Oggi, lo tocco ad un braccio per sentire il suo contatto. Lui apre gli occhi e mi sorride: è bollente!
Contadino del Rajasthan.
Al Lalita ghat c’è il pienone di barche cariche di pellegrini in partenza. Sono quasi le 15:00. Più giù, nella pendenza c’è un gruppo di bambini e bambine che stanno giocando allo scivolo. Al Meer ghat, mi fermo a guardare un gruppo di pellegrini provenienti da Gallor e da un villaggio di Champura, nel Rajasthan.
Ricco contadino del Rajasthan.
Due di loro sono dei ricchi contadini e portano un turbante in testa e dei cerchietti appesi alle orecchie. Le donne sono vestite di rosso e si coprono il viso con il velo per una forma di riguardo o rispetto, mi dicono. Al Manamandir ghat mi sento salutare dalla riva del fiume.
Lungo i ghat. Turisti di un hotel, in partenza.
Sono dei bambini che si stanno rivestendo dopo il bagno. Uno di loro mi fa il segno del bracciale. Riconosco la camicia di quella che credevo fosse una bambina clown e, invece, è un maschetto. Mi ricordo di come, quel giorno, contava le medagliette del braccialettino che gli avevo appena regalato. Mi metto a contare fino a dieci, ma sbaglia sempre quando arriva al numero sette. Ma ha una gran voglia di imparare e ripete di continuo, mi insegue con gli abiti da clown in mano, ripete di nuovo e sbaglia ancora. Un attimo dopo lo vedo già al lavoro con un turista che ha attirato la sua attenzione.
I bambini-divinità dopo il bagno nel Gange.