29 ottobre 2015
La partenza
Quassù sopra le nuvole mi vengono in mente i fatti che caratterizzano quel paesino quasi montano dove ho un piccolo rifugio che divido con i boschi selvaggi che stanno intorno. E’ una frazione di poche case, quasi tutte ricostruite dopo il disastroso terremoto del 1976, animate a volte d’estate e in qualche fine settimana da gente venuta da fuori che segue i modelli legati ancora alla grande trasformazione degli anni ’60. Un tempo sedevo nella piazzetta e stavo insieme alla gente di qui; c’erano persone genuine e generose, oramai tutte scomparse. Ricordo da bambina le donne che da quassù con la gerla sulla schiena passavano davanti alla casa di Sornico dove abitavo, a circa 4 km da qui: andavano a piedi fino a Gemona per vendere funghi, pere, mele e castagne. Il paesaggio di quassù ha lasciato la traccia del loro lavoro passato: si vedono terrazzamenti su terrazzamenti con i resti degli splendidi muretti a secco che li sostenevano.
VaranasiVaranasi, novembre 2015. Aspetti dei ghat nella bassa stagione.
30 ottobre 2015
Varanasi mi accoglie con grande calore. Condivido il percorso in taxi con un ragazzo filippino da poco laureato in marketing e uno studente di ingegneria elettrica di Kardigar che vive qui in un ostello per studenti. Il ragazzo filippino sceglie di alloggiare nella mia guest house. Sono stanchissima: dopo aver salutato mio figlio e la sua ragazza precipito in un profondo sonno e ci rivediamo soltanto per cenare insieme. Dopo cena, ci separiamo e io me ne vado ai ghat a cercare Sonu, il mio amico barcaiolo. Lo trovo ed è felice di raccontarmi che sua mamma ha venduto la casa del villaggio e si è trasferita da lui insieme agli altri due figli. Con i soldi ricavati ha potuto costruire le finestre, i pavimenti, i servizi igienici e fare i collegamenti per l’acqua e la corrente elettrica. Sonu mi dice inoltre che la casa verrà ampliata gradualmente per consentire alle future famiglie dei fratelli di abitarci. Rimane ancora da realizzare il suo progetto di acquistare le barche e di aprire una tea stall in un angolo del Chausatti ghat. Riporto integralmente le confidenze che Sonu via via mi racconta e che molto spesso si riveleranno incoerenti tra loro.
Varanasi, novembre 2015. Pulizia dei dipinti murali nei dintorni del Dasaswamedh Ghat.
Di sera, mentre me ne sto al ghat viene a sedersi accanto un ragazzo. Mi racconta di aver aperto da poco una tea stall dove vende anche bevande come ginger e caffè. Più in là, un gruppo di uomini si sta preparando a giocare a carte. Puntano somme rilevanti, mi dice il ragazzo. Tra i diversi discorsi mi conferma anche quanto mi aveva raccontato nel pomeriggio Sonu, il barcaiolo, riguardo alle forti contestazioni ricevute dal primo ministro Modi durante la sua recente visita a Varanasi, in occasione del festival dedicato alla dea Durga. La popolazione non ha accettato il divieto di gettare nel Gange le statue di terracotta, alla conclusione delle celebrazioni. La motivazione del divieto è volta ad evitare l’inquinamento provocato dalle vernici usate per decorare le statue. La popolazione, e in particolare i sadhu e i santoni, si sono enormemente ribellati a questo divieto che va praticamente ad annullare lo svolgersi di una tradizione religiosa millenaria. Durante la manifestazione, secondo i racconti di persone locali, ci sono stati diversi feriti tra i sadhu che sono stati malmenati e picchiati dalla polizia e anche sottoposti a delle torture quali lo strappo delle unghie. Ritorno alla guesthouse attraversando i ghat: arrivo al Dasaswamedh Ghat dove, vista l’ora tarda, la povera gente si sta preparando a dormire distesa sui marciapiedi.
Varanasi, 31 ottobre 2015. La vita sui ghat, sempre uguale, sempre diversa.
31 ottobre 2015
Una bella passeggiata con mio figlio nella città vecchia dalle parti di Godolia fino a raggiungere una piscina attorniata da antichi palazzi: la Lakshmi Kund dedicata alla dea del denaro. E’costituita da una enorme vasca che viene riempita attraverso delle tubature con l’acqua del Gange. La Lakshmi Kund viene utilizzata soltanto per i rituali delle puja e durante le numerose manifestazioni con le statue delle dee e degli dei che si svolgono durante i festival. Lungo il perimetro, all’ombra delle arcate dipinte di rosa, ci sono delle anatre che riposano incuranti delle poche persone che gironzolano intorno. Nell’acqua nuotano indisturbate numerose tartarughe di diverse dimensioni. Sulle gradinate, anche qui, c’è un gruppo di giovani che gioca a carte, mentre alcuni di loro stanno ad osservare. All’entrata come all’uscita c’è anche una mucca, che distesa al sole, non pare essere disturbata dalla nostra presenza. Più in giù, accatastate in una specie di rigagnolo, giacciono i resti ripescati delle sculture utilizzate per i festival. Qui le statue di terracotta le possono ancora immergere, in quanto non vige il divieto emesso per il fiume Gange.
Varanasi, 31 ottobre 2015. La piscina dedicata a Lakshmi, la dea del denaro.
Pranzo con Simone e raggiungo Sonu, il barcaiolo, che mi conferma il malcontento e l’amarezza della popolazione locale per il divieto di immergere le statue nel fiume. Più persone mi raccontano che questa decisione ha causato un grosso calo dei pellegrinaggi al Gange e una evidente crisi economica della città. Verso sera tornando in guesthouse incontro i numerosi topolini che scorazzano tra i portoni della stradina. Raul, uno dei proprietari della guesthouse mi dice che sono delle manguste che si cibano delle formiche che popolano i bordi delle stradine.
Varanasi, novembre 2015. Mercatino delle erbe commestibili in Bengali Tola.
1 novembre 2015.
E’ domenica e i ghat sono poco animati. Sonu mi ribadisce che da quando c’è stata la violenta manifestazione contro la visita del primo ministro Modi, l’afflusso dei pellegrini si è notevolmente ridotto anche per il panico diffusosi tra la gente. In effetti, Varanasi, in questa domenica di inizio novembre è quasi deserta!
Sia mio figlio sia Sonu mi raccontano che nei pressi dell’Assi Ghat c’è un ashram dove trovano rifugio gli anziani poveri. C’è anche un altro ashram dove stanno gli anziani che stanno per morire. Quindi, esistono proprio questi posti qui a Varanasi, non sulle rive del Gange però, o nei pressi del Manikarnika Ghat come qualcuno tempo fa mi aveva fatto credere.
Varanasi, 1 novembre 2015. Guru al Dasaswamedh Ghat.
2 novembre 2015
Dopo il pranzo con il thali al solito ristorantino di Godolia, con Simone e Alina siamo andati a bere il chai nella tea stall o chaiwalla di fronte alla quale sta la stiratrice che ho conosciuto qualche tempo fa. Oggi c’è anche suo figlio appena fuori dalla bottega e parla a lungo con noi. Ha 28 anni e aiuta il padre che si occupa del lavaggio dei panni al fiume. Ha frequentato la scuola pubblica fino alla 12^ classe e poi ha seguito un corso di informatica. E’ sposato ed ha due figli di 5 anni e 6 mesi. Sua moglie ha frequentato la scuola fino alla 10^ classe. Abita in una casa di proprietà della famiglia accanto a quella dei genitori. Ci racconta ancora che il suo matrimonio, come tutti i matrimoni indiani, non è stato trascritto e che le famiglie non hanno firmato alcun atto dotale. Dice che lui stesso non ha chiesto nulla come dote della sposa: chi ha voluto donare qualcosa è stato libero di farlo o meno. La sua famiglia appartiene ad una Scheduled castes i Dobhi, ovvero i lavapanni. Secondo il racconto di questo giovane, pur avendo la sua famiglia raggiunto un certo benessere economico, non le sarà mai possibile, nemmeno per i suoi discendenti, accedere ad una casta superiore, in quanto l’appartenenza ad una casta rimane una questione di nascita. Riguardo alle questioni familiari ci racconta che nella fase di divisione dei beni alla morte dei nonni ci sono stati diversi dissidi tra parenti. La minuscola bottega dove lavora la madre, difatti, è stata divisa a metà da una parete innalzata a metà della stanza: i parenti che stanno accanto svolgono la stessa attività di stiratori.
Tra i vari discorsi ci parla con molto interesse del Mathar Devi Temple, situato nel Madia Pradesh vicino alla città di Rena. Ci racconta anche un aneddoto mitologico legato alla religione induista. Ci narra che il padre di Parvati invitò a cena la figlia senza estendere l’invito a Shiva, il marito. Questi s’infuriò e lei si diede fuoco in una delle piscine di Varanasi. Arrivò Vishnu e la tagliò in 51 pezzi disperdendone le parti del corpo in tutta l’India. Una parte del suo corpo è arrivata fino in Cina e un pollice o un alluce stanno qui, a Varanasi, in un tempio vicino al Golden Temple.
Varanasi, novembre 2015. Mercatino vegetariano nei pressi del Manikarnika Ghat.
A sera tutti e tre usciamo per la cena eraggiungiamo il quartiere islamico di Chowk . Siamo abbastanza vicini al Manikarnika Ghat, il grande ghat delle cremazioni e incrociamo molti funerali, uno di seguito all’altro, con i parenti al seguito che recitano dei mantra tutti insieme. Le salme che trasportano sulle spalle stanno adagiate su una portantina di bambù e sono coperte con stoffe colorate e decorate con fiori intorno al corpo. Al ristorante Simone e Alina mangiano dei bocconcini di pollo cucinati alla griglia con dei chapati fritti. Io non ceno: mangerò soltanto della frutta e berrò del ginger più tardi, nella mia stanza. Al tavolo ci serve un bambinetto di circa 7-8 anni. Gli chiedo che classe frequenti e, con un certo imbarazzo, mi risponde che non va a scuola.
Varanasi, novembre 2015. Preparazione del chai lungo le stradine di Bengali Tola.
3 novembre 2015
Ho camminato molto attraverso la città vecchia per raggiungere uno dei miei posti preferiti, quello che sta poco dopo il Manikarnika ghat. Son rimasta a lungo a leggere seduta sotto uno dei tanti gazebo che stanno accanto all’edificio di una scuola privata di lingua sanscrita, aperta solo ai ragazzi bramini. Sono le 11 e 30 e anche oggi c’è un ragazzino che porta da mangiare al Gange, lava il piatto d’acciaio e se ne torna alla scuola attraverso la ripida gradinata. C’è anche il solito massaggiatore che ho già incontrato mesi fa: fa il bagno, si cambia e lava il suo costume e la tela che porta allacciata intorno alla vita che si rimetterà dopo averla ben strizzata. Lascerà il costume lì a stendere e se ne andrà veloce insieme al cliente che lo stava attendendo.
Varanasi, 3 novembre 2015. Verso sera, nei pressi del Harischandra Ghat.
Nel pomeriggio vado a camminare dall’altra parte della città vecchia, verso l’Harischandra Ghat, il piccolo ghat delle cremazioni. Mi fermo su in alto su una gradinata e, anche se lo spettacolo del fine vita è particolarmente triste, mi soffermo ad osservare le pire che stanno ardendo con delle fiamme altissime. Lì ci sono cani che gironzolano intorno, turisti che osservano, parenti che attendono la fine del rituale, bambini che giocano. Ci sono pure delle caprette che mangiano indisturbate i fiori che decoravano le salme. I bimbi ogni tanto cercano invano di attirare la loro attenzione tirandole per la coda e per le orecchie: loro continuano tranquille a mangiar fiori. Mentre una pira sta ardendo vivacemente, i parenti si avvicinano ad un’altra proprio mentre si sta spegnendo. Gli addetti alle cremazioni con grande cura gettano dell’acqua sopra la legna e separano i pezzi ad uno ad uno per accelerarne la spegnitura. Una nuvola di fumo si sprigiona verso l’alto, poi, gli addetti raccolgono la legna rimasta, quella non bruciata completamente e la racchiudono nei due lembi di stoffa che coprivano il cadavere prima della cremazione. Quella legna servirà per altri usi, verrà a sua volta venduta, probabilmente. Con una zappa, poi, gli addetti raccolgono tutte le ceneri rimaste e le depositano su un telo scuro che porgeranno al parente più stretto affinché le vada a spargere nel vicino Gange.
Varanasi, 4 novembre 2015, Dasaswamedh Ghat. Canto solitario al Gange.
4 novembre 2015
Nella mattinata vado a Godolia e poi torno verso Bengali Tola e scendo al Dashaswamed Ghat dove rimango seduta a leggere su un tavolone. Ad un certo punto s’innalza una voce melodica che canta una preghiera al Gange. E’ un uomo vestito in modo semplice, sul trasandato elegante, che canta più volte la sua ode che si espande nel gran silenzio del ghat . Il canto culmina con l’uomo che alza le braccia al cielo, poi si allontana e va a cercare un altro palcoscenico lungo la scalinata. Si esibisce ancora una volta e poi scompare.
Nel pomeriggio mi sposto verso il Manikarnika Ghat seguendo i numerosi funerali che arrivano in continuazione con una voce che recita: Ram Nam “il nome di Rama” e il gruppo di parenti che risponde Sat He “E’ la verità”. Sul vicoletto, non lontano dal ghat, si affaccia un tempio che non avevo mai osservato prima d’ora: il Nilkan Temple. Entro nel cortiletto attraverso un cancello, ma al tempio non è possibile accedere per i forestieri. Tutto intorno il perimetro del cortile c’è un porticato sotto il quale alloggiano i pellegrini seminascosti dai loro bucati messi a stendere. C’è un via vai di donne con dei lumini accesi: si dirigono sia verso il tempio principale sia nella direzione di un tempietto secondario, entrambi dedicati a Shiva. Lungo il viottolo in discesa, da una porticina, si affacciano due caprette: madre e figlia. La piccola indossa un maglioncino da bambino a righe e mi si avvicina per essere accarezzata. Il ghat principale delle cremazioni verso sera è affollatissimo di turisti che da lì, o dalla barca, assistono alla cremazione dei cadaveri. Le pire accese in questo ghat sono numerose: c’è anche una salma di una giovane donna disposta su un telo che attende di venire appoggiata sulla pira. Ci sono uomini che con le mannaie spaccano dei grossi tronchi, altri che dispongono i pezzi a strati perpendicolari sulle cataste, altri uomini che curano i fuochi delle pire. C’è tanta gente qui, tanti parenti dei defunti e diversi venditori di tè, molte guide turistiche, infiniti procacciatori di affari attirati dai numerosi turisti che qui convergono. Uscendo dal Manikarnika Ghat, accanto ad un tempio dedicato a Shiva c’è un altro gruppo di gente seduta su un lungo muretto: stanno aspettando la cena che verrà tra poco distribuita dal tempio.
Varanasi, novembre 2015. L’attesa della distribuzione del pasto nei pressi del Manikarnika Ghat.
Sono circa le 17.30 ed è già buio! Attraverso il Dashaswamed Ghat che si sta preparando per la cerimonia serale e raggiungo il Chausatti Ghat dove saluto il mio amico barcaiolo. Mi siedo con lui sulla gradinata con le pietre ancora calde del sole. Ci sono due turiste che cercano una barca per andare alla cerimonia del Dashaswamed Ghat e Sonu le accompagna.
Varanasi, novembre 2015. Quartiere musulmano di Adampura.
5 novembre
Camminata verso Godolia attraverso le stradine della città vecchia. Mi oriento sempre in modo approssimativo: i vicoletti in pietra sono stretti e si diramano in strutture labirintiche. Quando sbuco nella Main Road cerco i punti di riferimento per capire dove sono capitata. Da lì, attraverso la strada principale ed entro ancora nel viottolo della città vecchia cercando la direzione del Manikarnika Ghat. Ritrovo il fornito mercatino vegetariano di alcuni mesi fa, un palazzetto un po’ liberty con diversi uomini penzolanti, seduti nel loggiato che più volte ho già incrociato.
Varanasi, novembre 2015. Mercatino nei pressi del Manikarnika Ghat.
Su un gradino c’è un gruppo di donne sedute all’ombra per una sosta, più avanti, davanti ad una porta, c’è un sadhu immerso nella lettura di un enorme vecchio libro. Scendo la gradinata e vado verso il grande ponte che sta oltre il ghat delle cremazioni: mi fermo al solito gazebo che sta sul Gange, proprio sotto la scuola di sanscrito dipinta di rosa. Provo ad esplorare la mappa che ho comprato ieri sera, ma constato che le stradine non sono indicate: dovrò continuare a perdermi e ritrovarmi per i labirinti di Varanasi. Al ritorno verso la guest house sento le voci familiari di ragazzi e ragazze provenire da un androne. E’ una scuola governativa credo: ci sono degli affreschi all’entrata che rappresentano i vari momenti delle lezioni. C’è una bidella all’ingresso che pulisce le scale e, poco più là, degli insegnanti maschi raggruppati in una specie di ufficio. Sono le 13.00 circa e probabilmente è il momento della pausa pranzo. Dal cortiletto vedo lassù in alto delle ragazze in divisa azzurra con una sciarpa bianca sulle spalle: stanno ingabbiate dietro la rete di protezione di una grande porta-finestra. I docenti mi liquidano subito dicendomi che il luogo dove mi trovo non è una scuola. Faccio finta di crederci e mi allontano.
Varanasi, novembre 2015. L’ingresso di una scuola tra i viottoli del quartiere Manikarnika.
Nel tardo pomeriggio vado verso sud, oltre il Kedar Ghat attraverso la città vecchia, me ne sto un po’ seduta a leggere e risalgo poi verso il Chausatti Ghat per salutare Sonu. Parliamo un attimo e ad un tratto si accorge che un ragazzo si è tuffato in piedi nel fiume senza poi nuotare e riemergere. Immediatamente un altro barcaiolo si spoglia e si tuffa per andare a soccorrere il ragazzo, un altro lo cerca a lungo con il remo della barca: trascorrono alcuni minuti, forse solo cinque, o dieci, ma ormai non c’è nulla da fare, non riusciranno più a salvarlo e se ne tornano tutti a riva attendendo la polizia che arriva in breve tempo. Il cadavere viene ripescato, avvolto in un telo e trascinato per un braccio a riva: è un ragazzo giovanissimo, di soli 17 anni, con i capelli legati con un codino, vestito con un paio di jeans e una maglietta.
Torno in guest house come d’accordo con Simone e Alina e usciamo insieme per cenare in un ristorantino di strada, con una specie di frittata ripiena di verdure. Alina se ne torna nella sua stanza e con Simone raggiungiamo l’ l’Harischandra Ghat, il piccolo ghat delle cremazioni, e ci fermiamo a guardare il tempietto con il fuoco che sta acceso lì per le pire da più di quattromila anni. La leggenda narra che Harishandra dovendo bruciare il figlio morto venne a Varanasi dal re dei Dom, i fuori casta incaricati di gestire le pire. Siccome non aveva i soldi per pagare la cremazione rimase a lavorare lì e ci restò per tutta la vita. In questo ghat incontriamo un amico di mio figlio che ha una bancarella di cibi confezionati proprio lì sotto. Mi dice subito che appartiene alla casta dei pastori, in quanto la sua famiglia allevava i bovini e lavorava il latte. Quindi, deduco, lui appartiene alla terza casta, mentre la famiglia della stiratrice che sta di fronte alla tea-stall appartiene alla quarta, a quella degli artigiani. Laggiù sotto il piccolo porticato del ghat, tra numerosissimi cani che gironzolano, pire accese, gente varia, ci sono dei sadhu intorno ad un fuoco acceso. Saranno degli Agorì baba, penso! Invece no, sono soltanto dei sadhu. Gli Agorì baba, i sadhu che si cibano dei resti dei cadaveri dopo la cremazione, arriveranno in massa per il festival che si terrà l’11 novembre, mi dice l’amico di mio figlio.
Varanasi, novembre 2015, zona dell’Assi Ghat. Stiratore.
6 novembre
Grande camminata da Godolia fino al quartiere islamico di Adampura, all’altezza del Raj Ghat, l’ultimo verso nord. E’ una zona che ricorda un po’ il fermento del Marocco, o di Istanbul con grandi mercati e un traffico di risciò, moto-risciò, auto, bici, carri trainati da bufali e carretti portati a mano ovunque. Compro due scialli in seta da un indiano educato che mi porta a visitare la sua fabbrica. Mi fornisce interessanti spiegazioni sulla qualità delle materie prime, sulla storia della sua famiglia che da 7 generazioni si dedica alla tessitura con telai azionati a mano. Una bella fabbrica ora gestita dai due fratelli. I loro figli ancora piccoli seguono con interesse il rituale delle trattative: in realtà non volevo acquistare nulla, ma le sete erano veramente favolose.
Varanasi, novembre 2015. La moschea Dharahara Majid durante la preghiera.
Scendendo verso i ghat riesco a trovare la moschea: la Dharahara Majid che si affaccia sul Gange. Quante altre volte son passata di qui senza accorgermi che là sopra ci stava questa bellissimo luogo sacro. Ora sono circa le 13.00 ed è affollatissima di uomini e ragazzini. All’esterno è stata montata una tenda dove stazionano dei poliziotti armati. E’ l’ora della preghiera che si concluderà di lì a poco con il muezzin che mi lascerà scattare qualche foto. Torno verso Bengali Tola attraverso i ghat: noto che anche oggi il Panchaganga Ghat è affollato. Si trova dopo Manikarnika e forse è un posto più tranquillo e pulito degli altri ghat, adatto per il bagno dei pellegrini che arrivano da lontano.
7 novembre 2015
Esco sempre sul tardi la mattina e rientro in guest house nel pomeriggio avanzato. Oggi ho camminato verso sud, prima attraverso la città vecchia poi sono uscita sui ghat subito dopo l’ l’Harischandra Ghat. Cercando di evitare la zona del fiume, che stanno ripulendo, sono salita su una gradinata e ho raggiunto un’ampia terrazza che dà sul Gange. Attorno ci sono delle abitazioni, in mezzo c’è un enorme albero recintato e addobbato con sopra un’infinità di scimmie che saltano da un ramo all’altro. In un angolo c’è una fontana e le scimmie arrivano ad una ad una, aprono il rubinetto e si dissetano. C’è sempre qualcuno che esce dalle case per chiudere il rubinetto che continuamente le scimmie riaprono. Vicino al Kedar Ghat mi siedo a leggere suscitando la curiosità dei ragazzini che non conoscono l’e-book. Dopo un po’ di tempo decido di scendere ancora verso sud e raggiungo l’Assi Ghat che sta alla fine della città, nella parte dove confluiscono i due fiumi: il Gange e l’Asi. Qui diversi barcaioli mi propongono di attraversare il fiume fino a raggiungere il museo che sta dall’altra parte, ma oggi voglio soltanto leggere e passeggiare. Dopo un po’ me ne torno verso la guest house attraverso la città vecchia: con sorpresa riconosco alcuni riferimenti, ma per imboccare i vicoletti giusti sono costretta a chiedere delle informazioni. Sono ormai le 16 passate: per pranzo mi compro delle banane e del formaggio da aggiungere al pomodoro e al cetriolo che ho nella stanza. Il venditore del formaggio è impegnato sia a servire i clienti sia a cacciare con una paletta di plastica la miriade di mosche che si appoggiano sui teli che coprono i latticini. Per cena torniamo, insieme a Simone e Alina, al ristorante islamico dove lavora il bambino che non frequenta la scuola. Questa sera gli chiediamo dove abita e ci racconta che dorme in una stanza dietro il ristorante insieme ad altri quattro ragazzi.
Varanasi, 7 novembre 2015. Celebrazione di una puja all’Assi Ghat.
8 novembre 2016. Domenica.
Esploro una stradina sconosciuta che sta dalle parti della mia guest house. La percorro accompagnata dal rumore dei telai meccanici che lavorano anche in giorno di festa. Con sorpresa mi ritrovo a Godolia, in una delle strade principali. Mi oriento, per fortuna, e vado verso Chowk e oltre Adampura, i quartieri che già conosco. Supero queste zone affollate e mi sposto verso il grande ponte pedonale e ferroviario che congiunge le due estremità del Gange, nella zona nord della città, subito dopo il Raj Ghat. Lì c’è anche una piccola stazione ferroviaria: Kashi. Qui ci sono diversi venditori di grosse foglie di Pan, le foglie che gli indiani masticano continuamente. Ci sono anche diversi cavalli ed anche delle carrozze trainate da questi.
Varanasi, novembre 2015. Dintorni della stazione ferroviaria di Kashi.
La zona appare molto desolata con discariche di immondizie, bambini che giocano lì accanto, maiali, mucche capre, polli che cercano cibo ovunque, bucati che svolazzano all’aria, gente che poltrisce accanto alle imbarcazioni.
Varanasi, novembre 2015. La zona a nord del Raj Ghat.
Dal ponte posso osservare la zona ancora più a nord e quella di là del fiume che si presentano quasi deserte in lontananza e invece, viste da vicino, sono piene di baracche e popolate di cavalli e bovini che gironzolano per le vie. Scendo al Raj Ghat per tornare dalle mie parti attraverso il lungo fiume. La zona quassù è piena di discariche: si vedono dal basso e appaiono con montagne di rifiuti che a volte bruciano a volte stanno lì a disposizione delle capre che le popolano. Più sotto gironzolano dei maiali, degli asini, delle anatre oltre a cavalli, mucche , tori e bufali. Lungo i ghat di questa zona ci sono delle distese di bucati ad asciugare, donne e degli uomini che li raccolgono in grossi involucri e se li caricano sulla testa per portarli a stirare. Quassù ci sono anche moltitudini di sterco appiattito in cerchi e disposti con ordine in rettangoli per farli asciugare al sole. Un po’ più giù incontro delle bambine: alcune stanno giocando con la sabbia bagnata altre si avvicinano per chiedermi dei soldi. Dico loro che non è bello che si comportino così. Per un po’ continuano ad insistere, poi paiono capire e mi salutano. Lì accanto c’è anche un gruppetto di maschietti e uno di loro inizia a tirarmi delle pietre nascondendosi ad ogni lancio. Le bambine mi indicano il posto dove sta nascosto, lo vedo, ma lui continua a lanciarmi pietre sempre più grosse fino a che interviene un santone, dall’alto di una terrazza sul Gange, per sgridarlo.
Fin lassù, al Raj Ghat, non ero mai arrivata. Scendendo verso sud, le discariche scompaiono e ci sono delle persone che con delle pompe stanno ripulendo la riva del fiume per riportare alla luce le splendide pavimentazioni in pietra.
Varanasi, novembre 2015. Casette in linea sul Lal Ghat.
Prima del Lal Ghat ci sono delle casette piccole, ma coloratissime e curate. Da una porta sbucano un gallo e una gallina, da un’altra un uomo vestito con l’abito tradizionale bianco; più in là intravedo una chioccia correre via con una miriade di pulcini. Arrivata ai gazebo dove abitualmente vengo a leggere c’è un cane che corre via con in bocca un colombo. Lo rincorre un santone che riesce a strappargli via il colombo ormai ferito; lo mette al sicuro sopra il tetto del gazebo.
Mi siedo sulla gradinata del Gaj Ghat ad ascoltare i canti delle donne che arrivano da un tempietto lì accanto. Osservo la gente che passa: i loro pantaloni, le loro giacche eleganti indossate per il giorno di festa sono a volte troppo stretti a volte troppo grandi, un po’ come vestiva la gente nell’immediato dopoguerra nel mio paese.
Varanasi, 8 novembre 2015, zona del Raj Ghat. Bucati ad asciugare e sterco ad essicare.
9 novembre
Oggi camminata attraverso la città vecchia e la strada principale in direzione Assi Ghat. All’altezza del Kedar Ghat mi fermo ad osservare i fedeli che stanno visitando un animato tempio dedicato all’amato dio elefante Ganesha.
Varanasi, novembre 2015. Offerta di lumini al tempietto Nilkan.
Oggi è la sua festa, anzi, quella di sua madre Lakshmi, mi diranno più tardi. All’interno, dietro una scultura in rilievo c’è un sacerdote che benedice i fedeli in cambio di generose offerte. Un uomo di mezza età, sporco e vestito in modo trasandato mi dice che lì è proibito scattare delle foto e che gli devo dei soldi per averlo fatto in quanto il tempietto è di proprietà della sua famiglia. Al mio rifiuto mi insegue per un lungo tratto continuando a chiedermi con insistenza dei soldi. Sono ormai arrivata nei pressi dell’Assi Ghat e da qualche giorno sto pensando di attraversare il ponte che sta più a sud e visitare il museo del Ramangar Fort and Palace. Mi informo sui prezzi dei risciò e contratto fino a che le offerte scendono a 150 rupie, circa due euro, per la sola andata. Il ponte è affollato di uomini che trasportano grossi sacchi di plastica sulle loro rozze, ma solide biciclette: alcune le spingono a piedi per l’abbondante carico che sorreggono, altri si spostano in motocicletta portando dei sacchi ancora più voluminosi. Sulla riva del fiume si vedono delle scavatrici che ammucchiano sabbia e ghiaia. Più in là, dopo il ponte, ci sono ancora degli enormi mucchi di sabbia affiancati a numerose cataste di mattoni. Tra le tante fornaci all’aria aperta spunta anche un edificio con la scritta “cementificio”. Per un tratto l’autista percorre la strada contromano, imbocca la corsia opposta facendosi schivare a malapena dalle numerose motociclette e dagli altri moto-risciò. Poi sale sul basso gradino che separa le due corsie, lo scavalca facendo ondeggiare il risciò e con un grosso salto raggiunge la giusta direzione. All’ingresso del museo c’è una finestra con grata di ferro e un piccolo buco: è la biglietteria. Accanto c’è un cartello con indicato il prezzo diversificato del biglietto per gli indiani e per gli stranieri: 20 rupie e 150. Il museo non è molto interessante ed espone delle malandate portantine e delle polverose carrozze in legno e metallo del XIX e XX secolo. Ci sono anche alcune vecchie auto Cadillac, Ford, Minerva, fabbricate in USA e in Belgio. Terminato questo salone si arriva ad un cortile in parte lastricato con delle grosse pietre e in parte prato. La zona centrale ospita un palco con sopra appese delle luci che vanno a formare una specie di cupola. Da qui si entra in un’altra sala piena di fucili, pistole, coltelli e sciabole che si estendono anche in un’altra stanzetta con accanto degli arredi, delle statuette, dei vasi, dei giochi da tavolo. Salendo al piano rialzato c’è una piccola esposizione di orologi con un interessante orologio astrologico non funzionante, dove impostando la data di nascita si riusciva a ricavare gli ascendenti e gli influssi astrali.
Varanasi, novembre 2015. Il tempio Vylas al Palazzo del Forte di Ramnagar.
La visita si conclude con il passaggio attraverso una galleria sotterranea popolata da pipistrelli per raggiungere il Vyas Temple. Anche qui, solito business e solito divieto di scattare foto.
Prima di raggiungere la riva del fiume per cercare un’imbarcazione faccio un giro intorno ad un tempio dal quale proviene un canto: c’è un cortile lì vicino e ci sono moltissimi bambini che dovrebbero essere a scuola ed invece sono lì a giocare tra numerosi sadhu che riposano e tanti uomini impegnati a giocare a carte.
Varanasi, novembre 2015. Il quartiere Ramnagar, sull’altra sponda del Gange.
Giù al fiume concordo il prezzo dell’imbarcazione che mi riporti fino all’Assi Ghat. Da lì tornerò a piedi alla guest house. Mentre me ne sto seduta ad aspettare che succeda qualcosa, poco più in là delle persone trasportano sulla riva un cadavere avvolto in un telo quasi trasparente che lascia intravedere un corpo ridotto a pelle ed ossa. Alcune persone gli si avvicinano per preparare gli addobbi e poi trasportarlo in barca ad uno dei due ghat delle cremazioni.
Concordo il prezzo con il barcaiolo e ci raggiunge anche una coppia che vuole essere trasportata solo di là del fiume. Durante la traversata incrociamo due barche con dei ragazzini pescatori abbronzatissimi. Da una delle barche ci chiamano per mostrarci un grosso pesce appena pescato: è in vendita per 100 rupie. L’indiano che va sull’altra sponda mi indica sulla parte ovest del fiume il Cristian English International College: è un istituto molto importante, mi dice. Scesa la coppia il barcaiolo mi racconta qualcosa di sé: non è mai andato a scuola ed è stato abbandonato dai genitori insieme a numerosi altri fratelli e sorelle. E’ sposato ed ha un figlio di sei anni e uno di otto mesi. Parla pochissimo l’inglese e, se ho ben capito, dovrebbe avere circa 30 anni. Prima di arrivare all’Assi Ghat mi segnala un’altra scuola recintata: un grande college. Dalla riva, poco prima di arrivare all’Assi Ghat ci salutano diversi bambini: sono le 13.30 circa e nessuno di loro è a scuola. Forse è per la pausa pranzo, forse la scuola è già terminata, ma a tutte le ore ce ne sono sempre troppi di bambini in giro. Laggiù, vicino alla riva ci sono numerosi bovini immersi nell’acqua e là sopra, mi dice il barcaiolo, c’è una grande stalla. La vedo: è una costruzione in mattoni, appena abbozzata. Arrivo all’Assi Ghat e sento un’atmosfera più ricca e carica di energia rispetto alla sponda opposta.
Varanasi, novembre 2015. Offerte al dio Ganesha in un tempio vicino al Kedar Ghat.
Tornando verso Bengali Tola passo davanti ad una piccola moschea: anche questa è una zona abitata da islamici. Man mano che mi avvicino alla Main Road la strada si fa più affollata: i negozi, le bancarelle, i teli disposti a terra sono decisamente più forniti. Diversi negozi, ristorantini, palazzi sono illuminati a festa. Dai templi escono le voci che cantano e si odono i suoni delle campane. Anche dai negozi e dai ristoranti esce della musica allegra sullo stile anni ‘60.
Varanasi, novembre 2015. Addobbi per il festival della luce nella zona di Godonia.
Si sta concludendo la giornata di festa dedicata alla madre del dio Ganesha, Lakshmi e domani inizierà quella del Festival delle luci e dei fuochi che durerà due giorni. Le scuole resteranno chiuse per questa ricorrenza.
Varanasi, zona del Kedar Ghat. Offerte al dio Ganesha in occasione del festival della luce.
10 novembre
Giornata di riposo con breve passeggiata nella città vecchia verso Marnikarnika Ghat e ritorno verso Godolia attraverso la Main Road. E’ il primo pomeriggio e le strade sono invase da masse di pellegrini calate in città per i festival. Lunghe staccionate in legno e corda sono state sistemate nei pressi del Golden Temple al fine di formare un percorso controllato per la folla diretta al tempio. Il traffico di risciò e tuc-tuc è intenso e rumoroso e va a mescolarsi con le voci degli altoparlanti che parlano alla folla. Uscita dalla grande ressa, entro nei viottoli e ascolto la musica sacra che esce anche dalle finestre delle abitazioni.
Varanasi, Bengali Tola, novembre 2015. Addobbi e festeggiamenti per il Festival della luce.
11 novembre
Camminata attraverso la città vecchia verso Godolia, ma in direzione della chiesa protestante di San Thomas e verso il quartiere islamico di Gurubagh. Mi fermo in un piccolo parco dove ci sono due persone sedute in terra che giocano a tris. La scacchiera è disegnata su una pietra e le pedine da muovere sono dei pezzi di inerti.
Varanasi, novembre 2015. Il gioco del tris nel quartiere islamico di Gurubagh.
Ci sono dei grandi dei rulli di ferro con avvolti dei lunghissimi fili: sono gli orditi dei sari che poi verranno intrecciati con la trama per formare il tessuto. Qui, probabilmente, li stanno soltanto preparando per la tessitura in quanto una volta tirati e ordinati i fili della lunghezza, li riavvolgono in uno dei cilindri che li teneva tesi.
Varanasi, novembre 2015. Telai all’aperto nel quartiere islamico di Gurubagh.
Nel parco, accanto ai fili tesi, c’è un barbiere con una sedia e le attrezzature per la sua attività. Ora sta leggendo il quotidiano in attesa dei clienti. Ne arriva subito uno a farsi radere la barba e poi un bambino e una bambina, accompagnati dal padre, per farsi tagliare i capelli. Per far sedere i bambini il barbiere posiziona una tavoletta tra i due bracciali della sedia. Sono le 12.00 e il muezzin della vicina moschea sta cantando la preghiera di mezzodì. Ritorno verso Bengali Tola attraversando le stradine: gli addobbi di oggi sono carichi di rami di foglie verdi, simili all’alloro, e di fiori gialli che i negozianti appendono ondeggianti sopra le porte delle loro botteghe. In occasione del festival, oltre ai pellegrini, sono aumentate le giovani donne con dei bambini piccolissimi in braccio vestiti da ometti che chiedono di riempire di latte il biberon che tengono in mano.
Alcune di loro sono delle bambine e i piccoli che tengono in braccio potrebbero essere dei loro fratelli o dei bambinetti usati per impietosire la gente. La serata si anima con un’esplosione infinita di fuochi d’artificio che illuminano il cielo ricadendo sotto forma di scintille sulla città e paiono stelle cadenti. I rombi delle esplosioni riempiono il silenzio della notte fino alle prime luci dell’alba. E’ la festa della luce: Buona Festa della Luce a tutti Happy Diwali!
Varanasi, novembre 2015. Arrivo di pellegrini a Godonia per il Festival della luce.
12 novembre
Passeggiata al ghat principale in cerca del mio barbiere che non riesco a trovare. Incontro il massaggiatore che diversi mesi fa mi aveva raccontato la storia della fidanzata coreana dalla quale aveva avuto un figlio. Sta insieme ad altra gente e non posso chiedergli le news sulla sua situazione sentimentale. Molti mi chiedono che cosa stia cercando e il massaggiatore stesso mi dice di essere anche barbiere e parrucchiere e così mi faccio accorciare i capelli da lui per 20 rupie, meno di 30 centesimi. Con i capelli accorciati vado a camminare verso Godonia: vorrei comprare del filo per coprire con un ricamo la macchia di chewingum che si è conficcata nei miei pantaloni, ma i negozi sono chiusi per il Diwali Festival.
Varanasi, novembre 2015. Incontri nel quartiere di Chowk.
Mi sposto fino a Chown e lungo la strada principale incrocio un gran numero di funerali che stanno andando verso il Marnikarnika Ghat: le salme trasportate su semplici portantine sono formate da due stanghe di bambù ai lati e non più di quattro-cinque rami messi di traverso. Gli spazi vuoti lasciano scendere a tratti il corpo del defunto che sta avvolto in un telo a volte bianco a volte colorato. All’altezza dell’ufficio postale incontro il signore che mi ha venduto gli scialli qualche giorno fa e, quando scendo ai ghat, incrocio un altro indiano abituale e un altro ancora al quale ho promesso di visitare la sua sartoria prima o poi. Quest’ultimo mi fa molta tenerezza in quanto è molto discreto nell’approccio. Sta sempre lì al ghat sotto un sole cocente, vestito da bancario occidentale, e attende con rassegnazione di catturare qualche cliente. Dico ad entrambi i venditori di tessuti che sono in partenza per il sud dell’India e che farò loro visita non appena farò ritorno qui. Sui ghat mi fermo a leggere ai gazebo del Lal Ghat anche oggi, poi me ne torno verso la guest house acquistando per pranzo dello yoghurt e delle banane.
Varanasi, novembre 2015. Scindia Ghat.