28 febbraio 2015
Oggi partenza per Omkareshwar, nel Madhya Pradesh occidentale, cioè nell’India centrale. Ho lasciato nella guest house di Varanasi alcuni abiti pesanti, convinta di trovare caldo dappertutto, invece, già alla stazione di Kandwa, dove devo attendere per un’ora, fino alle 6.30 di mattina, il trenino per Omkareshwar, piove e fa freddo. Mi rifugio in una sala d’aspetto piena di gente che dorme distesa sul pavimento e seduta sulle panche. Anche fuori, nell’atrio ci sono molte persone che dormono distese su un telo e ricoperte dalla testa ai piedi con un pezzo di stoffa o con uno scialle. A volte manca la luce ed è molto suggestivo rimanere al buio totale tra questi personaggi dall’atteggiamento spontaneo e rilassato. Il viaggio nella sleeper class fino a Kadwa è stato un susseguirsi di persone che russavano, bambini che piangevano, uomini che tossivano e sputavano il catarro dal finestrino, una bambina che mi vomitava addosso. Il trenino per Omkareshwar ha i sedili in legno. Guardo continuamente le scritte delle stazioni in quanto non so bene dove sia questo posto. Piove ancora e fa freddo, ma forse è un fatto eccezionale questa brutta giornata in quanto il paesaggio, a tratti pianeggiante a momenti collinare, è colmo di campi coltivati e il grano, ormai maturo, in alcuni casi è già stato tagliato e spesso la paglia sta lì, raccolta in fasci. Chiedo al ragazzo indiano che sta seduto accanto a me, se mi aiuta a individuare la fermata giusta, ma nemmeno lui lo sa. Arrivata in una piccola stazione quasi deserta, mi dicono che la cittadina dista 15 kilometri e devo prendere l’autobus. Seguo la scia delle persone e arrivo ad un autobus malandato e già pieno zeppo di gente. Metto lo zaino grande nel bagagliaio senza avvolgerlo nella solita fodera: mi sembrava pulito, ma lo ritroverò ricoperto di fango. Vabbeh, lo pulirò in guest house. L’autobus che mi sembrava strapieno viene riempito ancora di più, e percorro questo breve tratto proprio come una sardina in scatola. Il bigliettaio scavalca i sedili e s’infila tra la gente in modo acrobatico per ritirare i soldi della corsa. Finito il giro scende e non risale: mancano pochi metri alla stazione degli autobus. Durante il percorso tre anziani vestiti di bianco, comodamente seduti sul retro, mi prendono lo zainetto e mi invitano ad appoggiarmi lungo un ferro orizzontale, che protegge i passeggeri dalla portiera sempre aperta dell’autobus. Arrivati all’ultima fermata, mi comunicano che la cittadina dista ancora due o tre kilometri da lì.
Omkareshwar, il ponte che congiunge l’isola alla terraferma.
Tutti s’incamminano a piedi: una signora mi invita ad appoggiare gli zaini su un carretto insieme agli altri, ma non mi va. Contratto il prezzo del risciò: da 100 rupie accetta le 30, ma caricherà poco dopo almeno altre dieci persone. Anche a Varanasi succede così: se ottieni lo sconto sia nei moto risciò sia nei ciclo risciò i guidatori si sentono autorizzati a far salire altra gente e a me questo fa piacere. Anche il tragitto in tuc-tuc per la stazione ferroviaria di Varanasi, ad esempio, l’ho condiviso con un simpatico ragazzo tibetano che, dopo aver trascorso 10 giorni a Sarnath e tre a Varanasi, se ne tornava a Dharamsala dove rimane solitamente per lunghi periodi. A Omkareshwar, il risciò mi lascia all’ingresso dell’isola pedonale, un po’ distante dalla Manu guest house che mi aveva indicato mio figlio. Lì, ci arrivo dopo una faticosa e ripida scalinata, al di là del fiume. Un signore del posto mi fa da guida fin sotto la scalinata, senza chiedermi dei soldi. La salita è ripida e faticosa: arrivata quasi in cima, sto per rinunciare e tornarmene a valle quando si affaccia un ragazzo da un terrazzino e mi dice che sono arrivata. Ne valeva la pena! Il panorama si affaccia sul fiume, sui mercati, sulla cittadina che andrò subito ad esplorare!
Omkareshwar, arrivo di pellegrinaggi al Shri Omkar Mandhata Temple, sull’isola.
2 marzo
Ceno in guest house, alla fine, dopo un piccolo giro al mercato e al centro della cittadina. Il costo del thali qui è più alto che altrove, ma oggi sono stanca e ceno insieme al ragazzo della stanza accanto. Si chiama Alkesh Palmar, ha uno studio a Londra di graphic designer nel campo della progettazione e della realizzazione artigianale di lampade. E’ nato a Londra da genitori indiani, del Gujarat. I nonni erano emigrati in Kenia, i genitori sono nati a Nairobi e poi si sono trasferiti tutti a Londra. Alkesh si è preso una pausa di riflessione esistenziale di tre mesi che probabilmente prolungherà. E’ di religione induista e si sente culturalmente indiano.
Omkashwar, pellegrini sulla penisola del fiume Narmara.
3 marzo
Stamattina, nella terrazza della guest house, si è unita ad Alkesh e a me una giovane coppia di francesi della Normandia che trascorre molto tempo viaggiando in India. Il ragazzo, Mickel, ha 27 anni, è laureato in meteorologica, lei, Jasmine, ha18 anni, si sta preparando per un esame di storia indiana e spera di ottenere un contributo dal governo francese per questa piccola ricerca sul campo. Dopo le presentazioni parto per il giro che si svolge intorno al fiume Narmada e attraversa i numerosi templi induisti collocati sulle colline fino a raggiungere il più importante: il Gaudi Somnnath Temple. Lungo il percorso incontro, in momenti diversi, sia i ragazzi francesi sia il ragazzo di Londra.
Omkareshwar, visita ad un tempietto posto lungo la stradina che porta al Gaudi Somnnath Temple.
Durante la prima parte del tragitto, incrocio diversi sadhu e pellegrini, tutti assorti in meditazioni e preghiere accanto alle divinità dei piccoli templi induisti. Dopo un breve cammino raggiungo una penisola sul fiume dove diversi uomini ed anche qualche donna, rigorosamente avvolta nel suo sari, stanno facendo il bagno e celebrando dei rituali. Un momento importante qui in India è quello dedicato al bagno dei bambini piccolissimi e degli anziani che vengono aiutati ad immergersi nel fiume sacro, come fosse un compito da assolvere. Le donne, in particolare, più che gli uomini, sono sempre impegnate a comporre i piattini con fiori, candele, incensi, monete da affidare al fiume, per chiedere la sua protezione. Lungo la riva ci sono anche degli uomini che spostano grossi massi e scavano con le mani in cerca delle monete che i pellegrini donano al fiume. La penisola è attraversata da una lunga stradina piena, zeppa di bancarelle. Oggi e lunedì e molte di loro sono chiuse: i grossi affari si fanno nel weekend! Sono aperte soltanto alcune rivendite di composizioni di fiori e incenso per i rituali, qualche bancarella con taniche di plastica per portarsi via l’acqua del fiume, bigiotteria, the e poche altre cose. Lì, sulla penisola, gironzolano in cerca di cibo diverse mucche, qualche capra, pochi cani. Ripercorro la stradina fino ad un bivio e scelgo di proseguire il cammino che dovrebbe riportarmi, attraverso le colline, a Omkareshwar. Lungo il percorso ci sono molte catapecchie costruite con stracci, legno e lamiera e altre abitazioni in calcestruzzo, grezze, come se i lavori fossero nella prima fase della costruzione, ma in realtà per loro sono già ultimate. Da una casupola sbuca un uomo di mezza età, vestito in bianco con abiti tradizionali. E’sorridente, e insiste per farmi entrare nella sua dimora per un cjai, ma naturalmente non mi fido e decido di tornare indietro rifacendo la strada dell’andata. Dopo un breve tratto incontro due coppie di pellegrini indiani che mi invitano a proseguire con loro il cammino attraverso la strada alla quale stavo rinunciando. Mi aggrego a loro che si fermano con devozione in ogni tempio fino ad arrivare al principale dedicato a Shiva: il Gaudi Somnnath Temple. Lassù, incontro ancora Alkesh, il mio vicino di camera: lo avevo già incrociato alla penisola, ma avevo preferito starmene per conto mio. Ora, decidiamo di pranzare tutti assieme con il tradizionale thali, nella mensa per pellegrini del Gaudi Somnnath Temple. Terminato il pasto, ogni pellegrino lascia un’offerta, lava il suo piatto e lo ripone su una pila insieme agli altri. Il detersivo è composto da un miscuglio di sabbia e cenere. Alkesh preferisce proseguire il cammino da solo mentre io rimango con i miei nuovi amici indiani. Lo rincontreremo ad un tempio semi diroccato, verso la fine del percorso, dove un gruppo di preti sta eseguendo dei canti e dei riti e contemporaneamente decorando il lingam di Shiva. Il lingam, cioè il pene di Shiva ricorre spesso nei templi induisti: in quelli più semplici collocano soltanto un sasso ovale su un supporto, in posizione verticale. Mentre siamo ancora in alto sulle colline vediamo lo spettacolo orribile della enorme centrale idroelettrica costruita dove confluiscono i due fiumi: il Narmada e il Keveri. Raggiungiamo un picco per osservare meglio l’opera. Si tratta di un grosso disastro sia ambientale sia estetico costruito sul largo letto dell’incrocio tra i due fiumi, ridotti ad un piccolo canale con soltanto delle pozze sparse qua e là.. Nonostante quest’opera monumentale, qui a Omkareshwar manca spesso la corrente elettrica: probabilmente la centrale non fornisce energia agli abitanti di qui.
Omkareshwar, scimmia alla fontana lungo il percorso al tempio sulla collina.
Su questa devastante vista panoramica incontriamo di nuovo Alkesh, ma lo perderemo subito di vista. Più tardi, mi racconterà di essersi fermato nella catapecchia di un guru che vive lassù, senza luce né acqua, ma con una enorme riserva di marjuana che han fumato insieme. Alkesh è rimasto affascinato da questo personaggio: vorrebbe tornare da lui per rimanerci insieme almeno un mese, ma non lo farà durante questo viaggio. Arrivati a valle i miei amici indiani ed io concludiamo la nostra giornata con un succo di canna di bambù, ci scambiamo i nostri contatti internet e ci lasciamo. Torno alla guest house e poi, sul tardi, esco con Alkesh per alcune spesette essenziali, per controllare la posta e i messaggi internet, per cenare assieme. Quando rientriamo, nella terrazza della guest house, seduti in cerchio a gambe incrociate, troviamo i due francesi e l’anziano titolare dell’alloggio: stanno fumando marjuana e me la offrono, ma preferisco non iniziare un’esperienza che non ho mai fatto. Anche Alkesh, più tardi, mi inviterà a seguirlo lungo gli scalini che portano al fiume per fumare marjuana. Il giorno dopo apprendo con sorpresa che Manu, il proprietario della guest house che avevo definito anziano è poco più grande di mia figlia: ha soltanto 48 anni, fa il sarto ed ha 5 figli. La più grande si è da poco sposata ed è stato un grosso impegno economico per la famiglia.
Omkareshwar, tempietto con lingam di Shiva posto lungo il percorso per il Gaudi Somnnath Temple, sulla collina.
3 marzo
Oggi vado a visitare il Sri Omkar Mandhata Temple, un tempio a forma di grotta che ospita l’unico jyothi lingam informe ed è uno dei molti edifici hindu e giainisti dell’isola. Nel tempio si radunano folle brulicanti di pellegrini per la preghiera che si svolge tre volte al giorno. Ci vado con Alkesh, il mio vicino di stanza e, arrivati là, si avvicinano a noi diversi preti induisti che si propongono per la celebrazione della puja, la preghiera a pagamento. All’interno ci sono diversi preti, posizionati in ogni angolo, e, in pratica, ti obbligano a ricevere una puja e a dar loro un’offerta. Uno di questi preti insiste per bagnarmi la testa con un mestolino colmo d’acqua: gli faccio cenno di no e per salutarlo mi confondo e mi sfugge un segno della croce. Lui mi guarda inorridito, non so se per il rifiuto dell’acqua in testa e la mancata offerta o per il gesto inconscio emerso dalla mia lontana educazione cattolica.
Omkareshwar, rituale al lingam di Shiva alle rovine di un vecchio tempio.
La giornata la trascorro tutta con Alkesh: siamo diventati dei veri amici! Scendiamo nella cittadina alla ricerca di un ristorante, ma non troviamo nulla di affidabile. Sono circa le 12.00 e incontriamo dei bambini che ritornano da scuola per il pranzo. Alle 14.00 riprenderanno le lezioni e dureranno fino alle 16.00. Qualche bambino pranza a scuola con il pasto fornito dal governo, altri preferiscono tornare a casa e poi rientrare a scuola per le attività del pomeriggio. Scendendo gli ampi gradini del ghat incrociamo due bambini e una donna seduti per terra che giocano con dei piselli, dei pezzi di plastica e un altro simbolo su una scacchiera disegnata sullo spiazzo di cemento: è il gioco del kania kori, ci dicono.
Omkareshwar, incontri lungo la stradina che porta al tempio sulla collina.
Un ragazzo che ha appena aperto un negozietto ci racconta che la scuola pubblica in India è gratuita per ogni grado, ma è di pessima qualità e chi può permetterselo preferisce mandare i figli alla privata. Scendiamo ancora lungo la scalinata che porta al Gomuk Ghat e incontriamo molti bambini che ci dicono che vanno a scuola soltanto ogni tanto. Sono lì per chiedere soldi e cibo ai pellegrini. Oggi è il 3 marzo e ogni tre anni, al terzo mese dell’anno arrivano numerosi pellegrini qui per una particolare puja. Difatti, arrivati al Gomuk Ghat rimaniamo incantati dai coloratissimi gruppi di donne in sari e dai bianchissimi camicioni e teli arrotolati in vita dei loro uomini. Dopo aver fatto il bagno nel fiume si radunano in cerchio come se dovessero pranzare. Invece, dalle loro sporte tirano fuori immagini delle divinità, candele, polveri rosse e gialle, incensi, riso, foglie… Nella bancarella accanto acquistano delle piccole caramelle bianche con tanti aculei e delle noci di cocco. Appoggiano ogni cosa accuratamente nei piattini, aggiungendo anche delle monete e dei soldi di carta. Gli uomini hanno tutti una certa età e sono dei bramini: li riconosco dalla rasatura e dal codino sulla nuca che a volte infiocchettano in modo bizzarro! Portano anche il cordone beige a tracolla. Arrivano due giovani preti e uno dei due recita la preghiera, canta, batte le mani, invita i pellegrini a seguirlo, mette bracciali ai polsi dei pellegrini i quali gli si inginocchiano davanti e gli baciano i piedi. I due sacerdoti ci dicono che hanno frequentato una scuola di formazione ad hoc’ di Jaipur. Alkesh parla hindi e mi fa da interprete: i pellegrini gli raccontano che sono un gruppo di coppie anziane in viaggio per 26 giorni attraverso i luoghi sacri dell’India. Terminata la preghiera, il prete che non recitava il rituale si occupa di raccogliere dai piattini solo le offerte in denaro; poi procede a chiedere i soldi della funzione religiosa. Ci racconterà poi, che le noci di cocco, terminato il rito, le rivenderanno a 10 rupie l’una alla bancarella dove i pellegrini le hanno acquistate a 15 rupie. Il gruppo ci offre il the ordinato alla bancarella delle noci di cocco e un bramino mi lega al polso un codone rosso che i sacerdoti avevano dimenticato sulla panca. Ceniamo in guest house insieme ai ragazzi francesi; la cena si conclude per loro con l’abituale spinello. Il profumo della marjuana mi arriva anche la mattina, mentre bevo il chai che preparo per conto mio, con il fornellino elettrico.
Omkareshwar, pellegrine mentre preparano il rituale e animali sulla penisola del fiume Narmara.
4 marzo
Sveglia un po’ prima del solito e passeggiata al Nagar Ghat, un luogo tranquillo, molto carico di energia e, soprattutto, poco popolato. Sulla riva del Narmada, arriva una coppia anziana vestita di bianco con dei grossi bagagli avvolti in teli colorati e trasportati sulla testa. Quando aprono i pacchi e dispongono sulla riva gli oggetti scopro che sono tutti elementi che servono loro per un rituale. I due, si bagnano al fiume, si cambiano gli abiti in modo molto dignitoso anche se laggiù in fondo ci sono dei gabbiotti cabina che qualche donna utilizza per nascondersi. Ora, dopo il bagno purificatore sono pronti per la celebrazione della loro puja. E’ già sera: noi due, andiamo all’unico punto internet presente nella cittadina, ma manca la luce ed anche più tardi non sarà possibile accedere ad internet. Alkesh vuole tagliarsi la barba nel negozietto lì vicino, ma deve attendere il suo turno. Mentre lo aspetto, torno al Gomuk Ghat: anche oggi è affollatissimo di pellegrini e i preti sono indaffaratissimi a celebrare i rituali.
Omkareshwar, Gomuk Ghat. Pellegrini mentre celebrano la puja con un prete.
Sgrido i numerosi bambini e le bambine che stanno lì in attesa del cibo e dei soldi dei pellegrini. Dico loro di andare a scuola, che devono andare a scuola. Il prete giovane con cui abbiamo molto parlato ieri sentendo la mia voce si gira e mi sorride. Mi fa parlare del problema con un ragazzo seduto lì accanto che mi conferma che tutti quei bambini lì presenti non vanno mai a scuola, ma non sembra dare per nulla importanza al fatto. Più tardi sulla corriera per Maheswar solleverò lo stesso discorso con un’insegnante giovane e desiderosa di comunicare, ma sull’argomento non mi dirà nulla.
Anche Alkesh verrà con me a Maheswar.
Percorso in corriera da Omkareshwar a Mhareshwar.
Dopo un veloce snack prendiamo un pullmino per la stazione delle corriere, non molto distante dal centro. Il viaggio in corriera fino alla cittadina di Maheswar è simpatico e movimentato da un continuo alternarsi di donne, uomini, bambini e qualche studente che scendono lasciando il posto o lo spazio in piedi libero ad altri. La guest house che mi ha indicato mio figlio è carina, ma non quanto quella di Omkareshwar. Quando la proprietaria ci porta il libro delle presenze da compilare trovo tra le pagine il nome di mio figlio e mi sembra di essere a casa. E’ rimasto in questo posto ben due settimane il mese scorso e il gestore si ricorda di lui perché parlava indi e viaggiava in moto con un amico, ma, mi racconta che era già stato prima in questa guest house. A Omkasheswar invece, mio figlio non era stato nella stessa guest house che mi aveva indicato, in quanto aveva preferito alloggiare in una più economica. Me lo dirà in seguito, ma è per questo che Manu, il proprietario, non si ricordava di lui.
Con Alkesh, nel tardo pomeriggio raggiungiamo il lunghissimo ghat sul fiume Narmada: ci arriviamo attraverso le porte e le gradinate di un forte che si affaccia proprio sul fiume con una numerosa serie di merlature, bastioni e terrazze che racchiudono numerosi templi. Qui, accanto c’è il Maheshwar Palace, fatto costruire nel XVIII secolo dalla regina Ahilybai, della dinastia degli Oolkar. Ci fermiamo per un chai in una bancarella e un cliente ci spiega che Maheswar è una cittadina di 23.000 abitanti con una prevalenza di circa 5.000 musulmani e poco più di 17.000 induisti. Scendiamo al ghat e rimaniamo incantati dalle intense puja celebrate da piccoli gruppi familiari.
Maheshwar, pulizia alla statua dell’elefante, uno dei simboli hindù.
C’è un gruppo i donne che decora uno dei numerosi lingam di Shiva che fiancheggiano il lungo fiume; sotto un tendone arancione c’è un grosso pellegrinaggio di soli uomini che ha appena terminato di celebrare un rituale particolare. Camminando lungo il ghat incontriamo un signore anziano che vive in Australia, ma è nato in Olanda. Sta girando per l’India in motocicletta ed è poi diretto a Pushkar dove si reca ogni anno ospite della stessa guest house. Noto che ci sono molti sadhu anche qui a Maheshwar: fanno il bagno appartati rispetto ai gruppi di ragazzi e alle discrete immersioni di uomini e donne. I sadhu trascorrono la notte nel tempio, forse in delle stanze a loro riservate. La gente è molto cordiale qui, molti ci sorridono e salutano e spesso vogliono sapere qual è il nostro Paese d’origine. Laggiù, all’orizzonte, ora è spiccata una grande palla infuocata: è il tramonto del sole e sia io sia il mio amico cerchiamo di fissarlo in numerose foto. Dall’altra parte, ad est si è già levata la luna: è piena ed è splendida!
Maheshwar, pescatori al tramonto vicino al ghat della parte ovest della cittadina.
Qui, in questo ghat l’energia che si percepisce è diversa rispetto a Omkareshwar, quasi più ampia, ma pur sempre molto intensa! Arriva la notte e ci incamminiamo alla ricerca di un internet point; non c’è nessun wi.fi. qui, e l’unico internet coffee ha una connessione molto lenta: non riesco ad aprire la mia mail e mi preoccupo per l’isolamento dal mondo degli affetti, in particolare! Trascorriamo un’ora di tentativi inutili! Ceniamo con un thali al ristorantino accanto alla guest house. Vicino a noi sta seduto un gruppetto composto da una giovane signora e un bambino di circa 7-8 anni francesi, un anziano inglese e un’artista inglese pure lei, vestita con soltanto un piccolo accenno indiano. Le due donne e il bambino li avevamo già incontrati al ghat e li rivedrò con sorpresa lungo le scale della mia stessa guest house. Ci scambiamo solo un cordiale saluto frettoloso.
Maheshwar, le abitazioni ricavate sotto il porticato.
5 marzo
La mattinata la trascorro da sola camminando lungo il ghat. Scatto qualche foto ad un lungo porticato trasformato in tante minuscole stanzette e ammiro le tele colorate messe a mo’ di tenda sulle porte, chiuse con dei lacci per evitare che altri vi entrino. Poco più avanti c’è il fiume Narmada: trovo la scritta Samne Ghat su un foglio di carta incollato su un tempietto, ma rimane l’unica traccia con questo nome. Cammino un po’ lungo i ghat, ma oggi c’è poca gente che celebra i rituali. Mi siedo a leggere accanto ad un santone, all’ombra di una delle colonne di un tempietto. Dopo un po’ il guru chiude le sue cose dentro uno straccio annodando i quattro angoli tra loro, lo mette non lontano da me e se ne va. Ripercorro i ghat da ovest fino al forte e mi addentro tra i templi, i porticati, mi siedo sulle gradinate. Nel pomeriggio ritornerò insieme ad Alkesh, il ragazzo di Londra, e visiterò la parte adibita a museo. In realtà, si tratta di pochissime cose esposte: qualche portantina, una mappa dei luoghi sacri indiani, alcuni ritratti tra i quali spicca quello della regina Ahilybai della dinastia degli Holkar, vissuta nel XVIII secolo e ancor oggi venerata come una santa. Ahilyabai rinunciò al suo regno per dedicarsi a Shiva. Questa costruzione, adiacente al forte e al Maheshwar Palace, è stata l’abitazione della regina Ahilyabai stessa: sul retro c’è un tempio dove è custodito un lingam d’oro di Shiva e accanto alla costruzione si possono ammirare anche gli oggetti d’oro e d’argento appartenuti ai reali. Qui, in questo cortiletto, ogni mattina, sin dall’epoca della regina Ahilybai, dalle 8.30 alle 9.00 si celebra lo stesso rituale.
Tornati in centro riusciamo a trovare un negozio di computer con l’accesso a internet: il proprietario ci concede di usare gratuitamente il suo wi.fi. Riesco finalmente a leggere gli sms, a scambiare qualche chat e a controllare le mie mail e a rassicurarmi riguardo agli affetti e alle informazioni che mi arrivano dal mio mondo.
Maheshwar, il rituale dell’Holi che festeggia i colori della primavera intorno al falò.
Oggi e domani qui a Maheshwar si celebra il festival dedicato ad una dea e quasi tutti i negozi rimangono chiusi. Nei vari quartieri bambini e adulti stanno preparando delle cataste di legna addossate ad un albero infilato nel terreno e addobbato con cerchi piccoli e gradi di sterco di mucca alcuni infilati a mo’ di collana altri posti alla base della catasta, il tutto completato con fiori, paglia, noci di cocco e piattini con del cibo. In una catasta spicca la scultura in cartapesta della dea con un bambino in braccio, come fosse una nostra madonna. Ogni falò verrà acceso in orari diversi, durante tutta la notte. Noi due, assistiamo a quello che si accende tra il ghat e la nostra guest house e che arde tra canti, girotondi intorno al fuoco, preghiere recitate insieme al prete, distribuzione di cibo. E’ una cerimonia molto coinvolgente e la gente è molto cordiale ed è ben felice di rendermi partecipe. Poco fa, lungo i ghat, abbiamo visto uscire del fumo da un tempietto pieno di gente: ci siamo affacciati e all’interno c’era un prete in meditazione e dei fedeli che preparavano delle offerte. Usciti i fedeli, il prete è rimasto solo e noi ci siamo seduti in terra a condividere il suo silenzio. Poi, camminando lungo la riva del fiume abbiamo incontrato un’altra celebrazione di puja e vi abbiamo partecipato cantando e battendo le mani insieme alla numerosa gente raccolta intorno al prete. Ho anche affidato al fiume le tre candele che la gente mi aveva messo tra le mani. Queste cerimonie sono state molto coinvolgenti e intense. Sul tardi, abbiamo cenato allo stesso ristorantino dove c’erano gli inglesi, le francesi ed anche il signore australiano della nostra guest house. Il falò lì accanto verrà acceso più tardi, a mezzanotte.
Maheshwar, rituale al lingam di Shiva.
6 marzo
E’ una giornata di grande festa per l’Holi. Sia nella mattinata sia nel pomeriggio mi lascio dipingere la faccia di giallo e poi, più tardi, di un verde intenso. Al ghat ci sono numerosi ragazzi in festa, coloratissimi: tanti desiderano farsi fotografare insieme a me e mi invitano a danzare con loro al suono del tamburo. C’è un’intensa energia, più forte del solito. A cena, con Alkesh, siamo invitati in gran segreto a casa dei proprietari della guest house. Non possiamo farlo sapere in giro perché ci tengono a mantenere dei rapporti di buon vicinato con il ristorantino accanto. Ci fermiamo a lungo a parlare con la signora e con i suoi due figli. La signora ha 43 anni, il figlio più grande ne ha 22 anni ed è ingegnere elettronico, il più piccolo ne ha 19 e sta studiando canto al college. Mentre l’ingegnere si sta preparando ad un concorso per un posto in banca e desidera diventare un ricco manager, il più giovane aspira a diventare un cantante di successo. Al termine della cena, il ragazzo più giovane ci canta alcune canzoni melodiche molto carine. Al nostro gruppo si aggiunge più tardi un ragazzino di 17 anni e una cugina dei due fratelli. La ragazza ha 16 anni e sta frequentando il dodicesimo anno di scuola ed ha scelto un indirizzo di studi commerciale. Il ragazzo, pur avendo la stessa età della ragazza è ancora fermo all’ottavo anno. Mi spiegano che tra l’undicesimo e il dodicesimo anno di scuola gli allievi sono chiamati a scegliere un indirizzo professionale specifico.
Maheshwar, studenti dell’università di Hospet festeggiano l’Holi, il Festival di primavera.
7 marzo
Lungo la strada per Mandu diverse volte la corriera si deve fermare a causa dei blocchi stradali che i festeggiamenti dell’Holi comportano: gruppi di persone di ogni età, dipinte dei più svariati colori bloccano il traffico con danze e canti fino a che non viene data loro una mancia. Più tardi incontreremo diversi di questi gruppi e li vedremo affacciarsi alle botteghe aperte per chiedere denaro. Canteranno sempre più forte fino a che non verrà data loro una mancia. A Mandu visitiamo la Jama Masjid, l’enorme moschea con un porticato alto diciassette metri. Questo edificio religioso domina il villaggio di Mandu. Visitiamo poi il tempio induista con annesso ashram che sta accanto ai resti archeologici dell’Asrafi Mahal, una scuola islamica trasformata in tomba dal suo committente e crollata poco dopo la sua costruzione. E’ già sera e riusciamo a fare un giro al mercato settimanale ormai in chiusura, con i numerosi carri di legno trainati dai bufali in partenza per i villaggi vicini.Ceniamo alla guest house con un discreto thali.
Da Mahereshwar a Mandu. Incontro di festeggiamenti per l’Holi festival.
8 marzo
Oggi sveglia verso le 7.30, prima del solito: stiamo andando in bici a visitare il Baz Bahadur’s Palace costruito nel 1509, prima che il sovrano Baz Bahadur prendesse il potere. L’edificio si trova a 8 kilometri da Mandu e presenta le caratteristiche degli stili rajasthani e moghul accostati insieme.
Mandu, sadhu in viaggio.
A pochi passi dal palazzo, lassù in alto sulla collina, con uno splendido panorama sulla pianura che arriva fino al fiume sacro Narmada, sorge il Padiglione di Rupmati. Secondo la leggenda pare che Baz Bahadur lo avesse fatto costruire per convincere la bellissima cantante hindu Rupmati a trasferirsi con lui sulle colline. Affascinato dalla bellezza di Rupmati, Akbar imperatore moghul (XVI-XVII sec.) con le sue truppe marciò verso la fortezza e Baz Bahadur non lo affrontò, ma fuggì abbandonando l’amata, la quale poco dopo si avvelenò.
Mandu, dintorni. La vita nei villaggi.
Il percorso in bicicletta è affascinante. Lungo la strada incontriamo dei gruppi di case animati da animali, donne e bambini. Nei campi famiglie intere stanno mietendo il frumento. Al ritorno, trovo la mia bici con una gomma a terra: dopo un breve tratto fortunatamente troviamo una baracca con un uomo che ce l’aggiusta.
Mandu, dintorni. Riparazione della bicicletta bucata.
Pranziamo in un ristorantino di strada che ci serve un buonissimo thali. Subito dopo partiamo in pullman per Indore; poi viaggiamo su uno sleeping bus per Kotah, nella parte meridionale del Rajasthan e dopo un breve tragitto su un altro autobus arriviamo a Bundi.