Da Istanbul (Turchia) a Sofia (Bulgaria): 6-7 aprile 2019

Vado alla stazione di Sirkeci in taxi. Non è molto lontana, ma gli zaini pesano e mi concedo questo lusso: 20 lire turche, circa 3,00 euro. Il taxista è simpatico: sui 40 anni, piccolo, grassotello, con le gambe corte e la testa grande, calva e sferica, sempre con un sorriso smagliante sulla bocca. Durante il percorso mi dice che la Turchia non sta male dal punto di vista economico e riesce a dare lavoro anche a gente che arriva dall’Iran, dal Kuwait e dall’Arabia Saudita. “Le recenti elezioni amministrative, qui a Istanbul come ad Ankara”, aggiunge, “hanno confermato il partito di Erdogan che sta operando con molta attenzione per le classi più deboli”.

Alle 21 e 30 arriva la navetta che porta un consistente gruppo di passeggeri, ed anche me, ad un’altra stazione, dalla quale partirà il treno per Sofia. Il treno è elegantissimo e sembra proprio lo storico Orient Express apparso in un film di parecchi anni fa. Il viaggio in treno è molto comodo e confortevole: ho una cabina personale, un letto morbidissimo e pulito, un frigorifero, degli armadietti e un lavandino. Al confine turco, nel pieno della notte dobbiamo alzarci e scendere con soltanto il passaporto in mano. Fa freddo e il funzionario di servizio arriva con grande comodo. Con il nuovo timbro risaliamo sul treno, ma arriva un altro controllo turco con delle domande sulle motivazioni del viaggio e su eventuali liquori o profumi che portiamo nello zaino. Alla frontiera bulgara invece ci sequestrano i passaporti, controllando che siano i nostri, e dopo qualche decina di minuti ce li riportano, consegnandoceli uno ad uno. All’ostello, che ho prenotato velocemente on-line ieri, la donna che lavora lì, mi accompagna in una stanza con bagno. Strano, pensavo di aver prenotato soltanto il posto letto in dormitorio invece, per errore, ho prenotato per due persone: un letto in dormitorio e quello della camera con bagno. Mi sembrava troppo caro, ma nella fretta e nella confusione del cambio tra lira turca, euro e lev bulgaro, per errore, ho prenotato così! Un impiegato dell’organizzazione di cui fa parte l’ostello mi dice che dovrei telefonare per ottenere una parte del rimborso soltanto del dormitorio, oppure che potrei usufruire di un’altra notte, rimanendo nella stessa camera, pagando la differenza di 8,00 euro. Nel soggiorno dell’ostello incontro un ragazzo di Barcellona. Ha 26 anni e si occupa, per conto suo, di organizzare le spedizioni di qualsiasi merce in tutto il mondo. Lui mi suggerisce di visitare Sarajevo sulla strada del ritorno verso l’Italia e mi prenota il viaggio in autobus per Belgrado e di seguito, con un cambio, quello per Sarajevo. Dovrei partire il giorno 9, dopo domani, ma succede che, siccome con quella società non ci sono autobus dal martedì al giovedì, scatta automaticamente, senza accorgersi, la data di venerdì 12 aprile nell’acquisto del biglietto on-line. Il ragazzo, Sergio, telefona a destra e a manca per annullare la prenotazione o cambiare la data. Al telefono non risponde nessuno, ma cambiando la data dovrei partire il giorno 8, lunedì, cioè domani ed è troppo presto per me. Nel pomeriggio vado, in metro, fino alla stazione centrale degli autobus per valutare le varie alternative. Là, l’impiegata mi conferma che dopo quello di domani, lunedì, non ci sono altri viaggi per Belgrado, fino a venerdì, come scritto nel biglietto che ho già acquistato. Ormai, dovrò rimanere qui a Sofia fino a venerdì mattina! Vado ad esplorare la città: c’è un mercatino che vende quadri raffiguranti varie versioni della Madonna con il bambino, tappetini artigianali tessuti a telaio, tovaglie in pizzo e ricamate, cianfrusaglie varie. Per ora vado a sedermi in un affollato ristorante e pranzo con una costosa zuppa di pesce e del pane tagliato da una pagnotta. Riprendo il mio giro per la città: fa meno freddo di Istanbul qui, ma la gente è glaciale. La stagione primaverile è più avanti rispetto ad Istanbul: lo si vede dagli alberi che han già messo le foglie e dalle folsizie in fiore.

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Sofia, 6 aprile 2019. Interno della cattedrale di Alexander Newski, 1882.

Entro nella cattedrale-monumento di Alexander Newski, costruita nel 1882 per commemorare la liberazione dal giogo turco da parte delle armate russe. La chiesa è dedicata al santo ortodosso Alessandro, principe di Novgorod, vissuto nel XIII secolo, vincitore degli Svedesi alla Neva nel 1240, da cui deriva il soprannome Newski. La chiesa ha cinque navate ed una grande cupola al centro, alta 52 metri, con delle semicupole intorno.

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La Cattedrale di Alexander Newski. Interno.

Le pareti sono affrescate con delle figure di madonne e santi realizzate da artisti russi e bulgari di quel periodo. Dal soffitto pendono degli enormi lampadari accesi. Appena entrati ci si trova davanti un colonnato di marmo grigio con sopra una balaustra bianca, sempre in marmo. Tutt’intorno alle pareti laterali, a diverse altezze, si aprono delle finestre con dei vetri dipinti con colori tendenti al giallo.

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Sofia, Bulgaria, 7 aprile 2019. La chiesa di San Nicola.

Più avanti, dopo il parco con il mercatino, c’è un’altra chiesa, la San Nicolaj, molto più piccola della Alexsander Newski. Questa chiesa è stata costruita nel 1914, al posto di una moschea, distrutta nel 1882, su ordine di un diplomatico russo. San Nicolaj, all’interno ha una cupola e dei soffitti a volta molto semplici e affrescati con dipinti di angeli, madonne e santi. Anche qui, come nella chiesa di Alexsaner Newski pendono dal soffitto dei lampadari: uno molto grande ed uno più piccolo. In mezzo alla sala centrale è stato appena posizionato un grande crocifisso che ha preso il posto di un leggio, dove, fino ad un attimo fa una ragazza stava leggendo dei salmi.

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Il sito archeologico di Serdika, IV, V, VI secolo a. D.

All’entrata della stazione metro di Serdika c’è un sito archeologico con le rovine dell’antica città di Serdika. I resti sono soltanto dei muri e delle strade da cui si è ricostruita la storia della vecchia città del IV, V e VI secolo a. D.

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Il sito archeologico di Serdika.

Il sito è descritto in modo molto dettagliato, in ogni sua parte, su dei pannelli, dove sono indicati i luoghi dove stavano le terme con la piscina e le latrine, l’edificio del commercio, la casa di un magistrato, un’altra latrina, la strada e molti altri resti emersi dagli scavi.

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Sofia, zona pedonale nel centro storico.

Più in là, c’è una vasta zona pedonale con panchine, alberi e fioriere colorate.  Ci sono diversi negozi chiusi per il giorno di festa, ma c’è un grande supermercato Billa, un negozio DM e diversi ristoranti, caffetterie e fast-food aperti.

 

Istanbul (Turchia), 6 aprile 2019

Scendendo lungo la riva accanto all’hotel trovo la Piccola Santa Sofia, “The Little Hagia Sophia Mosque”, costruita per volere dell’imperatore Justinian e di sua moglie Theodora, tra il 527 e il 536 con il nome di Hagia Sergios e Bachos Church. Trasformata in moschea nel 1497, la chiesa ha mantenuto la sua struttura originaria anche dopo gli interventi di restauro effettuati tra il 1836 e il 1956.

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Istanbul, 6 aprile 2019. La Piccola Santa Sofia.

Ha la forma ottagonale con dei rettangoli che vanno a comporre archi e mezze lune. Anche la cupola è ottagonale e sulle facce del poligono si aprono numerose finestre. Non ci sono mosaici e nemmeno affreschi in questa chiesa.

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Porticato esterno della Piccola Santa Sofia.

All’interno, intorno al perimetro, in alto, sotto la grande cupola, c’è un bordo bizantino raffigurante delle foglie di vite e dei grappoli d’uva, dai quali si ottiene il vino, elemento simbolico del sangue di Cristo. E’ dipinta di rosa e verde porpora all’interno, mentre si vedono i mattoni sulle superfici esterne che la compongono.

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Piccola Santa Sofia, interno.

Intorno alla cupola, c’è un loggiato sostenuto da delle colonne di marmo grigio che ricordano lo stile greco e romano. Anche all’esterno c’è un porticato con una serie di piccole cupole e, nel cortiletto laterale, c’è un cimitero dove sono stati sepolti dei religiosi e delle persone di alto ceto sociale.

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La Piccola Santa Sofia: interno.

Di fronte alla chiesa si sviluppa una costruzione bassa e lunga che ospita dei negozi che vendono manufatti locali. Anche questa chiesa è stata trasformata in moschea come tutte le altre, dopo la conquista di Costantinopoli da parte dei turchi. Uscita dalla moschea mi sposto un po’ a caso tra le stradine in pendenza.

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Gulhane Park.

Arrivo ad un vecchio, elegante portone di legno, aperto. Entro e scopro un grande parco un po’ piano e in parte arroccato su una collina: il Gulhane Park.  All’interno ci sono alberi sempre verdi e altri ancora spogli. I prati erbosi che si estendono su vasti spazi sono curatissimi come pure le numerose aiuole colme di tulipani e viole in fiore.

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Pic-nic al Gulhane Park.

Oggi il cielo è coperto da grosse nuvole ed è tornato il freddo. Un vento gelido soffia in continuazione e penetra, attraverso gli abiti, fin nelle ossa. C’è parecchia gente che passeggia o seduta sulle panchine, anche se fa freddo. Ci sono molte coppie con dei bambini piccoli che dormono distesi sul passeggino.

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Gulhane Park.

Più su, sopra il dorso della collina c’è un parco giochi pieno di bambni che si dondolano sull’altalena, salgono e scendono sugli scivoli, si rincorrono spensierati.

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Panorama sul Mar di Marmara e verso la Torre di Galata.

E’ sabato pomeriggio e probabilmente sia i bambini che gli adulti stanno trascorrendo dei momenti di svago e relax. Ci sono anche dei gruppi di persone sedute sul prato che stanno facendo il pic-nic.

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Momenti di vita accanto al Galata Bridge.

Esco dal parco poco più giù del Galata Bridge e accanto alla stazione ferroviaria di Sirkeci, il punto dal quale questa sera partirò, prima in pullman e poi in treno, per Sofia.

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La piazza di Eminonu.

Oggi vado a pranzo nei ristoranti che stanno sotto il ponte di Galata. Per raggiungere Eminonu da qui devo passare attraverso un sottopassaggio. Lì sotto c’è una marea di gente e si fa fatica a muoversi. Anche qui, sicuramente, nei week-end c’è tanta gente che dai villaggi si sposta in città per fare delle compere o semplicemente per svagarsi.

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Aspetti di Eminonu.

Anche al Gran bazar è praticamente impossibile entrare. Cerco delle stradine meno frequentate e mi dirigo verso l’ostello.

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Un ristorante del Gran Bazar.

Passo davanti alla Colonna di Costantino con la parte alta piena di anelli e rivedo anche la Moschea Cali Pasha dove ieri, i musulmani, stavano pregando nel cortile. Sono sulla Divan Yolu Caddesi, accanto alla scuola islamica visitata ieri.

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La Torre di Costantino con visibili gli anelli che la rinforzano.

Qui, c’è un cancello aperto dal quale vedo sempre un gran movimento di gente. E’ un cimitero con delle tombe in pietra che portano incise le date del XIV secolo. Ci sono anche dei mausolei.

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Santa Sofia: la chiesa divenuta moschea e ora trasformata in museo.

Arrivo a Sultanhamet e anche qui la gente sta seduta sulle panchine e camminando lungo le vie e la piazza.

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Sultanhamet, la Moschea Blu.

Diverse persone stanno sedute nei ristoranti, nelle pasticcerie e nei caffè nonostante sia sera e faccia parecchio freddo. Attraverso la piazza di Sultanhamet, passo davanti a Santa Sofia e alla Moschea Blu e mi dirigo verso l’ostello. Fra poco lascerò Istanbul.

Parco sulla Divanyolu Caddesi

Istanbul (Turchia), 5 aprile 2019

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Sultanhamet e la Colonna Egizia.

Oggi, ho cambiato dormitorio: da quello misto che sta in un semi interrato sono passata a quello femminile, al secondo piano. Questo è molto più grande ed ha sei letti, mentre quello misto era più piccolo e ne aveva quattro. E’ molto più accogliente ed elegante, ma stavo bene anche nell’altro, con quei simpatici ragazzi. Qui, le ragazze sono quattro e un letto è libero. Ci sono: una russa, una cinese di Pechino, una canadese e una nigeriana.

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La Torre di Costantino.

Esco nella tarda mattinata dall’ostello e ritorno nella piazza di Sultanhamet. Attraverso il grande parco e mi siedo lì a guardare la gente. Le panchine, in cemento, sono state rivestite, sui sedili, con dei listelli di legno, probabilmente per isolarle sia dal freddo invernale che dal calore estivo. C’è molta gente seduta qui: alcuni stanno chiacchierando tra loro, altri stanno semplicemente oziando. E’ una bellissima giornata di sole e la temperatura è più calda di ieri, finalmente. E’ già mezzogiorno: sono le voci dei muezzin che lo annunciano. Arrivano fin qui dalle varie moschee: ce ne sono almeno due che si sovrappongono, ma in modo diverso e piacevole. Mi guardo intorno: il parco è accogliente con i resti di antiche mura recintati e molte viole e tulipani in fiore.

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Incontri.

Le persone vivono con spontaneità questi spazi all’aperto e paiono abituate a frequentarli. Mi è capitato diverse volte di incontrare luoghi simili a questo, con aree pedonali e gardini pubblici, e mi viene sempre spontaneo di pensare alla mia città, a come potrebbe migliorare se avesse dei luoghi simili. Udine, la città dove abito, conta circa 100 mila abitanti. Ha un grazioso centro storico di origine medioevale, ma non ci sono luoghi pubblici dove sedersi in libertà e nemmeno posti accoglienti e curati dove poter sostare. Il centro della città non ha una dimensione umana e relazionale spontanea, libera da interessi commerciali ed economici.

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Beyazit square.

Nella piazza di Sultanhamet, poco dopo il parco, sta la Colonna di Costantino, risalente al 330 a.D. E’ alta 57 metri ed è stata trasportata qui, a Istanbul, dal Tempio di Apollo di Roma. La piazza, che sta su uno dei 7 colli, voluti dall’imperatore romano Costantino I, dopo l’arrivo della colonna, aveva assunto il nome di “Forum di Costantino”. La colonna ha un diametro di 3 metri e, in origine, aveva sulla cima, la scultura del dio Apollo rappresentato mentre salutava il sole. In seguito, la statua, è stata sostituita con quella di Costantino, dopo la sua proclamazione a imperatore di Costantinopoli. Poi, nel tardo periodo bizantino, la statua è stata sostituita, ancora, con quella di Julianus e, poi, con quella di Theodosius. La colonna, più volte distrutta, è stata ricostruita per la prima volta nel 1470, da Selian I. Nel periodo ottomano è rimasta danneggiata da un incendio e nel XVII secolo è stata rinforzata con dei solidi anelli d’acciaio e dopo questo intervento ha preso il nome di “Colonna con anelli”. Anche qui, in questa piazza, c’è parecchia gente seduta sulle panchine. Sono le 13:00 e stanno arrivando di nuovo le voci dei muezzin: l’una dalla Moschea Nuova che sta di fronte a me e l’altra dalla Noruosmanye Cami, alla mia sinistra. Più avanti, sulla Yenicertler Caddesi c’è un’altra moschea, la Cali Pasha Moschea, costruita in pietra nel 1593, in stile classico ottomano.

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Preghiera nel cortile della moschea Cali Pasha.

Qui, nel cortile, ci sono un’infinità di uomini, seduti, ognuno sul proprio tappetino: stanno ascoltando la voce dell’Iman che arriva dall’interno della moschea. Le persone sedute sulla cancellata e fuori, sul marciapiede della strada, hanno lo spazio per alzarsi, inginocchiarsi, piegarsi ed alzarsi di nuovo, seguendo le parole dell’Iman. Gli altri, quelli dentro l’affollato cortile, rimangono seduti, fermi, l’uno attaccato all’altro, per mancanza di spazio.

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La tomba di Sinan Pasha e il cimitero intorno.

Poco più avanti, c’è un tempietto con la tomba di Sinan Pasha e nel cortile intorno ci sono altre tombe in pietra. Entro lì, attraverso un portone cigolante e giro intorno al porticato. Un insegnante di 34 anni, originario di Aleppo, in Siria, mi dice che quella che sto visitando è una scuola islamica.

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La scuola islamica.

Lui, qui, insegna arabo, ma è laureato in lingua inglese. Ci sediamo insieme ad uno dei tanti tavoli di legno del cortile. Si avvicina a noi un turco di 35 anni, di Agri, nell’Est della Turchia. Abita a Istanbul e  fa l’interprete di arabo e turco per i commercianti. E’ laureato in biologia e ora sta frequentando un corso d’inglese in una scuola privata. Un’ altra persona che lavora e vive lì, nella scuola, come l’insegnante di arabo, compare per portarci del cjai e poi scompare. Viene a sedersi al nostro tavolo, invece, un anziano Iman, ora in pensione. Ha 89 anni e legge ancora senza usare gli occhiali. Quando si alza per andare via, mi saluta stringendomi la mano. L’insegnante mi regala un libretto scritto in italiano che sintetizza, in modo molto chiaro e convincente, i valori di riferimento dell’islam. Lui, mi chiede di leggere una piccola parte del primo capitolo del libro e io l’accontento. Devo proprio ammettere che il testo è scritto molto, molto bene. Il linguaggio è semplice e molto comunicativo. L’insegnante è soddisfatto della mia lettura e del mio apprezzamento e mi riprende con il video del suo cellulare. Lascio il gruppetto islamico e raggiungo la Beyazit square. Poco più là c’è un’altra importante moschea, la Suleymaniye Camii che ho visitato senz’altro molti anni fa.

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Il Gran Bazar.

Qui accanto c’è una delle entrate al Gran Bazar, quella che riporta la scritta Kapali Carsi, 1461 e Beyazit Kapisi. Passo un altro screening e riguardo i soffitti con le cupolette, i disegni blu, le piccole logge che ogni tanto appaiono e le fontanelle basse, allineate, anche loro rivestite con le piastrelle blu.

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Gran Bazar.

Esco ad Eminonu, nella mia piazza preferita. Compro dei filamenti di formaggio fresco, delle olive condite, degli arachidi e oggi pranzo qui, seduta su una di queste panchine.

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Il mercato di Eminonu.

Poi, salgo sul ponte di Galata e lo attraverso. Ogni tanto, mi fermo ad osservare il paziente lavoro di attesa dei numerosi pescatori che stanno sistemando le loro canne sul parapetto di ferro del ponte. Accanto ad ognuno di loro, in diversi secchi ci sono i pesci pescati, alcuni ancora vivi.

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Eminonu.

Salgo su un pendio e arrivo alla Torre di Galata, una delle più antiche del mondo.

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La Torre di Galata.

Costruita dall’imperatore bizantino Anastasius nel VI secolo, distrutta durante la quarta crociata, è stata ricostruita nel 1204 con il nome di “Torre di Gesù”. Ridiscendo la collina della torre e riattraverso il Ponte di Galata guardando le moschee di fronte, illuminate dagli ultimi raggi di sole e il via vai di navi che percorrono questo tratto di mare.

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Pescatori sul Ponte di Galata.

Passo tra i pescatori, ora ancora più numerosi, con le loro lunghe canne, le loro attrezzature e la loro passione. Torno a Sultanhamet attraverso il Gran Bazar, il mio punto di riferimento per raggiungere l’ostello. Sono le 19 e 30 e il mercato sta chiudendo. In pochi minuti i venditori ritirano la merce esposta sulla via e chiudono le serrande. Il paesaggio si svuota rapidamente: la gente se ne va, le luci colorate si spengono, le merci esposte e le bancarelle scompaiono. E’ buio ormai e l’aria si è fatta gelida. Ridiscendo rapidamente la collina di Sultanhamet e raggiungo l’ostello, accompagnata dal canto della sera della Moschea Blu.