Esfahan (Iran), 20 marzo 2019

La giornata si presenta calda e luminosa e la mattina torno nella Piazza Naqsh-e Jahan, chiamata più semplicemente Imam Square.

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Esfahan, 20 marzo 2019. Cambio soldi lungo la strada pedonale che porta alla Piazza Imam.

Tutta la zona pedonale che porta là è animata da fiumi di gente. La giornata soleggiata favorisce più che mai la vita all’aperto.

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Postazione del cambio soldi nei pressi della Imam Square

Poco prima di arrivare alla Imam Square, incrocio i soliti uomini, ragguppati di fronte ad una grande banca, che chiedono alla gente di scambiare dei soldi. Sono sempre numerosi e indaffarati a contrattare con i turisti, ma anche con degli iraniani. Probabilmente, questo tipo di business, è redditizio per molti, qui a Esfahan.

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Bambino con cavallino nella Imam Square.

La piazza è animatissima più che altro di turisti iraniani, venuti qui per festeggiare l’arrivo del nuovo anno, che, per loro, coincide con l’inizio della Primavera. Molta gente entra ed esce dai negozi disposti intorno alla piazza, altra si siede sulle panchine e sul prato, o sosta nelle gelaterie e nei fast food che si aprono numerosi accanto alla piazza. Passeggio intorno alla piazza guardando le carrozze che girano in continuazione e le auto elettriche colme di turisti che si muovono lente e silenziose.

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Esfahan, 20 marzo 2019. Dopo il pick-nick nella Piazza Imam.

Della gente è seduta un po’ ovunque, già dal mattino, impegnata a consumare il suo pick-nick. Anche intorno alla grande vasca c’è parecchia gente seduta, ma molti turisti stanno passeggiando tra gli spazi verdi e guardandosi in giro, come me. Una giovane si stacca da un gruppo pick-nick e mi invita ad andare a sedere sull’erba, accanto ad altri tre ragazzi. Sono due coppie: una delle quali è formata dalla ragazza che mi ha avvicinata. Lei, ha 23 anni ed è laureata in ingegneria nucleare; suo marito ne ha 27, e commercia in prodotti alimentari. Dell’altra coppia, lui ha 35 anni ed è notaio, mentre la moglie ne ha 28, è educatrice per diasabili, ma non lavora. I due ragazzi sono fratelli ed entrambi i matrimoni sono stati combinati dalle rispettive famiglie. Sono tutti di Ramsar, una città del Nord che sta a 400 km da qui e stanno viaggiando in auto. Ad Esfahan si sono fermati una notte e ora partiranno per Persepoli e Shiraz.

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Esfahan, 20 marzo 2019. Uomo seduto su una panchina della Piazza Imam.

La moschea non si può visitare in questi giorni perchè all’interno stanno celebrado i rituali e recitando le preghiere per l’anno nuovo. Mi dicono che rimarrà chiusa per 5 giorni e verrà aperta soltanto alla mezzanotte di oggi, per un brevissimo tempo.

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La grande vasca della Imam Square.

Passeggio ancora intorno alla piazza: una coppia di 25 anni lei e 28 lui mi si avvicina desiderosa di parlare. Soltanto lui parla l’inglese e si sta laureando in ingegneria agricola. Lei, studia qualcosa per se stessa, mi dice il marito. Non lavorano e vivono con l’aiuto delle loro famiglie con le quali hanno dei rapporti tesi. Sono di Ahvaz, una città che dista circa 300 km da Esfahan, verso Sud. Sono qui per un consulto ginecologico in ospedale che hanno appena avuto. Vorrebbero avere un figlio, ma lui ha dei problemi e per risolverli e arrivare al concepimento dovrebbero versare la somma di circa 1000 dollari che non sono in grado di disporre. Mi dicono che il loro è un matrimonio d’amore, ma anche concordato dalle famiglie. Lui, appena terminati gli studi dovrà prestare il servizio militare che fino ad ora è stato rimandato per motivi di studio. Il servizio militare qui in Iran è obbligatorio per tutti i ragazzi che abbiano compiuto 18 anni e ha una durata di 24 mesi. Senza aver ottemprato questo obbligo lui non potrà nè avere il visto per uscire dal Paese nè trovare un lavoro qui, in Iran.

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Uno dei parchi lungo il fiume Zayandeh.

Lascio la piazza e m’incammino verso il ponte Syo Se e i parchi che stanno lungo la riva del fiume Zayandeh. Sono le 17:00, il sole è ancora alto, ma si sta avviando verso il tramonto, lentamente. Dopo aver ripulito il fiume, ora hanno riaperto le chiuse e l’acqua sta tornando nel suo letto.

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Il Ponte Khaju, costruito nel 1650.

Molta gente sta camminando negli spazi dove l’acqua non è ancora arrivata, ma la maggior parte sta andando lungo gli argini, sia di qua che di là del fiume, ma soprattutto sul ponte. Domani potrò vedere il fiume nel suo completo aspetto, mi dice qualcuno. Il paesaggio è bellissimo: i raggi del sole filtrano tra archi e aperture ed il ponte si sta specchiando dove l’acqua è già arrivata. Dall’altra parte, verso il quartiere armeno di Jolfa, spicca una montagna solitaria.

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Particolare del Ponte Khaju.

Cammino sul lungo fiume e vado verso Est dove sta un piccolo ponte chiamato Chubi, fatto costruire dallo scià Abbas II nel 1665, principalmente per irrigare i giardini dei palazzi di quella zona. Il ponte Chubi è lungo circa 150 metri ed ha 21 arcate. Più giù, c’è il grande Khaju, il più bello dei tre, ma probabilmente il migliore di tutti gli 11 ponti di Esfahan. Anche questo ponte l’ha fatto costruire lo scià Abbas II, nel 1650, forse, dove, in passato, ne stava uno più antico. Il ponte è lungo 110 metri e presenta due tipi di terrazze porticate con numerose pitture e piastrelle di maiolica colorate con diverse tonalità di verde, bleu e beige.

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Un arco del Ponte Khaju.

Mi affaccio su una terrazza passando attraverso uno splendido arco: il paesaggio è fantastico e laggiù, in lontananza, si scorgono delle montagne innevate. Il cielo, ancora chiaro del crepuscolo, lascia ora intravedere una grande luna piena che si sta levando sopra le montagne. Mi fermo ad ammirare quell’incanto tra la gente che va avanti e indietro sul ponte e si ferma sotto gli archi per scattare fotografie e selfie. E’ buio ormai.

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Esfahan, 20 marzo 2019. Il Ponte Si-o-Seh di sera.

Torno verso il Ponte Si-o-Seh che sta alla fine della Charbagh street, la via del mio ostello. Attraverso la stradina di pietre costruita sul lungo fiume, ora illuminato da intense luci che mettono in risalto le folte siepi di rosmarino, gli alberelli di alloro, di ulivo, i cespugli di pirus e folsizie, gli alberi di ciliegio, mandorlo e pesco in fiore. Oltrepasso, di lato, il piccolo Ponte Chubi e arrivo al Si-o-Seh  Bridge che già da lontano s’intravede, illuminato e pieno di gente.

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Panorama notturno dal Ponte Si-o-Seh. 20 marzo 2019.

Mi fermo un po’ lì a guardare l’acqua che continua a scorrere lentamente e a riformare il grande fiume. E guardando la luna piena, ormai alta nel cielo, laggiù, a levante, torno all’ostello.

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Enfasan, 19 marzo 2019

E’ una splendida giornata di sole e la temperatura è tiepida. C’è molta gente in giro, già dal mattino, come se fosse un giorno di festa. Dove inizia il percorso pedonale della Charbagh street, sul piazzale, studenti e sudentesse di un college stanno cantando in coro, guidati da un maestro.

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Festeggiamenti per l’arrivo del nuovo anno sulla Charbagh street.

Più su, lungo la parte pedonale della stessa via e ai lati, si vedono delle rappresentazioni di teatro e filastrocche eseguite da alcune scolaresche della scuola primaria. In mezzo alla Charbagh street, un omone con una maschera sul viso, vestito di rosso, una specie di Babbo Natale, sta sollevando l’entusiasmo della gente che si accalca intorno a lui, per scattare delle foto e dei selfie. Chiedo ad un ragazzo le motivazioni di queste rappresentazioni e lui mi risponde che da oggi e per tre giorni ci saranno i festeggiamenti che segnano la fine dell’inverno e l’arrivo della primavera. E’ il Chaharshanbe Suri, un festival iraniano che segna l’arrivo del “Nowruz”, il nuovo anno iraniano. Il culmine dei festeggiamenti sarà il 21 marzo e verranno fatti esplodere numerosi fuochi d’artificio. Lungo la via, però, ho già sentito diversi improvvisi botti che mi hanno fatto sobbalzare per l’intensità del loro rumore.

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Enfahan, Charbagh street, 19 marzo 2019. Donna seduta su una panchina.

Oggi, quindi, è una giornata lavorativa, ma diversa gente è arrivata ad Esfahan da altre città, per l’occasione del “Nowruz”. Cammino fino alla fine della Charbagh street e attraverso il ponte sul fiume Zayandeh, il Si o Seh, uno dei cinque ponti storici di Esfahan. Il ponte di Si o Seh l’ha fatto costruire Allahverdi Khan, uno dei generali favoriti dallo scià Abbas I, tra il 1559 e il 1662.

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Il Ponte Si o Seh sopra il fiume Zayandeh, in secca.

C’è parecchia gente anche qui sopra, ma dalle arcate che si aprono verso i due lati si possono scorgere diverse persone anche sotto, che passeggiano sul letto del fiume, completamente in secca. Sia al di qua che al di là del ponte si aprono dei vasti parchi dove diversi gruppi di famiglie , sedute sull’erba, stanno facendo dei silenziosi pick-nick. Appoggiata su un fornello, in ogni gruppo, sta bollendo una specie di teiera di alluminio.

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Sotto le arcate del Ponte Si o Seh.

Anche sulle panchine c’è diversa gente seduta, per lo più giovani. Una chiromante anziana sta leggendo la mano ad una ragazza; più su, un’altra donna, molto giovane, pur non parlando inglese, con dei gesti, chiederà anche a me di leggermi il futuro.

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Sotto il ponte sul fiume Zayandeh.

Mi siedo su una panchina a guardare la planimetria che mi hanno dato all’ostello, sulla quale il manager mi ha segnato i posti interessanti da visitare. Qui vicino c’è il quartiere armeno di Jolfa, con la chiesa-museo dedicata a San Giuseppe di Arithmatea, il discepolo che prese il corpo di Gesù dalla croce.

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 Jolfa, il quartiere armeno di Esfahan.

Chiedo delle informazioni, con le difficoltà di sempre, ma una donna, musulmana, mi accompagna fino là. La chiesa è ben distante, molto più lontana di quella che sembrava guardando la mappa. La donna, mi parla soltanto con qualche parola d’inglese: si chiama Farah, ha 43 anni e non si è mai sposata. Lavora come impiegata ed abita da sola. Vorrebbe sposarsi, ma non con un iraniano. Insieme, attraversiamo le vie di questo ricco quartiere, abitato sia da armeni che da iraniani. La zona è composta da palazzi nuovi e ben curati, con diverse auto lussuose parcheggiate ovunque, ma anche con vaste isole pedonali, attrezzate di panchine e contornate da negozi e fast food.

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Incontri nel quartiere armeno di Jolfa.

Il quartiere armeno di Esfahan risale al periodo dello scià Abbas I che accolse la comunità cristiana che arrivava dalla città di Jolfa, una città che sta sul confine settentrionale attuale dell’Iran, e la trasferì qui, chiamando il villaggio “Nuova Jolfa”. Il sovrano era molto interessato a questo popolo di mercanti, imprenditori e artisti e, con la sua disponibilità, voleva assicurarsi i servigi di tutti i cristiani armeni. Oggi, qui, ci sono diverse chiese armene e un antico cimitero utilizzati da una comunità cristiana di crca 5000 persone.

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Museo della chiesa di San Giuseppe di Arimathea, 19 marzo 2019. Stampa in un antico libro sacro.

Arriviamo alla chiesa di San Giuseppe di Arimathea, collocata all’interno della vasta zona pedonale. Qui, Farah estrae una tessera dalla borsa e aquista un biglietto con la riduzione per me: non vuole assolutamente essere rimborsata e mi lascia per recarsi al lavoro. La chiesa cristiana ortodossa di San Giuseppe di Arimathea è stata costruita tra il 1648 e il 1665 con soltanto del materiale essicato al sole e grazie al supporto dei sovrani della dinastia safavide. La Kelisa-ye Vank è la chiesa armena più antica di tutto l’Iran: l’interno, riccamente decorato, si caratterizza per l’insieme armonico di mescolanze di stili.

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Affreschi con scene del Vecchio e Nuovo testamento all’interno della chiesa di San Giuseppe.

Troviamo, difatti, sia le piastrelle in maiolica con le decorazioni islamiche sia quelle con scene cristiane. Gli affreschi dai vivaci colori, rappresentano scene dell’Antico e del Nuovo testamento e sono stati restaurati di recente. Disposto su due piani c’è un ricco museo con una documentazione, anche fotografica, dello sterminio subito dal popolo armeno ad opera degli ottomani. I fatti, risalenti al 1915, hanno causato un milione e mezzo di vittime. Una lapide che ricorda questo eccidio è esposta anche anche nel piazzale interno della chiesa. Nel museo, seguono eposizioni di ritratti, libri, dipinti, piastrelle, costumi tipici, tovaglie, utensili domestici e ornamenti sacri, orologi, specchi, pietre incise realizzati in un periodo che va dal XVII al XVIIII secolo.

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Il parco sul lungo fiume Zayandeh.

Torno verso l’ostello attraversando il parco lungo la riva del fiume, più affollato che mai, di gente ancora impegnata in lunghi pick nick o distesa sull’erba a riposare. Sono oltre le 17:00: sono stanchissima e affamata.

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Charbagh street al tramonto.

Riattraverso il fiume Zayandeh sul suo letto asciutto, sotto gli archi del Ponte Si o Seh e torno nell’affollata Charbagh street a cercare un posto dove rifocillarmi.

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Esfahan, 18 marzo 2019

Oggi splende il sole e la temperatura è più mite, rispetto a ieri sera.

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Donne e bambina in burqa lungo la Chahar Bagh road

Percorro la Chahar Bagh road e giro a sinistra verso la grande piazza Naqsh-e Jahan. Anche questo tratto di strada è pedonale, come il proseguimento della Chahar Bagh. Qui passano soltanto delle rare biciclette e i mezzi elettrici che trasportano le persone che non possono o non vogliono camminare. Poco prima di arrivare alla piazza, incontro un numeroso gruppo di ragazzi e uomini con in mano o appoggiati ovunque dei pacchi di banconote per il cambio.

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Il cambio dei soldi lungo la strada  pedonale che porta alla grande piazza.

Uno di loro mi dice che qui, per lui, è l’unico modo qui guadagnare qualcosa, dal momento che manca qualsiasi possibilità di lavoro. E’ molto strano: apparentemente Esfahan sembra una città ricca.

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Uno dei tanti banchetti con i soldi per il cambio.

Ci sono numerosi negozi e ristoranti, sempre affollati di gente che acquista capi di abbigliamento e gioielli e non si vedono mendicanti in giro. Eppure, evidentemente, esiste anche quest’altra realtà, quasi del tutto, invisibile. Arrivo nella Piazza Naqsh-e Jahan. Il nome significa “modello del mondo”, ed è stata costruita durante il regno dello scià Abbas il Grande, nel 1602. L’idea del sovrano era quella di rappresentare un modello di mondo ideale, e lo è.

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Aspetti della Piazza Naqsh-e Jahan.

C’è gente sul prato che fa il pick-nick, altra che parla o passeggia nei lunghi viali pieni di piante e fiori. La piazza è enorme ed è contornata da una serie di costruzioni risalenti allo stesso periodo, adibite a negozi e abitazioni.

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La Piazza Naqsh-e Jahan. Le carrozze.

Intorno ai viali più ampi girano in continuazione delle suggestive carrozze a cavallo, utilizzate, in continuazione ed in particolare, dalle famiglie con bambini piccoli. In fondo, rivolta verso la Mecca, c’è la Masjed-e Shah, la moschea più imponente di tutto l’Iran.

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La Masjed-e Shah, interni.

Costruita nel 1611 e terminata nel 1629, sempre durante il regno dello scià Abbas, la moschea è giunta fino a noi pressoché intatta.

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Masjed-e Shah. Particolare dell’entrata riservata alle donne.

Di fronte, all’estremità opposta alla Masjed-e Shah, si trova la grande porta del Bazar-e Bozorg, uno dei mercati più antichi dell’Iran. Il suo interno è un labirinto di vicoli che si diramano in varie direzioni.

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L’ entrata principale al Bazar-e Bozorg.

I soffitti sono a forma di piccole cupole, ognuna con un’apertura all’estremità per far filtrare la luce. Le parti più antiche di questo bazar si trovano vicino alla moschea ed hanno oltre mille anni. La maggior parte delle strutture, però, è stata costruita nel XVII secolo, sempre durante il regno di Abbas. All’interno del mercato ci sono diversi negozi pregiati e delle grandi zone interamente dedicate all’esposizione e alla vendita dei tappeti.

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Architettura del Bazar-e Bozorg.

Su un lato della piazza c’è un palazzo, il Kakh-e Chehel Sotun, del quale, la prima documentazione scritta della sua esistenza risale al 1614. Sull’altro lato c’è un’altra moschea che, da quanto mi racconta un giovane, veniva utilizzata soltanto dalle donne dello scià.

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Preghiera delle donne nella parte della moschea loro riservata.

Visito la Masjed-e Shah nella parte riservata alle donne. E’ l’ora della preghiera e le donne, rigorosamente coperte da abiti e velo quasi sempre neri, arrivano lentamente e si concentrano subito su quello che sta predicando una voce maschile che pare registrata. Le donne s’inginocchiano, si piegano portando la schiena sul davanti fino a toccare con il capo il pavimento. Si rialzano e poi di nuovo ripetono gli stessi movimenti, secondo quello che dice la voce del personaggio invisibile.

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La preghiera delle donne della Masjed-e Shah.

Mi sposto dall’altra parte della piazza e, mentre sto ammirando il portale del bazar mi si avvicina un ragazzo vestito in modo elegante. E’ uno studente di legge ed è interessato al mio Paese di provenienza. Un altro ragazzo lavora per un negozio di tappeti e la sua curiosità è finalizzata al suo lavoro, cioè a portarmi dal suo principale.

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Una piccola parte della Piazza Naqsh-e Jahan

Un uomo mi offre dei pinoli per parlarmi del suo periodo di lavoro in Germania, terminato, a suo dire, per la mancata estensione del visto. Anche altri giovani fanno questo lavoro di procacciare i clienti per i negozi lì accanto. L’approccio avviene chiedendo delle notizie sulla provenienza del turista o avvicinandosi a loro fornendo delle informazioni sulla storia di Enfahan per poi cercare sempre di portarli a visitare i punti  vendita per i quali lavorano.

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Incontro tra le panchine della zona pedonale, nei pressi della Piazza Naqsh-e Jahanna.

Di sera, rimango sulla Chahar Bagh e la percorro per tutto il suo lungo tratto pedonale fino ad intravedere uno degli storici ponti sul fiume Zayandeh, una parte di Enfahan che devo ancora esplorare. Fa freddo e ho le mani congelate. Qui, quasi nessuno indossa i guanti e non ne vedo esposti nei negozi. Vedo due donne intente a guardare degli abiti: una delle due porta dei guanti beige. Mi avvicino loro per chiedere dove potrei comprare quel capo, divenuto così prezioso per me. La più giovane, probabilmente la figlia dell’altra donna, parla un perfetto inglese. Entrambe mi accompagnano in un negozio lì accanto e mi aiutano a scegliere un semplice paio di guanti. Costo: 70 centesimi di euro.

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