Da Yazd a Isfahan o Esfahan, 17 marzo 2019

Stanotte ho sognato che da Sofia, la capitale della Bulgaria, ero tornata a Udine, in aereo, ma soltanto per una brevissima visita. Stavo di fronte al teatro Palamostre, in un grande parco verde con delle panchine sparse qua e là. Lì c’erano le persone che solitamente fanno teatro insieme a me, ma c’era anche della gente nuova che stava suonando e provando delle performances. Il parco era molto vasto e io cercavo Rita Maffei, la mia regista, per salutarla. E l’ho trovata e vista nel sogno in modo molto chiaro. Lei stava valutando la proposta di far mettere dei servizi igienici a disposizione della gente che frequentava questo luogo. Qualcuno, inoltre, mi stava proponendo di alloggiare lì, all’interno del teatro. Io, però, volevo tornare a casa mia. Quando sono entrata nell’appartamento, ho trovato un po’ di sabbia sparsa sul palketto, ma tutto il resto era in ordine.

Oggi mi sposto e da Yazd vado ad Isfahan o Esfasan. Il taxista che mi accompagna al terminal, mi parla delle difficoltà economiche che sta attraversando l’Iran e del bisogno di emigrare che c’è, in tutto il Paese. Mi parla anche dei suoi due figli, entrambi studenti universitari e per i quali nutre molte speranze per il loro futuro. Mentre aspetto l’autobus per Isfashan parlo con una ragazza laureanda in medicina. Dopo la laurea, si occuperà della ricerca sul cancro venendo a studiare e lavorare in Europa, forse a Berlino, oppure a Monaco. Il percorso da Yazd a Isfahan si staglia per lunghi tratti in una zona deserta e per altri con la vista delle montagne in lontananza. Sui bordi della strada si vedono numerose fabbriche che si alternano a dei gruppi di negozi e case. A tratti, ci sono dei campi coltivati, che s’intensificano con serre, terre arate e risaie quando arriviamo nei pressi di Isfahan. Entrando in città si vedono dei grandi palazzi e numerosi negozi già illuminati e un gran traffico di auto che si muove lentamente. Qui e piovuto parecchio da poco: le strade sono inondate d’acqua con vaste pozzanghere visibili, qua e là. Fa freddo e sta soffiando un vento gelido. Trovo da dormire in un ostello: qui i prezzi degli alloggi sono più alti di Shiraz e Yadz. A parità di prezzo, il livello e il servizio offerto sono molto più scadenti.

Isfhan sera

La grande zona pedonale, nellla parte centrale di Isfahan.

Esco dall’ostello che è quasi sera per fare un giro nei dintorni. Chiedo delle informazioni sulla direzione verso il centro storico, ma né giovani né anziani capiscono il significato di “old city”. Un negoziante mi prende la mappa dalle mani: è scritta in piccolissimi caratteri persiani e dopo un attento studio mi indica la direzione sbagliata. Entro in un negozio di articoli musicali dove ci sono dei giovani, ma non parlano nemmeno una parola d’inglese. Esco: un passante capisce che mi sto guardando intorno e mi fornisce le giuste indicazioni. Che sollievo! Passo davanti ad un edificio illuminato, un mercato al chiuso, e proseguo dritta sulla stessa via del mio ostello, ma nella direzione opposta. “E’ questa la strada principale!” mi dice un signore che parla un po’ d’inglese.

Charbagh st. di sera

La grande zona pedonale ella Char Bagh road.

La via pare dividersi a metà lasciando in mezzo una lunghissima piazza, uno spazio pedonale contornato da due file di alberi allineati, sotto i quali ci stanno numerosi gruppi di tavoli e sedie. Nonostante sia sera e stia soffiando un vento gelido, la zona è affollata di gente, seduta all’aperto, nelle gelaterie e nei fast-food.

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La splendida e vivace zona pedonale della Char Bagh road.

Ceno con dei felafel e delle patate fritte in un ristorantino della via e mi avvio verso l’ostello. Fa talmente freddo che ho le mani gelate nonostante le stia tenendo nella tasca della giacca. Mi fermo a guardare la gente all’esterno di un forno e il ragazzo che taglia degli spicchi di dolce e ne vende degli altri, grandi e tondi. Mi si avvicinano due ragazzi: sono due fratelli di 30 e 22 anni. Il più grande è un ingegnere elettronico che lavora per conto suo. L’altro studia musica e fa il musicista.

Isfahan 17 marzo 2019 sera

Isfashan, sera del 17 marzo 2019. La Char Bhag road.

Il sogno di entrambi è quello di andare a lavorare all’estero, in Germania o anche in Malesia, ma il costo del biglietto aereo per loro è troppo alto e, mi dicono che, avranno bisogno di diversi anni di lavoro per mettere da parte i soldi necessari.

Yazd, 16 marzo 2019

Scendo nel salone per far colazione. Mi sono attardata a scrivere sul blog e poi a cercare la chiave della camera che non trovavo. Le lavoranti del ristorante mi guardano inorridite! Penso: “sarà troppo tardi per la colazione” L’autista con il quale ho fatto un po’ di amicizia ieri sera mi avverte che non ho il velo sul capo. Me lo sono dimenticato! Corro in camera a riparare la mancanza e nessuno più fa caso a me.

moschea esterno

Entrata della Moschea Chakhmaq.

Esco nella piazza della moschea, l’Amir Chakhmaq Square e lì incontro una coppia di italiani un po’ meno vecchi di me. Sono originari di Milano, ma ora vivono in campagna, nelle vicinanze della grande città. Lui, Paolo, è un fotografo e lei, Rossella, scrive libri di geografia per tutti gli ordini di scuole. Loro hanno già visitato l’Iran qualche anno fa e ora ci scambiamo qualche impressione su Shiraz, Yazd e su Esfahan, la mia ed anche la loro prossima meta.

panorama case vecchie

Panorama sulle vecchie case di fango.

Dalla piazza della moschea entro ad esplorare la città vecchia che si apre proprio lì accanto. Mi addentro nelle stradine che si snodano tra due file di alte muraglie costruite in mattoni. A tratti, si possono scorgere i resti di quelli non cotti e soltanto essicati al sole. Questa parte antica pare disabitata, ma ho letto sulla guida che, all’interno degli alti muri, ci sono le case, alcune in rovina, ma molte sono abitate. Ma a chi chiedere delle informazioni? A volte passa qualche auto facendo delle complicate manovre e più avanti, incrocio qualche uomo che quando gli parlo scappa via e va a commentare, quello che non ha capito, nella sala da the lì accanto.

pan vec cas

Yadz, panorama sulla città vecchia.

Chiedo soltanto dove posso trovare la vecchia casa, ma nessuno capisce quello che cerco. Arrivo in un parcheggio e da un’auto scende un giovane. Lui mi farà da guida per diverso tempo. E’ un insegnante elementare di 28 anni, ora in vacanza, in quanto le scuole resteranno chiuse fino alla metà di aprile, quando inizierà il nuovo anno scolastico.

panor giard

Il giardino interno di una casa ristrutturata. La zona di fronte è abitata nella stagione primaverile.

Il ragazzo parla bene l’inglese e mi fa da interprete con gli uomini della sala da the, che ora sono curiosi di capire che cosa avevo chiesto loro poco fa. La sala da the, in realtà è una piccola stanza con un banco e due tavolini e quattro sedie per sedersi. Alle pareti sono esposte le immagini fotografiche dell’ultimo Festival del caffè, dove è rappresentata una marea di gente intorno a un grande cilindro inclinato, di metallo, che probabilmente serviva in passato per tostare il caffè. Questo arnese sta ora depositato in un parcheggio, in attesa di venir addobbato ed esposto nella prossima manifestazione.

vecchia casa rest

Casa antica restaurata: interno. Yazd, 16 marzo 2019.

Il ragazzo mi accompagna a visitare la sua abitazione: c’è la parte estiva simile ad una loggia ricoperta da teli e tappeti sul pavimento e la parte chiusa da delle porte di fronte e ad un lato. Tutti i locali sono disposti intorno ad un giardino centrale. Lì, c’è il padre che sta portando del cibo alle pecore che stanno nell’abitazione antica, ora adibita a stalla. Il ragazzo mi accompagna anche lì, in quella che era stata la casa della sua famiglia in passato, costruita con il fango e ora semi distrutta dal tempo.

resti di una casa costruita con fango ora utilizzata come stalla.

Resti di un’antica casa ora adibita a stalla.

Qui ci vive un numeroso gruppo di pecore, agnelli e anche un montone. La famiglia del giovane utilizza il latte di pecora per trasformarlo in yoghurt e formaggio. Il ragazzo mi accompagna poi a visitare un’altra casa, costruita 500 anni fa, ora in fase di restauro, ma abitata da un iraniano che per diversi anni ha lavorato, come panettiere, in Kuwait. Recentemente è tornato nella sua città ed è stato in grado di acquistare questa grande casa che un tempo apparteneva ad una famiglia di ricchi tessitori.

forme geometriche con il ricorrente ottagono

La forma ricorrente dell’ottagono.

Anche qui, con spazi molto ampi, c’è un giardino centrale, la loggia per la residenza estiva, di fronte rivolta verso Sud con le porte in legno sta la zona invernale e su un lato, con le porte che si affacciano verso Est, sta la residenza primaverile. Sopra il tetto a terrazza c’è la torre di ventilazione, un sistema di areazione per la casa che portava sollievo, nel passato, alla calura estiva.

La torretta di aereazione naturale

La torretta di aereazione naturale.

Dalla terrazza se ne vedono diverse di queste torrette: sono numerose e ancora in uso nelle case, nonostante l’avvento di ventilatori e condizionatori elettrici. Il ragazzo mi fa notare il ripetersi di forme ottagonali nell’architettura della casa. Mi indica, di seguito, le porte che si susseguono a gruppi di tre, cinque sette e otto. In origine in questa casa c’era la stanza della filatura e tessitura della seta che ora verrà trasformata nella cucina di un ristorante con il forno per la cottura del pane.

parte estiva della casa

Terminata la visita alla casa, il giovane maestro mi parla molto della situazione politica dell’Iran, delle penalizzazioni economiche nell’acquisto di gas e petrolio imposte dall’attuale governo Usa. Lui, ha fatto parte e forse lo è ancora dell’ “Iran National Teem” e mi mostra i suoi muscoli rassodati durante gli allenamenti. Mi parla dell’ISIS, che, secondo lui, viene erroneamente identificato con la religione islamica. Mi racconta del contributo fornito dall’Iran per la cattura di Saddam Hussein il quale aveva commesso numerosi crimini, utilizzando anche i gas nervini per sterminare la popolazione kurda. I problemi con gli USa sono sorti in seguito all’invasione dell’Iran da parte dell’Iraq e, come già mi aveva raccontato il taxista di Shiraz, dall’appoggio fornito loro dall’America. Ora, i rapporti tra Iran e Iraq sono buoni mentre, quelli con gli USA si sono guastati. Il proprietario della casa è appena tornato dalla moschea e sta preparando il pollo da cucinare. Ci offre il the e mi invita a pranzo, ma io preferisco andare verso la piazza della moschea.

moschea interno

La Moschea Amir Chakhmaq : interno.

Mi siedo su un gradino a trascrivere qualche appunto: arriva un altro ragazzo a sedersi accanto a me. Ha 24 anni e sta frequentando un master all’università nel settore dell’elettronica. Mi spiega che la situazione lavorativa è disastrosa in tutto l’Iran e che, su una popolazione di 80 milioni ben 3 milioni di giovani sono disoccupati e senza speranze di trovare un lavoro in futuro.

antica macina

Antico pestello esposto al museo della moschea.

Entro a visitare la moschea: è grande, ricca di mosaici e piastrellature, tutte decorate con dei colori prevalentemente della tonalità verde e azzurra. La moschea originaria è stata costruita 700 anni fa e poi restaurata 70 anni fa. All’interno del complesso è stato allestito un museo che documenta con qualche antico reperto e dei plastici recenti, la storia dell’edificio. La moschea vanta due minareti altissimi, forse i più maestosi del mondo.

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Antiche piastrellature.

Di sera viene illuminata da una luce azzura e qualcuno mi informa che la scelta di questa tonalità è una strategia usata per tener lontane le zanzare. All’interno del complesso c’è una vasta libreria con esposti diversi libri anche in lingua italiana. Nel pomeriggio visito il vastissimo bazar che si sviluppa nell’altra ala della città vecchia con vaste esposizioni di tappeti, tessuti, capi di abbigliamento, articoli per la casa, gioiellerie, giocattoli, profumerie. Anche stasera ceno sulla strada con un minestrone e un piatto di fave. Si ferma un ragazzo di 14 anni che parla un perfetto inglese ed è desideroso di esercitare questa lingua. E’ sceso qui, in città insieme ai genitori e a due sorelle più grandi. E’ interessante questa curiosità che esprimono i giovani, sia quando parlano del loro Paese sia quando vogliono conoscere le altre culture. Mi sento chiamare per nome: sono Rossella e Paolo,  la coppia di Milano che ha appena acquistato il biglietto dell’autobus per Esfaham.

selfie gruppo

Uno dei tanti selfie richiesti dai ragazzi iraniani.

Che strana coincidenza: è proprio quello che voglio fare ora anch’io, fra poco. Lui, Paolo Sacchi, è un  fotografo professionista e desidera farmi un ritratto. Io ne sono lusingata e mi metto in posa seguendo i suoi consigli.

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Da Shiraz a Yazd, 15 marzo 2019.

Il percorso verso Yazd, per un primo tratto, è lo stesso che porta a Persepoli. Rivedo le immagini dei martiri appese in alto sulla strada, le case dal tetto piatto, il grande parco naturale alla periferia di Shiraz e la vasta estensione di campi coltivati. Scorgo ancora greggi di pecore dal pelo lunghissimo sui bordi della strada, sotto le caserme e le lunghe recinzioni che delimitano le zone militari soprastanti. Più avanti, le basse montagne si confondono con i grossi cumuli di terra usati dalle fabbriche di mattoni e cemento. A volte compare qualche moschea e dei villaggi intorno a delle fabbriche che paiono disabitati e in disuso. Quello che si nota, in continuazione, sono i tralicci elettrici, a volte numerosi e sparsi, a volte allineati lungo la strada. A parte una centrale di trasformazione che vedrò più avanti, non riesco a capire da dove gli iraniani ricavino la corrente elettrica.

Sono le 12 e 30. All’interno del pullman una coppia di anziani apre delle sporte e estrae delle pentole. I due chiacchierano e pranzano, prendendo, con disinvoltura, il cibo con le mani e mettendolo nel pane spezzato. Nell’aria si sparge un delizioso profumo di spezie. Seduta, dietro al mio sedile, sta una coppia di australiani sui cinquant’anni. Loro evitano il mio sguardo e pare non desiderino alcuna comunicazione. Guardo il paesaggio dal finestrino. In lontananza, si scorge un’altissima montagna con un nevaio. Più avanti, altri nevai lontani, più piccoli. Ecco la neve ora farsi più vicina e dalle montagne arriva quasi fin sulla strada. Attraversiamo una vasta pianura, desertica e disabitata con soltanto le due strade asfaltate che corrono nelle due direzioni. Proseguiamo tra le montagne lontane, ora senza neve, con una fila di fabbriche ai loro piedi, distanti tra loro, ma simili nell’aspetto. Dopo, il pullman s’immerge in una zona desertica: si, è proprio il deserto! Da entrambi i lati della strada c’è soltanto un paesaggio piatto, fatto di sabbia. Poi, per un tratto, tornano le montagne basse, a momenti ricoperte di neve, a volte rocciose, con dei profili spigolosi e arrotondati che paiono figure umane. Attraversiamo una grossa città: Abarqu. Anche qui si vedono appese le fotografie dei martiri.

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Yazd, 15 marzo 2019, sera. La zona pedonale.

E’ quasi sera quando arriviamo a Yadz. Dal terminal, insieme alla coppia di australiani, raggiungo, in taxi, l’hotel. La donna, durante quest’ultimo percorso mi parla un po’ di sè. E’ un’infermiera professionale, divorziata, con due figli grandi e risposata da cinque con l’uomo che sta viaggiando insieme a lei. Anche il marito attuale è divorziato ed ha due figli grandi avuti pure lui da un primo matrimonio. Il marito, si occupa di ricerca agricola, nel campo della produzione di foraggi per animali. Lui non mi rivolgerà mai la parola. In taxi attraversiamo la città. Sembra molto grande, ma ha soltanto due milioni di abitanti, uno meno di Shiraz. L’atmosfera qui mi pare più semplice e raccolta rispetto alla vastità di Shiraz. La coppia australiana scende in un hotel distante dal mio: quando ci salutiamo lascio il mio recapito telefonico alla donna, ma chissà mai se la rivedrò.

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Yazd di sera. 15 marzo 2019.

Il mio hotel è situato dietro un parcheggio, in un antico stabile della città vecchia. Si entra scendendo dei gradini in mattone crudo e si arriva in un grande salone arredato con tavolini e panche-divano con appoggiati sopra degli splendidi tappeti. C’è della gente seduta qua e là: un gruppo di giovani sta giocando a scacchi, una ragazza tedesca sta leggendo per conto suo, un gruppo di portoghesi sta chiacchierando animatamente del tour che farà domani a Persepoli e Shiraz. La stanza con bagno è molto carina, confortevole e comoda.

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Vetrina con dello zucchero esposto.

Esco ad esplorare i dintorni: l’hotel sta proprio in centro, accanto alla moschea Jameh e vicino ad una grande e animata strada pedonale dalla quale si diramano i vicoletti che portano ai bazar e alle vecchie costruzioni di mattone crudo. Percorro un lungo tratto della via pedonale: in fondo, dalla parte opposta alla moschea azzurra c’è una torre a pianta quadrata, con un orologio in alto. E’ buio, ma la zona è ben illuminata: quasi tutti i negozi sono aperti e ci sono numerose bancarelle sui due lati di tutta la via. La strada è molto animata da gente che fa acquisti, che entra in moschea per pregare, che cena in piedi o seduta qua e là, sui bordi della strada.

Un gruppo di ragazzi sta suonando e cantando in mezzo alla via, nei pressi della moschea e un folto gruppo di gente li sta ascoltando.

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Banchetti serali nella zona chiusa al traffico.

Più su, nell’altra via, ci sono molte gelaterie e fast food affollati di gente seduta ai tavoli. Fa freddo, a momenti soffia un’aria gelida e i miei abiti sono troppo leggeri per questo clima. Prima di rientrare in hotel mi fermo a cenare, in piedi, sulla via, con una zuppa vegetale che una ragazza prende da un grosso pentolone e versa in scodelle di plastica.

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Costo: meno di 30 centesimi di euro. Dalla parte opposta ci sono due ragazzi in un banchetto attrezzato per cucinare. Qui prendo un miscuglio di mais, formaggio, patatine fritte e besciamella per 50 centesimi di euro. Rientro nel salone dell’hotel e mi scaldo bevendo un the bollente in compagnia del taxista che lavora qui.