Torno, anche oggi, verso la parte più animata della città. Là ci sono negozi, ristoranti, moschee, mercati, venditori ambulanti: la vita sociale ed economica, qui, si svolge, apparentemente, intorno a questi elementi. Un iraniano, però, più tardi mi racconterà che a Shiraz c’è parecchia gente araba che viene qui per farsi curare le malattie, con una minima spesa. Anche l’elevato numero di donne in burqa, lui le collega con queste presenze arabe.
Shiraz, 14 marzo 2019. La vendita del pane.
Domani mi sposto. Ho appena acquistato il biglietto per Yazd e partirò in tarda mattinata. Saranno circa 5-6 ore di viaggio, in pullman. L’agenzia di viaggi che sta qui vicino fa parte dello stesso gruppo di azionisti dell’hotel. L’agente mi indica anche il nome di dove andare a Yadz, un luogo che fa parte sempre della stessa organizzazione. Il prezzo di lassù s’aggira intorno agli 8,00 euro per notte, come qui. Camminando sopra pensiero, arrivo sulla via principale, non lontana da mercato Vakil. Davanti ad un’apertura che dà sulla via, c’è un assembramento di gente. E’ un panificio con il forno a vista.
La donna incontrata poco prima alla panetteria, ora seduta lungo la via.
I fornai stanno cuocendo e vendendo il pane, una specie di grande cracker morbido che appoggiano su una griglia ancora caldo e spezzano in parti più piccole per distribuirlo. Tutti i clienti hanno delle banconote in mano da 100.000 rial, circa 70 centesimi di euro. Una donna anziana ha un ticket in mano e un signore mi spiega che per alcune categorie di persone il prezzo del pane viene dimezzato. Ne vedrò altri di questi forni, aperti fino a tarda sera. Davanti a qualcuno mi fermo a guardare come lavorano e, tutti, mi offrono un pezzo del loro pane, nonostante il mio imbarazzo.
Al ristorante.
Sono circa le 10:00 del mattino e diversi ristoranti hanno esposto dei piatti con il cibo appoggiandolo all’esterno delle vetrine che danno sulla via principale. Entro a guardare la sala dove stanno pranzando numerose famiglie, già a quest’ora. Tra i piatti c’è: minestra di verdure con spaghetti o senza, e tante altre pietanze a base di carne.
Il palazzo Narajestan e la vista sul giardino.
Mi avvio verso il Ghavan centre, denominato più comunemente Naranjestan (giardino dei ciliegi), il complesso di costruzioni sorto negli anni che vanno dal 1879 al 1886. E’ costituito da una serie di edifici disposti intorno ad un giardino composto da una grande aiuola centrale con delle viole coltivate e disposte tutte allineate. Ci sono anche delle panchine e una fontana rettangolare nella parte più vicina al palazzo.
Sotto la loggia del palazzo Naranjestan
L’intera costruzione presenta le caratteristiche dell’architettura tradizionale iraniana del periodo Qujar. Il piano terra del palazzo principale è stato adibito a museo e contiene numerosi oggetti antichi: mappe, vasi, ciotole in terracotta, urne funerarie, bracciali, pendenti, collane e ciondoli in bronzo, piastrelle in ceramica e attrezzi in metallo.
All’esterno del palazzo Naranjestan,
Gli oggetti esposti sono stati costruiti in periodi che vanno dal III secolo a.C. al III-IV secolo a.H. Tra le varie esposizioni, ci sono dei negozi-laboratorio che riproducono, espongono e vendono le copie di molti oggetti esposti nel museo.
La zona della piccola moschea, all’interno del complesso.
Al piano rialzato e al primo piano del palazzo si aprono le stanze di quella che è stata la sede del Governo di Fars, durante il periodo Qajar. Alcune stanze sono state delle abitazioni e avevano un bagno privato. I locali si affacciano sul giardino interno attraverso ampie logge e finestre.
Particolare del soffitto in legno.
Alcune pareti sono state realizzate con dei vetri colorati simili a dei mosaici. Ovunque, c’è appesa una miriade di specchi e i soffitti sono rivestiti con tavole di legno dipinte con motivi floreali. Intorno al giardino si aprono dei negozi: una rivendita di tappeti lavorati a mano, delle botteghe di altri oggetti, una caffetteria e, in fondo, quasi nell’angolo, una piccola moschea. Torno nella zona dei bazar e della Moschea Vakil. Scendo attraverso una gradinata seguendo una scia di gente: è un ristorante affollatissimo. Un cameriere anziano è l’unico che parla un po’ d’inglese ed è genilissimo. Mi porta un pasto abbondantissimo composto da: riso lesso, pomodori arrostiti, delle verdure cotte e una bibita. Il costo s’aggira intorno ad un euro. Entro, poi, all’interno del bazar Vakil: è enorme, pieno di viuzze e di gente che vende e acquista.
Il momento della preghiera di due donne. nella piccola moschea del palazzo.
Guardo i bellissimi tappeti di lana pressata, i numerosi kilim, ma non posso portare altro peso nel mio zaino e rinuncio a comprarli.
Un saluto alla Moschea Vakil.
Verso sera faccio un ultimo giro nelle vie del centro e mi fermo a guardare dei bambini che in piedi su uno sgabello tengono della merce tra le mani e la illustrano ai passanti gridando. Sembrano proprio degli esperti piazzisti!
Al mercato Vakil.
Qua e là, ogni tanto, qualcuno mi chiede l’elemosina, ma sono veramente pochissimi i mendicanti qui a Shiraz.