Il mio viaggio 2014: la Cina visitata prima del mio viaggio in Mongolia.

Arrivo a Beijing, Pechino, la sera del 18 giugno 2014 e devo districarmi sin da subito nel complesso sistema dei trasporti pubblici che dall’aeroporto portano ad un grosso snodo ferroviario, dal quale partono tutti treni che vanno nelle varie direzioni. Elena, la ragazza che mi ospita, l’ho conosciuta attraverso Couch Surfing, l’organizzazione che si occupa di scambi di ospitalità; lei mi sta attendendo alla stazione metrò di Puhuangyu: la raggiungo con il treno della linea 5 che va a Sud della città. Elena è una ragazza di quasi trent’anni e lavora come promotrice di vendita in diversi centri commerciali. Il rapporto con lei è essenziale, come l’appartamentino dove abita: un monolocale con un materasso matrimoniale in terra da dividere con me.

Pechino, ronde di soldati in piazza Tian'anmen
Pechino, ronde di soldati in piazza Tian’anmen

Beijing è una città fantastica: la piazza Tia’ Anmén si apre come un immenso deserto lastricato. Qui, nel 1989 c’è stata una grande manifestazione che richiedeva una maggiore democrazia, ma è stata soffocata con la forza e centinaia di persone sono rimaste uccise. Tutta la zona è sorvegliata da truppe di poliziotti che marciano in fila, perfettamente allineati e si spostano in continuazione da una parte a l’altra della piazza. L’architettura degli edifici e dei monumenti richiama molto lo stile sovietico, mentre i palazzi intorno ricordano lo stile della Città Proibita, cioè del complesso imperiale più grande del mondo situato lì accanto, che visiterò nei giorni successivi. Non esistono panchine per sedersi nella piazza Tia’Anmén: i gruppi di turisti, per lo più cinesi, con i loro cappellini tutti uguali, si fermano soltanto a tratti per ascoltare le spiegazioni delle loro guide e per scattare qualche foto ricordo; poi se ne vanno via rapidamente.

Pechino, la città proibita
Pechino, la città proibita

A Beijing rimango da Elena per quattro notti: esco di casa la mattina presto e rientro alla sera, dopo aver cenato! Anche lei, in orari diversi, segue lo stesso ritmo per i suoi numerosi impegni di lavoro. Devo, assolutamente, districarmi da sola in questa enorme città! Un giorno intero lo dedico alla visita del bellissimo ed enorme Parco del Tempio del Cielo, l’altare dove l’imperatore, in quanto Figlio del Cielo, celebrava i riti propiziatori agli dei per chiedere loro la concessione di un buon raccolto. Il Parco del Tempio del Cielo si estende su un’area di 267 ettari delimitata da una cinta muraria in cui si aprono quattro porte in corrispondenza dei punti cardinali. All’interno ci sono sempre molti turisti, per lo più cinesi, che trascorrono lì, all’ombra di un lungo porticato, in tranquillità, diverso tempo: giocano a carte, parlano, suonano, cantano e consumano in armonia i loro picnik. Una mezza giornata la trascorro a camminare tra le vie animate dell’Hutong di Nanluogu Xiang, uno dei quartieri storici riqualificati più famosi di Pechino. Passeggio con curiosità tra i numerosi vicoletti ristrutturati di Nanluogu Xiang, nome che letteralmente tradotto significa Vicolo Sud del Gong e del Tamburo. Ogni stradina dell’Hutong si presenta come un brulicante insieme di alberghi a corte, negozietti alla moda, ristoranti, gelaterie, caffè con terrazze e wi-fi. Camminando ancora, scegliendo le strade meno frequentate che si aprono ai lati della via principale, osservo le diverse case a corte risalenti all’epoca Qing, la dinastia che conquistò Beijing nel 1664 e vi rimase fino alla Rivoluzione Xinhai del 1911. Arrivo alle Torri del Tamburo e della Campana, raggiungo la piazza che porta questi due nomi uniti e mi siedo sul selciato ad osservare la folla di turisti che passeggia intorno.

Pechino, il Tempio del cielo.
Pechino, il Tempio del cielo.

Una giornata la trascorro a visitare l’immensa Città proibita. Situata nel cuore di Beijing, ma ben isolata dal resto della città da un fossato che si estende per 52 metri in larghezza, è il complesso monumentale più importante e meglio conservato della Cina. Il nome Città proibita deriva dal divieto di accesso che era stato imposto alla gente comune per circa 500 anni. Oggi, questo sito, conosciuto come Città Proibita, viene indicato, pure, con il nome di Museo del Palazzo o semplicemente con la definizione di Palazzo Antico. In passato, chi accedeva al complesso senza essere invitato, veniva immediatamente giustiziato.

Cina, Hohhot, la Grande Moschea.
Cina, Hohhot, la Grande Moschea.

Da Beijing mi sposto a Hohhot, in treno. Arrivo in questa bella città del Nord, situata nella regione della Mongolia interna, una parte della Cina che un tempo apparteneva al Grande Impero di Mongolia, di buon mattino. All’uscita della stazione ferroviaria trovo ad attendermi il taxista della guesthouse con il mio nome scritto su un cartello. Arrivata là, faccio subito amicizia con un giovane scrittore americano e con un simpatico ragazzo svizzero ed insieme decidiamo di visitare la Grande Muraglia che si trova nei dintorni. L’emozione che si prova a camminare sopra queste vecchie mura è fortissima; dall’alto si vedono ancora le buche rimaste vuote dopo gli scavi serviti ad estrarre il materiale per la costruzione della grande struttura. Il paesaggio intorno è prevalentemente collinare con delle vaste distese di prati e qualche raro cespuglio.

Cina, la zona della Grande Muraglia nei dintorni di Hohhot.
Cina, la zona della Grande Muraglia nei dintorni di Hohhot.

Qua e là si scorge qualche casupola con dei cavalli legati all’esterno; più in là, si notano molti campi con dei filari di sorgo ancora piccolo, ma molto curato. Lungo i sentieri incontriamo degli asinelli che si avvicinano a noi fin troppo amichevolmente. Nei giorni successivi della mia permanenza ad Hohhot visito, a volte da sola a volte con i miei nuovi amici, il centro storico della città. Prendo una bici a noleggio e raggiungo il monastero Dà Zhào e poi la Pagoda Wutà con i suoi cinque piani, di chiara influenza indiana, ultimata soltanto nel 1732. Torno più volte intorno alla Grande Moschea, costruita in stile cinese: devo rimanere all’esterno in quanto alle donne è proibito entrare. In questa zona i musulmani sono molto numerosi. Proprio lì, un giorno assisto ad una discussione molto animata, esplosa all’uscita dalla preghiera serale: intervengono subito le forze dell’ordine che riescono a sedare gli attriti attraverso il dialogo. I poliziotti, però, non se ne vanno se non dopo l’ultimo musulmano. Sarà proprio qui, a Hohhot, in un ristorantino accanto alla guesthouse, che imparerò ad usare i bastoncini senza provocare i soliti infiniti schizzi. Una ragazza cinese, vedendomi alle prese con dei noodles lunghissimi che mi cadevano continuamente nel piatto, prenderà la mia mano tra le sue e mi insegnerà il movimento da fare con due dita: per afferrarli e trattenerli.

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