22 novembre 2015
Sono a Kochin, nel quartiere di Ernakulam. E’ domenica: riposo un’oretta all’albergo e poi mi dirigo verso il traghetto per Fortcochin. Il tratto di mare è popolato da numerose garzette bianche e da una moltitudine di piante grasse che galleggiano, insieme alle immondizie, tra le onde. Avvicinandoci a Fortcochin si nota una chiesa bianca e gialla e tante case e palazzetti vecchi e con i tetti a spiovente. Lì sul molo alcuni uomini e dei ragazzini stanno pescando nelle acque luride. Sulla riva ricompaiono le caprette che qui hanno dell’erba da brucare. Ce ne sono di bianche , bianche e nere, grigie, marrone e convivono tranquillamente insieme alle cornacchie della zona. Lungo la stradina che si snoda dopo il porticciolo si incrociano diverse donne velate. Più avanti stanno arrivando gruppi di uomini e donne vestiti a festa: stanno andando ad un matrimonio che si sta svolgendo laggiù, nel palazzetto musulmano. Lungo la strada mi fermo in diverse chiese cattoliche: in una stanno facendo un servizio fotografico ad una coppia di sposi. All’esterno, nel cortile accanto, è stato montato un tendone sotto il quale si svolgerà il pranzo di nozze. Qui, anche nelle chiese, vige l’usanza di togliersi le scarpe per entrare. Vado poi al Dutch Palace, un edificio costruito dai portoghesi nel XVI secolo e restaurato dagli olandesi nel 1663. Dei cartelloni alle pareti ricostruiscono la storia della città di Kochi: sei anni dopo la citazione del cinese Sai Lor la città viene menzionata da un viaggiatore italiano, Niccolò Da Conti (Niccolò Da Conti è stato un esploratore e mercante veneziano che viaggiò in India e nel Sud-Est asiatico all’inizio del XV secolo). Siamo nel 1440, ma lo Stato del Kerala risale al 1102. Il Palazzo contiene numerosi ritratti dei marajà succedutisi nei vari periodi della storia. Nelle stanze ci sono degli splendidi affreschi rappresentanti delle scene mitologiche, ma l’illuminazione dal basso non consente di ammirarli nella loro totale bellezza. Le esposizioni continuano con numerose portantine regali, dei manichini con addossi gli abiti reali, degli oggetti di bronzo come un misuratore per anelli, un contenitore per betel (preparato stimolante ricavato da piante locali tuttora molto in uso), pettini, forbici, oggetti in acciaio per il bagno e per contenere degli olii. Ora compaiono delle vecchie foto dove ci sono diverse donne di corte: una donna in sari con il marito vestito con pantaloni e giacca e in testa un turbante, una giovane principessa, un gruppo di donne reali in sari. Spicca un manichino con un abito bianco del tardo 18° secolo composto da due pezzi: una gonna e un top orlati da una striscia dorata. L’abito veniva indossato solo in particolari cerimonie. Nelle vetrinette laterali sono esposti i gioielli: collane, orecchini, bracciali rigidi. Alcune foto documentano l’uso di portare o non portare il top lasciando il seno scoperto. Lascio il palace e arrivo nella vecchia Cochin: visito il quartiere ebraico e la sinagoga che risale al 1568. I negozianti del quartiere mi dicono che ci sono moltissimi turisti occidentali, ma che non acquistano nulla. Nei dintorni della sinagoga non mancano le moschee ed i templi indù. Un guidatore di tuc-tuc mi informa che qui a Fortcochin i musulmani rappresentano il 10-20% della popolazione, i cattolici il 5%, gli induisti la percentuale più alta.
Torno verso il porticciolo e proseguo dalla parte opposta: arrivo ad un lungomare affollatissimo di turisti per lo più indiani. Donne, uomini e bambini passeggiano lungo il percorso cementato, altri sono già scesi sulla spiaggia e aspettano l’arrivo delle onde per tuffarsi e lasciarsi trasportare dalla loro spinta, altri scattano fotografie o effettuano riprese video. Sullo sfondo si distinguono le sagome delle navi e due grossi serbatoi di gas galleggianti. Tutte le donne hanno il velo sul capo, a volte nero a volte colorato. Mi siedo in un ristorantino sul lungo mare e chiacchiero a lungo con il proprietario, il cuoco ed un altro ragazzo che mi propone il nome di una Home stay. Sono tutti musulmani e Najeeb, il cuoco, laureato in sociologia, mi aggiorna sulla situazione del terrorismo in Francia ed in Mali dicendomi che l’Islam è una religione contraria alla violenza e che quanto è successo è manovrato dalla mafia internazionale che agisce per tutelare i suoi interessi economici e non solo.
23 novembre 2015
Questa mattina ho cambiato hotel: con i due zaini sulle spalle ho preso la barca per Fortcochin per stare qualche giorno là, in quella zona così animata anche se un po’ troppo turistica che ho visitato ieri. Alla partenza del traghetto da Ernaculam incontro un viaggiatore inglese, Richard, di Londra. Ha 47 anni, fa l’autista di corriere e sta viaggiando da settembre. Prendiamo il tuc-tuc assieme per cercare una home stay anche se io mi sento impegnata con i ragazzi musulmani incontrati ieri. Richard mi convince a restare con lui per dividere le spese, ma per quanto riguarda la camera preferisco averla separata. Nella mattinata mi adeguo alla scelta di un giro in tuc-tuc per Fortcochin: due soste per visitare i negozi che conosce il conducente, una fermata alla St. San Francis Church costruita nel 1503 che rimane la chiesa europea più antica in India. All’interno si trova la tomba di un viaggiatore portoghese, Vasco da Gama, morto nel 1524 a Kochi, ma i suoi resti sono stati portati a Lisbona. Intorno alla basilica spiccano diverse scuole cattoliche. Più tardi, ripassando di lì, incrociamo diverse bambine in bicicletta e a piedi, vestite di azzurro e bianco e con il velo sul capo. Sono musulmane, ma frequentano una delle scuole cattoliche locali.
Koki, Fortcochin. L’antico sistema di azionamento delle rete nelle barche da pesca cinesi.
Un altro stop sul molo dove stanno le antiche reti usate dai pescatori cinesi dal 1350 al 1450. Le reti, ancora oggi in uso, vengono manovrate con un sistema di pesi e contrappesi bilanciati con delle grosse pietre legate con delle corde ai pali.
Qualche cornacchia va ad appoggiarsi tranquilla lassù in alto, se ne sta un bel po’ a guardare e poi vola via per venire a posarsi qui accanto. Un’altra sosta in auto risciò più giù, dove c’è la spiaggia oggi quasi deserta: c’è solo qualche pescatore che entra in acqua vestito a gettare le reti. Cosa ci sarà da vedere ancora? Il cimitero olandese, ci dice il driver, consacrato nel 1724, che contiene delle vecchie tombe dei conquistatori europei morti qui a causa della malaria.
Ci fermiamo per una chiacchierata in un’agenzia di viaggi per ascoltare le proposte turistiche della zona, facciamo un salto al Greenix Ventures per acquistare i biglietti dello show di stasera e concludiamo il giro in tuc-tuc.
Lo spettacolo della sera è bellissimo e consiste in un insieme di canti, musiche e danze tradizionali del Kerala: il Kathakali Show.
Quando usciamo, riusciamo a malapena a tornare in hotel poco prima di un gran diluvio. Trascorro una notte tormentata dalle feroci, infinite zanzare entrate dalla porta della camera che ho tenuto aperta con la luce accesa fino a tardi.
24 novembre 2015
Ho aderito all’iniziativa proposta da Richard di andare ad un’escursione in barca nei villaggi sul fiume Moovatt Upuzhr, una zona che dista 30 km da Fortcochin.
Kochi, dintorni. Villaggi e vita quotidiana sul fiume Moovattupuzhr.
L’escursione è rivolta ai turisti occidentali che sono numerosi. Sulla mia barca ci sono: delle ragazze spagnole, un israeliano, due ragazzi neozelandesi, una giovane coppia di Monaco, delle coppie inglesi, un anziano bosniaco.
Dall’albergo arriviamo al barcone dopo un’ora di auto. In questa zona sia sulle auto, sia nei negozi e negli hotel espongono le immagini riferite alla religione cattolica in modo quasi simile agli induisti. Il lungo percorso in auto ci mostra una zona fatta di case, scuole e chiese quasi anonimi. Qualche palma si erge insieme a degli alberi che paiono acacie. Per la strada camminano gruppi di bambine con la divisa a quadretti, a volte sul bleu, a volte sul rosso, ma anche verdi o tutte bianche. I maschietti indossano pantaloni e camicia azzurra o bianca su pantaloni blu o grigi.
Arriviamo in auto al villaggio di Kottayam e in barca raggiungiamo un laboratorio dove frantumano le conchiglie mescolandole con carbone e cuocendo poi il tutto ad alta temperatura. Il prodotto finale viene trasportato in sacchi e utilizzato in medicina, in agricoltura, nella carta stampata per quotidiani e nell’industria dell’abbigliamento. Il secondo laboratorio che visitiamo sta in un altro villaggio e produce cordami torcendo in modo quasi manuale la paglia ricavata dal cocco. Questo prodotto viene utilizzato anche nella fabbrica di calzature. Percorrendo il fiume Moovattupuzhr a momenti si odono delle voci di donne che rimangono nascoste dalla vegetazione; i loro discorsi si mescolano al canto di mezzogiorno del muezzin. Lungo il percorso incrociamo qualche barca a motore, qualche altro battello di bambù carico di turisti come il nostro, alcune case con i bucati stesi e le auto parcheggiate accanto. La guida ci racconta che fino a 30 anni fa non c’erano strade e le famiglie raggiungevano le abitazioni soltanto con le barche che venivano lasciate nel canale. Ora non ci sono più le barche che sono state sostituite dai parcheggi di auto sulla terra ferma. Anche le famiglie fino a una trentina di anni fa erano molto numerose in quanto tutti i discendenti rimanevano nella stessa casa ad abitare. Ora rimangono soltanto le famiglie dei figli maschi.