Bundi è una cittadina molto movimentata e suggestiva con delle stradine molto strette e diversi templi e tante case dipinte di azzurro. Ci fermiamo in una guest house a gestione familiare: una coppia sui 40 anni, un bambino di sette anni, una figlia di sedici anni, molto studiosa, che desidera diventare medico. Le condizioni economiche della famiglia sono modeste: il marito fa piccoli lavoretti in una radio-tv locale, ma per diversi anni ha prestato servizio nella polizia di Stato a Jansalmer. La guest house ha solo due camere che occupiamo Alkesh ed io. Questa è anche la casa dove abitavano i genitori del marito: ora è rimasta soltanto la madre che gironzola pigramente per casa, ma vive ritirata in una camera con tv, pur avendo soltanto 64 anni. Pur non disponendo di grandi risorse i due figli della coppia frequentano entrambi una scuola privata, molto costosa. Ci dicono che è stata una scelta obbligata in quanto, anche secondo loro, la scuola pubblica in generale, in India, non è di buona qualità.
In questo luogo di favola, tra queste splendide colline, soggiornò lo scrittore Rudyard Kipling. Abitò in un piccolo palazzo, nel Sukh Mahal, poco distante da Bundi, dove scrisse una parte del suo celebre romanzo Kim.
Bundi, vista panoramica dal Bundi Palace.
Dopo una ripida salita sulla collina della cittadina, andiamo a visitare il Taragarh, un insieme di abitazioni e templi costruito nel 1354 dal quale si può ammirare un panorama splendido su tutta la zona. Il palazzo interno, il Bundi Palace è un bellissimo edificio mal conservato che contiene numerosi affreschi, molto trascurati pure loro. Poco più in alto, sulla collina stessa, c’è il Chhatra Mahal, eretto nel 1644, che possiede numerosi e splendidi affreschi con alcune immagini di Krishna rappresentato nei diversi mesi dell’anno. Nella parte situata ancora più su, di fronte ad un cortile c’è il Chitrasala, una serie di stanze e colonne costruite nel XVIII secolo da Rao Umed Singh.
Bundi, dipinto all’interno del Bundi Palace.
Qui si possono ammirare diverse stanze decorate con splendidi dipinti tra i quali una fantastica danza in cerchio composta da sole donne. Dalla parte del cortile il panorama sulle case bleu e sulle colline è incantevole.
Bundi, rappresentazione murale di danza.
Scendiamo più a valle e dopo una lunga camminata tra le vie Rniji-Baori e Nagar Sagar Kund ci fermiamo ad osservare le botteghe dei fabbri, degli orafi, dei falegnami e dei sarti. Raggiungiamo poi il mercato Sabzi, la zona delle bancarelle delle verdure che sta appena fuori le mura, a sud della città e pranziamo lì, in una bancarella. Riprendiamo il cammino e torniamo verso nord dove sta la zona del grande mercato: qui trascorriamo molto tempo fermandoci ad osservare i numerosi negozietti e le bancarelle disposte lungo le stradine ed i piazzali.
Bundi, mercato. Motociclette con contenitori per il trasporto del latte.
11 marzo 2015
Oggi grande tour in motorisciò, nei dintorni di Bundi. Raggiungiamo Rameshwar e saliamo la gradinata che porta al Main Temple dedicato a Shiva e prosegue poi verso la cascata sacra. Il tempio è formato da una grotta con delle stratificazioni calcaree sovrapposte verticalmente. La cascata ha una forma circolare, anzi, cilindrica con un’ampia apertura che pare accogliere e racchiudere all’interno le persone. C’è molta energia qui, tra la natura composta dall’elemento terra, dall’acqua, dalla vegetazione e dagli animali che ci abitano. Ora la cascata è quasi asciutta ed è in attesa del monsone che l’alimenterà abbondantemente. Ci sono alcuni pellegrini che fanno il bagno e pregano nella pozza formata dalla cascata; ogni tanto dall’alto cade qualche sasso, spostato dai movimenti delle scimmie che si arrampicano e saltano con familiarità senza intimorirsi per la presenza delle persone. A momenti e quasi all’improvviso partono stormi di uccelli che escono dai buchi della roccia per andare velocemente verso il cielo aperto. Restiamo per un po’ incantati da questa atmosfera magica e poi torniamo verso il villaggio.
Bundi, dintorni. Bagno e preghiera alla cascata di Rameshwar.
Accanto ad un tempietto, più sotto c’è una tettoia in legno e paglia e un guru seduto immobile, nella stessa posizione che aveva quando siamo arrivati. Ci avviciniamo e ci accorgiamo che è cieco: lo è diventato 25 anni fa. Vive qui a Rameshwar, nell’ashram che sta lì accanto, insieme ad altre quattro persone. Parla in indi, tastando continuamente dei petali di rosa e ogni tanto Alkesh mi traduce quello che ci racconta.
Bundi, dintorni. Sadhu cieco vicino all’ashram in cui vive, nel villaggio di Rameshwar.
C’è un canto, un mantra, continuo che proviene dal tempio: è il Ramayan, una lettura cantata di salmi che dura 12 ore, con un’alternanza delle persone impegnate nella preghiera ogni 2 ore. Dopo questo villaggio raggiungiamo Akoda dove visitiamo dei laboratori di vasi in terracotta che qui utilizzano come contenitori per l’acqua filtrata.
Bundi, villaggio di Akoda. Il cortile di un laboratorio di contenitori per l’acqua, in terracotta.
Ci spostiamo poi a Thikarda dove visitiamo un palazzo appartenuto al maragià e ora abitato da una famiglia di agricoltori. Torniamo a Bundi e ci fermiamo al ristorantino del mercato delle verdure per il pranzo e rientriamo in guest house. Ci lasciamo con l’accordo di ritrovarci qui per la cena.
Dopo un giro tra le bancarelle del mercato principale rientro in guest house per leggere e scrivere un po’. Mi distendo sul letto lasciando la porta aperta: dopo qualche tempo arriva la proprietaria per chiedermi di pagare il conto, dal momento che partirò domani. Mi chiede la penna e un foglio di carta e fa il conto: noto che per una delle cene il prezzo è aumentato da 100 rupie a 150, senza che me lo avesse comunicato prima. Pago in anticipo la cena che verrà più tardi e anche il the dell’indomani; non ho i soldi esatti e le dico che il resto di 400 rupie me lo potrà dare in seguito. La cena è composta da un chapati imburrato, yoghurt con riso, frutta tagliata a pezzettini con verdura. Alla fine il marito porta un avocado intero, ma sia Alkesh che io siamo sazi e accettiamo la proposta di mangiarlo a colazione, l’indomani. Al mattino la signora porta un piattino con una parte di avocado tagliata a pezzettini: ne assaggio due. Quando poi, mi darà il resto tratterrà 100 rupie: alla mia perplessità tornerà in cucina a prenderne altre 50. Chiedo se è per la colazione, mi risponde di sì! Per noi europei si tratta di poca cosa, le 100 rupie in più per noi equivalgono a meno di due euro, ma il comportamento della signora non m’è piaciuto. E mi ci è voluta almeno un’ora per smaltire la delusione provata.
Bundi, dintorni. Laboratorio di pentoloni in acciaio.
Arrivo a Puskar, da sola, nel tardo pomeriggio. E’ una cittadina molto vivace e pulita, ma estremamente turistica. Si sviluppa attorno ai ghat che danno sul lago, un luogo sacro frequentato da pellegrini che vengono a fare il bagno e a celebrare i rituali affidando i petali di rosa e garofani alle acque consacrate del bacino. Pushkar è una città molto frequentata anche dai turisti occidentali che s’incontrano numerosi a passeggio sulla Via Sacra e nei tantissimi negozi e ristoranti che si aprono tutto intorno. Visito il Brahma Temple, affollatissimo di pellegrini, in particolare uomini. C’è sempre un sacerdote che attende i fedeli, recita delle preghiere e auspica gli venga data un’offerta. Anche nei sotterranei ci sono dei sacerdoti che ti fanno sedere e ti disegnano un punto rosso sulla fronte, in cambio di un’offerta in denaro. Sui ghat ci sono dei ragazzi e degli uomini in camicia bianca e pantaloni anch’essi bianchi o semplicemente neri. Sono pronti a catturarti per darti un fiore e recitarti una preghiera. Ieri e stamattina sono riuscita a svicolare, ma questo pomeriggio mi si è avvicinato un giovane e non mi ha dato tregua fino a che non ho accettato un fiore e un mantra in cambio di una obbligata offerta, naturalmente!
Pushkar, lago sacro. Celebrazioni di puja per pellegrini.
Nel pomeriggio lungo le vie del centro c’è stato un lunghissimo corteo di uomini e donne, alcuni a cavallo, altri seduti sopra dei cammelli. Si trattava di un raduno nazionale di induisti sostenitori di un guru importante, scomparso nel 1986: Maharshi Mehi Paramhans Ji Maharai. Circa 5000 persone provenienti da ogni parte dell’India, composte da uomini con coloratissimi turbanti, in abito tradizionale o anche con miseri vestiti all’occidentale, donne coloratissime, di ogni età, a volte con i bambini in braccio o per mano, sadhu vestiti di giallo o arancione: tutti hanno sfilato al ritmo dei tamburi per la città per ricordare il loro guru.
Pushkar, corteo di un raduno nazionale di pellegrini indù sostenitori del guru Maharshi.
14 marzo
Oggi passeggio attraverso il percorso inverso della camminata spirituale intorno al lago sacro, ma ad un certo punto, improvvisamente arriva una tempesta di ghiaccio e poi un temporale che non finisce mai. Le strade si sono inondate in un attimo e i negozianti hanno ritirato rapidamente le loro merci sotto le linde e all’interno delle botteghe. Oggi è sabato e la cittadina è affollata di pellegrini che camminano sotto la pioggia, a volte scalzi, a volte con il capo riparato da uno scialle. La temperatura si è notevolmente abbassata e, devo dire, meno male che mi sono portata alcuni capi abbastanza pesanti. Verso sera, in un momento senza pioggia, incontro una processione partita dal Rama Valkunth Temple per portare in corteo un baldacchino con la statua del dio su dei cavalli addobbati con allegre stoffe Il corteo è illuminato da lampade grandi come se fossero al neon portate da donne; ci sono degli uomini col volto dipinto e il tutto è rallegrato da un gruppo di suonatori con trombe e tamburi. E’ il festival del Rama Valkunth Temple e le processioni si terranno tutte le sere, per dieci giorni. L’atmosfera che creano questi cortei è davvero magica!
Pushkar, processione serale per il Festival del Rama Valkunth Temple. Ogni sera per 10 giorni.
15 marzo
E’ domenica e mi azzardo a camminare per dei vicoletti sconosciuti. Incrocio diverse guest house affollatissime e ornate da distese di coloratissimi abiti appesi alle reti di protezione dei balconi: mi dicono che sono alloggi riservati esclusivamente ai pellegrini indiani. Camminando, incrocio moltissime persone che vanno nella stessa direzione. Le seguo e arrivo ad un enorme tendone arancione e rosso con accanto delle tende e con il terreno ricoperto da una moquette, anch’essa di colore rosso. E’ lo stesso meeting induista in onore del guru che avevo incontrato in un corteo, due giorni fa.
Pushkar, aspetti del convegno indù durante l’intervento del giovane guru Swami, seguace di Maharishi.
Circa 5000 persone si sono accampate sotto il tendone e attendono il discorso del seguace del vecchio guru scomparso: Swami Vyasanand Ji Maharaj. L’iniziativa ha la durata di 6 giorni durante i quali i pellegrini pregano, dormono e pranzano nel campo. L’organizzazione è efficientissima. Sul palco ci sono i cantori da una parte e i sadhu dall’altra: tutti uomini. Arriva anche l’atteso guru con una corte di uomini. Parlerà a lungo, dopo una serie di preghiere recitate dai cantori. I pellegrini sono collocati in modo diverso: quelli che mangiano e dormono lì stanno in una zona separata da una transenna in quanto, mi riferiscono, “sono sporchi”, mentre quelli “puliti” si siedono nel sotto palco, in una zona privilegiata. Tutti i pellegrini sono rigorosamente disposti su due grandi file: da una parte ci sono solo uomini, dall’altra solo donne. All’esterno, sulla strada, per l’occasione, sono arrivate numerose bancarelle con cibi, bigiotterie, pentole e scolapasta che bucano lì, sul posto. Ci sono anche dei sadhu che vendono dei tessuti con qualche difetto, ma a buon prezzo.
Pushkar, mercatino all’ingresso di un meeting nazionale indù.
16 marzo
Girando per le stradine, in direzioni diverse, quasi per caso, ritrovo il tendone del meeting induista: si concluderà questa sera. Che peccato! Intorno all’accampamento ci sono ancora le numerose bancarelle di ieri e sul retro della struttura sono ancora allestiti diversi piccoli habitat con dei teli che sembrano delle tende canadesi e con una serie di pentole, fornelli e tavoli per preparare e consumare i pasti. Oltre questo accampamento ci sono i cammelli con i carri pronti per trasportare i turisti in trekking di lunga durata nel deserto. In questa zona ci sono dei venditori di erba per le mucche che i pellegrini acquistano per darla da mangiare a questi animali che considerano sacri. Tornata in città rimango molto tempo seduta ai ghat del lago, spostandomi, dopo un po’, da uno all’altro. A momenti leggo, ma in genere osservo le modalità con cui i ragazzi e gli uomini abbordano i turisti per celebrare la puja e obbligarli a dare loro un’offerta. Donano dapprima un fiore o dei petali, poi li accompagnano e si siedono accanto a loro vicino all’acqua del lago, quindi, recitano dei mantra portando più volte l’acqua nelle mani del cliente abbordato. Sono molti i turisti occidentali, in particolare le giovani coppie, che accettano più o meno forzatamente questi rituali a pagamento. Oggi non ho voluto prendere il fiore che diversi uomini mi offrivano sui ghat del lago, ma uno di loro mi ha bloccata mentre, assorta nei miei pensieri, salivo la scalinata. Rapidissimo, mi ha colorato il punto rosso sulla fronte, ma poi, ha imprecato a lungo quando mi sono rifiutata di dargli dei soldi.
Pushkar, aspetti di un ghat con i petali dei rituali che galleggiano sull’acqua e di donne accanto al tempietto.
Dopo aver cenato con il thali in un ristorantino tradizionale e molto semplice, mi sono fermata nel cortiletto della guest house. Più tardi mi si è avvicinata una signora francese della mia stessa età. Al suo paese, ha un negozio dove rivende gli oggetti d’argento e antichi che acquista durante i mesi in cui viaggia in India. Quando non c’è, il suo negozietto francese rimane chiuso.
Pushkar, il Rama Vaikunt Temple dove gli stranieri non possono entrare.
17 marzo
Giornata tranquilla dedicata a passeggiare lungo la strada principale, all’acquisto di qualche gingillo, alla lettura del mio e-book, allo spostamento tra i ghat. Oggi ci sono diverse celebrazioni di puja qui sui ghat, ed anche degli scrivani di lettere attorniati da folti gruppi familiari che spiegavano loro i concetti da trasformare in frasi scritte. Dopo cena mi siedo sul banco di un negozio chiuso a sbucciare e mangiare arachidi. Una coppia di anziani tunisini, molto simpatici, si ferma a scambiare due chiacchiere. Stanno facendo una breve sosta a Pushkar: sono in viaggio con un taxi da Delhi a Jaipur e poi andranno a Varanasi. Non si sono fidati a spostarsi per conto loro qui in India e, arrivati a Delhi, si sono lasciati catturare da una delle numerosissime agenzie che invadono la città. Subito dopo si ferma una signora svizzera: era un’infermiera psichiatrica al suo Paese, ma si è licenziata in quanto non reggeva più quel tipo di lavoro. Ha 57 anni e dovrà inventarsi un lavoro per gli otto anni che le mancano per raggiungere l’età della pensione. Sta pensando di aprire un negozio in Svizzera per rivendere gli oggetti d’argento indiani, ma potrà, inoltre, tenere delle lezioni di yoga dal momento che pratica da anni questi esercizi. La rivedo l’indomani per una visita all’hotel dove sta e per chiacchierare ancora insieme. L’hotel è un vecchio palazzo del marajà ora diventato di proprietà del governo. Forse risale agli inizi del ‘900 ed ha ampi spazi aperti con un bellissimo panorama che dà sul lago di Pushkar. In un cortile interno ci sono i resti di un altare ed è un luogo molto carico di energia. Qui, a volte, Ursula, la signora svizzera, pratica lo yoga, ma sceglie anche altri spazi compreso il terrazzo che si apre dalla sua camera. Parliamo in inglese, ma conosce qualche frase d’italiano in quanto è stata la compagna di un uomo di Lecce per 13 anni. Ursula ha figlio, un giovane di 28 anni. Il padre se n’è andato quando lui aveva pochi mesi. Chiacchierando con intervalli di lunghi silenzi, ci beviamo il cjai su uno dei terrazzi che guardano verso il lago. Osserviamo dall’alto le varie fasi delle puja riservate ai turisti, siamo d’accordo nel disapprovare il metodo con cui vengono effettuati gli approcci e le contrattazioni per ricavare soldi dalle preghiere molto spesso imposte.
Pushkar, cammelli in attesa di turisti per il trekking.
Sono in partenza da Pushkar: quando torno alla mia guest house scopro che avrei dovuto lasciare la camera 6 ore prima e mi chiedono di pagare un’altra notte per la mia disattenzione. In effetti, avevo capito che non c’erano problemi, che avrei potuto lasciare i miei bagagli fino alle 16.00, ma in uno sgabuzzino e non nella mia camera. In pratica, avevo frainteso: avrei dovuto lasciare la stanza libera alle 10.00 e riporre gli zaini alla reception. Vabbeh, raggiungo la stazione degli autobus a piedi: a due passi dall’arrivo si ferma un ragazzino in moto risciò e mi dice che la stazione è lontanissima e mi ci avrebbe portata per 30 rupie. Non gli ho dò retta: in effetti la stazione è proprio lì, dietro l’angolo. Attendo nella sala d’aspetto della ditta e quando arriva il pullman un ragazzino mi accompagna alla corriera.
Pushkar, pellegrina al ghat.
Un signore sale con me e spinge sotto gli sleeping bed il mio zaino. Per questo servizio vuole 20 rupje che non ho. Ne ho 500, ma lui non ha il cambio; comunque lo rassicuro che era tutto compreso nel biglietto e lui se ne va. Il viaggio fino a Haridwar è faticoso: il mio posto-letto è in alto, dondola e sussulta ad ogni curva e ad ogni buca della strada: il mio stomaco sta malissimo e Haridwar sembra non arrivare mai. Quando finalmente la corriera si ferma non trovo più i miei preziosi sandali. Li cerco per un po’ insieme agli autisti, ma sono veramente spariti. Pazienza: tolgo dallo zaino le vecchie scarpe da ginnastica Prada, rattoppate dal calzolaio di Varanasi e mi aggrego ad un gruppo composto da due amiche cinesi, una israeliana, un ragazzo inglese e parto con loro, in motorisciò, per la vicina Rishikes. Giro un po’ per trovare una stanza ad un prezzo ragionevole. Ce ne sono di costose, discrete, e di più economiche, ma orribili. Trovo qualcosa di accettabile per me: non è il massimo, ma è in centro a Lakshman Jhula, uno dei due villaggi più importanti di Rishikesh ed ha internet che funziona abbastanza!
Rishikesh, il ponte sospeso di Lakshman Jhula visto dal tempio di 13 piani.
20 marzo 2015
Oggi m’incammino verso la parte denominata Swarg Ashram, quella che racchiude la maggior parte degli ashram e delle scuole di yoga. Dista circa due chilometri da Lakshman Jhula, dove abito, e dove c’è il raggruppamento delle guest house e degli hotel. In entrambi i nuclei ci sono un’infinità di templi, ristorantini e negozi. All’estremità del villaggio di Swarg Ashram si vedono numerosi sadhu: molti di loro passeggiano oppure se ne stanno seduti a gambe incrociate, in solitudine. Molti dormono in strada, altri abitano in casupole ricoperte di lamiera e plastica, oppure in grotte sulle rive del fiume sacro. In un gruppo di casupole, uno studente della scuola per sadhu di Rishikesh mi racconta che lì ci vivono 18 guru che qui chiamano baba. Tra le casette fai da te dei sadhu non mancano delle abitazioni un po’ più grandi, costruite con la stessa tecnica e abitate da diverse famiglie. Tra i ripari arrangiati, da un recinto mi vengono incontro, abbaiando, numerosi cani di razza, ben curati. Subito dopo, dall’interno della recinzione sbuca una distinta signora europea: mi racconta che abita lì da molto tempo, che i suoi genitori sono tedeschi, ma lei è nata in Spagna dove ora risiede la sua figlia ventiquattrenne. La signora ha sposato un indiano di Rishikesh e vivono insieme lì, in questa baracca sulle rive del Gange. Tornando verso il mio hotel, attraverso il ponte di Ram Jhula e raggiungo Rishikesh Town dove trovo la stazione delle corriere e dei taxi. Guardo le destinazioni degli autobus che partono da Rishikesh e vanno a: Manali, Delhi, Pushkar, Jaipur, Haridwar, Agra e qualche altra destinazione, ma il problema di dove andare dopo questa cittadina me lo porrò nei prossimi giorni.
Rishikesh, il ponte di Ram Jhula, a Swarg Ashram.
I villaggi di Swarg Ashram e Rishikesh Town sono molto simili a Lakshman Jhula e alla parte abitata che sta al di là del fiume, quella denominata Hight Bank. Ci sono perfino due ponti sospesi e traballanti, rigorosamente uguali, che congiungono i due più importanti nuclei abitati di Lakshman Jhula e Swarg Ashram con la parte che sta dall’altra parte del fiume. Lungo la spiaggia che si ammira anche dal ponte Ram Jhula ci sono altre abitazioni essenziali di sadhu: in una di queste ci abitano in otto. A Swarg Ashram arrivano molti pellegrini per visitare il tempio dedicato a Shiva, e anche qui, come negli altri fiumi e laghi sacri, molti si bagnano nell’acqua sacra e recitano la puja, ma in modo molto tranquillo e riservato. Rientrando, mi fermo a visitare il Parmath Niketan Ashram: me lo aveva indicato Alina, la ragazza che stava con mio figlio a Varanasi. Dovrò tornare domani per avere le informazioni che mi servono: oggi, il mio top troppo scollato non mi ha permesso di accedervi. Ritorno in hotel con la cena fai da te: arachidi, banane, mandarini, un dolce al latte, un buon ginger preparato con il mio fornellino elettrico.
Rishikesh, villaggio di Swarg Hashram. Cottura del pane di mais.
21 marzo
Ritorno a Swarg Ashram e al Parmarth Niketan Ashram mi dicono che non c’è posto fino ad aprile. Dovrei aspettare 10 giorni per accedervi! Proseguo il cammino e torno all’estremità del villaggio, dove ci sono le abitazioni spontanee dei sadhu. Giro un po’ lì intorno e finalmente individuo l’ashram Maharishi, dove nel 1968 hanno soggiornato i Beatles per due mesi, il tempo per comporre diverse canzoni del loro White Album. La struttura è ormai abbandonata ed è vietato accedervi. Solo pagando 100 rupie a degli individui che stanno all’interno del cancello incatenato, si può visitare il parco. L’edificio, ormai in disuso e mal ridotto è visibile dal parco esterno, dove stanno le diverse capanne abitate dai sadhu.
Rishikesh, il ponte Lakshman Jhula al tramonto.
Camminando verso ovest e seguendo il fiume scopro una grotta adibita ad abitazione e un po’ più su, salendo dei gradini trovo una bella capanna con una vasta tettoia. Mi distendo su un tavolone, sotto la tettoia e assaporo l’energia intensa che racchiude questo posto. Dopo un po’ di tempo, dall’abitazione esce un ragazzo vestito di giallo, un giovane sadhu, con un secchio di alluminio e va a lavarsi sotto, nel Gange. Molti dei numerosissimi sadhu che incontro sono cordiali, ma altri sono molto scostanti. Diversi chiedono con insistenza l’elemosina, mentre altri sono molto colti e dignitosi. Sono sempre più convinta che tra gli uomini arancione ci siano diversi poveracci e, molti di loro privi di una preparazione spirituale. Anche qui, come mi è già capitato in altre parti del mondo, si siede accanto a me un giovane uomo per offrirsi di venire nella mia stanza. In questo caso si tratta di un ragazzo vestito di arancione, degli stessi abiti che usano i sadhu. Torno indietro verso il centro abitato e mi siedo su una delle numerose panchine che stanno sulla strada che fiancheggia il fiume. Leggo una parte di Bijou, di Patrice Modiano e meno male che mi piace questo libro. Ho appena terminato Libertà di Franzen e non era proprio di mio gusto. E’ l’ora del tramonto e tra l’altro è sabato: i templi sono affollati di turisti e pellegrini. In spiaggia, a nord del ponte Ram Jhula, ci sono parecchie persone che giocano, fanno il bagno, nuotano, ridono e si divertono. Non c’è traccia della religiosità degli altri luoghi sacri e forse le puya sono concentrate solo nei ghat, ma sono poche.
Rishikesh, tramonto sul Gange a Swarg Ashram.
22 marzo
Chiedo delle informazioni nel mio hotel, che è anche un’agenzia di viaggi, sui trekking che organizzano, ma sono molto costosi e preferisco organizzarmi per conto mio. Qui, a Rishikesh, il business si svolge intorno allo yoga, agli ashram, al rafting, al trekking, ma anche sulla vendita dei biglietti degli autobus e del treno. Decido di andare da sola alla cascata di Patna. All’imbocco della stradina incontro un ragazzo che mi accompagna alla cascata e poi, insieme a lui raggiungo il villaggio e la casa dove abita. Lui, Sonu, ha 25 anni ed è sposato con una donna di 24, ha un figlio di tre anni e una bimba di un anno. E’ molto infelice: il suo matrimonio è stato deciso dalle famiglie.
Rishikesh, villaggio di Patna. Cernita del grano.
Vive al villaggio, a suo dire coltiva un grande orto, che non mi mostra, e va a vendere i prodotti a Rishikesh trasportandoli con l’asino. Aiuta anche la madre nella piccola tea stall che sta all’incrocio tra la strada principale e il sentiero che porta alla cascata prima e al villaggio poi. Il suo desiderio è quello di avere un’altra moglie, ma lo potrebbe fare solo se l’attuale fosse d’accordo, ma non lo è. Lui, riguardo al matrimonio indiano mi dice che è soltanto un atto religioso senza alcuna procedura giuridica, ma vige la consuetudine di avere solo una moglie e un solo marito. Sonu desidera immensamente comunicarmi la sua inquietudine per chiarire a se stesso la propria situazione esistenziale. Mi dice che forse, fra un anno potrebbe avere un lavoro a Delhi in un’azienda di distribuzione, con un salario di 8.000 rupie al mese, poco più di 100 euro. Dovrebbe pagare, però, un affitto per la stanza ed il viaggio per tornare ogni settimana in famiglia. Gli piace anche il lavoro della tea stall che è di proprietà del governo ed è gestito da sua madre, una donna minuscola di 67 anni, quasi cieca e senza denti, che sembra molto più anziana della sua età. Lei, ogni giorno scende all’alba dal villaggio di montagna e impiega mezz’ora di cammino. Rientra a notte inoltrata e dorme su una rete di rami intrecciati posta nel soggiorno dell’abitazione. In quella casa abita la famiglia di Sonu, un anziano zio con la sua quarta moglie e un altro zio. L’anziano zio, rimasto vedovo per ben tre volte, ha 98 anni e dispone di una sua camera che divide con la moglie attuale, ormai ottantenne. Nell’altra camera dorme Sonu con la moglie e i due bambini. La madre e l’altro zio dormono in quello che io definisco un soggiorno, sulle reti che durante il giorno vengono usate per sedersi. La moglie di Sonu è strabica, ha i denti sporchissimi e veste in modo tradizionale, ma trasandato: non è mai andata a scuola e non sa nè leggere nè scrivere. Ci serve del cibo costituito da una pastella di riso riscaldata, dei pinoli, dell’acqua filtrata e un cjai. Non rimane in nostra compagnia: preferisce stare con l’anziana zia, a curare il grano, sullo spiazzo di cemento esterno. Il bambino di tre anni ha avuto un gran febbrone il giorno prima, ma ora sta meglio. Entrambi i bambini sono sporchi e non curati. E’ domenica, non c’è scuola naturalmente e ci sono molte ragazzine che girano per casa e tengono in braccio a turno la bambina piccola. Tutte frequentano la scuola pubblica del villaggio che pur essendo di qualità scadente funziona fino all’ottava classe. Anche Sonu ha seguito quel percorso ed ha frequentato fino all’ultima classe di questa scuola. Le altre classi, quelle che arrivano fino alla dodicesima sono a Rishikesh e pochi se lo possono concedere. Pago il pranzo anche se Sonu non vorrebbe e mi riaccompagna fino alla tea stall della madre: lui desidera andare là!
Rishikesh, villaggio di Padna. La raccolta delle sementi.
Lungo la strada del ritorno spezza un rametto da un albero e lo usa a lungo, come fosse uno spazzolino, per pulirsi i denti. Si ferma, poi, a tagliare delle schegge da un tronco con una scure che tiene nascosta dietro un albero. Mette le schegge in un sacco di plastica, anche quello preso da un nascondiglio e porta la legna alla madre. Ritorno verso Rishikesh, e lungo la strada ritrovo il gruppo di scimmie che avevo incontrato all’andata. Stanno mangiando delle patatine e delle banane che i turisti appena passati hanno dato loro. Questo scimmie hanno il pelo più lungo e sono molto più docili e timide, rispetto a quelle che vivono a Varanasi. Cammino ancora e mi meraviglio della enorme quantità di strada percorsa all’andata. Potrei attraversare un ponte e andare dall’altra parte a prendere l’autobus, ma invece proseguo ancora lungo questa via. Finalmente si ferma un fuoristrada per darmi un passaggio, concordo il prezzo per evitare spiacevoli sorprese. Ormai non manca molto al centro abitato e l’autista accetta la mia offerta di 20 rupie: meno di 30 centesimi. E’ l’ora del tramonto e vado a sedermi nel ghat vicino al ponte Lakshman Jhula. Chiacchiero un po’ con una ragazza giapponese di 27 anni, laureata in legge, in viaggio in India dal novembre dello scorso anno. Anche lei è stata a Pushkar e anche lei come me si chiede cosa ci trovi di interessante così tanta gente! Torno in hotel, chatto un po’ e mi ritiro in camera a guardare le foto, a scrivere sul diario, a leggere.
Rishikesh, villaggio di Swarg Ashram. L’ashram Maharishi che ha ospitato i Beatles nel 1968, ora abbandonato.
23 marzo
Oggi sono ritornata a Swarg Ashram nel parco e lungo la riva del Gange, nei pressi del Maharishi Ashram, dove hanno soggiornato i Beatles e ora in disuso e pericolante. Mi piace questo luogo abitato da molti sadhu con le loro simpatiche abitazioni. Accanto al Maharishi ci sono delle costruzioni in cemento, alcune chiuse, altre occupate o abitate da sadhu. Probabilmente erano dei ristoranti e delle tea rooms, negli anni ’60 e ’70. Oggi non ho seguito il solito percorso per arrivarci, ma ho camminato all’esterno del nucleo abitato, ho raggiunto un enorme e affollato parcheggio di fuoristrada che stavano in attesa dei turisti che in quel momento erano impegnati a girare per le stradine del villaggio. Da lì ho attraversato la foresta attraverso una strada sterrata e sono arrivata fin qui. Vicino al Maharishi Ashram mi fermo ad osservare una colonia di scimmie che sta sugli enormi alberi del parco. Sono sempre incantata ad osservare questi simpatici animali: alcune scimmie stanno allattando i loro piccoli, altre stanno spulciandosi l’una con l’altra e a momenti mi lanciano degli sguardi impauriti. Mentre sono totalmente persa ad osservare le scimmie mi raggiunge la voce di un turista peruviano che mi sta chiedendo dove sia l’ashram dei Beatles. E’un medico di 62 anni, in pensione che sta viaggiando in India da tre mesi. Alloggia al Parmarth Niketan Ashram, proprio dove desidero andare, ma non c’è posto, per ora. Mi siedo a leggere sulla riva del fiume e vedo che la grotta abitata è aperta e fuori c’è un giovane disteso che si gode il tepore del sole. Ritorno verso il villaggio e mi fermo a pranzo al solito ristorantino che sta sulla strada. Arriva anche un ragazzo israeliano che mi informa riguardo ai nuovi risultati elettorali del suo Paese e alla sua speranza di un cambiamento radicale riguardo al problema palestinese. Mi racconta che in Israele il servizio militare per i giovani è obbligatorio e dura due anni per le ragazze e tre per i maschi. “Puoi rimanerci ancora se tu lo vuoi” aggiunge “ma questo avviene soprattutto se loro ti scelgono”. Nel pomeriggio indosso una maglietta a mezza manica e un paio di pantaloni lunghi e torno al Parmarth Niketan Ashram: parlo con la signora che qualche giorno fa mi aveva chiesto di tornare con le spalle coperte e le dico che è troppo lunga l’attesa fino al primo aprile per poter stare lì. Mi risponde che posso partecipare alle cerimonie e alle lezioni di yoga, donando un’offerta, anche se non soggiorno lì. Alle 15.00 vado alla lezione di yoga dove incontro il medico peruviano. La lezione è interessante: dura un’ora, ma è più ginnica che mentale ed è piuttosto faticosa. Terminata la lezione fuggo velocissima a cercare una tea stall che trovo dopo aver attraversato il ponte.
Rishikesh, villaggio di Swarg Ahshram, verso sera.
Cammino un po’ tra le bancarelle e vado a sedermi e a leggere nel ghat più animato del Gange. Qui stanno preparando i tappeti e i tavoli per la cerimonia della sera. Intorno gironzolano diverse bambine che stanno vendendo piattini di cartone con dentro fiori, incenso e una candela: sono le offerte al Gange per chiedergli di realizzare i nostri desideri. Le bambine sono molto insistenti. Dopo un po’ riprendo il cammino per Ram Jhula e compro della frutta e della verdura per la cena. Nella sala computer dell’hotel mi fermo un attimo per guardare le novità su internet, poi mi rifugio come al solito in camera.
Rishikesh, turisti al ghat accanto al ponte Ram Jhula.
24 marzo
Stanotte mi sono svegliata alle 2 e ho fatto fatica a riprendere sonno. Ho sentito di nuovo la voce di mia madre che mi chiamava con il modo affettuoso che ogni tanto lei sapeva esprimere. Non è la prima volta che mi capita questa suggestione durante questo viaggio. L’altra sera l’ho anche sognata: stava accanto al corpo di mio padre. Lui, stava disteso sul cassone di un camion, ormai consumato dalla vecchiaia e bagnato dai bisogni fatti addosso, ma sorridente. Nel sogno chiedevo a mia madre se lui mi avesse riconosciuta e lei aveva risposto di no. Che significato avrà mai questo sogno? Forse mi sento in colpa per lui che non ha avuto nulla dalla vita se non la preoccupazione di dare a noi figli tutto quello che lui non aveva avuto. Sono nata quando lui, mio padre, aveva 25 anni e lavorava come muratore. Subito dopo ha trovato un posto fisso alla miniera di Cave del Predil e lì è rimasto per ben trent’anni. Non posso non paragonare quella realtà di quasi 70 anni fa alla situazione che vivono diversi ragazzi indiani ora: si sposano poco più che ventenni, diventano padri subito dopo e si adattano a qualsiasi lavoro per provvedere alla famiglia. Anche la condizione femminile non è molto diversa, anzi, si può paragonare ad un periodo ancora più lontano, rispetto agli uomini, cioè a quella che vivevano le nostre nonne nell’immediato primo dopoguerra.
Sono preoccupata per mio figlio che sta ancora in Nepal, ma proprio ora sono arrivate sue notizie tramite mail. Esco dall’hotel più tranquilla e mi dirigo verso il centro del villaggio per bere un cjai in una delle tante tea stall che fiancheggiano la strada.
Rishikesh, aspetti di un ghat del villaggio di Swarg Ashram.
Poi, seguo la scia dei pellegrini che lascia le scarpe in custodia su degli scaffali e poi sale delle scale per attraversare i tredici piani di templi dedicati a Shiva e alle numerose altre divinità del Shri Trayanbakshwar Temple.
Rishikesh, coppia in pellegrinaggio al tempio di 13 piani di Lakshman Jhula.
Ci sono diversi uomini in questo gruppo di pellegrini, tutti vestiti con gli abiti bianchi della tradizione indiana: un giubbino corto arricciato sulla schiena, dei pantaloni larghi con il cavallo basso, degli orecchini tondi, d’oro o dorati sulla parte alta delle orecchie.
Rishikesh, arrivo di un pellegrinaggio al Shri Trayanbakswar Temple, il tempio di 13 piani di Lakshman Jhula.
Sto camminando molto anche oggi e nel pomeriggio non sono in forza per tornare alla lezione di yoga. Attraverso il ponte di Lakshman Jhula, risalgo fino alla Main road e la percorro fino all’altro ponte, al Ram Jhula.
Camminando per Swarg Ashram percorro la via contraria rispetto a ieri, arrivando alla stradina che dall’ashram dei Beatles porta al parco e al grosso parcheggio di taxi e fuoristrada. Da qui, i gruppi turistici, mi dicono, proseguono a piedi fino al tempio che dista 7 kilometri: il Neelkantha Mahadev Temple. Nel tardo pomeriggio rimango a lungo seduta su un tavolone di un ashram abitato soltanto da famiglie indiane: il Gita Bhanean Ashram. Qui, ogni abitazione è essenziale ed ha all’esterno un tavolo basso dove le persone si distendono per riposare. L’ashram è molto pulito ed è vigilato da un guardiano. In mezzo al giardino-cortile c’è un tempio dove è rigorosamente vietato scattare foto. A lato c’è un affresco di una mucca con un uomo che le succhia il latte dalle mammelle; la stessa immagine l’avevo già incontrata al Gau Ghat di Pushkar.
Rishikesh, Swarg Ashram. Immagine su una parete del Gita Bhaneashraman Ashram.
C’è una grande insegna all’esterno di questo ashram con l’indicazione dei diversi Gita presenti sia qui, sia in altre città dell’Uttarakhand contraddistinti da una denominazione e un numero di riferimento differenti. Deduco, quindi, che ci sono diversi Gita che appartengono alla stessa organizzazione non governativa. Più tardi, mi sposto sulla spiaggia. Lì, tutte le sere, all’ora del tramonto, c’e un gruppo di turisti non più giovani che cantano, suonando il flauto e la chitarra. Anche qui delle bambine e una donna girano tra la gente per vendere fiori e incenso da donare al fiume sacro. Alcuni turisti bambini giocano e lasciano trascinare dalla corrente delle barchette di carta che stanno resistendo per un lungo tratto alla forza del fiume.
Rishikesh, tipologie abitative lungo il Gange.
25 marzo 2015
Ritorno ancora a Swarg Ashram, attraverso un percorso ancora diverso. Dal ponte di Lakshman Jhula sono salita attraverso la scorciatoia fatta di gradinate raggiungendo la strada principale e poi, di nuovo, ho attraversato l’altro ponte, il Ram Jhula. Entro di nuovo alla reception del Parmarth Niketan Ashram per chiedere se si è liberata una stanza e con sorpresa riesco ad ottenerla da dopo domani e per cinque notti. Quindi, farò l’esperienza dell’ashram alla quale tengo molto!
Rishikesh, sera nel cortile interno del Parmarth Niketan Ashram.
Dopo il pranzo al mio solito ristorantino di strada, salgo al Bhootnath Temple: niente di particolare! Si tratta di una costruzione iniziata nel 1952 e poi proseguita con un’architettura moderna, ma anonima, sviluppata su sei piani con delle terrazze tutto intorno a delle stanzette per ogni piano. La sensazione è di grande freddezza, con qualche scultura di lingam di Shiva e alcuni dipinti delle divinità esposti in due, tre cappelle. Il panorama dai piani alti è senz’altro bello: dà sul bosco e sul Gange, ma è offuscato da una leggera nebbiolina. Per un po’ di tempo non vedo nessuno, poi, incrocio alcuni ragazzini che stanno scendendo le scale. Arrivo in cima e in una stanza compare la figura di un sacerdote che sta tranquillamente leggendo il giornale. Ha un banchetto davanti a lui con sopra una girandola di banconote da 10 rupie e mi invita con insistenza ad accucciarmi per ricevere il segno rosso sulla fronte. Non ne ho voglia, ma insiste per darmi una manciata di riso soffiato e così mi sento in dovere di dargli l’offerta. Torno al villaggio e mi sposto nella zona della spiaggia; rimango all’ombra degli alberi, sulla stradina soprastante, in quanto fa ancora molto caldo e solo dopo qualche tempo, scendo a leggere, sugli scogli. Ritornando, verso sera, al villaggio di Lakshman Jhula incontro un ragazzo con il quale scambio ogni giorno qualche parola. Ha 26 anni, abita a Haridwar e ogni sera torna a casa prendendo il moto risciò e poi il treno per rifare il percorso inverso la mattina dopo. Qui, lungo la strada tra i due villaggi ha affittato una bancarella in acciaio e vende occhiali da sole. Paga 500 rupie al mese, circa 7 euro, e non può permettersi di acquistare un banchetto suo in quanto costa 10.000 rupie, circa 140 euro. Già da qualche giorno desidera farmi un regalo e nonostante le mie resistenze oggi mi mette al polso un bracciale di perline blu. Vado alla bancarella della frutta e verdura: devo scambiare 500 rupie e, non controllo il resto! Mi fido! Torno in hotel e mi accorgo che dal resto mancano 50 rupie. Che fare? Ormai! Equivalgono a meno di un euro, ma la cosa mi dispiace!
Rishikesh, accanto al ponte di Ram Jhula. Cantore di mantra cieco.
26 marzo 2015
Vado a prendere il cjai alla tea-stall accanto al tempio dei 13 piani e chiacchiero un po’ con tre russi della Siberia che sono in viaggio da quasi tre anni. Per pagarsi le spese, hanno lavorato a Bangkok: la ragazza ha posato come modella mentre i ragazzi hanno lavorato come camerieri. Scendo poi al vicino ghat e incontro una ragazza di 20 anni che sta viaggiando in India con il suo ragazzo, anche lui ventenne. Lei, Marina, ha terminato il liceo artistico e non sa ancora quale facoltà sia più opportuno scegliere per l’università. Vuole fare una scelta concreta che la porti veramente ad uno sbocco lavorativo. Lui non ha terminato il liceo e non intende riprendere gli studi. Si sono conosciuti all’Isola d’Elba dove lui risiede e dove lei andava in vacanza tutti gli anni con la famiglia.
Rishikesh, la strada all’esterno del Parmarth Ashram.
Lasciata Marina che torna al suo ashram-guesthouse, m’incammino sulla strada che porta al villaggio di Swarg Ashram. Lungo il percorso mi si affiancano due giovani donne indiane, con un bel gruppo di figli. Sono due sorelle del Panjab, di religione sikh: sono arrivate in autobus a Rishikesh per un pic-nik lungo il Gange. La figlia più grande ha 11 anni, parla molto bene l’inglese, sta frequentando la settima classe e vuole diventare medico. Ora, mi racconta, le scuole sono chiuse per un mese, fino alla metà di aprile. Durante questa pausa ci sarà il passaggio o meno degli allievi da una classe all’altra. Attraversando varie regioni dell’India ho notato che i mesi di vacanza cadono in periodi diversi, a seconda del clima molto freddo oppure troppo caldo. Più tardi vado a sedermi e a leggere sulle panchine che stanno sulla stradina che fiancheggia dall’alto la riva del fiume. Dopo un po’ vengono a sedersi accanto a me due famiglie indiane con dei figli. Le bambine, di circa 8 anni sono vestite con abiti coloratissimi, ma sintetici, fatti di pizzi, merletti e balze, che ricordano le bambole che negli anni ’50-‘60 da noi usavano mettere in mezzo ai letti. Le bimbe mi guardano con attenzione, anzi, non staccano proprio gli occhi da me. Non parlano l’inglese: mi chiedono con dei gesti, di scattare loro delle foto e quando arriva il momento di salutarci mi mettono al polso un braccialetto che una di loro si è appena sfilato per regalarmelo. Vado a pranzo come al solito ristorante sulla strada che porta all’insediamento dei sadhu, non distante dall’ashram che ha ospitato i Beatles.
Rishikesh, villaggio di Swarg Ashram. La zona abitata dai sadhu.
Torno anche oggi nella zona dove stazionano i guru e i sadhu: mi piace osservare il loro ritmo di vita! Sono le 16.00 e c’è un gruppetto che sta prendendo il tè all’esterno di una capanna. Sono molto cortesi e mi invitano a sedere accanto a loro. C’è anche una donna sadhu ed è la prima volta che ne incontro una. Parlano soltanto indi ed è difficilissimo per me comunicare, così, li ringrazio per l’invito e continuo la mia passeggiata. Sulla strada del ritorno, incontro il ragazzo della bancarella degli occhiali. Stasera vuole regalarmi una collana che dedica al prossimo Durga Puya. Io non vorrei, ma per lui questa offerta è un vero porta fortuna!
27 marzo
Percorro i 2 kilometri che separano Lakshman Jhula da Swarh Ashram con lo zaino grande sulle spalle e lo zainetto sul davanti. Ora abito nel Parmarth Niketan Ashram: un’esperienza che volevo fare. L’ashram è di buona qualità e i suoi ospiti sono sia indiani sia turisti che appartengono alla classe medio-alta. Pago 500 rupie al giorno, circa 7 euro, compresi i pasti e le attività di yoga. Volendo, a parte, c’è un centro ayurvedico con diverse attività interessanti tenute da medici specializzati in quel tipo di terapia. La stanza che mi viene assegnata è molto bella: un mini appartamento, quasi! Le finestre sono alte e danno sulla strada principale dalla quale, di notte, arrivano le voci della gente che dorme sulla via. Non esiste il silenzio della notte qui, per cui il mio sonno seppur sereno non è mai profondo. I pasti sono tre: la colazione costituita da una zuppa di legumi e dal cjai, il pranzo e la cena, sempre vegetariani, ma ogni volta diversi. C’è una zuppiera dalla quale si prende o ti servono al banco il riso lesso con il dhal che si aggiunge sopra. Poi ci sono delle altre verdure costituite da patate, carote, pomodori e una specie di rapa, tagliati a pezzettini e cucinati in umido tutti insieme. Spesso ci sono delle carote e dei cetrioli crudi, senza condimento e delle fette di pane che sembrano delle omlette, il chapatì. Qualche volta servono anche una zuppa di riso e latte zuccherata o delle palline gialle, asciutte, molto dolci. La cucina è quasi vegana se non fosse per quel riso cotto nel latte. Dopo il pranzo vado alla lezione di yoga: oggi è meno massacrante di qualche giorno fa. Alle 17.00 c’è la cerimonia sul Gange, con canti e grossi fuochi accesi. Il ghat è affollato, ma io ci rimango poco e vado a cercare lo zenzero per la mia tisana che in questo villaggio pochi vendono.
Rishikesh town. Bancarelle.
28 marzo
Oggi mi sono svegliata presto, ma non in tempo per la lezione di yoga delle 6 del mattino. Dopo il mio tè preparato in camera, mi avvio nella zona yoga dell’ashram e trovo il gruppo del cantante melodico che avevo già ascoltato ieri sera. Mi aggrego alla loro attività di yoga che si svolge in modo molto soft. Quando il cantante, accompagnato da una donna che strimpella uno strumento a corde inizia le lezioni di canto melodico, rimango un altro po’e poi me ne vado a leggere!
Nel pomeriggio, la lezione di yoga la sta tenendo un ragazzo francese che da un anno vive in India. Risiede a Londra, ma è rientrato là soltanto per rinnovare il visto per l’India che dura 6 mesi. E’ una lezione molto interessante in quanto interviene a correggere le posture, le mie in particolare, con molta umanità. Verso sera torno sulla bella, animata spiaggia e mi siedo a leggere su uno degli scogli. Tornando verso l’ashram incrocio il ragazzo della bancarella degli occhiali. Sta andando a prendere il risciò al di là del ponte per andare alla stazione ferroviaria e prendere il treno per Haridwar, dove abita con suo padre. Sui ghat c’è molta gente questa sera: è sabato e nei weekend la cittadina si riempie di pellegrini e turisti che, al tramonto e verso sera, affollano i ghat e la spiaggia per la puya e per godersi l’energia del fiume sacro.
29 marzo
Giornata di pioggia al mattino. Mi rintano sotto i porticati della zona yoga e poi su un divano di un salone a leggere. Nella zona yoga c’è un bel gruppo di ragazzi e ragazze che stanno facendo esercizi di teatro-yoga, ma li guardo solo un momento e poi ritorno a leggere, in solitudine. Quando smette di piovere cammino fino a Lakshman Jhula, all’agenzia dell’hotel dove alloggiavo per vedere se sono pronti i biglietti per Jhansi, da lì per Khajuraho e poi per Varanasi. Farò delle tappe: mi fermerò ad Orchha che raggiungerò da Jhansi, andrò poi a Khajuraho e infine, ritornerò a Varanasi, dove incontrerò di nuovo mio figlio che tornerà lì dal Nepal. Non ho fatto una scelta ponderata a prenotare i biglietti in questo posto; mi son lasciata prendere dalla simpatia che provavo per il ragazzo che lavora lì e, oltre ad aver pagato molti soldi in più per i biglietti, non li avrò se non alla vigilia della partenza. Ritorno verso l’ashram attraversando i due ponti nella direzione opposta e nel pomeriggio vado a leggere sulla riva del fiume, sulla mia adorata spiaggia. Prendo un cjai ad uno dei due ristoranti del villaggio di Ram Ashram, dove, in vetrina, per attirare i clienti, troneggiano dei personaggi in carna e ossa, grandi e grossi, vestiti e truccati come fossero dei buddha. All’interno osservo che diverse famiglie della nuova middle class vengono in gita qui a Rishikesh e pranzano al ristorante. Verso sera assisto, in parte, alla cerimonia serale che si svolge sul ghat di fronte al Niketan Ashram, ma questi rituali sofisticati non mi coinvolgono più di tanto.
Rishikesh, villaggio di Swarg Hashram. Cottura del pane di mais.
Preferisco fare una camminata verso la zona dove stanno i sadhu. Con mia grande sorpresa trovo la muraglia che fiancheggia la stradina affollata da sadhu e mendicanti. Fa freddo questa sera e il muro offre loro un buon riparo. Questi sadhu girovaghi saranno almeno un centinaio che di giorno si spostano con le coperte sulle spalle e una sacca come bagaglio e la sera dormono all’aperto. Chiedo loro se dormono qui e mi rispondono che non hanno un altro posto dove andare.
30 marzo
Oggi sveglia alle 5.30 e partecipazione alla lezione mattutina di yoga. Per fortuna la tiene il ragazzo francese che è il migliore dei tre maestri che si alternano. Parlo un po’ con Isabel, una ragazza francese figlia di padre vietnamita e di madre francese che vive in Nuova Caledonia. Sta viaggiando per un periodo di quattro mesi che prolungherà, probabilmente. Dopo la settimana che trascorrerà qui, al Parmarh Ashram, si sposterà al villaggio di Lakshman Jhula, al Shiva Ashram, dove frequenterà per un mese dei corsi di yoga e di meditazione. Poi, andrà in Vietnam, ad Hanoi, e qui, visiterà, in particolare, Dalat, la città dove è nato suo padre. Da Oh Cimin volerà in Francia per conoscere dei parenti e dopo si vedrà. E’ laureata in economia e, in Nuova Caledonia lavora in una banca: ora si è presa un periodo sabbatico. Se prolungare o meno il periodo sabbatico che avrebbe termine alla fine di agosto, lo dovrà comunicare per la fine di aprile. Probabilmente lascerà quel lavoro per intraprendere un’attività legata all’informazione sull’alimentazione vegana, alla preparazione di cibi senza zucchero, senza latte e uova. Isabel ritiene importante anche praticare il digiuno, necessario per lasciar riposare l’organismo.
Rishikesh, gruppo di donne emancipate al ghat di Swarg Ashram.
Nel pomeriggio cammino a lungo per i ghat: in uno incontro un allegro ed emancipato gruppo di donne di Haridwar che sta facendo il bagno nel fiume con meno inibizione delle altre indiane. Passeggiando lungo la stradina parallela alla principale scopro che ci sono ancora degli altri ashram con il nome “Gita”. Alcuni sono abitati da famiglie, altri da persone singole. Non devono quasi mai pagare l’affitto. Ce ne sono diversi di ashram con lo stesso nome Gita che appartengono a questa associazione umanitaria che amministra le donazioni versate per questo scopo. Nel pomeriggio altra lezione di yoga, ma la ragazza non è all’altezza del ragazzo della mattina e gli esercizi che propone sono slegati ed è più ginnastica che yoga.
Rishikesh, Swarg Ashram. Cortile interno dell’ashram Gita Bhanean.
31 marzo
Anche oggi sveglia presto e via alla lezione di yoga. La lezione è all’aperto, sul prato, tra cani che si ricorrono e scimmie che camminano sugli alberi e lassù, sui tetti. L’insegnante è una delle due ragazze, quella che non avevo ancora incontrato. Diciamo che è più motivata dell’altra, ma con qualche piccolo miglioramento da fare in una parte della lezione che secondo me rimane troppo ginnica e poco mentale. Terminata la lezione, vado a leggere lungo la scalinata che porta alla spiaggia e lì incrocio ancora il ragazzo della bancarella degli occhiali. Mi aveva vista mentre percorreva la strada che dalla stazione degli autobus e poi dal ponte porta alla sua bancarella. Si siede accanto a me felice di avermi trovata per caso. Gli parlo dei miei figli e dei nipoti e ci incamminiamo assieme lungo la strada che porta alla sua bancarella: io proseguo per il villaggio di Lakshman Jhula dove dovrei recuperare i biglietti del treno per spostarmi a Orchha, già domani. Il ragazzo della bancarella ha voluto regalarmi altre due collane: questa volta da portare a mia nipote.
Nel pomeriggio non vado alla lezione di yoga e preferisco rimanere a leggere nella stradina che fiancheggia la spiaggia sul Gange. Alle 18.00 ho appuntamento con Isabel che mi farà un massaggio con un metodo che ha imparato a Bali. Userà un olio ricavato da un fiore che cresce soltanto lì.
Rishikesh, tramonto sul ghat.
1 aprile.
Partenza a piedi alle 5.00 di mattina dall’ashram per raggiungere la stazione dei risciò: prezzo concordato 200 rupie per il trasporto fino ad Haridwar train station.
Il viaggio in treno fino a Jhansi è tranquillo. Guardando dal finestrino osservo che il paesaggio si sta facendo sempre più agricolo: tornano i grandi campi di frumento a volte già raccolto in grandi fasci a volte in via di mietitura e più spesso con soltanto una grande distesa di colore giallo intenso. Trascorro il tempo del viaggio con la lettura de “La famiglia Kernoski” che mi dà la possibilità di capire più in profondità la fase della persecuzione degli ebrei nel periodo nazista. A volte dialogo con dei ragazzi: uno studia ingegneria civile e un altro ingegneria elettrica in un’università privata della loro città: Ujjain. Saranno, in tutto, una ventina di ragazzi e stanno facendo insieme un viaggio di due giorni nella zona di Haridwar. Tra loro posso scorgere soltanto due ragazze. Un giovane, già laureato in ingegneria civile, sta viaggiando per conto suo; mi racconta che sta facendo dei periodi di prova per ottenere un incarico. Diversi studenti appartengono alla prima casta, quella dei bramini e alcuni alla seconda, che comprende i sarti e gli agricoltori. Tutti aspirano ad entrare a far parte dell’esercito in futuro, ma mi dicono che è molto difficile superare i test di ammissione. Appartengono a famiglie che possono permettersi i costi della scuola privata, che, contrariamente ad altri pareri, mi riferiscono essere più facile e con meno esami rispetto all’università statale. Per quanto riguarda il sistema delle caste mi raccontano che la suddivisione è sostanzialmente composta da tre parti, ma che all’interno di ciascuna ci sono un’infinità di altre scomposizioni. Mi riferiscono ancora che gli abitanti si riconoscono tra loro sulla base della casta a cui appartengono e che i matrimoni avvengono per amore, loro dicono, ma all’interno della stessa casta. Nel mio scompartimento ci sono anche due bramini di Gwalior, padre e figlio che non parlano inglese, ma un assistente universitario ci fa da interprete. Sembrano due fratelli: il padre ha 70 anni, ne dimostra molti di meno, forse grazie allo yoga che pratica da sempre. E’ un seguace della filosofia dei Veda ed è stato per lunghi anni maestro di yoga proprio al Parmarth Ashram di Rishikesh. Il figlio, invece, celebra le puya in un tempio di Gwalior. Per non sbagliare la stazione di Jhansi, in cui scendere, mi aggrego ad una numerosa semplice famiglia indiana che mi accompagna in motorisciò nella zona degli hotel in quanto non ci saranno autobus per Orchha fino a domani mattina. Contratto il prezzo dell’hotel: 500 rupie, pari a circa 7 euro: sono tante per questa cittadina che non offre nulla!
sempre bello leggerti Antonietta, se sei in Piemonte mi piacerebbe contattarti ciao Claudio