La mattina, le puje, per gli antenati di famiglia, si susseguono lungo tutti i ghat. Sono le “Pinda puja”, mi dirà fra poco uno dei miei amici sacerdoti, che sta lì su un palchetto.
Puja per gli antenati al Dashashwamedh ghat.
Al Dashashwamedh ghat c’è un gruppo di bramini del Maharashtra che, con molta cura, sta appallottolando le palline di farina e acqua con le mani. Le palline rappresentano i propri avi. Poi, lentamente, ci mettono, sopra ognuna, dei semini neri, seguiti dai petali di rosa e dai rametti con le foglioline verdi. Le palline sembrano proprio delle persone! Da una grande pentola, il sacerdote, prende il riso cotto e lo sparge sopra le palline insieme allo zafferano. Alla fine, ogni piatto, quasi sempre di foglie, viene contornato da una corona di fiori. Tutto il rituale è accompagnato dai mantra recitati cantilenando dal sacerdote.
Puja per gli avi della famiglia.
Tutti i familiari maschi degli antenati portano una anello di paglia all’anulare destro e a volte anche a quello sinistro.
La puja per gli avi di famiglia al Dashaswamedh ghat.
Ci sono due tipi fondamentali di puja, mi spiegherà più tardi il sacerdote: quella che comprende il lingam di Shiva e questa, con le palline, che stanno celebrando ora per i defunti. Durante il festival del Shivaratri ed anche per i matrimoni, le puje riguardano soltanto il lingam.
Interno di una tenda di sadhu sul lungo fiume.
Lascio questa zona e mi sposto verso il Kedar ghat. Sul lungo fiume c’è una giovane donna seduta sulle pietre che sta togliendo i pidocchi dalla testa delle sue bambine. Probabilmente sono delle mendicanti locali. Poco prima del Kedar ghat, una coppia matura è arrivata con delle borse piene di banane, altra frutta e diverse verdure. Penso fra me e me: “saranno per una puja!” Invece no, sono degli alimenti che la coppia sta andando a distribuire nelle tende dei sadhu, in quelle allestite nei paraggi.
Una puja per gli antenati lungo i ghat.
Al Kedar ghat si sta celebrando un’altra puja per i familiari defunti. Questa cerimonia è ancora alla fase della preparazione dell’impasto che va a formare una grossa palla dalla quale poi si otteranno le palline degli antenati. Il sacerdote, qui, è molto giovane e sta usando il microfono per farsi sentire. In questo gruppo solo alcuni portano la corda a tracolla, quella dei bramini. Difatti, tempo fa, mi avevano raccontato che, per questa cerimonia, spesso, più famiglie si riuniscono per dividere la spesa. All’Harishchandra ghat ci sono delle pire che ardono, ma lontane dal passaggio, oggi. Appena dopo il ghat c’è un caprettino nero che bela disperato. Deve essersi smarrito perchè le altre capre stanno più su, sempre sulla stessa scalinata del ghat.
Animali che vivono all’Harishchandra ghat, vicino alle cremazioni.
Uscendo dall’Harishchandra, proprio sulla riva del fiume c’è un numeroso gruppo di anatre che gira di qua e di là senza sapere dove andare. Lì accanto, due grosse bufale stanno distese, stravvacate.
La mensa dell’Hanuman ghat.
E’ da poco passato mezzogiorno e all’Hanuman ghat c’è una moltitudine di teste di sadhu che spuntano da sopra la scalinata. Uno di loro mi fa cenno di salire, così, vado a vedere cosa succede lassù. Ci sono diverse file di sadhu e qualche ragazzo, tutti seduti sulle strisce di tela srotolate. Stanno aspettando il pranzo.
Il pranzo all’Hanuman ghat.
Mi dicono di attendere il prossimo turno per il mio pasto, quando questo gruppo avrà terminato e si libereranno dei posti. Sono molto accoglienti e mi includono subito, con naturalezza, nella loro mensa. In fondo, c’è un anziano indiano, semidisteso su un tavolo e vestito di bianco: probabilmente è il sacerdote del tempio che sta lì accanto.
Sadhu all’Hanuman ghat.
Mi siedo vicino a due donne sadhu che stanno impastando il cjapati. Formano delle palle che un altro indiano spiana con un mattarellino e poi lo passa al ragazzo della stufa che ne butta alcuni sulle braci e altri sulla piastra. Il cjapati sulle braci si gonfia come una sfera e poi ricade piatto, nella forma che viene servita. La stufa è fatta di vecchi mattoni, ha una specie di finestrella sul retro ed è aperta sul davanti. Dei ragazzi, distribuiscono il riso lesso, il dhal e un’altra salsa. Qui i piatti e le coppette sono d’acciaio. I ragazzi della mensa prendono dell’acqua dalle bacinelle e riempiono delle brocche con le quali vanno a colmare i bicchieri di plastica dei commensali.
La cucina e la mensa dell’Hanuman ghat.
Ad un certo punto tutti si mettono a cantare: “Hare hare!” Terminato il pasto, ognuno si alza e va a depositare piatto e ciotola in una grossa bacinella, più sotto. Lì, ci sono due ragazzi, addetti al loro lavaggio. Quando qualcuno tra gli organizzatori mi chiede se il pasto era buono rispondo: “Yes, very good!” In realtà, il riso di oggi era molto, molto scotto e freddo. Scendendo la scalinata incontro una mendicante con una bambina che sta pranzando con lo stesso cibo della mensa. Sono i vari templi, quasi tutti dedicati a Shiva, che in ore, giorni o ricorrenze stabilite forniscono il pranzo gratuito a tutti quelli che lo desiderano. Mi sposto e vado a sedermi un po’ sulla scalinata del Shivala ghat. C’è un particolare silenzio qui, in questo momento. Sto leggendo ancora “Guerra e pace” e sono concentrata su un incontro tra Pierre, il principe Andrey e Boris che parlano delle strategie da adottare contro l’invasione dei francesi di Napoleone. Ad un certo punto sento elevarsi una voce di donna che canta una intensa melodia. Mi giro e vedo una coppia, avanti negli anni, seduta poco lontana da me.
La donna di Jaipur.
La donna non indossa il sari, ma porta soltanto un velo sul capo. Lei, mi sorride, forse imbarazzata, e smette di cantare. Cerco di dirle che è stata bravissima, ma lei continua soltanto a sorridermi. Sono di Jaipur, nel Rajastan, mi informa un altro indiano, da sopra la scalinata.