Stanotte ho sognato che da Sofia, la capitale della Bulgaria, ero tornata a Udine, in aereo, ma soltanto per una brevissima visita. Stavo di fronte al teatro Palamostre, in un grande parco verde con delle panchine sparse qua e là. Lì c’erano le persone che solitamente fanno teatro insieme a me, ma c’era anche della gente nuova che stava suonando e provando delle performances. Il parco era molto vasto e io cercavo Rita Maffei, la mia regista, per salutarla. E l’ho trovata e vista nel sogno in modo molto chiaro. Lei stava valutando la proposta di far mettere dei servizi igienici a disposizione della gente che frequentava questo luogo. Qualcuno, inoltre, mi stava proponendo di alloggiare lì, all’interno del teatro. Io, però, volevo tornare a casa mia. Quando sono entrata nell’appartamento, ho trovato un po’ di sabbia sparsa sul palketto, ma tutto il resto era in ordine.
Oggi mi sposto e da Yazd vado ad Isfahan o Esfasan. Il taxista che mi accompagna al terminal, mi parla delle difficoltà economiche che sta attraversando l’Iran e del bisogno di emigrare che c’è, in tutto il Paese. Mi parla anche dei suoi due figli, entrambi studenti universitari e per i quali nutre molte speranze per il loro futuro. Mentre aspetto l’autobus per Isfashan parlo con una ragazza laureanda in medicina. Dopo la laurea, si occuperà della ricerca sul cancro venendo a studiare e lavorare in Europa, forse a Berlino, oppure a Monaco. Il percorso da Yazd a Isfahan si staglia per lunghi tratti in una zona deserta e per altri con la vista delle montagne in lontananza. Sui bordi della strada si vedono numerose fabbriche che si alternano a dei gruppi di negozi e case. A tratti, ci sono dei campi coltivati, che s’intensificano con serre, terre arate e risaie quando arriviamo nei pressi di Isfahan. Entrando in città si vedono dei grandi palazzi e numerosi negozi già illuminati e un gran traffico di auto che si muove lentamente. Qui e piovuto parecchio da poco: le strade sono inondate d’acqua con vaste pozzanghere visibili, qua e là. Fa freddo e sta soffiando un vento gelido. Trovo da dormire in un ostello: qui i prezzi degli alloggi sono più alti di Shiraz e Yadz. A parità di prezzo, il livello e il servizio offerto sono molto più scadenti.
La grande zona pedonale, nellla parte centrale di Isfahan.
Esco dall’ostello che è quasi sera per fare un giro nei dintorni. Chiedo delle informazioni sulla direzione verso il centro storico, ma né giovani né anziani capiscono il significato di “old city”. Un negoziante mi prende la mappa dalle mani: è scritta in piccolissimi caratteri persiani e dopo un attento studio mi indica la direzione sbagliata. Entro in un negozio di articoli musicali dove ci sono dei giovani, ma non parlano nemmeno una parola d’inglese. Esco: un passante capisce che mi sto guardando intorno e mi fornisce le giuste indicazioni. Che sollievo! Passo davanti ad un edificio illuminato, un mercato al chiuso, e proseguo dritta sulla stessa via del mio ostello, ma nella direzione opposta. “E’ questa la strada principale!” mi dice un signore che parla un po’ d’inglese.
La grande zona pedonale ella Char Bagh road.
La via pare dividersi a metà lasciando in mezzo una lunghissima piazza, uno spazio pedonale contornato da due file di alberi allineati, sotto i quali ci stanno numerosi gruppi di tavoli e sedie. Nonostante sia sera e stia soffiando un vento gelido, la zona è affollata di gente, seduta all’aperto, nelle gelaterie e nei fast-food.
La splendida e vivace zona pedonale della Char Bagh road.
Ceno con dei felafel e delle patate fritte in un ristorantino della via e mi avvio verso l’ostello. Fa talmente freddo che ho le mani gelate nonostante le stia tenendo nella tasca della giacca. Mi fermo a guardare la gente all’esterno di un forno e il ragazzo che taglia degli spicchi di dolce e ne vende degli altri, grandi e tondi. Mi si avvicinano due ragazzi: sono due fratelli di 30 e 22 anni. Il più grande è un ingegnere elettronico che lavora per conto suo. L’altro studia musica e fa il musicista.
Isfashan, sera del 17 marzo 2019. La Char Bhag road.
Il sogno di entrambi è quello di andare a lavorare all’estero, in Germania o anche in Malesia, ma il costo del biglietto aereo per loro è troppo alto e, mi dicono che, avranno bisogno di diversi anni di lavoro per mettere da parte i soldi necessari.