Oggi splende il sole e la temperatura è più mite, rispetto a ieri sera.
Donne e bambina in burqa lungo la Chahar Bagh road
Percorro la Chahar Bagh road e giro a sinistra verso la grande piazza Naqsh-e Jahan. Anche questo tratto di strada è pedonale, come il proseguimento della Chahar Bagh. Qui passano soltanto delle rare biciclette e i mezzi elettrici che trasportano le persone che non possono o non vogliono camminare. Poco prima di arrivare alla piazza, incontro un numeroso gruppo di ragazzi e uomini con in mano o appoggiati ovunque dei pacchi di banconote per il cambio.
Il cambio dei soldi lungo la strada pedonale che porta alla grande piazza.
Uno di loro mi dice che qui, per lui, è l’unico modo qui guadagnare qualcosa, dal momento che manca qualsiasi possibilità di lavoro. E’ molto strano: apparentemente Esfahan sembra una città ricca.
Uno dei tanti banchetti con i soldi per il cambio.
Ci sono numerosi negozi e ristoranti, sempre affollati di gente che acquista capi di abbigliamento e gioielli e non si vedono mendicanti in giro. Eppure, evidentemente, esiste anche quest’altra realtà, quasi del tutto, invisibile. Arrivo nella Piazza Naqsh-e Jahan. Il nome significa “modello del mondo”, ed è stata costruita durante il regno dello scià Abbas il Grande, nel 1602. L’idea del sovrano era quella di rappresentare un modello di mondo ideale, e lo è.
Aspetti della Piazza Naqsh-e Jahan.
C’è gente sul prato che fa il pick-nick, altra che parla o passeggia nei lunghi viali pieni di piante e fiori. La piazza è enorme ed è contornata da una serie di costruzioni risalenti allo stesso periodo, adibite a negozi e abitazioni.
La Piazza Naqsh-e Jahan. Le carrozze.
Intorno ai viali più ampi girano in continuazione delle suggestive carrozze a cavallo, utilizzate, in continuazione ed in particolare, dalle famiglie con bambini piccoli. In fondo, rivolta verso la Mecca, c’è la Masjed-e Shah, la moschea più imponente di tutto l’Iran.
La Masjed-e Shah, interni.
Costruita nel 1611 e terminata nel 1629, sempre durante il regno dello scià Abbas, la moschea è giunta fino a noi pressoché intatta.
Masjed-e Shah. Particolare dell’entrata riservata alle donne.
Di fronte, all’estremità opposta alla Masjed-e Shah, si trova la grande porta del Bazar-e Bozorg, uno dei mercati più antichi dell’Iran. Il suo interno è un labirinto di vicoli che si diramano in varie direzioni.
L’ entrata principale al Bazar-e Bozorg.
I soffitti sono a forma di piccole cupole, ognuna con un’apertura all’estremità per far filtrare la luce. Le parti più antiche di questo bazar si trovano vicino alla moschea ed hanno oltre mille anni. La maggior parte delle strutture, però, è stata costruita nel XVII secolo, sempre durante il regno di Abbas. All’interno del mercato ci sono diversi negozi pregiati e delle grandi zone interamente dedicate all’esposizione e alla vendita dei tappeti.
Architettura del Bazar-e Bozorg.
Su un lato della piazza c’è un palazzo, il Kakh-e Chehel Sotun, del quale, la prima documentazione scritta della sua esistenza risale al 1614. Sull’altro lato c’è un’altra moschea che, da quanto mi racconta un giovane, veniva utilizzata soltanto dalle donne dello scià.
Preghiera delle donne nella parte della moschea loro riservata.
Visito la Masjed-e Shah nella parte riservata alle donne. E’ l’ora della preghiera e le donne, rigorosamente coperte da abiti e velo quasi sempre neri, arrivano lentamente e si concentrano subito su quello che sta predicando una voce maschile che pare registrata. Le donne s’inginocchiano, si piegano portando la schiena sul davanti fino a toccare con il capo il pavimento. Si rialzano e poi di nuovo ripetono gli stessi movimenti, secondo quello che dice la voce del personaggio invisibile.
La preghiera delle donne della Masjed-e Shah.
Mi sposto dall’altra parte della piazza e, mentre sto ammirando il portale del bazar mi si avvicina un ragazzo vestito in modo elegante. E’ uno studente di legge ed è interessato al mio Paese di provenienza. Un altro ragazzo lavora per un negozio di tappeti e la sua curiosità è finalizzata al suo lavoro, cioè a portarmi dal suo principale.
Una piccola parte della Piazza Naqsh-e Jahan
Un uomo mi offre dei pinoli per parlarmi del suo periodo di lavoro in Germania, terminato, a suo dire, per la mancata estensione del visto. Anche altri giovani fanno questo lavoro di procacciare i clienti per i negozi lì accanto. L’approccio avviene chiedendo delle notizie sulla provenienza del turista o avvicinandosi a loro fornendo delle informazioni sulla storia di Enfahan per poi cercare sempre di portarli a visitare i punti vendita per i quali lavorano.
Incontro tra le panchine della zona pedonale, nei pressi della Piazza Naqsh-e Jahanna.
Di sera, rimango sulla Chahar Bagh e la percorro per tutto il suo lungo tratto pedonale fino ad intravedere uno degli storici ponti sul fiume Zayandeh, una parte di Enfahan che devo ancora esplorare. Fa freddo e ho le mani congelate. Qui, quasi nessuno indossa i guanti e non ne vedo esposti nei negozi. Vedo due donne intente a guardare degli abiti: una delle due porta dei guanti beige. Mi avvicino loro per chiedere dove potrei comprare quel capo, divenuto così prezioso per me. La più giovane, probabilmente la figlia dell’altra donna, parla un perfetto inglese. Entrambe mi accompagnano in un negozio lì accanto e mi aiutano a scegliere un semplice paio di guanti. Costo: 70 centesimi di euro.