Esco tardi dall’ostello perché ho dedicato del tempo ad aggiornare il diario. Mi piace molto scrivere, cercare il dettaglio nelle cose che scopro. Oggi, ripercorro un po’ i luoghi delle uscite di ieri, quelli con le guide e quello con Rebecca, la ragazza di Helsinki che ho conosciuto in ostello. Il centro della città è vicinissimo all’ostello e mi oriento subito, senza problemi. Mi addentro nella zona pedonale e poco più avanti ritrovo la cattedrale cattolica del “Sacro Cuore di Gesù”, già intravista, velocemente, ieri.
La cattedrale del Sacro Cuore di Gesù.
La storia delle chiese cattoliche di Sarajevo risale al XIII secolo, ma questa cattedrale è stata costruita verso la fine del XIX secolo. Entro: c’è una porta chiusa e diversa gente sta guardando l’interno, attraverso i vetri, quasi non si potesse entrare. Forse, stanno fuori, perchè non vogliono disturbare la messa che il sacerdote sta celebrando. C’è qualche fedele che ripete le preghiere insieme al prete, in lingua inglese. Faccio un giro su di un lato, piano, piano, con molta cautela. La chiesa richiama lo stile neo-gotico e ricorda un po’ quella di Notre Dame di Parigi.
Cattedrale del Sacro Cuore di Gesù. Interno.
E’ a tre navate con due file di colonne che sostengono degli archi colorati all’interno. C’è un altare principale diviso in 7 nicchie. La pietra che lo compone è in marmo bianco ed è sostenuta da 4 piccole colonnine di marmo rosso. A sinistra della nicchia principale ci sono: la statua di San Giuseppe e di San Francesco d’Assisi e anche quella di un Angelo. A destra riesco a scorgere le sculture di San Michele e del profeta Elia. E poi, più in là, vedo anche la statua del Sacro Cuore di Gesù. Alle pareti ci sono degli affreschi iniziati intorno al 1886 e terminati l’anno dopo.
Interno della cattedrale del Sacro Cuore di Gesù.
I dipinti rappresentano l’”Incoronazione di Maria” e la “Resurrezione di Gesù”. Anche le grandi vetrate sono dipinte con motivi sacri.
La moschea Ferhadija, XVI secolo.
Uscita dalla chiesa mi trovo di fronte alla moschea “Ferhadija”, costruita nel XVI secolo. Nel complesso religioso, oltre alla moschea, c’erano: una scuola pubblica, una fontana e la cucina. La moschea è in stile ottomano classico e lo si nota sia nel porticato che nel minareto, che si presenta alto e slanciato. Le pitture interne, scoperte nel XVII secolo, mostrano 4 dipinti di varie date: il più antico risale al XVI secolo.
Interno della moschea Ferhadija.
Sono le 13:00 e l’area pedonale è animatissima. Lungo le vie e nei pressi delle moschee si nota qualche donna con il chador, ma la maggior parte di loro non porta alcun copricapo. Qui, proprio in questa strada, sorgeva il vecchio quartiere del mercato, il “Bezistan”, costruito tra il 1537 e il 1557.
La porta del Mercato Bezistan.
Il Bezistan, è stato il punto focale del commercio di Sarajevo, in particolare per quanto riguardava la vendita delle tele di cotone e di seta. I negozi erano collocati anche all’esterno dell’edificio del mercato, lungo la Kujundziluk street, la zona più ricca della città, dove sorgevano le costruzioni più prestigiose. Dei 7 mercati di tutta la Bosnia di allora, ben 3 erano situati a Sarajevo. Il primo Bezistan, che era stato costruito nella prima metà del XVI secolo, venne demolito nel 1842, in seguito all’incendio che lo aveva distrutto, pochi anni prima.
Aspetti del Mercato.
L’ultimo intervento di restauro è stato effettuato nel 1968, recuperando la struttura architettonica originaria, sia all’interno che all’esterno della costruzione, ma dando un’impronta molto moderna alla disposizione di banchi e negozi.
Il Mercato.
Entro nella Gori Husrey bey Madrassa Mosque, costruita in memoria della madre del sultano Seljuk, nell’anno 1531.
La Gori Husrey bey Madrassa Mosque.
Danneggiata più volte, è stata restaurata nel 1931 e poi ricostruita nel 1968. Accanto alla moschea c’è un edificio nuovo con molta gente che entra, esce e si ferma a chiacchierare.
Gente accanto alla nuova costruzione sorta accanto alla Gori Husrey bey Madrassa Mosque.
Chiedo informazioni sulle motivazioni di quel luogo così frequentato: mi rispondono che questa è la “Madrassa”.
L’entrata alla Gori Husrey bey Madrassa.
Cammino ancora un po’ lungo la via principale: ai lati si aprono degli spazi con il pavimento in ciotoli, adibiti a ristoranti eleganti e a negozi. Tutto è nuovo qui, fin troppo moderno e omologato. Di richiami alla tradizione c’è soltanto un vicoletto con dei negozi di bollitori per il caffè in rame ed alluminio, delle tazzine piccolissime, dei vassoi tondi in rame e acciaio. Sono soltanto delle imitazioni, però, costruite di recente.
Vendita di lavori eseguiti ai ferri.
Alla fine della via c’è un’altra moschea, in ristrutturazione. E’ la “Bascarija Mosque”, costruita nel 1528. In origine aveva delle parti in legno, andate distrutte da un incendio nel 1697. Non ho capito bene se è il quartiere di “Bascarija” che prende il nome dalla moschea o viceversa. Il nome deriva da “Bas” la grande e “Carsija” che significa piazza, area di mercato.
Zona pedonale.
Così, da quel che ho capito, la grande area del mercato di Sarajevo si estendeva fin qui, in questo quartiere, e intorno a questa, ce n’erano delle altre simili, ma più piccole. Qui, nel XV secolo, c’era anche il nucleo principale, dove si concludevano gli affari importanti.
L’antica fontana dove la gente attingeva l’acqua.
Mi sposto dall’area pedonale e vado verso il palazzo a righe gialle e marrone, visitato ieri con la guida del mattino. Leggo le scritte esposte accanto alla piazzetta: era il “Palazzo della città”, “The City hall”, il più grande e rappresentativo edificio di Sarajevo del periodo austro-ungarico.
La Biblioteca Nazionale.
Il palazzo è stato usato per il governo del Paese fino al 1949, quando venne ceduto alla Biblioteca Nazionale. Nella notte tra il 25 e il 26 agosto del 1992 fu incendiato e nel rogo sono andati persi libri e documenti di grande valore.
Vista laterale del palazzo della Biblioteca Nazionale.
E’ domenica ed è l’ora del pranzo. Le caffetterie, le pasticcerie e i ristoranti sono affollatissimi di coppie anziane, gruppi di donne, famiglie con bambini che trascorrono molto tempo, anche seduti all’aperto, nonostante il freddo non si sia attenuato.
Mi siedo anch’io in un posto affollato e divido il tavolo con una coppia di anziani, senza scambiare nemmeno una parola.