Da Sarajevo (Bosnia) a Lubiana (Slovenia), 15 aprile 2019

Lascio Sarajevo attraversando una periferia piena di alberi verdi e in fiore: i colori che prevalgono sono il rosa dei meli e il bianco dei ciliegi. Palazzi e palazzine si alternano a negozi prefabbricati, case in costruzione, macerie della guerra. Tra le numerose fabbriche e le tante ciminiere fumanti compaiono dei piccoli appezzamenti di terreno coltivati, per lo più lungo la zona pianeggiante. Più avanti, tra le case delle colline si vedono dei grandi campi arati, in pendenza. La giornata si presenta nuvolosa, ma anche quaggiù sembra ci sia meno freddo degli altri giorni. In un prato, su un lato della carreggiata, incontriamo delle pecore al pascolo: sono coperte da un folto mantello bianco, ancora da tosare. Sulle colline e nella pianura, nei campi coltivati, si vedono delle strisce colorate: alcune sono verde chiaro, altre con delle tonalità più scure che si alternano con quelle marrone della terra  e gialle delle fioriture della colza. Tornano i tetti a spiovente delle case e le tegole piane. Ogni tanto, spiccano i minareti che s’innalzano accanto a delle moschee che paiono abitazioni. Siamo sulla strada per Zagabria; da lì, già oggi, prenderò la coincidenza per Lubiana, ultima tappa del mio viaggio. La corriera si ferma, oltre mezz’ora, ad aspettare il turno per attraversare un lungo tunnel. Dovrebbe arrivare a Zagabria alle 15 e 45. Comincio a preoccuparmi per la coincidenza per Lubiana, che è fissata per le 16:30. Finalmente, dopo un tempo infinito, il pullman riparte e attraversa due gallerie, una di seguito all’altra. Il traffico è lento, lentissimo. La strada scorre a fianco ad un grande fiume da una parte e a due file di binari dall’altra. Siamo in un ambiente di montagna, tra frutteti, campi arati, piccole case, una chiesa protestante o una moschea, alcune pinete, grosse cataste di legname e grandi cumuli di sabbia. Queste due materie prime, il legname e la ghiaia li ritroverò più volte lungo questo percorso. Dopo la città di Banja si vedono distese di campi coltivati a frumento, frutteti e vigneti e anche una grande raffineria di petrolio. Arriviamo al confine tra la Bosnia e la Croazia: ci ritirano i passaporti e ce li restituiscono poco dopo, timbrati. Al passaggio in Croazia invece dobbiamo scendere e presentarci allo sportello con i documenti. Dopo l’ispezione della corriera, si riparte. Appena varcato il confine ci fermiamo in un’area di sosta. Prendo un caffè, al banco, al costo di 1,50 euro. Lì vicino, c’è una cittadina piena di supermercati, centri commerciali, depositi di legname e ciminiere che fumano. Quassù, le moschee quasi scompaiono per lasciare il posto alle chiese che troneggiano sulle colline e sulla pianura, tra i gruppi delle case. Nella periferia di questo centro, per lunghi tratti, si vedono delle distese di campi coltivati a monocultura, prevalentemente a frumento. Passiamo per Novska Slov, una città di pianura con tante pecore al pascolo, alberi, un lago, un fiume, molti prati e numerosi depositi di legname. Più avanti, compaiono grosse mandrie di mucche pezzate che pascolano tranquille, insieme a qualche cavallo. In diversi cortili si vedono numerose galline e galli che razzolano, poi, ancora delle altre pecore al pascolo. Attraversiamo Kutina e poi Popouaka. Mancano 10 minuti alle 16 e 30. L’autista non parla l’inglese, ma con dei gesti mi fa capire che farà in modo che io arrivi a Lubiana con un altro pullman. E così sarà. Entriamo a Zagabria con le solite apparizioni dei grandi marchi internazionali: Emmezeta, Canon, Metro, Interspar, MCDonalds, Burger King, Decathlon, Samsung, Ina, Generali. I palazzi sono moderni, colorati di rosa, beige, grigio chiaro e scuro. L’aspetto è armonico e piacevole.

Sono le 17:00. L’autobus si ferma prima di entrare a Zagabria e l’autista mi fa scendere e mi consegna a degli impiegati perché provvedano a farmi prendere un autobus di un’altra ditta, che arriverà fra mezz’ora.  Qui, mi fanno salire su un pullman pieno di gente che sta rientrando in Austria e Germania, dalla Bosnia. Parlo con una donna originaria di un paese vicino a Zagabria che sta tornando a Salisburgo dopo due mesi di vacanza in famiglia. Lei parla qualche parola di italiano perchè a lavorato dalle parti di Milano per qualche anno. Mi dice che da Zagabria impiegherà 12 ore per arrivare a Salisburgo ed è un percorso abituale per lei. Sul pullman, ci sono delle coppie un po’ anziane, delle donne sole in età matura, una madre con una bambina, tutta gente carica di borse, valige e grandi troller che sta tornando verso i luoghi di lavoro. Alla frontiera della Croazia dobbiamo scendere per il controllo del passaporto. Al confine sloveno ci fanno scendere con tutti i bagagli che gli agenti fan passare attraverso lo screening. Qualche uomo viene perquisito in modo brusco, senza alcun riguardo. Poco dopo il confine le case sembrano dei casolari di montagna nella loro tipicità: i loro camini stanno fumando; anche quassù fa ancora freddo di sera. Attraversiamo ancora boschi e prati verdi curatissimi. E’ l’ora del tramonto e gli ultimi raggi del sole illuminano il paesaggio che si delinea lassù, in cima alla collina, con i suoi profili, davanti ad un cielo rossastro. Anche qui in Slovenia, nella parte pianeggiante, si alternano distese di campi coltivati a grano, fabbriche con ciminiere che fumano, piccole case, boschi di latifoglie e pinete. Compare, laggiù, in basso, una grande città con un’imponente cattedrale. Poi, ancora pinete, ciliegi in fiore, gruppi di case con gli abbaini e l’immancabile chiesa con il campanile accanto. Poco dopo le 20:00, il pullman, attraversa una lunga galleria e sbuca nel centro di Lubiana. Scendo velocissima tra la gente che sale in fretta. Anche questi, come gli altri, sono emigranti che stanno tornando in Austria e Germania, a lavorare.

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