Varanasi, 15 febbraio 2016. Il Chousatti Ghat verso sera.
15 febbraio 2016
Da Chitrakoot insieme a Ben e Marissa prendiamo l’autorisciò fino al parcheggio dove stanno i mezzi che vanno un po’ più lontani. La stazione degli autobus per Allahabad sta a 9 km da qui, a Karwi. Il risciò ci porta, però, alla stazione ferroviaria di Karwi e gli autisti ci suggeriscono di prendere un ulteriore risciò. Ci sembrava di aver concordato un prezzo di 10 rupie a testa, ma quando arriviamo a destinazione, a pochi metri dalla stazione ferroviaria, secondo l’autista dovremmo pagare 100 rupje (1,50 euro) per una corsa di non più di 500 metri. Paghiamo le 30 rupje e ce ne andiamo, ma l’autista inizia a fare una gran scenata dicendo che la tariffa per quel tragitto è fissato in 100 rupie. Ben gliene dà altre 50, ma lui ci insegue affiancato da un altro indiano grande e grosso che ha chiamato a sostenere la sua causa. Alla fine Ben gli dà altre 100 rupie nonostante il mio disaccordo e quello gli restituisce soltanto le 50 e non le 30 che avevamo già pagato.
Varanasi, febbraio 2016. Nei pressi del Dasaswamed Ghat durante la cerimonia serale.
Alle 9.30 prendiamo l’autobus governativo e attraversiamo dei villaggi sulle colline: a Lalapor c’è un tempio importante e ogni lunedì si tiene un caratteristico mercato dove la gente delle borgate arriva in bicicletta e con i trattori a vendere verze, cavoli, carote, patate, pomodori, aglio, cipolla e anche delle mercanzie. Percorriamo una strada dissestata con ai bordi dei grumi di sabbia e ghiaia ed anche delle tubature in cemento che indicano dei lavori di posa in opera dell’impianto fognario. Le case sono basse e dipinte di bianco con i tetti in paglia o con dei coppi piani, un po’ arrotondati, senz’altro fatti a mano. I campi dei dintorni sono coltivati a dhal (lenticchie), frumento e colza. Ci sono dei campi arati e altri lasciati ad erba per il bestiame al pascolo. Da lontano si vedono diverse greggi di pecore dal vello bianco, nero, o marrone. Le mucche stanno legate agli alberi di seesam che fiancheggiano i bordi della strada.
Varanasi, febbraio 2016.
Avvicinandoci ai centri abitati si vedono molte cave, dei cementifici e delle fornaci con delle file di camion e trattori lungo la strada. Seduto accanto a me c’è l’ impiegato di un college che si sta recando al lavoro. Sono le 11.00 e oggi gli è stato concesso un ritardo di un’ora e lavorerà comunque fino alla 16.00 come gli altri giorni. A Mao scende anche lui insieme a molta gente, ma tanti altri salgono e la corriera in un attimo è di nuovo piena. Il viaggio è lungo e sono in piedi: ho ceduto il posto ad una donna anziana che non riusciva a stare in equilibrio ed era caduta sul pavimento. C’erano dei giovani seduti accanto a me, ma nessuno ha fatto caso a lei.
Varanasi, febbraio 2016. Puja di bramini sui ghat.
Sulle colline il paesaggio è più arido: ci sono molti massi e qualche raro albero. La corriera suona continuamente il clacson con un suono simile a quello della littorina che negli anni ’50 sentivo quando andavo a trovare la mia nonna-matriarca che abitava ad Artegna, nella pianura del torrente Orvenco. La corriera ora sta attraversando un paesaggio pianeggiante e quando arriva ai villaggi s’infittiscono le persone che camminano con dei sacchi stracolmi sulla testa e con delle grosse borse tra le mani. Qualche anziano vestito di bianco, con le gambe storte, pare trascinarsi lungo il bordo della strada. Molti uomini si spostano su delle grandi biciclette nere, trasportando fasci di legna od erba, ma anche montagne di sacchi pieni di granaglie e altre mercanzie da vendere al mercato. Ad Allahbad cambiamo autobus e saliamo su quello diretto a Varanasi.
Varanasi, febbraio 2016. Passaggio di pellegrini al Kedar Ghat.
Attraversiamo degli enormi cavalcavia sotto i quali ci sono migliaia di ripari composti da lamiere e teli di plastica. Là sotto, anziani, bambini, uomini e donne trascorrono le loro vite e nessuno fa sì che avvenga una trasformazione.
Varanasi, febbraio 2016, mattina. Puja per gli antenati.
Da Allahbad a Varanasi il paesaggio è piano e la disposizione delle case e la strada paiono farsi più ordinate. Attraversiamo ancora dei centri abitati animati da affollati mercati e negozi. In una cittadina poco distante da Varanasi compaiono donne vestite di nero e coperte dal velo e degli uomini vestiti di bianco seduti su un muretto a chiacchierare. Lì accanto c’è una moschea e più avanti una chiesa cristiana entrambe poste in gran risalto.
Varanasi, Godonia, febbraio 2016. Manifestazione dei seguaci di un anziano guru.
Entriamo a Varanasi: la città è in festa, qualcuno mi dice, per la festa delle puja. Da una parte e dall’altra della strada principale ci sono gruppi di giovani che ballano al suono di una chiassosa musica. Lungo la strada, a momenti, incontriamo dei cortei che sfilano con le statue delle divinità cantando dei mantra.
Varanasi, febbraio 2016. Il levar della luna piena sui ghat.
Ceno con Ben soltanto: Marissa è rimasta in camera a riposare. Ben è un ragazzo di soli 23 anni, molto intelligente: sta viaggiando da due anni e lo farà ancora per 4, poi inizierà gli studi universitari nel settore socio-politico più che altro per far contenta sua madre. Ha 3 sorelle tutte impegnate in lavori legati alle banche, mentre sua mamma ha da poco intrapreso degli studi nel campo della medicina cinese. Ben è il più giovane dei 4 fratelli; mi racconta che sua madre ha lasciato il marito quando lui aveva soltanto 8 mesi e da anni non ha alcun rapporto con il padre. Entrambi i genitori si sono, comunque, risposati.
Varanasi, febbraio 2016. La benedizione del guru.
16-17 febbraio 2015
Varanasi: unica, insostituibile città, carica di vitalità ed energia. Quando arrivo la Brahmdev guest house è al completo e mi adatto a dormire in una stanzetta buia e anonima, di un alberghetto lì accanto. L’indomani mattina mi sposto alla Family house e qui è veramente un alloggio accogliente, familiare e pieno di luce. Oggi, però, si è liberata una stanza alla mia vecchia guest house e preferisco spostarmi là.
Varanasi, Main Road, febbraio 2016. La preparazione del pasto per i poveri.
Molta gente per le stradine mi riconosce e mi saluta: tornare qui è un po’ come tornare a casa. Febbraio è ancora nell’alta stagione e tutta la città è affollata di turisti occidentali. Marisa e Ben li incontro ai ghat: stanno con un gruppo di personaggi vestiti da sadhu e con i simboli shivaisti dipinti sulla faccia. Stanno passandosi una pipa di terracotta per tirare una boccata di fumo ciascuno.
Varanasi, febbraio 2016. Notte di luna calante sui ghat.
Qui ai ghat gli episodi di vita quotidiana si ripetono: donne che celebrano le puja per proprio conto, bramini con la corda a tracolla che impastano la farina con l’acqua per un diverso rituale, guru e preti che aspettano i clienti sotto gli ombrelloni per i loro business.
Varanasi, febbraio 2016. Puja per un gruppo di donne.
Dopo la giornata piovosa di ieri, oggi è tornato il sole. Il fiume questa mattina più che mai è affollato di barche: ne sta ora arrivando una con un carico di bramini a bordo. Tengono dei piatti di metallo ora vuoti tra le mani. Quando quelli scendono, subito la barca si riempie di altri bramini, questa volta con i piatti pieni. Stanno andando, come i precedenti, a celebrare la puja al largo.
Varanasi, febbraio 2016. Donne di un pellegrinaggio proveniente da Shimla (H.P.).
Sono da poco passate le 9.00: i cancelletti dei tempietti sono tutti aperti e lasciano ben vedere le sculture ed i dipinti delle divinità che stanno all’interno. A volte le persone si fermano davanti alle immagini sacre e pregano con le mani giunte. Più avanti un gruppo di soli uomini seduti in cerchio, vestiti un po’ alla montanara sta seguendo il discorso di un guru che parla al microfono. Una donna in sari e tre uomini a dorso nudo stanno allineati, a mani giunte, rivolti verso il sole e immersi a metà nel fiume.
Varanasi, febbraio 2016. Sera davanti ad un tempietto di Bengali Tola.
Incontro un sadhu vestito di bianco e addobbato con collane, bracciali e anelli di ogni tipo. Ha 49 anni, è originario di Delhi e proviene da una famiglia di bramini: il padre era ingegnere. Ha un fratello minore con il quale non ha rapporti. E’ diventato sadhu a 30 anni senza aver mai avuto esperienze di lavoro. Dice di aver studiato magia nera a Kanpur, una città che sta a 4 ore da Varanasi, sempre nell’Uttar Pradesh.
Varanasi, febbraio 2016. Mercatino di vegetali all’ingresso del Dasaswamedh Ghat.
18 febbraio 2016
Già nella prima mattinata i cortei nuziali stanno arrivando al Dasaswamedh Ghat.
Varanasi, febbraio 2016. Arrivo di uno sposalizio nei pressi del Dasaswamedh Ghat.
Oggi gli sposi sono tutti vestiti con l’abito tradizionale da marajà mentre le spose sono sempre coperte dal mantello rosso con i fiori dorati. Le spose portano dei vistosi ornamenti, forse in oro forse soltanto dorati, che partono dalla narice destra del naso e vanno a congiungersi con il lobo dell’orecchio. In più sono ricoperte da collane, bracciali, cavigliere, anelli alle dita delle mani e dei piedi che s’intravedono appena nei momenti in cui il manto scivola un po’ via.
Varanasi, febbraio 2016. Il riposo della sposa.
Sembrano tristi queste spose, dico ad un venditore di cartoline del ghat. Lui mi risponde che sono stanche per le puja del giorno prima che per tradizione si protraggono fino a tarda notte. Lascio il Dasaswamedh Ghat e cammino verso il Kedar Ghat.
Varanasi, 19 febbraio 2016. Uno sposo arriva al ghat tirando la moglie con la sciarpa annodata al mantello di lei.
Gruppi di uomini a dorso nudo stanno celebrando la puja insieme ad un sacerdote: paiono gli stessi di ieri, dei giorni scorsi e di mesi fa, ma sono sicuramente altri. Poco prima del Raja Ghat ci sono le solite distese di bucato appese a dei fili e appoggiate sulle pietre. Saluto il sadhu elegante incontrato ieri: sta insieme ad un altro santone dall’aspetto anche lui interessante. Stanno lì, seduti sotto un ombrellone, ad aspettare non si sa bene cosa.
Varanasi, febbraio 2016. Il Manikarnika Ghat, il grande ghat delle cremazioni.
Sono già le 10.00 e fa molto caldo. Decine di barche cariche di pellegrini stanno andando nelle diverse direzioni dei templi. Venditori di borse da viaggio, di collane tenute appese sulle braccia, di cjai tenuto al caldo con un braciere legato sotto la brocca camminano instancabili su e giù per i ghat. Mucche, capre e cani scavano con il muso nei mucchi di immondizie accatastati qua e là, mentre colombi e pappagallini volano da un buco all’altro tra le pietre dei palazzi. Mi siedo all’ombra del solito tempietto: è ancora bagnato dai rigagnoli dell’acqua servita per lavarlo. Un prete sta recitando un mantra e un altro ha appena ritirato le offerte dopo la celebrazione di una puja.
Varanasi, febbraio 2016. Ultimo raggio di sole visto dall’altra sponda del Gange.
19 febbraio 2016
Ieri pomeriggio è arrivata Silvia, la mia amica di Roma: rimarrà qui fino al 28 febbraio! Questa mattina siamo andate insieme al Dasaswamedh Ghat ad osservare lo svolgimento delle puje, in particolare quelle celebrate per i numerosi sposi che in questo periodo arrivano qui, sul Gange. Le donne dei cortei arrivano al ghat con grossi pacchi avvolti in tovaglie con il necessario per le puja. Sull’ultimo gradino del ghat, quello che sta più vicino al Gange disegnano un cerchio giallo, poi, intorno dei punti rossi. Intorno ancora dispongono una coroncina di fiori e in mezzo appoggiano un piatto con delle specie di chapati, dei ceci, del riso. In parte bruciano dei bastoncini d’incenso, appoggiandoli in un vasetto di terracotta. L’officiante, se c’è, con il suo ciuffetto di capelli lunghi sulla nuca e con una sciarpa di lana legata al corpo in modo trasversale, toglie e petali dai fiori e li mette nelle mani di sposi e invitati, recitando una preghiera. Alla fine tutti gettano i petali nel fiume e si bagnano il volto con la sua acqua.
Varanasi, febbraio 2016. Tramonto visto dall’altra sponda del fiume.
Laggiù, un’altra coppia di sposi sta salendo su un barcone insieme agli invitati per andare a celebrare la puja nell’altra sponda e un altro corteo ancora è appena tornato da laggiù, su una grossa barca a motore. Un gruppo nuziale con un paggetto in abito da marajà e lo sposo vestito di rosa che sta tirando la moglie legata al mantello sta arrivando. Insieme a loro ci sono dei giovani che ora stanno danzando al suono dei tamburi. Uomini e donne sono vestiti in modo elegante e abbondantemente ingioiellati.
Varanasi, febbraio 2016, verso sera. Barbiere al lavoro sull’altra sponda del Gange.
Celebrata la puja anche loro partono con una barca a motore, trascinando in acqua le lunghe corde con i fiori infilati negli intrecci. Le puje si susseguono con un ritmo incalzante mentre dei bambini in parte con i piedi immersi nell’acqua pescano con le calamite le monete appena donate al fiume.
Varanasi, febbraio 2016. Tramonto sui ghat.
20 febbraio 2016
Giornata dedicata a rivisitare Sarnath insieme a Silvia. Un giro al centro archeologico dove ci sono i resti dei monasteri, degli stupa e dei templi costruiti nel luogo dove il Buddha (566-486 a. C.) ha pronunciato il suo primo sermone davanti soltanto a 5 persone, dopo aver raggiunto l’illuminazione.
Sarnath, 20 febbraio 2016. Dhanekh Stupa, V secolo.
Durante il XIX secolo gli scavi hanno portato alla luce le rovine di monasteri, di stupa, di un tempio. Nel grande parco archeologico spicca imponente il Dhanekh Stupa, un edificio alto 34 metri. Gli intagli geometrici e floreali intorno alla superficie di questo stupa risalgono al V secolo d.C., ma alcune composizioni potrebbero appartenere al 200 a.C.
Il Museo archeologico che avevo già visitato qualche mese fa mi è parso più esteso e curato. Molte sculture di divinità, numerosi stipiti di antiche porte e bellissimi ombrelloni in pietra, insieme a numerosi oggetti finemente incisi sono stati recuperati durante gli scavi iniziati nel XIX secolo.
Prima di prendere il motorisciò per far ritorno a Varanasi entriamo a visitare il tempio Jainista che sta lì accanto. Questa religione è rappresentata da 24 profeti 11 dei quali nati a Sarnath. Il ventiquattresimo profeta, Mahavira (559-527 a. C.), visse 2400 anni fa e fu contemporaneo del Buddha. Durante la sua vita si è verificò una scissione dalla quale sono scaturite due correnti: Shvetambara (“vestiti di bianco”) e Digambara (“vestiti d’aria”). Questo di Sarnath è un tempio Digambara. Secondo i Digambara i 4 punti cardinali sono l’unico abito dell’uomo: il cielo è la sua coperta e la terra è il suo giaciglio.
Sarnath, 20 febbraio 2016, Museo archeologico. Una scultura del X secolo rappresentante Shiva e Parvati.
I maestri Digambara non si tagliano i capelli, ma se li strappano, prendono il cibo e l’acqua solo una volta al giorno servendosi delle mani nude. I maestri non si nutrono di tuberi che crescono sotto terra. Non usano lavare il proprio corpo per non uccidere i piccoli esseri viventi che vi stazionano.
Sarnath, 20 febbraio 2016. Alimentatore per la fiamma in una tea stall.
I maestri Digambara non parlano, non mangiano, non camminano dopo il tramonto quando siedono in meditazione. Sono completamente vegetariani, non usano medicine chimiche per curarsi, ma soltanto erbe medicinali.
Sarnath, 20 febbraio 2016. Il tempio Jainista e lo stupa sullo sfondo.
Anche per il sesso c’è la regola di farlo unicamente con la moglie e soltanto ogni tre mesi. Durante la stagione delle pioggie i maestri Digambara stanno fermi in un luogo di ritiro. Dalle documentazioni fotografiche e scritte che il custode del tempio ci mostra e dai suoi racconti scopriamo più in dettaglio questa particolare religione. Osserviamo con curiosità le foto dei maestri rigorosamente nudi, scattate durante un intervento in parlamento, in incontri pubblici con M. H. Gandhi, con Sonia Gandhi, con Modi, con il Dalai Lama.
21 febbraio 2016
Trascorriamo la mattinata ai ghat ad osservare lo svolgersi delle puja. Un gruppo in prevalenza di donne provenienti da varie parti dell’India sta celebrando insieme al bramino e ad alcuni mariti la puja a loro stesse dedicata. Qualcuno mi dice che la dea protettrice delle donne per quanto riguarda il denaro è Lakshmi, ma non sono certa che sia una credenza condivisa. Le donne tengono tra le mani un piatto con due ciotole contenenti una del colore giallo, l’altra della polvere rossa. C’è anche un vasetto, dei rametti e tanti petali di fiori. Stanno semisommerse nell’acqua del fiume e con il vasetto si versano ripetutamente l’acqua sulla testa ripetendo il mantra “Om nama Shiva”.
Varanasi, 21 febbraio 2016. Pellegrinaggio dal Supremesakshi Temple, 62 Km da Chennai.
Con i bastoncini si strofinano i denti e le labbra, con il colore giallo, simbolo della purezza, poi con lo stesso colore si cospargono la faccia e i piedi, mentre con il rosso si fanno un segno l’una con l’altra, a metà della fronte, il punto centrale del corpo. Questa parte della puja è preparatoria, mi dice un marito di Visakhapatnam, nell’Andhra Pradesh. Se ho ben capito, la cerimonia proseguirà questa sera alle 18.00 e continuerà fino alla mattina, con l’accensione di 100.000 candele nei principali templi dell’India.
Varanasi, febbraio 2016. Puja sul Gange.
Proseguiamo verso il Kedar Ghat e lungo il percorso ci fermiamo ad osservare due ragazzi che stanno celebrando una puja insieme ad un guru per commemorare i defunti genitori. Qui, ognuno di loro sta impastando del riso con della farina e dell’acqua per poi formare delle piccole palline che dispongono in cerchio intorno al piatto. Anche in questa puja hanno degli stecchetti e dei petali di fiori. Più avanti, proprio dalla scalinata del Kedar Ghat sta scendendo un numeroso gruppo, anche qui quasi interamente di donne. Sono tutte vestite di rosso e fanno parte del Melmaruvathus Temple di Trichi, a 92 Km da Chennai. Portano con loro una fiaccola, dei petali, delle specie di zucche in mezzo alle quali accendono una candela allo scopo di sconfiggere le negatività. Anche su dei piatti accendono dei piccoli fuochi che alimentano gettando sopra della farina e con le fiamme accese vanno sul bordo del fiume cantando un dolcissimo mantra.
Varanasi, febbraio 2016. Sera al Dasaswamedh Ghat.
22 febbraio 2016
Abbiamo percorso la Main Road fino a Godonia e poi ci siamo dirette oltre la zona del Manikarmika Ghat. Ci siamo sedute in una delle logge che sporgono sul fiume all’altezza del Panchaganga Ghat, per osservare dall’alto lo svolgimento delle puje, i bagni degli indiani, il passaggio delle barche e il panorama osservati da un altro punto di vista. Ora, è appena arrivata una coppia con un bambino di pochi giorni per celebrare una puja sulla riva del fiume. Hanno con loro una grossa borsa con una scatola di metallo all’interno della quale stanno i barattolini con la polvere gialla, con quella rossa, delle grandi pastiglie bianche, dei petali di fiori, degli incensi, una collana di gelsomino, una candela, una noce di cocco, dei vasetti per attingere l’acqua. La giovane madre disegna con le mani una forma circolare sulla terra e la contorna con la polvere gialla. Al centro, insieme al celebrante e al marito mette i petali, la collana di gelsomino, delle rupie in carta e in moneta, una candela accesa. In una ciotola i tre mettono le pastiglie e in parte bruciano i bastoncini d’incenso. Il celebrante spruzza dell’acqua sulla donna e sul bambino e disegna ad entrambi il cerchio rosso sulla loro fronte ed anche sulla noce di cocco. Poco più là, immersa nel fiume sta una donna anziana che si ferma a lungo con le mani giunte a guardare il sole. Un altro anziano è appena arrivato al ghat e si sta spogliando per fare il bagno. Ora sta affidando il suo telefonino e il portamonete al guru affinché glieli custodisca durante il bagno.
Varanasi, febbraio 2016. Banchetto nuziale sui gath.
Un gruppo di 4 donne vestite con dei golf in lana lavorati a mano sta dando dei doni al guru; lui se ne sta seduto sul palchetto di fronte a noi e parla con la bocca piena di pan. Le donne con il golfetto gli hanno donato molte patate e dei sacchetti con farina, riso, zucchero e altri cibi. Ora loro si stanno pettinando e truccando usando gli specchi che il guru mette a disposizione per le persone che fanno il bagno. Le donne ad una ad una ora vanno a salutare il guru baciandogli i piedi; poi salgono nel terrazzamento soprastante la loggia a ritirare gli abiti messi a stendere dopo il bagno nel Gange.
Varanasi, febbraio 2016. Sui ghat.
Guardando proprio sotto a noi vediamo due giovani uomini che stanno pregando a mani giunte e ad alta voce sulla riva: sono lì da molto tempo e uno di loro sta piangendo. Sta calando la sera e c’è la luna piena che sta levandosi a levante e la sua luce si riflette sull’acqua increspata del Gange. Ci sediamo sulla scalinata a lato del Dasaswamedh Ghat dove si sta completando la cerimonia che si ripete tutte le sere. Il sadhu aristocratico di Delhi che ho conosciuto qualche giorno fa sta recuperando le sue coperte per mettersi a dormire lì, sul ripiano di legno sopra il fiume. Sta passando di qui anche il sadhu che dirige la scuola di yoga del Dasaswamedh Ghat: mi riconosce e mi saluta.
Varanasi, febbraio 2016. Vita sui ghat.
23 febbraio 2016
Questa mattina Silvia ed io abbiamo camminato ancora verso Godonia. Proprio all’incrocio di Bengali Tola c’era una grande manifestazione a sostegno di un anziano guru. Sfilavano ragazzi in divisa bianca, dei giovani cantavano e fuoriuscivano con le braccia dai cassoni dei camion, uomini e donne portavano striscioni inneggianti al guru, tutti avanzavano recitando dei mantra e distinguendosi per un distintivo che portavano puntato sul petto. Quando più tardi siamo scese ai ghat ci siamo fermate ancora ad osservare lo svolgimento delle numerose puje che si stavano svolgendo: alcune, con il celebrante riguardavano i matrimoni e le famiglie, altre, officiate da piccoli gruppi di donne per conto proprio avevano lo scopo di chiedere la protezione della Madre Ganga. I costi delle puja con celebrante variano a seconda dei destinatari a cui sono rivolte, se defunti o viventi, e sulla base della lunghezza del tempo che si vuole dedicare. Con il variare della qualità cambiano anche i prezzi che vanno dalle 1.000 rupie alle 5.000 (dai 14 ai 70 euro) ciascuna. Molte persone, anche appartenenti a famiglie diverse spesso si uniscono per celebrare un’unica puja e dividersi la spesa.
24 febbraio 2016
Stiamo effettuando una passeggiata oltre il Manikarmika Ghat affollato dai parenti dei morti che stanno bruciando sulle pire e da centinaia di persone arrivate qui per celebrare le puja per i defunti attuali e per gli antenati. Tra diverse tea-stall, venditori di legna e barbieri indaffarati, pullula tutta una serie di piccoli truffatori che con grande professionalità chiedono dei contributi per i poveri a cui nessuno provvede a comprare la legna per la pira.
Varanasi, febbraio 2016. Simbolo di un partito politico sulla Main road.
Bodhgaya, 25 febbraio 2016
Sono tornata a Bodhgaya per accompagnare Silvia a visitare un altro luogo sacro, oltre a Varanasi e Sarnath. Il treno, nel percorso fino a Gaya ha attraversato vaste pianure, a momenti interrotte da qualche filare di siepi e da alcuni alberi. Solo nei pressi di Gaya sono ricomparsi i gruppi di palme da cocco, inframmezzati da una moltitudine di altri alberi. Le risaie, i campi appena arati, quelli con i fiori gialli, sono animati dalle persone che sbucano tra l’erba alta e da capre, mucche e anche cavalli che pascolano qua e là.
Bihar, Bodhgaya, febbraio 2016. Mhabodhi Temple, VI secolo. La statua dorata del Buddha seduto, alta 2 m.
Le stradine sorgono in alto rispetto alla ferrovia, su dei terrapieni che sovrastano canali, stagni e risaie. In questa zona si vedono diversi cementifici e fornaci con le loro ciminiere fumanti che spiccano tra i pochi alberi della zona e camion, tanti camion sia accanto alle fabbriche sia vicino ai corsi d’acqua che raccolgono la ghiaia.
Bihar, Bodhgaya, Mahabodhi Temple, VI secolo.
Attraversiamo le stazioni di Bhabua Road, di Sasaram, Deharianson, Sonmagar. Gli edifici e i porticati qui sono dipinti di rosso e le panchine sono sommerse da grossi sacchi di juta pieni di cereali. Più giù una fila di camion sta scaricando altri sacchi che andranno a riempire i vagoni dei treni merci. Quest’altra zona è prettamente agricola. Il treno attraversa villaggi dai tetti di paglia e altri con le case costruite in mattoni, tutti con una moltitudine di covoni gialli accatastati accanto. Le mucche qui sono legate mentre galline e capre, cani e maiali gironzolano intorno liberamente. Più avanti, in mezzo alla pianura compare una collina con tutt’intorno dei macchinari che scavano la sua roccia e i camion carichi che la trasportano altrove.
Bodhgaya, febbraio 2016. Meditazioni al Mahabodhi Temple.
E’ già sera quando arriviamo a Bodhgaya: il tempio Mahabodhi costruito nel VI secolo sulle rovine di un altro tempio fatto costruire dall’imperatore Ashoka quasi 800 anni prima nel luogo dove il Buddha ha avuto l’illuminazione, è affollato di fedeli. Il tempio, dopo essere stato raso al suolo nell’XI secolo dalle invasioni islamiche è stato restaurato in diversi periodi, l’ultimo dei quali è avvenuto nel XIX secolo.
Bihar, Bodhgaya, Mahabodhi Temple, febbraio 2016. Un ramo dell’albero di pipal nato da una talea di quello sotto il quale meditava il Buddha.
Sotto l’albero di Pipal, la pianta nata da una talea dell’albero sotto il quale il Buddha meditava, questa sera è attorniata da pellegrini vestiti di bianco impegnati in una preghiera collettiva. Anche di fronte stanno allineate molte persone accovacciate, immerse nel silenzio della meditazione. Tutto l’insieme del complesso è illuminato da luci bianche e colorate e molti altari sono decorati con corone e offerte di fiori appoggiati su dei piattini.
Bodhgaya, febbraio 2016. Pellegrini in preghiera al Mahabodhi Temple.
26 febbraio 2016
Trascorriamo la mattinata quasi interamente al Mahabodhi Temple tra le voci dei canti, delle preghiere e dei mantra che si sovrappongono e a momenti arrivano a noi da più direzioni, trasportati dalle folate di vento che soffia leggero nell’aria calda.
Bodhgaya, 26 febbraio 2016. Mucalinda Lake, il luogo dove il Buddha trovò riparo dalla tempesta grazie all’intervento delle creature celesti.
A seconda dei posti in cui ci fermiamo le voci si fanno più chiare e il suono delle preghiere è distratto soltanto dallo stormire delle foglie dell’albero sacro che a momenti cadono tra i fedeli che accorrono a raccoglierle. L’albero della Bodhi attuale pare sia nato da un germoglio ricavato da quello originale sotto il quale il Buddha stava a meditare. Gruppi di pellegrini stanno girando più volte intorno al tempio principale con la corona buddhista o dei fiori tra le mani. Nel parco, tra i sentieri, i santuari e gli stupa, diversi pellegrini, da soli o in gruppo, stanno seduti a meditare. Anche sulla gradinata del Muchalinda Lake, tra le bandierine votive tibetane, di fronte alla statua di un cobra che si erge in mezzo allo stagno i pellegrini si fermano a meditare.
Bodhgaya, 26 febbraio 2016. Preghiera nel parco del Mahabodhi Temple.
Una scritta racconta che qui, in questo luogo, il Buddha fu sorpreso da una violenta tempesta e che il dio serpente del lago venne a dargli protezione.
Bihar, Bodhgaya, 26 febbraio 2016. Mendicanti nella zona antistante il Mahabodhi Temple.
Nel primo pomeriggio mentre ci avviamo verso la stazione dei motorisciò, ci fermiamo ad ascoltare la musica che proviene da un’orchestrina improvvisata dai mendicanti che stazionano nella zona di accesso al tempio. Muniti di piatti, cucchiai, pentole e un tamburo sono riusciti a creare una piacevole e allegra composizione musicale che sta attirando turisti e pellegrini intorno a loro.
Bodhgaya, 26 febbraio 2016. Concertino improvvisato dai mendicanti.
27 febbraio 2016
Siamo ritornate a Varanasi. Questa mattina ci siamo incamminate verso Chowk attraverso la città vecchia. Ad un certo punto siamo tornate indietro e siamo sbucate al Manikarnika Ghat. Ci siamo fermate a guardare le varie celebrazioni delle puja: ogni volta che le osservo scopro dei dettagli nuovi.
Varanasi, febbraio 2016. Mattinata tra i bucati stesi lungo i ghat.
C’erano quelle per le persone morte da pochi giorni che si diversificavano da quelle dei familiari deceduti da più tempo. Un gruppo proveniente da città diverse dell’Andhra Pradesh, tutti con un anello di paglia al dito anulare sta ora disponendo le palline di farina e acqua accanto agli stecchini mentre il celebrante sta posizionando davanti a sé delle fascine di fuscelli annodati insieme. Davanti a loro ci sono due uomini: uno giovane sta facendo la puja per il nonno morto 8 mesi fa, mentre l’altro, in età matura, sta ricordando il padre morto 11 giorni fa.
Varanasi, febbraio 2016. Movimenti di pellegrini sul Gange.
Entrambi hanno davanti a loro una ciotola con i resti del familiare raccolti dopo la cremazione e proprio per questo fatto la loro puja richiede un rituale diverso. La madre del ragazzo ci dice che le donne non possono partecipare alla puja e, difatti, più tardi la vedremo soltanto andare al Gange ad attingere l’acqua da portare al figlio per la puja del defunto padre. Gettiamo per un attimo lo sguardo all’altra puja: sta terminando con l’utilizzo della coda di una mucca che se ne sta lì legata. Il celebrante le sta colorando il sedere e ora sta strofinando ogni parente con la sua coda per cacciare le negatività di ognuno. Il proprietario della mucca, dopo aver preso diverse rupie dai parenti dei defunti, mi si avvicina con la bocca impastata di pan e mi chiede 10 rupie per aver scattato qualche foto alla parte del rituale con la sua mucca. Più sotto, subito dopo il Marnikarmika Ghat c’è un’altra cerimonia. Qui c’è un altarino con la grande foto di un parente morto 15 giorni fa. Ci sono molti piatti allineati con vegetali in foglia, riso e soldi, ma i parenti tutti, comprese le donne se ne stanno in disparte lasciando l’officiante da solo, al centro.
Varanasi, febbraio 2016. Arrivo di un corteo nuziale al Gange.
Ora, pur essendo vicinissimi al ghat delle cremazioni, sta arrivando un numeroso gruppo di pellegrini: cantano e pregano, si fermano sulla riva del fiume e si bagnano il viso con l’acqua del Gange. Sono molti e fanno parte di un’unica famiglia. Le donne portano dei vasi tondi di terracotta sulla testa con sopra dei pacchi. Con loro c’è un uomo di mezza età, alto e magro, ma con una grossa pancia prominente. Si distingue dagli altri uomini per il turbante rosso che porta in testa e qualcuno mi dirà più tardi che è il sacerdote del tempio al quale appartengono.
Varanasi, 27 febbraio 2016. Pellegrinaggio da Shimla al Manikarnikeswar Temple.
Vengono da Shimla e hanno intrapreso un lungo viaggio in treno per arrivare fin qui, a Varanasi. Ci invitano a seguirli al Manikarnikeswar Temple, un luogo costruito 150 anni fa sulle millenarie rovine di un edificio religioso.
Varanasi, 27 febbraio 2016. Pellegrinaggio da Shimla.
Qui si soffermano soltanto alcuni minuti a guardare un profondo pozzo quadrato in fondo al quale ci sono delle immagini sacre. Il gruppo familiare prosegue poi verso l’Hanumalth Temple dove il sacerdote che viaggia insieme a loro si siede su un tavolone decorato, in posizine dominante, con sul davanti decorazioni di fiori e immagini sacre. Apre il grosso pacco di fogli scritti e disegnati che uno di loro trasportava sul capo avvolto in un drappo rosso. Le donne depositano i loro vasi d’acqua e si dispongono in disparte, sedute sul pavimento .
Varanasi, 27 febbraio 2016. Le offerte agli dei del pellegrinaggio di Shimla.
Ogni vaso ha la forma sferica ed è in terracotta; sopra c’è una noce di cocco tenuta insieme da una corona di fiori attorcigliata intorno. Gli uomini seguono le azioni del loro prete e prendono accordi con i sacerdoti del tempio. Ad accogliere il gruppo di pellegrini ci sono anche dei ragazzi e un insegnante. Difatti qui, annessa al tempio, c’è una scuola di sanscritto, la lingua antica indiana, ed è frequentata da 20 allievi che alloggiano nell’ashram accanto.
All’ora del tramonto prendiamo la barca per andare a donare al Gange i piattini con i fiori e la candelina. Ci fermiamo un po’ dall’altra parte del fiume ad osservare dalla sponda est il sole calare dietro i palazzi di Varanasi. Lì intorno vediamo mucchi di abiti abbandonati: sono i vestiti che i pellegrini abbandonano dopo il bagno, sostituendoli con quelli nuovi. In effetti, dalla riva Ovest vediamo quasi ogni sera dei grandi falò ardere qui e ora ci dicono che i pellegrini lo fanno per purificarsi.
Varanasi, febbraio-marzo 2016. Pellegrini in attesa delle imbarcazioni lungo i ghat.
Anche di là del fiume, sui ghat, dopo il bagno le persone e i bambini indossano degli abiti nuovi, ancora imballati nelle loro confezioni, ma non abbandonano lì i vecchi. Forse li lasceranno da altre parti! Al ritorno in barca udiamo dei suoni di tamburo provenire dall’Harishchandra Ghat, il piccolo ghat delle cremazioni. E’ la stessa musica che accompagna i matrimoni, ma Sonu, il nostro barcaiolo, ci spiega che questo, invece, è il suono per la cerimonia funebre di un ultra centenario.
Varanasi, 27 febbraio 2016. Le candele dei desideri affidate a Madre Ganga.
Quando arriviamo al largo lasciamo andare le nostre candele nell’acqua alta del fiume e le guardiamo allontanarsi sempre insieme fino alla fine dell’ultima fiammella.
Varanasi, 27 febbraio 2016. L’ora del tramonto dal di là del fiume.
28 febbraio 2016
Questa mattina Silvia è partita per Roma e questa sera Simone prenderà il treno per Delhi e da lì poi tornerà in Italia. Pranziamo insieme oggi, all’Annapurna Temple, il tempio dedicato alla dea del cibo dove chiunque può mangiare gratuitamente. Con noi c’è anche Edoardo, il suo amico di Macerata che insegna italiano in un’università privata di Delhi. Il thali (riso con legumi e verdure speziato) è squisito!
Varanasi, 28 febbraio 2016. Pranzo alla mensa gratuita dell’ Annapurna Temple.
29 febbraio 2016
Passeggiata lungo la città vecchia fino a Godolia e poi da un’altra parte fino a Chowk per poi entrare nei ghat e scendere sul lungo fiume verso il Dasaswamedh Ghat. Nella parte vecchia laggiù mi fermo un attimo al Lord Vishnu Temple dove, nelle cappelle ci sono due sacerdoti che distribuiscono benedizioni ai fedeli. Sulla strada del ritorno attraverso il Manikarmika Ghat, accanto a una grande bilancia con vicino una catasta di legna c’è una delle due sedicenti guide che ormai incontro ogni volta che passo di qui. Oggi mi chiede ancora quando muoio e di quanta legna ho bisogno. Più avanti ci sono le solite puja che i parenti celebrano per i defunti recenti e per gli antenati: una cerimonia oggi aveva 3 pupazzi di pasta costruiti con due palline di pasta sovrapposte ciascuno. Quella cerimonia era già giunta al termine e il protagonista stava già alzandosi per andare a donare l’offerta al fiume.
Al Dasaswamedh Ghat invece ci sono molte coppie di sposi e alcune stanno arrivavando al suono dei tamburi. Oggi c’è un elemento nuovo, per me, della tradizione indiana dei matrimoni: la madre della sposa, davanti al corteo, sostenuta da altre donne, si getta per terra distendendosi e gridando. La scena è continuata lungo tutta la scalinata fino a quando la madre è arrivata al fiume e si è bagnata il viso con l’acqua sacra.
Varanasi, febbraio-marzo 2016. Dasaswamedh Ghat.
1 marzo 2016
Passando per il Dasaswamedh Ghat vedo un ragazzo molto giovane con una corona di foglie verdi appesa al collo. E’ arrivato al Gange al suono di un grande tamburo. I familiari hanno preparato una cerimonia per lui solo, per chiedere alla madre Ganga di riservagli un buon futuro.
Varanasi, febbraio-marzo 2016. Dal Chousatti Ghat.
A pranzo torniamo ancora alla mensa gratuita dell’Annapurna Temple. Oggi siamo 5: Alina, Edoardo, due simpatici ragazzi giapponesi e io. La fila per accedervi è immensa e i numerosi poliziotti ci guardano meravigliati. Noi sorridiamo dicendo che apprezziamo molto questa iniziativa, ed è vero. Alle pareti stanno appesi numerosi tabelloni con i nomi dei benefattori bel evidenziati e con un elenco delle molteplici iniziative umanitarie di questo tempio. Ci spostiamo poi oltre Chowk e visitiamo il Kaal Bhairav Temple, dedicato a Rudra, il dio ispettore.
Varanasi, 1 marzo 2016. Kaal Bhairav temple dedicated to Lord Shiva.
Questa forma temibile di Shiva rappresenta la divinità protettrice dei poliziotti i quali, durante i loro festeggiamenti, gli donano dei liquori.
Varanasi, 1 marzo 2016. Rituali al Kaal Bhairav Temple.
Non lontano da questo antico tempio c’è il negozio governativo per la vendita della marjuana: ci passiamo davanti, ne acquistiamo un po’ e ci dirigiamo verso il Gange. Usciamo nei pressi del Lal Ghat dove c’è una moschea proprio accanto ad un tempio induista.
Varanasi, 1 marzo 2016. Kaal Bhairav Temple, entrata.
Poco più giù c’è un palazzo dipinto di rosa con all’interno il Ramanand Temple e una scuola di sanscrito per una quarantina di ragazzi, esclusivamente bramini, in quanto solamente loro possono accedere alla lettura dei Veda.
Varanasi, 1 marzo 2016. La scalinata del palazzo sul ghat che ospita una scuola di sanscrito.
L’insegnante di sanscrito e mantra e due suoi allievi ci accolgono in modo amichevole e stiamo un po’ di tempo seduti sul pavimento a chiacchierare con loro. L’insegnante ha 27 anni e fra 2-3 anni si sposerà con un matrimonio di famiglia. Mi chiede delle informazioni sulla mia professione e riguardo alla mia vita privata. In particolare vuole sapere se il padre di mio figlio ha una nuova compagna e alla mia risposta affermativa e giustificativa della situazione conseguente alla mia scelta di libertà, esprime delle parole favorevoli. Riguardo alla mia pensione ha voluto sapere invece se devo dare dei soldi ai figli e anche su questo punto l’ho rassicurato. Questo docente insegna qui come volontario, ma dice di essere il maestro di una scuola statale maschile che sta nei pressi del Gaya Ghat rivolta ai bambini dagli 8 ai 12 anni.
Varanasi, 1 marzo 2016. Il guru della scuola di sanscrito per soli bramini.
Dopo qualche tempo arriva lì un altro allievo nel quale riconosco il ragazzino che alcuni mesi fa avevo visto dar da mangiare al Gange. L’insegnante mi conferma che tutti i giorni alle 12.00 viene portato prima il cibo al Gange e poi al dio Rama che sta in un altarino al piano di sopra. Nella nostra grande stanza, in disparte c’è un sadhu che tiene una mano dentro ad un sacchetto arancione. Sta recitando un mantra, mi dicono, mentre lui sgrana assorto un rosario. E’ del Maharashtra, ci racconta, e là lavorava come agricoltore. Ha 45 anni, 3 figli, due maschi e una femmina, ed è diventato sadhu 10 anni fa. Di fronte a noi c’è una serie di sculture di divinità, ma a quest’ora sono coperte da una tenda in quanto, ci dicono, stanno dormendo. Nel piano soprastante c’è il dio Rama, anche lui nascosto dietro una tenda per il riposo pomeridiano che va dalle 12.00 alle 16.00. E’ quasi terminato il tempo della siesta e un ragazzino mi accompagna al piano di sopra per mostrarmi la cappella del dio Rama. Nella stanza accanto c’è un guru seduto immobile a gambe incrociate e il ragazzino me lo indica invitandomi ad entrare. Lo saluto velocemente con le mani giunte e scappo via: lui mi manda, attraverso i bambino, delle vere mentine bianche a forma di sfera.
Varanasi, Dasaswamedh Ghat. Mendicanti.
2 marzo 2016
Questa mattina sto camminando ancora lungo la strada che da Godonia porta a Chowk, ma decido di entrare presto nei ghat e sbuco poco più su del Dasaswamedh Ghat. Tornando poi nella direzione Sud mi fermo a leggere un quotidiano locale. Qui, al Dasaswamedh Ghat ci sono, come sempre, la serie dei celebranti le puja per i pellegrini già al lavoro di primo mattino e i cortei nuziali in continuo arrivo, alcuni silenziosi, altri al suono dei tamburi. Non mancano, naturalmente, i barcaioli, i barbieri, i venditori di cjai, di fiori e di immagini sacre, sempre indaffarati ad accalappiare clienti. Dopo un po’che me ne sto lì seduta mi vengono in mente degli amici che forse pensano di trovarmi al Chausatti Ghat e mi sposto a leggere lì, nella parte alta della gradinata, dove c’è un pezzettino di ombra.
Varanasi, marzo 2016. Poco dopo il tramonto al Rama Ghat, nei pressi del Chousatti Ghat.
Arriva quasi subito uno dei due fratelli barcaioli, quelli che affermano di essere i cugini di Sonu, in quanto figli di due fratelli, ora entrambi defunti. Hanno tutti, sia loro che Sonu, le barche attaccate al molo del Chousatti Ghat, ma non si parlano. Già qualche tempo fa mi avevano fermata per dirmi questo, ma Sonu mi aveva detto che non era vero che erano parenti e la cosa per me era finita lì. Oggi, il fratello più giovane dei cugini mi ha rispiegato una faccenda fatta di beghe familiari, gelosie e rancori. In pratica le tre barche dei cugini sono una loro esclusiva proprietà mentre le tre barche di Sonu sarebbero del nonno paterno comune e dovrebbero essere divise a metà. Il nonno è ormai ultracentenario e vive con la madre e i fratelli di Sonu in una casa divisa a metà fra le due famiglie. La questione della divisione della casa è stata risolta in modo equo mentre quella della ripartizione delle barche no. Chiedo al cugino delle informazioni sull’ampia ferita rimarginata che Sonu porta tutt’intorno alla gola e, contrariamente a quanto mi aveva riferito lui tempo fa, come avevo già riportato sul blog, mi racconta che 10 anni fa il ragazzo aveva subito un delicato intervento chirurgico. Da quanto il cugino mi riferisce, intorno al collo di Sonu si erano formati dei noduli e all’interno avevano proliferato dei parassiti: la guarigione è avvenuta dopo una lunga convalescenza e in un clima di totale solidarietà tra le due famiglie.
4 marzo 2016
L’atmosfera dei ghat è sempre piacevole. Rimango a leggere seduta qua e là, dove trovo un po’ d’ombra e ogni tanto passeggio verso il Main ghat e entro nella città vecchia a prendere un cjai nelle antiche chaiwalla. In questo periodo, tra il Dasaswamedh e il Rama Ghat si sono formati due gruppetti capeggiati da santoni vestiti soltanto di un perizoma e con il corpo dipinto di bianco.
Varanasi, marzo 2016. La preparazione della cena sui ghat.
5 marzo 2016
Ho camminato anche oggi da Godolia a Chowk e sono entrata nella città vecchia immergendomi nei vicoletti fino a che sono arrivata al Gange e precisamente al Gaay Ghat, un luogo molto vicino al grande ponte che non raggiungevo da qualche tempo. Quassù l’atmosfera è ancora più rilassata: c’è qualche celebrante disoccupato, un vitellino appena nato e la mucca che lo sta leccando, uomini che tranquillamente fanno il bagno e poi lavano i loro panni, capre distese sulle gradinate, ragazzi accanto al tempietto che stanno giocando a scacchi.
Varanasi, marzo 2016. Pellegrini in attesa di celebrare la puya nella zona del Gaay Ghat.
Ci sono due bancarelle che vendono il cjai e hanno appese sul davanti le taniche bianche di plastica che servono per portare a casa l’acqua del fiume. Su un terrazzo costruito intorno ad un grosso albero si sente la voce di un celebrante parlare al microfono: sta radunando un gruppo di pellegrini arrivati qui per celebrare la puja sul Gange. Sotto, lungo la gradinata c’è un altro gruppo che sta aspettando il suo turno per il rituale. Arrivano da una cittadina che sta dalle parti di Mombay e hanno già riempito i loro vasetti di metallo con l’acqua del fiume. Qui, alla puja, mi dicono che parteciperanno anche le donne e che gli uomini non si metteranno a dorso nudo. Poco più avanti, però, c’è un altro gruppo immerso in un rituale: qui gli uomini hanno soltanto un panno intorno alla vita e le donne se ne stanno in disparte.
Varanasi, marzo 2016. Gli elementi per la celebrazione della puya nella zona del Gaay Ghat.
Andando verso Sud incontro qualche turista solitario, maschio o femmina: sono sempre affiancati da un indiano. Non mancano, come sempre, i barcaioli e i massaggiatori alla caccia di clienti. Al Ram Ghat incontro un signore elegante che da tempo desidera mostrarmi il suo negozio di tessuti: un giorno o l’altro dovrò andarci. Attraverso la distesa di bucati messi ad asciugare sui lastroni: qui le scimmie stanno cercando cibo e una di loro ha trovato qualche cosa da mangiare nelle tasche di un paio di pantaloni. Sono quasi le 13.00: arrivo al Dasaswamedh Ghat dove si sta svolgendo una cerimonia intorno alle sculture di tre divinità trasportate sul palco per l’occasione.
Varanasi, marzo 2016. Puja di uomini e donne nella zona del Gaay Ghat
Appena il suono si attenua arriva da sopra le gradinate il richiamo dei tamburi in festa per uno sposalizio. Ancora una volta assisto alla drammatizzazione del rituale della disperazione della madre della sposa per la perdita della figlia. Il percorso del gettarsi per terra, strisciare, rialzarsi inizia da lassù, oltre la gradinata e deve arrivare fino al Gange. Sono ormai poche le madri che eseguono questo faticoso rito.
Varanasi, marzo 2016, dintorni del Daraswamedh Ghat. L’arrivo di un corteo nuziale con la madre della sposa che si trascina urlando per la perdita della figlia che sta andando sposa.
6 marzo 2016
Una mattinata trascorsa ad osservare il gran susseguirsi di cortei nuziali al Gange e l’arrivo di grosse folle di indiani che si stanno riversando lungo le strade e sui ghat per il Mahashivratri Festival, l’anniversario del matrimonio di Shiva.
Varanasi, marzo 2016. Piccola puja lungo i ghat.
Verso sera è iniziata la marcia degli induisti: migliaia di indiani, quasi tutti uomini, stanno camminando a piedi nudi lungo i ghat e le strade, distribuendo il riso dei sacchetti che portano con loro e gettando qualche monetina ai numerosi mendicanti giunti qui per l’occasione. La marcia è partita dal Manikarnika Ghat e sta percorrendo un cammino di 85 km lungo i ghat per poi far ritorno attraverso le strade che portano ai principali templi dedicati a Shiva. Le tappe distano decine di Km l’una dall’altra e lì, ogni volta, viene celebrata una puja.
Varanasi, marzo 2016. Cerimonia serale al Dasaswamedh Ghat.
L’atmosfera è allegra: ogni tanto raggiunge anche me qualche manciata di riso, ma lanciato come si fa da noi per gli sposi. Mi arrivano anche tre monetine, una ad una, da lontano. Molti, moltissimi ragazzi mi passano davanti e mi porgono la mano per un saluto festoso.
Varanasi, marzo 2016. La lunga marcia degli induisti.
Alcuni di loro hanno i piedi rossi, colorati con l’henne per l’evento. Tutti hanno il simbolo di Shiva disegnato sulla fronte: le righe bianche inframmezzate dal punto rosso al centro. A momenti si sentono le voci gridare insieme “Shiva Raterì, Shiva Raterì…”, ma la maggior parte del cammino si svolge in silenzio e durerà fino a domani sera, quando tutti ritorneranno al Manikarnika Ghat.
Varanasi, marzo 2016. Mendicanti arrivati al Chousatti Ghat per l’occasione della grande marcia induista.
7 marzo 2016
Sto dedicando la giornata molto alla lettura sui ghat, tra le diverse celebrazioni di puja e seduta tra i numerosi pellegrini arrivati per il Mahashivratri Festival. Bambini con fratelli piccolissimi in braccio, uomini vestiti da sadhu, mendicanti anziane non mancano di avvicinarsi mimando con la mano il gesto della fame. A tutti rispondo di andare a mangiare ai templi dove il cibo è buonissimo. Ai bambini e alle bambine dico anche di andare a scuola, ma fanno finta di non capire.
Varanasi, marzo 2016. Un momento notturno della marcia induista.
8 marzo 2016
Sono seduta all’ombra, sulla ripida scalinata del palazzetto dove abitano i barcaioli. Stanno arrivando voci di preghiere recitate e di mantra cantati da soli uomini: provengono dal tempietto che sta oltre il piccolo ghat delle cremazioni. Sulla scalinata che porta alla città vecchia, in una zona all’ombra delle case, stanno seduti, separatamente, gruppi di donne a chiacchierare. Più giù, verso il fiume, sono stati montati due teli di plastica su dei pali di bambù malfermi: sotto, all’ombra stanno celebrando le puja con gli uomini in primo piano e le donne dietro a guardare.
Varanasi, marzo 2016. Il riposo di un celebrante lungo i ghat.
Mi sposto più avanti per cambiare lo scenario e vado a sedermi sotto un grosso albero di pipan, accanto ad un altro tempio, dopo il Kedar Ghat. Qui c’è un celebrante con un cestino rosso da pick- nik con all’interno i cibi da usare per le puja. e’ una puja per una singola persona che ora se ne sta con una noce di cocco sollevata in alto con le mani e davanti a sé ha un piatto con della polpa di anguria spezzettata. Verso sera rimango a lungo seduta su un tavolone nei pressi del Daramswamedh Ghat; me ne sto lì a guardare le barche che arrivano con i turisti per assistere alla cerimonia, i cani con i chiari segni della rogna sul corpo che gironzolano, gente di diverse religioni che passeggia tranquilla.
Varanasi, marzo 2016. Notte lungo i ghat.
Le luci dei templi si accendono al calar del sole subito seguite da quelle degli alberghi e delle case. Da una parte e dall’altra ci sono i due borning ghat in piena attività e le fiamme sono ben visibili anche da qui. Finita la cerimonia, il Gange si riempie di piattini con le candele dei desideri accese. Ora stanno concentrate nei pressi del Manikarmika Ghat e di là del fiume, sull’altra sponda, dove la corrente le sta portando.
Varanasi, marzo 2016. Cermonia al Dasaswamedh Ghat.
9 marzo 2016
Tra una lettura e l’altra sui ghat, verso sera mi si è avvicinato uno dei due cugini barcaioli di Sonu per dirmi che lui in questi giorni sta al villaggio. Lì, secondo la sua versione, diversa da quella di Sonu, hanno una casa e un tempio in comune. Il villaggio sta a 25 Km da qui ed il tempio, dedicato alla dea Adalpura, è meta di pellegrinaggi e di celebrazioni di puja per dieci giorni in questo periodo e termineranno domani sera.
Varanasi, 9 marzo 2016. Negozio di barbiere sul ghat.
Più tardi, accanto al Dasaswamedh Ghat dove si stava celebrando la cerimonia serale si è seduto accanto a me il sadhu che insegna yoga in una scuola di sua proprietà. L’ho conosciuto tempo fa e allora mi aveva detto che era un medico e a 25 anni aveva scelto di diventare sadhu. Questa sera mi ha raccontato che ha troncato tutti i contatti con la sua famiglia nonostante sua madre sia ancora viva. E’affetto da una malattia incurabile che gli provoca forti dolori alle articolazioni, diminuzione della vista e una degenerazione progressiva di tutto l’organismo. Una volta, in passato, gli avevo detto che secondo me c’era una contraddizione tra l’essere sadhu e il possedere una scuola privata. Questa sera, senza che gli dicessi nulla, si è giustificato dicendo che è impossibile non aver un minimo di lavoro per poter disporre di una casa, avere degli abiti e del cibo. Lui è sempre molto curato nei suoi abiti arancione e quando parla si liscia continuamente la lunga barba sempre fresca di shampo.
Varanasi, 9 marzo 2016. Tea-stall al Rama Ghat.
10 marzo 2016
Questa mattina accanto al Dasaswamedh Ghat, sulla gradinata sul retro del tempio rosso dedicato a Shiva e davanti all’altro tempio lì accanto c’è un pellegrinaggio composto quasi esclusivamente da donne provenienti da Kannijakumari.
Varanasi, 10 marzo 2016. Puja di donne provenienti da Kannijakumari mentre costruiscono il lingam di Shiva con sabbia e acqua.
Per le puja si sono formati due gruppi: uno, con un anziano guru locale, molto direttivo, sta celebrando il rituale per gli antenati mentre l’altro, composto esclusivamente da donne, con il proprio guru di Kannijakumari, sta costruendo su un piatto un lingam di Shiva fatto di sabbia e acqua. Terminata la forma, il guru aggiunge in ogni piatto della polvere rossa e gialla, del riso e un ramoscello con delle foglie verdi con il quale le donne iniziano a benedire il lingam: usano l’acqua del Gange che tengono in un vasetto. Il guru porge poi ad ogni donna una collana di fiori gialli che loro posano intorno alla composizione insieme ad una bustina di mentine bianche. Accanto ad ogni piatto il celebrante mette dei grossi pezzi di zucchero appoggiati sopra a dei bastoncini di paglia e accende il fuoco. Le donne accostano le mani alla fiamma e poi si alzano in piedi, congiungono i loro palmi guardando verso il Gange e vanno in barca a portare i piatti con i lingam al fiume.
Varanasi, 10 marzo 2016. La puja delle donne di Kannijakumari.
Il guru rimane lì a contare e ricontare i soldi delle offerte: 500-600 rupje (7,00-8,00 euro). Fa molto caldo: mi siedo all’ombra di un telo di plastica di una bancarella dove sta una giovane donna strabica che vende tutto l’occorrente per le puja. In lontananza, da un barcone, arriva il suono dei tamburi che stanno accompagnando un corteo nuziale. Le donne della puja stanno ritornando e insieme all’altro gruppo ora vanno a visitare i due templi accanto. Verso sera, mentre me ne sto seduta al Chausatti Ghat passa un corteo funebre con la salma avvolta in un drappo di colore arancione. Recitano il mantra: “ Ram Nam” “il nome di Rama” e il gruppo di parenti risponde: “Sat He” “E’ la verità”. Stanno andando verso il Manikarmika Ghat che, come l’Harischandra Ghat sta bruciando pire in continuazione, a tutte le ore del giorno e della notte.
Varanasi, 10 marzo 2016. Verso sera lungo i ghat a Sud.
E’ l’ora del tramonto: la sabbia dell’altra sponda del fiume ha assunto un colore giallo oro ed anche l’acqua del Gange ha preso dei riflessi dello stesso colore. Parlo un po’ con Sonu che è rientrato dalla settimana trascorsa al suo villaggio d’origine. Mi dice che le informazioni che mi hanno fornito i suoi cugini barcaioli riguardo al tempio e alla casa che possiedono in comune sono errate. Sono due verità raccontate da entrambi come fossero entrambe vere. Più tardi Sonu arriverà con una grossa bottiglia di whisky che mi assicura condividerà con diversi suoi amici.
Varanasi, 10 marzo 2016. Crepuscolo sui ghat, verso Nord.
Mi sposto verso la tea-stall del Rama Ghat e guardo i colombi appollaiati sui fili della luce che si congiungono attraverso un palo all’hotel del Rama Palace. Più tardi, sulla scalinata accanto al Dasaswamedh Ghat, parlo un po’ con il barcaiolo che ha un negozietto lì sul ghat. Mi dice che ha anche l’incarico di curare il tempietto dedicato a Mahashivratri, quella cappella che sta lì sotto, vicino al Gange. Difatti tutti le sere la vedo illuminata e per il recente festival era abbellita con una moltitudine di luci colorate. Mi è sfuggita la celebrazione della puja che lì avviene solo due volte all’anno: il 6 marzo per il Mahashivratri Festival e nel mese di novembre per il Divali Festival, la festa della luce.
Varanasi, 10 marzo 2016. Sera lungo i ghat.
11 marzo 2016
Sono tornata ancora ai ghat a guardare le puja. Oggi mi sono fermata nei pressi del Kedar Ghat dove c’erano due tendoni verdi sistemati nei territori di competenza dei due celebranti. Uno stava attendendo i fedeli schiacciando un pisolo seduto sulla sedia di plastica bianca mentre l’altro oltre ad essere seduto all’ombra del tendone si riparava ulteriormente dal sole con un ombrello nero. Avevano un unico aiutante, spettinato e vestito di nero, che s’affannava a disporre il necessario per le puja nei piatti e a servire ai suoi padroni il cjai con i biscotti. Più tardi, al Chausatti Ghat mentre sto chiacchierando con Sonu, appena rientrato dal villaggio, arriva un numeroso gruppo di pellegrini da Bangalore e si siedono sui lastroni di pietra ad ascoltare le parole dei due guru vestiti di arancione che viaggiano con loro. Oggi, al ristorante di Godonia dove vado spesso a pranzo, ho visto il giovane proprietario strattonare più volte uno degli inservienti che forse se ne stava troppo tempo accovacciato vicino a una bacinella, a far finta di lavare i piatti.
Varanasi, marzo 2016. Lungo i ghat.
12 marzo 2016
Quando sono a Varanasi, il mio tempo lo trascorro in gran parte sui ghat: a leggere, a guardare il fiume e le barche che lo percorrono, a chiacchierare con la gente, a far nulla. Nella stanza mi diverto ad appendere le banane alla finestra e ad osservare le strategie che mettono in atto le scimmie per afferrarle attraverso le aperture della rete di protezione.
Varanasi, marzo 2016. Studio di barbiere in attesa di clienti sul Dasaswamedh Ghat.
Ogni giorno è diverso e interessante anche se mi muovo più o meno negli stessi luoghi: i ghat, la città vecchia, i ristorantini, le chaiwalla. Raramente faccio l’elemosina e quando i mendicanti mi mimano il gesto della fame li invito ad andare ai templi dove c’è del cibo per tutti. Ai bambini mendicanti dico loro di andare a scuola dove possono usufruire, oltre all’istruzione, di un pasto al giorno gratuito.
Varanasi, 12 marzo 2016. Da un ristorantino sulla Main Road.
Stasera fa freddo: nel pomeriggio è piovuto e la temperatura si è abbassata notevolmente e ora si è alzato un forte vento. Nella chaiwalla del Rama Ghat uno studente di Luknow che frequenta la facoltà di ingegneria meccanica in un college privato si siede accanto a me per chiacchierare del più e del meno. Un uomo di mezza età con gli occhi sbarrati e assenti beve un cjai e cerca di allontanarsi senza pagare. Il barista lo richiama e lui, da lontano, gli mostra 10 rupje, forse le uniche che possiede e io gli offro il cjai. Mentre cammino verso il Dasaswamedh Ghat, una famiglia del Jharkhand in pellegrinaggio a Varanasi con tutte le generazioni dirette e acquisite mi chiede di farsi fotografare insieme a me. Sono in tanti, ma mi assicurano che la loro famiglia in realtà è ancora più numerosa in quanto molti dei componenti sono rimasti a casa.
Varanasi, Godonia, marzo 2016. Manifestazione di lavoratori.
13 marzo 2016
E’ una giornata nuvolosa, un po’ fredda e a momenti piove. Leggo come ogni giorno seduta qua e là. A pranzo vado nel ristorante di Godonia dove avevo visto strattonare il cameriere. Lo individuo: non sembra nemmeno lui! Oggi è pulito, con la camicia appena stirata, un bel taglio di capelli e dei baffi che lo fanno apparire assolutamente diverso.
Varanasi, marzo 2016. Chousatti Ghat.
Verso sera mentre me ne sto tranquilla a leggere sulla gradinata accanto al Dasaswamedh Ghat mi si avvicina un anziano vestito di bianco: dice di essere il prete di un Tempio delle scimmie, precisamente di quello che sta più a Nord. Mi chiede le solite informazioni e poi mi recita un mantra toccandomi la sommità del capo. Ripete il rituale velocemente, per ben tre volte: alla fine mi chiede una donazione che gentilmente gli rifiuto. Più avanti incontro il baba che tempo fa si è seduto accanto a me in modo amichevole e alla fine ha preteso dei soldi dicendomi che quello era il suo lavoro. Quella volta glieli ho dati, ma in seguito ho sempre rifiutato i contatti con lui e, ora, ogni volta che lo incrocio fa finta di non vedermi o mi guarda con ostilità. Sul tardi, passeggiando lungo i ghat con Alina incontriamo il sadhu che possiede una scuola di yoga: lo saluto chiamandolo “baba” e mi sorride. Lo vedo spesso camminare su e giù per i ghat frettoloso e assorto, con una borsa di cuoio a tracolla.
Varanasi, marzo 2016. Lungo i ghat.
14 marzo 2016
E’ piovuto a dirotto tutta la notte con un ulteriore, notevole abbassamento della temperatura. Questa mattina sia le stradine lastricate sia le vie asfaltate sono ricoperte di un misto di fango, sterco e immondizia nonostante il lavoro degli spazzini impegnati a ripulire il tutto.
Varanasi, marzo 2016. Tramonto sui palazzi dei ghat.
Cammino fino a Godonia e poi raggiungo Chowk; da lì entro attraverso le stradine nella zona del Manikarnika Ghat e poi scendo al fiume. Lungo la strada incrocio diversi cortei funebri e qui al ghat ci sono ora diversi gruppi di parenti maschi in piedi accanto alle pire che ardono. Mi siedo a leggere più a Sud, sotto uno degli “ombrelloni” in cemento che fiancheggiano quella parte di lungofiume. Uno dei miei amici sadhu, quello aristocratico, che di solito vive e dorme sulla riva del Gange, si ferma a salutarmi. Ha dormito in guest house la notte scorsa e ha pagato 200 rupie. Questo è uno dei sadhu che non chiede l’elemosina ed è molto cordiale ed educato. Più tardi si siedono accanto a me dei ragazzi rumorosi e decido di spostarmi più avanti, vicino al Dasaswamedh Ghat.
Varanasi, marzo 2016. Tramonto sul Gange.
Qui viene a salutarmi un giovane bramino che praticamente trascorre le sue giornate sul ghat ad attendere i fedeli per celebrare le puja. E’un bramino serio, non rincorre i fedeli e attende che questi vadano da lui per scelta. Alla fine arriva anche il giovane barbiere che diversi mesi fa mi ha tagliato i capelli: ora ha imparato a fare anche i massaggi e naturalmente si propone con insistenza per una cosa o l’altra. Gli piace attirare la mia attenzione e così mi fornisce qualche informazione su un baba vestito di nero che ora sta chiacchierando qui accanto. Mi dice che è diventato molto ricco facendosi pagare per farsi fotografare e ora possiede due lussuose case dove abitano le sue due mogli.
Varanasi, marzo 2016. Tardo pomeriggio al Chousatti Ghat.
Oggi Alina partirà per il Kazakistan. Pranziamo assieme al ristorante di Godonia e quando usciamo ci imbattiamo in una affollata manifestazione sindacale: sono i lavoratori di una grossa fabbrica che non vogliono perdere il loro posto di lavoro.
Varanasi, marzo 2016. Bottega di barbiere a Godonia.
16 marzo 2016
Sono ammalata: ho un forte mal di testa e mi sento la febbre. Ieri mattina sono andata al Chausatti Ghat a leggere: mi sono seduta sulla gradinata dove c’era un po’ d’ombra, ma sono rientrata quasi subito in guest house tutta infreddolita. Ho dormito tutto il giorno e la notte. Oggi sto meglio, ma sono uscita solo per il pranzo e per qualche piccolo acquisto. Alina, Bernardo, Matteo e suo fratello, i ragazzi e la ragazza che avevo incontrato a Chitrakot sono tutti partiti lasciando un certo vuoto. Sulle stradine di Bengali Tola si affacciano nuovi volti occidentali che vanno a riempire per molte ore della giornata i ristoranti organizzati appositamente per i turisti. Prima di rientrare in guest house faccio un salto al Chousatti Ghat: rimango sulla parte alta della gradinata ad ammirare la splendida luce del sole pomeridiano che ha colorato con i suoi riflessi l’acqua del fiume e sta abbagliando i turisti che tornano in barca dall’altra sponda.
Varanasi, marzo 2016. Verso sera nei pressi del Dasaswamedh Ghat.
17 marzo 2016
Sto decisamente meglio e sono già arrivata, dopo un percorso circolare attraverso la città vecchia, al Chausatti Ghat. Sto completando di leggere “La donna in bianco” di Collins, un libro che mi ha tenuto compagnia in questi giorni di indisposizione. Devo dire che con la buona lettura, l’accesso a internet e la mia camera piena di luce ed energia i tre giorni di malattia sono trascorsi con leggerezza.
Varansi, marzo 2016, tardo pomeriggio. Incontri, passeggiando lungo i ghat.
A pranzo vado in un ristorante turistico e si siede accanto a me una ragazza israeliana di 23 anni: Ataliya. Ha prestato i 2 anni di servizio militare previsti nel suo Paese, ha lavorato come cameriera a Tel Aviv e ora sta viaggiando in attesa di decidere a quale indirizzo universitario iscriversi. Vorrebbe fare la scrittrice e già, durante questo viaggio, sta scrivendo delle storie.
Varanasi, marzo 2016. Penilunio visto dal Dasaswamedh Ghat.
Nel pomeriggio vado ad attendere il calar del sole al Dasaswamedh Ghat e mi siedo su un terrazzamento sopra il Gange. Da lì posso vedere in lontananza sul fondo le fiamme altissime delle pire del Manikarnika Ghat e verso Ovest i palazzi attraversati da un piccolo raggio di sole che ancora riesce a raggiungerli. Le barche con i turisti giunti qui per la cerimonia serale sono attorniate dalle fiammelle delle candele dei desideri che piano, piano si stanno allontanando seguendo la corrente del fiume. Al Chausatti Ghat mentre sto seduta a leggere mi si avvicina un giovane chiedendomi i soldi per un cjai. Vabbeh – solo 5 rupje per il cjai– gli dico. Lì accanto c’è un indiano che sta osservando la scena e il mendicante rifiuta le 5 rupje che gli porgo e si rivolge alla terza persona sostenendo di avermi chiesto anche i soldi per comprarsi qualcosa da mangiare oltre al cjai e pretende ora questo come un suo diritto. Chiamo Sonu che sta seduto poco lontano e gli chiedo di aiutarmi a capire la situazione. Immediatamente il mendicante mi richiede le 5 rupje e se ne scappa via.
Varanasi, marzo 2016. Panrama notturno sugli altarini illuminati nei dintorni del Dasaswamedh Ghat.
A cena si siede accanto a me un ragazzo giapponese che abita poco lontano da Fukuscima. Sta trascorrendo in India i suoi 15 giorni di ferie e oltre a Varanasi ha visitato soltanto Agra. Ha frequentato le scuole superiori e ora lavora in un’azienda editoriale. Si siedono al nostro tavolo anche due signore indiane di Hildamabad: sono insieme alle loro famiglie e sono parte di un gruppo numeroso. Il ristorantino è piccolo e mentre alcuni si adattano a sedersi su una panca senza tavolo, gli altri devono alternarsi per la cena. Si fermeranno a Varanasi per 15 giorni: visiteranno diversi templi e celebreranno le varie puja.
Varanasi, marzo 2016. Scorcio di paesaggio sul Dasaswamedh Ghat.
18 marzo 2016
Camminando sono arrivata a Godonia e all’incrocio ho svoltato a destra per Chowk per poi addentrarmi tra i vicoletti, che ancora non conosco benissimo, e arrivare al Gange. Lungo la Main Road e accanto ai vicoli che portano al Golden Temple c’è un gran numero di militari armati di fucile e bastone d’acciaio. Molti di loro hanno le stellette sulle spalle, altri dei medaglioni che pendono sulle braccia e alcuni indossano il giubbotto antiproiettile e il casco. Forse è un’impressione solo mia, ma paiono più numerosi e organizzati del solito. Camminando nei vicoletti un ragazzo mi riconosce per avergli chiesto un’informazione pochi giorni fa: in effetti, quando non so dove mi trovo chiedo sempre l’aiuto della gente. Molto spesso, però, gli indiani ti chiedono se ti ricordi di loro soltanto per cercare un approccio e proporti con insistenza degli acquisti.
Varanasi, marzo 2016. Pellegrini dell’India del Sud al Gaay Ghat, verso le 12.00.
Ho appena superato uno svicolo: mi siedo sul ripiano di una vetrina di un negozio ancora chiuso e poco dopo arriva un funerale e gira dall’altra parte. Torno indietro e seguo quella via e, incrociando un altro corteo funebre arrivo direttamente al Manikarnika Ghat. Qui, tra i parenti dei defunti che assistono alla cerimonia della cremazione del loro congiunto ci sono diversi turisti occidentali: sono sempre accompagnati dalle immancabili pseudo guide indiane. Guardo con tristezza la salma che gli addetti stanno togliendo dalla portantina per distenderla sulla pira e proseguo lungo gli altri ghat fino al raggiungere il Dasaswamedh. Mi siedo all’ombra su un tavolone e leggo il giornale. Un bambino viene a sedersi accanto a me e insiste per attaccare discorso. Mi alzo per cambiare posto e il bambino mi chiede 10 rupje. Gli rispondo di andare a scuola e vado a sedermi su un altro tavolone poco più giù.
Varanasi, marzo 2016. Aspetti della quotidianità nei pressi dl Manikarnika Ghat.
Ci sono degli anziani vestiti di bianco lì, dei barcaioli, mi diranno poi. Mi soffio il naso ed essendo reduce di un grosso raffreddore faccio un po’ di rumore. Gli uomini seduti accanto a me s’indignano e mi fanno cenno di andarmene. Mi spiegheranno poi che qui in India ci si soffia il naso leggermente e che nei casi come il mio si va dal medico. Dico loro che mi dispiace e che non ero a conoscenza di questo fatto e tutto si tranquillizza. Mi vien da pensare che loro sputano ovunque, si soffiano il naso lasciando cadere il muco in terra, fanno pipì ovunque, ma il rumore del soffiarsi il naso non lo ammettono. Vabbeh, pace fatta! I due barcaioli approfittano dell’amicizia per propormi subito un affare: l’acquisto di una collana di semi carica di energia per 500 rupje che poi scenderanno a 100. Sorrido divertita e li saluto.
Varanasi, marzo 2016. Pomeriggio al Rajendaprasad Ghat.
Nel tardo pomeriggio davanti ad un tempietto, poco prima dell’Harischandra Ghat, incontro un giovane dell’India del Sud vestito in modo elegante, senza scarpe come previsto per l’accesso ai templi, ma con i calzini ai piedi. Sta seduto in posizione yoga e quando mi vede mi si avvicina per darmi un foglio con delle informazioni sullo yoga. Lui è un insegnante di yoga, ma si dedica anche al commercio di manufatti tra l’India e il Nepal. Sta facendo un digiuno di una giornata intera, una prassi importante per gli induisti, in questo periodo di luna crescente. Quando arrivo accanto al Rama Palace, sento parlare italiano: mi giro e vedo un indiano che fa da guida e due turisti di La Spezia che lo seguono. Uno dei due turisti, Andrea Ratti, mi dice che è un dermatologo di 53 anni e che con gran fatica è riuscito a ritagliarsi 10 giorni di vacanza. Ha un figlio di 16 anni e sta attraversando un periodo di crisi matrimoniale. L’uomo che lo accompagna è un colonnello dell’aereonautica che cerca di allontanarsi molto velocemente da me richiamando più volte l’amico che, invece, vorrebbe chiacchierare un po’.
Varanasi, 18 marzo 2016. Notte sui ghat.
Più avanti mi fermo a parlare con il barcaiolo di un piccolo tempio e che gestisce un negozietto accanto al Dasaswamedh Ghat. E’ un uomo di 46 anni che non è mai andato a scuola. Non sa né leggere né scrivere e a stento riesce ad apporre la sua firma. Anche i suoi 4 fratelli e le due sorelle sono nella stessa situazione. Sua moglie, invece, ha frequentato la scuola fino alla quinta classe ed è in grado di leggere e scrivere in modo elementare. Hanno due figli: un ragazzo di 12 anni e una bambina di 2 che, mi rassicura il padre, avranno la possibilità di frequentare tutta la scuola che i genitori non hanno potuto concedersi.
Varanasi, 19 marzo 2016. Celebrazione di apertura dell’Holi Festival in un tempio di Bengali Tola.
19 marzo 2016
Passando per Bengali Tola vedo uno dei templi dedicati a Shiva animato da suoni di campane e canti. Oggi è la giornata d’apertura dell’Holi Festival, la festa della gioia e tutti i templi dedicati al dio sono in festa. Lungo le strade s’incontrano giovani, ma anche persone avanti con gli anni colorate di rosso dalla testa ai piedi. Qui, al tempio, c’è un grande afflusso di fedeli: alcuni stanno portando le offerte al guru che sta seduto sull’entrata, altri stanno accendendo le candele e pregando davanti agli altarini, altri ancora girano intorno alla parte centrale del tempio.
Varanasi, Chaukhambla, marzo 2016. Mercatino di fiori e orto-frutta lungo i viottoli della città vecchia.
Continuo a camminare tra i vicoletti e vado oltre Chowk in una zona denominata Chaukhambha. Attraverso piccoli mercatini di verdure, schivando qualche ingombrante mucca, passo davanti a tanti negozietti di alimentari, dei tempietti appena lavati e addobbati con fiori freschi e candele accese. Alzando lo sguardo intravvedo diversi antichi palazzi in condizioni disastrose, molti paiono abbandonati, alcuni hanno le finestre murate. L’esigenza di restauri architettonici emerge un po’ dappertutto qui a Varanasi. Soltanto pochi giorni fa è crollato un pezzo di un antico tempio non lontano da qui, al Manikarnika Ghat.
Varanasi, marzo 2016. Viottoli di Chaukhambla.
Cerco l’uscita che mi porta verso il Gange: sono arrivata fin quasi al grande ponte ferroviario che sta a Nord della città. Ridiscendo lungo i ghat: fa molto caldo e mi siedo a leggere il giornale all’ombra di un ombrellone di cemento che sta dopo il borning ghat. Arriva un indiano che mi prende la mano e, nonostante le mie resistenze, continua a massaggiarmela. Mi alzo per andarmene, ma lui mi prende ora l’altra mano e mi massaggia entrambe le braccia. Scappo via e lui mi insegue chiedendomi 200 rupje per il massaggio, poi, abbassa il prezzo a 100, poi mi chiede un appuntamento per il giorno dopo. Verso sera cerco di andare al Golden Temple: la folla in fila per l’entrata è infinita: giovani colorati di rosso con i piedi scalzi spingono la calca di persone inneggiando a Shiva.
Varanasi, marzo 2016. Passaggio di ragazzi colorati per l’Holi festival nei pressi del Tempio delle Scimmie.
Non c’è un filo di spazio tra le persone e si rischia veramente di cadere e venir calpestati. Torno al Dasaswamedh Ghat dove si sta svolgendo la cerimonia serale. Mi siedo su una sporgenza in cemento accanto a due indiani vestiti di bianco, uno zio anziano e suo nipote di mezza età. Sono di Andarabath e stanno facendo un viaggio organizzato di 10 giorni. Qui a Varanasi si fermeranno soltanto una notte e domani andranno a visitare l’ashram del Saibaba, nel Maharashtra.
20 marzo 2016
Stamattina alla tea-stall di Bengali Tola parlo a lungo con un ucraino di 43 anni che vive in India da ben 2 anni, a parte delle brevi interruzioni in Nepal e Sri Lanka per prolungare il visto. Mi racconta che il primo anno ha vissuto all’aperto, ma ora non riesce a reggere quel ritmo e sta in una guest house dove paga 100 rupje per notte. Il suo futuro, mi dice, sta nelle mani di Shiva, ma non desidera rientrare nel suo Paese. In Ucraina, prosegue, si ammazzano gli uni con gli altri e il popolo non sa bene cosa fare: se vuole rimanere con la Russia o divenirne indipendente. Di sera, mentre si sta svolgendo la cerimonia del Dasaswamedh Ghat me ne sto seduta sul terrazzamento che copre il tempietto dedicato a Shiva.
Varanasi, marzo 2016. Venditore di pifferi sui ghat.
Arriva il ragazzo che avevo incontrato due giorni fa accanto ad un altro tempio. Oggi è più allegro, ma indossa sempre i calzini anziché rimanere scalzo come gli altri. Mi dà un foglio da leggere anche questa volta: parla delle tre mogli di Shiva e domani dovrò dirgli cosa ne penso.
Varanasi, marzo 2016, Bengali Tola. Mercato delle erbe per l’Holi festival.
21 marzo 2016
Ho un appuntamento con Prakash, l’indiano dei calzetti. Oggi mi ha portato degli altri fogli da leggere e riguardano la storia di Shiva che, secondo lo scritto, è stato l’ideatore dello yoga ben 7.500 anni fa. Riguardo ai fogli precedenti che parlano delle 3 mogli di Shiva (Kali, Parvati, Ganga) e del supporto da loro fornito al marito gli dico che, secondo me, è una condizione generale delle donne quella di vivere in funzione dei desideri del marito. L’indiano che ha 36 anni e non ha famiglia, ora abita al Centro Yoga Anandamurti che sta dalle parti dell’università, a cui fa riferimento anche per le sue lezioni. Uno dei lavori che ha in progetto riguarda l’abbinamento delle lezioni di yoga alle visite turistiche per dei gruppi di 5-6 persone da accompagnare per tre settimane a visitare sei città dell’India. Costo: 75 dollari, compresi gli spostamenti in treno, pullman, risciò, l’albergo, la prima colazione, le lezioni di yoga, la guida. Per ora, fra una settimana andrà in Nepal ad acquistare delle coperte da rivendere in alcuni negozi dell’India.
Varanasi, marzo 2016. Un sarto di Godonia.
Poco prima della chiusura dei negozi passo dal sarto a ritirare l’abito che mi ha confezionato. E’ molto bello, lo indosso per la cena, ma fa caldo e l’abito è troppo pesante. Faccio un salto al ghat per vedere la luna piena, ma devo rientrare immediatamente in guest house per liberarmi del bellissimo soffocante involucro.
Varanasi, marzo 2016. Incontri lungo i ghat.
22 marzo 2016
L’aria oggi è più fresca : si è alzato un venticello delicato che pare soffiarmi tra i capelli. Al mercatino di Bengali Tola in occasione dell’Holi, il festival dei colori, sono comparse delle donne che vendono delle nuove erbe. Tra queste riconosco soltanto le spighe di grano, ma un mio amico fotografo mi assicura che sono tutte commestibili. Il festival è in pieno svolgimento: lungo i viottoli e sui ghat gruppi di ragazzini inzuppati di colore stanno nascosti per lanciare indisturbati sacchetti di plastica con all’interno acqua colorata. Accanto hanno dei secchi di riserva con i colori: giallo, verde, rosso, blu. Le pietre dei viottoli e dei ghat, l’asfalto delle strade principali sono impregnati degli schizzi di colore lasciati dai sacchetti che cadono in terra dopo aver colpito la gente che cammina. Congiungo le mani pregando i ragazzini di non mirare a me, ma vicino al Chausatti Ghat mi arriva un bel sacchetto di colore rosso sulle gambe. Vado a sedermi al Dasaswamedh Ghat a leggere il giornale nello stesso posto dove l’altro giorno mi sono soffiata il naso suscitando tanta indignazione tra i barcaioli. Poi, mi sposto più a Nord, sotto gli ombrelloni di cemento. Tre sorelle di Calcutta insieme al figlio di una di loro hanno appena fatto il bagno e stanno indossando dei sari nuovi ancora rigidi di appretto. Staranno qui a Varanasi per 7 giorni. Mentre loro si avviano lungo la gradinata che porta al Golden Temple arriva un’altra schiera di pellegrini appena scesa da un barcone e anche loro vanno nella stessa direzione. In questo posto gironzolano capre e montoni e, con l’aumentare della temperatura, il loro odore mi arriva con delle vampate molto intense, ma rimango ancora un po’ a leggere: ho iniziato un libro sull’India, di Hermann Hesse, ma non sono in sintonia con questo scrittore.
Ritorno verso il Dasaswamedh Ghat: fotografi, barcaioli, barbieri, massaggiatori, venditori di fiori e cibi hanno il volto colorato di un colore dell’Holi e alcuni di loro indossano una maschera o una parrucca variopinta. C’è un gruppo di musicisti più in là che sta suonando da ore i tamburi mentre dei giovani danzano muovendo braccia e gambe seguendo il ritmo: intorno a loro si sono fermati numerosi spettatori che si sono disposti in cerchio.
Varanasi, 22 marzo 2016. Musica e danze sui ghat per l’Holi Festival.
23 marzo 2016
Sono le 11.00 di mattina e sono fuori da tre ore, seduta un po’ al Chausatti Ghat un po’all’ombra della loggia del vicino Tempio delle Scimmie, quello che sta più a Sud. L’Holi Festival è in pieno svolgimento e alcune bombe d’acqua colorata e diversi spruzzi d’acqua mi hanno raggiunta da ogni parte tingendomi di rosso, viola, giallo la testa e gli abiti, nonostante abbia cercato di rimaner nascosta. Centinaia, forse migliaia di ragazzi e ragazze di diverse nazionalità stanno rincorrendosi lungo i ghat per spruzzarsi addosso getti di colore usando enormi fucili giocattolo. Altri giovani stanno appostati sui tetti a terrazza degli edifici attenti a colpire con rovesci e sacchetti d’acqua colorata i passanti. E’ la festa dei colori, della primavera e della gioia che concede a tutti la libertà di esprimersi e scherzare usando i colori. Nelle stradine, nelle piazzuole dove stavano le statue della dea Holinka con un bambinello in braccio, appoggiate sopra delle cataste di legna e sterco di vacca sono ora rimaste le ceneri fumanti dei falò accesi nelle diverse ore della scorsa notte.
Varanasi, marzo 2016. Residui dei festeggiamenti dell’Holi festival lungo i ghat.
Già dal mattino, poi, accanto al millenario Chousatti Temple e sul suo ghat sono comparse delle postazioni di venditori con collane di garofani gialli e rossi, di mazzetti di roselline ed erbe inseriti all’interno di una foglia secca messa prima in ammollo per ammorbidirla. Sono le offerte da portare alla statua della Madre che sta al Chousatti Temple, mi dicono. All’interno del tempio, mi racconterà Raul qualche giorno dopo, ci sono 604 dee madri protettrici della popolazione. Verso sera la gradinata del Chousatti Ghat e la stradina che porta alla mia guest house che sta di fronte al tempio, sono affollate di fedeli che fanno la fila spingendosi per entrare a baciare i piedi della statua principale e donarle le offerte. Oltre ai militari appostati lì accanto per controllare la situazione ci sono anche le vedove che chiedono l’elemosina ogni mattina, ma per l’evento di oggi sono rimaste qui tutto il giorno ad aspettare i fedeli. Le donne della fila si sono coperte il capo con un lembo del sari e paiono delle madonne o delle sante. Gli uomini e i bambini sono vestiti a festa con abiti un po’ simili ai nostri anni ’50. Le bambine stanno per mano ai loro padri e indossano abitini di tulle che le fan sembrare a delle vecchie bambole. Le ragazzine anche loro vestite di tulle e pizzi colorati calzano sandali con i tacchetti che le fanno ondeggiare e traballare sulle pietre irregolari che ricoprono ghat e vicoli.
Varansi, marzo 2016. Festeggiamenti dell’Holi festival lungo i ghat.
24 marzo 2016
Lunga camminata fino all’Assi Ghat sotto il sole cocente già dal mattino. I lastroni delle pavimentazioni portano ancora le tracce dei festeggiamenti terminati ieri, ma gli spazzini hanno pulito e bruciato la maggior parte delle immondizie con un veloce ed incredibile lavoro notturno. Oggi tutto appare quieto e anche gli attivissimi giovani giapponesi e coreani, grandi protagonisti degli spruzzi con le sofisticate pistole ad acqua oggi sono impegnati a fare acquisti di sari e souvenir nei negozi della città vecchia.
Varanasi, marzo 2016. Celebrazione di una puja.
All’Assi Ghat mi siedo all’ombra di un grande albero di Pan e leggo qualche capitolo del libro di Hermann Hesse. Un ragazzo di 25 anni, figlio di barcaioli e barcaiolo egli stesso si siede accanto a me per raccontarmi qualche pezzo di storia induista. Ha frequentato soltanto 6 classi, ma parla un buon inglese ed è molto colto. Nel tardo pomeriggio vado al Chausatti Ghat e Sonu, il mio amico barcaiolo, arriva con il cjai acquistato alla bancarella del Rama Ghat lì vicino. In 2 settimane ho visto ben 2 volte Sonu con una bottiglia di whiski, ma l’altro ieri ha dormito tutto il giorno sulla barca dopo essersi ubriacato. Gli ho parlato con affetto ieri e gli ho riparlato anche oggi. So che sarà difficile che riesca a mantenere la promessa che non lo farà più.
Varanasi, 25 marzo 2016. Gaay Ghat.
25 marzo 2016
In mattinata vado da Godonia a Chowk e di nuovo tra i vicoletti antichi di Chaukhambha con i minuscoli mercatini di ortofrutta e fiori posizionati sulle pietre ai lati dei viottoli. Un indiano che da tempo mi propone dei massaggi mi dice che la zona di Chaukhambla è abitata da gente ricca, ma io non riesco a scorgerla.
Varanasi, 25 marzo 2016. Mercatino a Chaukhambha.
Più avanti, nella direzione del fiume, le abitazioni si fanno più povere e l’insieme appare suggestivo e surreale. Rimango più a lungo delle altre volte in questa zona, a Nord di Varanasi: sono arrivata quasi sotto il grande ponte ferroviario sopra il Gange. Le abitazioni sono delle casupole molto povere animate da tempietti colorati di rosso o giallo presenti un po’ ovunque. Ci sono donne che allattano sedute sugli usci delle case e bambini molto piccoli, nudi, che giocano intorno ad una fontanella.
Varanasi, 25 marzo 2016. Interni del Rag Ghat.
Cammino lentamente cercando di non farmi scorgere: tra le casupole ci sono delle cestaie che intrecciano ramoscelli teneri attorniate da stormi di bambini che corrono loro intorno. Lì accanto ci sono molti fasci di rami lunghi e sottili: stanno accatastati e quando di lì a poco raggiungerò il Gange ne vedrò degli altri messi in acqua a macerare. Nella città vecchia che sta poco prima del Rag Ghat c’è una stalla all’aperto e la parete della casupola accanto è tappezzata con dello sterco disposto con un perfetto ordine geometrico ad essiccare.
Varanasi, 25 marzo 2016. Termine di una puja al Gaay Ghat.
Dal Rag Ghat scendo giù fino al vicino Gaay Ghat: qui ci sono centinaia di pellegrini dell’India del Sud che hanno appena terminato il rituale della puja e stanno portando le loro offerte alla madre Ganga. Lancio uno sguardo verso il grande ponte costruito dagli inglesi durante il periodo imperiale e vedo un corpo adulto galleggiare su una portantina. Si tratta senz’altro di un sadhu i cui corpi vengono lasciati al Gange dopo morti.
Varanasi, 25 marzo 2016. Rag Ghat.
26 marzo 2016
Giornata di un caldo torrido. Mentre me ne sto tranquilla a leggere sotto un telone arriva un ragazzo di 25 anni: è una guida turistica in cerca di clienti. Mi chiede delle informazioni sulla mia famiglia e sulla mia professione e alla fine pretende dei soldi per il fatto che io ho un reddito fisso e lui no. Risalgo la gradinata e cammino verso Godonia. Alcune madri con i bambini semi nudi a cavalcioni sui loro fianchi mi mostrano il biberon per farsi acquistare il latte da dare ai bambini: è un metodo molto diffuso qui, ma non mi lascio commuovere. L’elemosina la do soltanto qualche volta alle vedove che stanno tutte le mattine sedute sui muriccioli accanto al Chousatti Ghat. Verso sera, invece, mentre sto ammirando i movimenti delle barche sul Gange e della gente sui ghat arriva, come ogni sera ormai, il ragazzo che non toglie mai i calzetti. Devo essere diventata un punto di riferimento per lui che ogni sera prende l’auto risciò dalla lontana zona universitaria per venire qui a far quattro chiacchiere con me. Oggi mi parla velocissimo dei suoi progetti futuri e devo fare molta attenzione a cogliere il filo dei suoi discorsi. E’ molto religioso ed è legato in particolare alla figura di Shiva alla quale fa spesso riferimento e a cui si affida.
Varanasi, Dasaswamedh Ghat, marzo 2016. Notte di luna piena.
27 marzo 2016
Mi fermo alla tea-stall di Bengali Tola e un anziano indiano si è seduto accanto a me. E’ un avvocato che abita ed ha lo studio proprio lì di fronte, in un palazzo che si affaccia sul Gange e che vorrebbe farmi visitare. Fa molto caldo anche oggi e mi trascino sui ghat a cercare qualche angolo d’ombra per fermarmi a leggere. Vorrei terminare il libro di Hermann Hesse, anzi, ora ho deciso di lasciarlo andare: non sono in sintonia con questo scrittore. Nel pomeriggio lungo il vicoletto della guest house incontro Edoardo, l’amico di mio figlio di Macerata che insegna italiano all’università di Delhi: ha dormito fino a poco fa ed è ancora assonnato. Ha trascorso tutta la notte, fino alle nove di mattina, sull’altra sponda del fiume insieme a dei baba Algorì, alla ricerca dei teschi dei morti. Gli Algori utilizzano i teschi per i rituali di magia nera.
Varanasi, marzo 2016. Personaggio.
Nel pomeriggio il cielo si è annuvolato ed è caduta qualche goccia di pioggia che ha rinfrescato la temperatura. Mentre cammino per i viottoli di Bengali Tola, non lontano dalla mia guest house, c’è un gruppo di gente che blocca il passaggio per la visita a Varanasi di una rappresentante del governo dell’Uttar Pradesh. E’attorniata da uno staff di sole donne e per lasciar scorrere i passanti ora è entrata in un internet point e con un gran sorriso sulle labbra sta parlando ai suoi sostenitori.
Varanasi, 28 marzo 2016. Cottura alla griglia lungo i ghat.
Verso sera vado al Chousatti Ghat ad ammirare il paesaggio: arriva, come ogni sera, Prakash, l’indiano dei calzini. Mi cerca ovunque, finchè mi trova. Domani andrò con lui a visitare il centro yoga dell’organizzazione internazionale Ananda Narga di cui fa parte.
28 marzo 2016
Molto tempo della mattinata la trascorro all’ombra delle colonne rosa dell’acquedotto del Rajendraprasad Ghat, sulla scalinata che sta subito dopo il Dasashamedh Ghat. Qui stazionano sempre diversi sadhu con il corpo dipinto di bianco e i capelli lunghi infeltriti. Ci sono anche dei viandanti che allestiscono il loro habitat qui, stendendo carte e plastiche per terra, pulendo il pavimento intorno a loro, cucinando su dei sassi, stando seduti in cerchio a passarsi la pipa di terracotta accesa, facendo yoga, chiacchierando e divertendosi. Un sadhu del gruppo sta pulendo tutta la gradinata intorno a loro con uno scopino mettendoci una gran cura.
Varanasi, 28 marzo 2016. Mattinata sui ghat.
Una bionda di mezza età sta lì immobile da almeno un’ora con gli occhi chiusi e in posizione yoga; il guru che pare essere il leader del gruppo, vestito soltanto di un panno bianco arrotolato intorno ai genitali, la scuote per offrirle una tazza di cjai appena arrivato dentro ad un sacchetto di plastica. Questo sadhu ha appena lavato delle verdure e le ha messe sul fuoco a cuocere dentro un vaso di terracotta. Un altro sadhu vestito con un drappo legato intorno ai fianchi sta sgranando dei melograni e li offre al gruppo ora più che mai impegnato a passarsi la pipa con il fumo.
Varanasi, 28 marzo 2016. Aspetti del Rajenprasad Ghat.
Un occidentale come me se ne sta seduto più in alto ad osservare, poi scende accanto al gruppo e chiede alcune informazioni ad un ometto che parla inglese. Il sadhu leader si muove, parla, ride: si comporta come un attore, come se fosse uno showman su un palcoscenico. Quando il turista occidentale si alza per andarsene, il capo gli chiede un’offerta come fosse il prezzo dovuto per aver assistito ad uno show. Questi, senza opporsi, gli dà una bella mancia che il sadhu intasca soddisfatto.
Nel pomeriggio vado in motoretta con Prakash a visitare la struttura del centro di cui fa parte che sta ben oltre la città universitaria. Prakash vive nell’ashram dove c’è l’aula yoga, la cucina, il dormitorio, un grande parco tutt’intorno. In questo periodo non ci sono corsi di yoga e nell’ashram ci abitano solo due persone. Di fronte al centro vive una famiglia che fa parte dell’organizzazione: è composta dal capo famiglia, un impresario edile, dal suo anziano padre, dalla moglie, da cinque figlie e un maschio, tutti studenti universitari.
Varanasi, 28 marzo 2016. Il Vishwanath Temple, il tempio dell’università.
Poco lontano da qui c’è un’altra sede della struttura dove si coltiva la terra con l’aiuto delle macchine agricole. E’ un pomeriggio torrido e qui un gruppo di ragazzi guidati da un monaco dell’associazione sta rifacendo la pavimentazione esterna utilizzando dei vecchi mattoni. Il monaco mi spiega che l’associazione è stata creata nel 1975 e si basa sul pensiero filosofico del guru Ananda Marga, morto nel 1999. L’associazione e i seguaci del guru si caratterizzano per il fatto che danno valore ad ogni religione, non ritengono ci siano delle verità assolute e non entrano in conflitto con le diversità teologiche. Amano dio e lo vedono nella natura, in ogni suo aspetto. Strutture legate a questo guru sono sorte in tutto il mondo e sono caratterizzate dal grande valore che viene attribuito alla meditazione e allo yoga nella formazione e durante la vita delle persone. Tutti i corsi hanno costi diversi e possono essere gratuiti o meno a seconda del reddito delle famiglie. La scuola forma anche i monaci attraverso dei corsi della durata di tre anni. Gli abiti che distinguono i seguaci di Ananda Marga sono di color arancione con un turbante dello stesso colore sul capo.
Varanasi, 28 marzo 2016. Il campus universitario.
Sulla strada del ritorno ci fermiamo al grande tempio moderno Sri Wishwanath che sta al centro della vecchia città universitaria. Costruito una trentina di anni fa in mezzo ad un grande parco si erge nello spazio con le sue preziose cupole in pietra e le enormi logge colorate di rosa che si diramano tutt’intorno. Nella grande sala del primo piano alcune donne stanno mettendo dei soldi in una cassetta posta davanti ad un’immagine sacra. Un sacerdote sta cantando al microfono dei mantra accompagnato da un sottofondo musicale.
Varanasi, 28 marzo 2016, città universitaria. Il Vishwanath Temple.
Gli spazi interni ed esterni di questo maestoso tempio sono molto accoglienti e favoriscono il sostare e lo stare insieme della gente.
Varanasi, 28 marzo 2016, città universitaria. Il Vishwanath Temple, interno.
29 marzo 2016
Sono tornata al Rajendraprasad Ghat e ho trovato i sadhu indaffarati a gettare un misto di sabbia, acqua e cemento nella zona della scalinata dove stazionano abitualmente. L’impasto lo stanno spalmando con le mani e lo livellano battendolo con uno scopino. Più giù, dove ieri c’era il fuoco con il vaso di terracotta a bollire, c’è ora un sadhu che sta costruendo un focolare più alto e a forma di parallelepipedo. Il sadhu leader sta lavorando con passione ed è praticamente nudo. Mentre lavora, dirige contemporaneamente e con competenza l’operato dei seguaci.
Varanasi, 29 marzo 2016. Il sadhu Shiva Raja Giri con i suoi seguaci mentre eseguono dei lavori in cemento per costruire il loro habitat al Rajendraprasad Ghat.
Sono le 10.30 e fa molto caldo anche oggi. Ci sono degli altri aiutanti che portano l’acqua con le bottiglie di plastica da due litri ai lavoranti: loro, un po’ ne bevono e l’altra la gettano nell’impasto. Ripasso verso sera e il sadhu del focolare e il sadhu leader stanno ancora rifinendo le loro opere. Mi rifugio su un terrazzamento accanto al Dasashwamedh Ghat e mi immergo in una nuova lettura. Arriva Prakash, naturalmente, l’indiano dei calzetti: mi ha trovata anche qui!
Varanasi, 29 marzo 2016, Rajendraprasad Ghat . Il sadhu leader Shiva Raja Giri mentre costruisce il suo focolare in cemento.
30 marzo 2016
Sono tornata ancora dai sadhu che abitano sulla gradinata del Rajendraprasad Ghat. Oggi il loro posto è affollatissimo di pellegrini che cercano un po’ di riparo all’ombra delle colonne rosa dell’acquedotto.
Varanasi, 30 marzo 2016. Verso sera sui ghat.
Due baba stanno ancora lavorando intorno al focolare: trasportano le pietre sulle spalle dentro dei sacchi di plastica e le appoggiano sul ripiano ricoprendole poi di sabbia e acqua. Quello che appare come leader oggi è in relax, ma si concede per alcune foto dove posa mettendo una mano sopra il capo di ciascuno dei turisti indiani. Questi gli baciano i piedi, ma lui non gradisce queste effusioni e si allontana tenendo d’occhio i movimenti dei turisti che gli devono ormai delle offerte. Il sadhu leader si rilassa ancora: due giovani a turno lo massaggiano con molta abilità. Lui, si distende, si gira su un fianco, si rialza, si lascia tirare le braccia e aspira qualche boccata dalla pipa di terracotta, quando arriva il suo turno.
Varanasi, 30 marzo 2016. Il massaggio al baba Shiva Raja Giri.
Di sera sto nella zona del Dasashwamedh Ghat quando si svolge la cerimonia: è sempre uguale, ma le persone che vi assistono sono sempre diverse e particolari. Nella piazza della cerimonia ci sono diversi sadhu e guru dipinti di bianco e agghingati con collane e fiori: stanno seduti individualmente su dei rialzi, ben in vista per ricevere le offerte di turisti e pellegrini.
Varanasi, 30 marzo 2016. Rajendraprasad Ghat, l’habitat del baba Shiva Raja Giri e dei suoi seguaci.
31 marzo 2016
Mattinata ancora al Rajendraprasad Ghat tra i sadhu e i viandanti. Ora si sta svolgendo il rituale per la proclamazione a sadhu di uno spagnolo che viene spogliato e ricoperto soltanto con uno straccio bianco arrotolato intorno ai genitali. Un sadhu spalma di fango il suo corpo e lo accompagna a fare il bagno nel Gange. Viene colorato poi tutto di bianco e rivestito con un telo arancione a mo’ di gonna, come usano i sadhu. Lo spagnolo è un insegnate di yoga di Valencia e sta dividendo la sua vita fra la sua città e Varanasi.
Sul far della sera torno lì: il sadhu leader sta agitando due tamburelli in piedi sopra il nuovo focolare: a momenti si gira da una parte in altri dall’altra come se stesse facendo uno show, mentre un gran numero di altri baba se ne sta seduto sulle gradinate e sul piazzale in compagnia di qualche turista occidentale. Lì accanto a loro c’è una mucca distesa e un bambino sta dormendo accanto a lei. Sono ora in arrivo i bambini giocolieri e si fermano a salutarmi. Ieri, quando si sono esibiti con delle capriole ho detto loro di andare a scuola, ma oggi ho dato loro un’offerta seguendo l’esempio dei baba.
Mi sposto a leggere più giù, vicino al Gange. Anche qui mi raggiunge Prakash, l’indiano dei calzini. Mi dice che partirà questa notte o domani per il Nepal. Deve fare degli acquisti da rivendere a dei negozi indiani, poi tornerà a Delhi dove abita.
Varanasi, fine marzo 2016. Personaggi del Rajendaprasad Ghat.
1 aprile 2016
Scendendo le scale della guest house ho appena incontrato Edoardo che rientrava dopo la nottata trascorsa con gli Agorì baba. La ricerca dei resti umani è stata fortunata, mi racconta, in quanto hanno trovato il cadavere di una neonata che hanno utilizzato per l’offerta agli dei. Un baba ne ha mangiato un pezzo, crudo. Mi siedo alla tea-stall di Bengali Tola accanto ad un anziano indiano. E’ un militare in pensione che ora fa il taxista con un’auto propria. E’ di Calcutta, ma sua madre, morta qualche anno fa a 99 anni, si era trasferita qui a Varanasi e lui l’ha seguita per prestarle assistenza e vi è rimasto. Durante il lavoro nell’esercito si è laureato in economia e commercio e ora si sta interessando allo studio della storia indiana.
Varanasi, 1 aprile 2016. Pellegrinaggio in preghiera all’ombra del Rajendaprasad Ghat.
Lasciata la tea-stall cammino anche oggi verso il luogo dei miei amici sadhu, al Rajendraprasad Ghat. Alle 9.45 arriva il sadhu leader: ha le collane con i semi di varie grandezze al collo, ma le pitture bianche sulla schiena e sui polpacci sono quasi scomparse e sembra stanco e affaticato. Si dirige un attimo verso il fuoco del nuovo focolare, dispone i tappeti nel suo habitat al loro solito posto, si fa portare dell’acqua da una bambina e lava la pipa di terracotta. Chiede dell’altra acqua e un seguace gliene porta subito un secchio che gli serve per lavare ancora la pipa. Sulla sinistra della scalinata, dove c’è dell’altra ombra, è appena arrivato un folto pellegrinaggio e uomini e donne stanno recitando una preghiera collettiva. In un attimo il luogo si è riempito di venditori di borse, cartoline, sonagli e collane che mostrano la loro merce aprendo e muovendo le braccia sulle quali sta appesa.
Varanasi, 1 aprile 2016. Bigiotterie comuni.
Il sadhu leader nel frattempo si è disteso e si è coperto con un telo arancione dalla testa ai piedi. Un seguace ha appena iniziato a massaggiargli i muscoli delle gambe e poi tutto il corpo senza scoprirlo.
Varanasi, aprile 2016. I personaggi del Rajendaprasad Ghat
Sotto la scalinata, nel piazzale del ghat, la famiglia circense sta suonando ed eseguendo le solite capriole. Il gruppo oggi è distante da dove sto seduta e oggi non dono loro nulla. Verso sera li vedo di nuovo sulla scalinata al di là del Dasashwamedh Ghat: la madre sta suonando il tamburo mentre il giovane padre, sempre vestito di nero, si esibisce nelle contorsioni. I due bambini stanno guardando nel vuoto, forse verso il fiume: uno dei due, il più grandicello, che potrebbe avere 7-8 anni, mi saluta con un cenno della mano.
Varanasi, aprile 2016. Pellegrinaggi in sosta all’ombra del Rajendaprasad Ghat.
Percorro le stradine interne della città vecchia che fiancheggiano i ghat: guardo i negozi di bracciali e di lavori in legno, svolto a destra, a sinistra, vado dritta certa di tornare verso il Dasashwamedh Ghat. Incrocio ben tre funerali, uno dei quali con la salma dalla quale sporgono dei bastoncini con dei piccoli meloni infilati ad un’estremità. Mi rendo conto di essere nei pressi del Manikarnika Ghat ed esco sulla strada principale nei pressi di Godonia.
Varanasi, marzo-aprile 2016. Pellegrinaggi al Dasaswamedh Ghat.
2 aprile 2016
Alla tea-stall di Bengali Tola oggi incontro due indiani di Calcutta in vacanza a Varanasi per qualche giorno. Sono vestiti di bianco con il tradizionale telo allacciato intorno alla vita. Sono dei commercialisti e mi chiedono delle informazioni sulle motivazioni per cui trascorro molto tempo in India e vogliono offrirmi il cjai che ho già bevuto.
Varanasi, Rajendraprasad Ghat. Il baba Shiva Raja Giri.
Al Rajendraprasad Ghat, alle 8.30 il baba leader è già seduto accanto al nuovo focolare, in battuta di sole. Sta parlando in inglese con una ragazza occidentale dai lunghi capelli rossi e vestita di bianco. Accanto alla ragazza c’è un’altra giovane donna in sari, con il capo coperto da un velo. Pian piano attorno al gruppetto si raduna una piccola folla di turisti e fedeli: chi per scattare delle fotografie chi per ascoltare quel che sta dicendo il guru oppure per ricevere da lui i simboli di Shiva disegnati sulla fronte. Nella parte della scalinata all’ombra invece ci sono gli altri sadhu insieme ad alcuni seguaci del capo. Quello che porta sul capo una coperta a spina di pesce arrotolata oggi si è messo un paio di Ray ban ed ha un aspetto molto interessante. Un altro ha indossato un’elegante giacca blu e anche se ha una vistosa macchia rossa sulla schiena conferisce al giovane una certa raffinatezza. Una pipa accesa sta già girando tra i gruppi e ora è arrivata al leader che sta ancora laggiù seduto, accanto al focolare: lui interrompe le sue spiegazioni alla ragazza che sta prendendo appunti e tira due, tre e forse più boccate di fumo.
Varanasi, 2 aprile 2016. Pellegrini all’ombra del Rajendraprasad Ghat.
La zona d’ombra della scalinata è molto ambita in questo periodo e le folle dei pellegrini rincorse dai venditori ne riempiono ogni spazio. Nessuno però si azzarda ad occupare lo spazio dove stanno i sadhu e i seguaci del guru: se a volte qualcuno osa entrare nel loro spazio loro protestano indignati. Ora sono appena arrivati i venditori di tè con le loro cuccume infuocate munite di fornelletto a carbone e stanno distribuendo la bevanda bollente in bicchieri di plastica ad un folto gruppo di seguaci. Qualcuno ha offerto loro il cjai, naturalmente.
Varanasi, aprile 2016. I piccoli attori di strada mentre pranzano alla mensa all’aperto della Main Road.
Là sotto stanno passando i bambini con il tamburo: sono tre oggi e mi salutano con un gesto della mano. La ragazza occidentale ora se ne sta andando via e il sadhu si alza per far martellare i due tamburelli che tiene nelle mani. Oggi fa delle acrobazie stando per lungo tempo su una sola gamba e portando l’altra all’altezza del bacino. Terminato lo show va nell’altra postazione, all’ombra, insieme alla ragazza in sari che continua ad ascoltarlo con molto interesse.
Varanasi, aprile 2016. Panorama sui ghat.
Sono circa le 11.00: il sadhu e un suo seguace iniziano i preparativi per il pranzo. Da un grosso sacco di plastica tolgono dei pacchetti e versano il contenuto su un vassoio e su dei pezzi di giornale: è il riso e i legumi per il dhal che i pellegrini donano loro continuamente. Sul fuoco alimentato dallo sterco di vacca essiccato sta bollendo l’acqua nel solito vaso di argilla annerito: un altro sadhu se ne sta occupando.
Verso sera incontro Sonu, il barcaiolo, al Chousatti Ghat. E’ appena tornato da un giro in barca con una coppia di canadesi. Li ha portati in mezzo al fiume dove la ragazza ha sparso le ceneri della madre, morta un mese fa.
Varanasi, aprile 2016. Gruppi di mendicanti e baba sotto la gradinata del Rajendraprasad Ghat.
3 aprile 2016
Sono le 8.30 e ho già raggiunto l’Assi Ghat camminando verso Sud e seguendo il fiume. Sto andando da una massaggiatrice ayurvedica e fra poco lei mi raggiungerà per accompagnarmi nella sua abitazione. E’ presto ed è domenica. Qualche mendicante sta ancora dormendo sotto il grande albero di pipan nonostante le voci e i canti dei numerosi pellegrini arrivati qui per bagnarsi nel Gange. Laggiù, vicino alle barche ci sono numerose bancarelle che vendono taniche bianche di plastica. Non mancano anche quaggiù i santoni che sotto gli ombrelloni sorvegliano gli indumenti dei bagnanti e celebrano qualche veloce rituale.
Varanasi, 3 aprile 2016. La casa e lo studio della massaggiatrice ayurveda nei pressi dellAssi Ghat.
La casa della massaggiatrice è una baracca di fango e lamiere. Ha 45 anni ed è vedova da 3 anni. Ha 6 figli grandi: due femmine sono sposate e vivono nelle famiglie dei rispettivi mariti mentre gli altri quattro, tra cui due maschi sposati con mogli e figli, abitano lì con lei. L’anziana madre sta distesa su un tavolo all’ingresso dell’abitazione ed ha l’aspetto di una persona malata. Quando torno verso l’Assi Ghat mi fermo ad osservare un giovane ben vestito e con un borsello a tracolla. Sta appoggiato ad un muretto e sembra dormire quasi in piedi. Ha due grossi bernoccoli sulla fronte: ogni tanto solleva le braccia e lascia ciondolare la testa. Un anziano indiano gli si avvicina per prestargli aiuto, ma il ragazzo gli risponde che non ne ha bisogno.
4 aprile 2016
Sono le 7.00 di mattina e sto attraversando i ghat verso Sud per andare anche oggi dalla massaggiatrice ayurveda. Diversi ghat sono già affollati di pellegrini che stanno facendo il bagno e celebrando con gli addetti i diversi tipi di puja. Altri gruppi stanno salendo sulle barche per andare all’altra sponda o per recarsi nella direzione del Golden Temple. Dalla massaggiatrice arrivo con 10 minuti di ritardo, ma lei non è ancora pronta a ricevermi. Si è appena alzata e sta lavandosi alla fontana della strada. Poi, si mette a recitare un mantra sulla porta di casa agitando in aria un braciere fumante. Il figlio più giovane, quello che guida un risciò in affitto si è appena alzato anche lui e mi spiega che quello che sta facendo sua madre è la puja della mattina e si svolge in tutti i luoghi prima di iniziare qualsiasi attività.
Varanasi, 4 aprile 2016. Ingresso al Nikailad Temple, un tempio induista accanto al Jain Temple.
Sulla via del ritorno, al Nishadra Ghat, salgo la scalinata che porta ad un coloratissimo tempio induista: il Nikalad Temple. Sulla porta non c’è che un’anziana che chiede l’elemosina e all’interno, seduti a chiacchierare, quasi nascosti, scorgo due sacerdoti. Lì accanto, sul Jain Ghat, si trova un tempio jainista. Il guardiano mi apre delle stanze spoglie e disadorne: alle pareti ci sono alcune foto di guru in posizione yoga, rigorosamente nudi, poi, un’immagine del Buddha giovane, 1 scultura raffigurante la dea Kalì e un’altra con la dea Durga.
Varanasi, 4 aprile 2016. Interno del Shiva Temple, nei dintorni dellAssi Ghat.
Più tardi, verso le 13.00 incontro Daniel, un ragazzo di Vienna conosciuto 5 anni fa in Birmania: siamo rimasti in contatto attraverso facebook. E’ un sociologo che lavora a Vienna con i rifugiati. Mi dice che ora non c’è lavoro in quel settore in quanto le frontiere dei Paesi europei sono chiuse, ad eccezione di quelle italiane. Lui ha viaggiato per tre settimane nello Sri Lanka, ora rimarrà altrettanto tempo nell’India del Nord e poi andrà in Iran.
Varanasi, 4 aprile 2016. Sulla scalinata del Kedar Ghat.
5 aprile 2016
Ancora il percorso di primo mattino per andare all’Assi Ghat dalla massaggiatrice ayurveda. Sul lungo fiume, seduti su una scalinata ci sono gli allievi di una scuola di sanscrito tutti vestiti di bianco con le righe di Shiva disegnate sulla fronte: cantano e recitano dei mantra. Quando arrivo alla casupola studio della massaggiatrice trovo la famiglia già animata da bambini, ragazzi, madri, zie, nonne, uomini di buon mattino.
Varanasi, 5 aprile 2016. Ragazzi di una scuola recitano i mantra al sorgere del sole.
Appena fuori dalla stamberga gli uomini hanno acceso un fuoco ed il fumo sta arrivando alla tettoia sotto la quale sto seduta in attesa del massaggio. Stanno cucinando delle patate e le hanno sistemate in cerchio direttamente intorno al fuoco. Il ventilatore della camera dei massaggi oggi non funziona e sto grondando di sudore.
Verso le 12.30 torno al Rajendraprasad Ghat dove sta il gruppo dei sadhu: il baba leader è sempre attivo e sta impastando della sabbia con l’acqua per costruire dei cerchi che mette in forma attorno a delle ciotole raccattate tra le immondizie. Qui, infatti, lo yoghurt e il tè li servono in coppette di terracotta che si buttano ogni volta via. Una pentola di alluminio nera con delle verdure e il grosso vaso di terracotta con il riso stanno bollendo sul focolare. La pipa sta girando tranquilla tra i seguaci del guru. Quello con la coperta a spina di pesce arrotolata sul capo sta dormendo all’ombra di un gradino e all’altezza della sua testa ci sono i piedi di una donna anche lei addormentata. Un ragazzino di circa dieci anni mi si avvicina: forse è uno del gruppo delle capriole al suono dei tamburi. Gli chiedo della scuola e mi risponde che frequenta la seconda classe. Il leader appena lo scorge lo caccia via.
Varanasi, 5 aprile 2016, Rajendraprasad Ghat. Con il guru Shiva Raja Giri.
Il baba leader ora si è seduto accanto a me: si chiama Shiva Raja Giri, ha 54 anni, ha frequentato fino alla dodicesima classe e la lingua inglese l’ha imparata con la gente. Dice di essere sadhu e guru da sempre, nonostante sua madre abbia fatto degli sforzi per convincerlo a scegliere un’altra via. Oltre a Varanasi trascorre molto tempo ad Harishwar dove ha un ashram all’aperto come qui. Preferisce stare negli holy places, nei luoghi santi, in particolare in quelli situati sui monti dell’Himalaya. Ha un fratello e una sorella che stanno a Balia, nell’Uttar Pradesh, a 150 km da Varanasi, suo paese natale, ma non ha contatti con loro. La sua famiglia, mi dice, sono i suoi seguaci e anch’io quando vado a sedermi lì sono parte del suo nucleo. E’ molto fiero che io abbia assistito all’intervento della polizia quando è arrivata a chiedergli conto della costruzione del focolare. Mi dice che i poliziotti si sono fermati davanti a quella costruzione e lui, tranquillamente ha fatto proseguire i lavori nell’altra sua postazione. Io l’ho osservato mentre davanti ai poliziotti è rimasto tranquillamente seduto continuando a farsi la pedicure con un pezzo di mattone. Aggiunge che quando si sposterà ad Haridwar e sull’Himalaya qualche suo seguace rimarrà qui a fare la guardia alle costruzioni e si dice certo che nessuna autorità le farà demolire. Mi racconta che ha raggiunto il controllo delle emozioni e del sesso attraverso la meditazione e lo yoga. Sulla sua figura sono stati girati 448 video e me ne mostra uno con delle sue immagini sulla custodia : “Naked in Ashes” è il titolo del documentario. La regia è di Paula Fouce.
Varanasi, 6 aprile 2016. Panorama dal Rajendraprasad Ghat.
6 aprile 2016
Oggi lascerò Varanasi per andare a trascorrere gli ultimi giorni di questo viaggio a Vrindavan, uno dei luoghi sacri dell’India particolarmente frequentato dagli Hari Crishna. Nella tarda mattinata torno al Rajendraprasad Ghat e il guru leader oggi ha la barba raccolta in trecce e sta trafficando con dello spago. Accanto a lui ci sono due venditori di collane e lui se ne mette al collo alcune.
Varanasi, 6 aprile 2016. Col guru Shiva Raja.
Ha appena terminato di infilare una bacca in uno spago: è un regalo per me e devo andare là, sul suo pulpito per il rituale di nomina a sua discepola. Mi disegna il simbolo di Shiva sulla fronte: tre righe bianche con il punto rosso in mezzo, mi infila altre due collane di semi al collo: una per me e una per mio figlio, mi dice. C’è un altro rituale ora ed è per un nuovo sadhu. Quest’ultimo ha lasciato la famiglia per seguire il guru Shiva Raja: i suoi figli sono ormai grandi-mi racconta- e ha maturato la scelta di vivere in libertà, nell’ashram all’aperto del guru Shiva Raja.
Varanasi, aprile 2016. Panorama dal Nikailad Temple.
Nel tardo pomeriggio lascio con grande tristezza Varanasi: l’attraverso in risciò per andare alla stazione ferroviaria di Manduadih a prendere il treno per Delhi. Da lì proseguirò in pullman per Vrindravan. Durante la notte in treno ho sognato mia sorella con la quale non ho più alcuna relazione: stava arrivando in bicicletta dalla viuzza che sta appena sopra il duomo di Gemona del Friuli, dove anni fa, prima del terremoto, abitava la mia madrina. Mia sorella era stravolta e aveva la faccia magrissima, quasi come un teschio: era preoccupata per mia madre che alle 21.15 non era ancora rientrata e la stava cercando. In un attimo si è allontanata. Sono rimasta un po’ sveglia a pensare al significato del sogno così ho potuto assistere alla scena di un ragazzo che è arrivato silenzioso, ha baciato sulle labbra e poi stava toccando il sesso alla ragazza che dormiva di fronte a me. Gli ho tirato un calcio che l’ha colpito sulle spalle ed è scappato via rapidissimo. Al mattino ne ho parlato con la ragazza e sia lei sia le altre due ragazze dello scompartimento mi hanno raccontato di aver avuto altri episodi simili.