Camminando verso Sud, questa mattina guardo i lavatoi , quelli più lontani, che stanno emergendo dal fiume in secca.
Antichi lavatoi.
Laggiù c’è una donna che ne sta usando uno per lavare i panni, anche se per raggiungerlo ha dovuto immergere le gambe nell’acqua del fiume. Al Kedar ghat stanno celebrando le solite puje per gli antenati e il sacerdote sta sbadigliando, forse per la noia. Più giù, invece, al Shiva ghat, una famiglia di bramini, arrivata in aereo da Bangalore, sta celebrando una puja diversa, in piedi, insieme ad un sacerdote molto coinvolto.
Shivala ghat, 26 febbraio 2019. Puja.
Pregano tutti con molta enfasi: gli uomini con il bacino avvolto nel telo bianco e il dorso nudo, le donne vestite, dietro di loro. Mi coinvolgono sia nel prendere nelle mani il calore della fiamma di un braciere sia donandomi una manciata di petali di rose da gettare nel Gange.
Panorama dal Shiva o Shivala ghat.
Le tende paiono diminuite, ma ce ne sono ancora moltissime: alcune vuote e altre con gruppi di sadhu riuniti a chiacchierare. Anche oggi si vedono dei turisti seduti all’interno di qualche tenda. Quaggiù, dove terminano gli accampamenti, c’è un giovane sadhu che sta attirando l’attenzione dei tursti per la gran fila di collane che gli ruotano intorno alla testa e al collo e paiono, immobilizzarlo.
Gruppo misto di sadhu sotto un tendone.
Qui accanto, sotto il grande palazzo, incontro il business baba che oggi mi saluta in modo più cordiale. Quando il portone del palazzo si apre per far uscire un bel numero di sadhu, lui vorrebbe entrare, ma gli sbarrano il passaggio. Chiama qualcuno, bussando alla porta, ma nessuno si fa vivo e lui dopo un po’ di tempo se ne va. Verso le 13:30, alzo lo sguardo e vedo il portone aperto, spalancato.
Il tempio dell’ashram al Shiva ghat.
Entro a vedere cosa c’è, anche se c’ero già stata delle altre volte, ma diverso tempo fa. Allora, a parte la guest house in fondo, c’erano dei templi, dei porticati e delle porte chiuse tutt’intorno. Ora, invece, le porte sono aperte, i porticati adibiti a mensa, le stanze abitate e le logge piene di sadhu seduti o distesi a riposare.
Il porticato adibito a mensa dell’ashram.
Questo è un ashram, scopro, e ora ospita i sadhu arrivati qui per il Kumbh Mela ed è pieno di lavoranti che spazzolano e lavano i pavimenti, cucinano e riordinano. Appena mi vedono, un uomo e una donna seduti sul ripiano di un tempio, mi offrono di pranzare lì.
Alla mensa dell’ashram.
Io faccio un giro e vedo il porticato mensa vuoto, con due file di piatti di foglie già usati, appoggiati sul pavimento. Non oso chiedere niente a nessuno lì. Torno indietro e dico che la mensa è chiusa, ma l’uomo e la donna mi rimandano là e mi fanno portare un buonissimo thali. Mi seguono una ragazza tedesca con un velo sulla testa e un giovane francese.
La guest house che sta accanto all’ashram del Shiva ghat.
Esco sul retro, e passo davanti alla piccola guest house che sta all’entrata del vecchio palazzo. Sono circa le 14:00. Torno verso Bangali Tola attraverso i viottoli. All’altezza del Kedar ghat, rimanendo sulla gali, c’è una fornitissimo mercato di vegetali e numerosi negozi di alimentari aperti. Più avanti c’è un tempio dedicato a Shiva e delle donne riunite per una preghiera.
Donne in preghiera al tempio di Shiva del Kedar ghat.
Torno sui ghat dopo le 17:00. Tre dei bambini travestiti da divinità mi si avvicinano: tutti vogliono contare fino a dieci! Sono vestiti in modo diverso, ma forse si sono soltanto scambiati gli abiti. Più su, saluto i tre remagi, sempre seduti lì, e salgo sulla grande terrazza a leggere un altro pezzo di “Guerra e pace.” Sono incuriosita da quello che succederà al principe Andrey, a Boris, a Natasa, a Pierre, a Sonia, ma non posso dedicare troppo tempo a leggere. Sono quasi le 18 e 30 e tra poco inizieranno le grandi puja sui ghat principali. Scendo dalla terrazza.
Sadhu bardato di collane in posa all’esterno della sua tenda.
Quassù, nel ghat, ora è pieno di indiani: alcuni stanno andando in barca a vedere la cerimonia, altri, la maggior parte, sale la scalinata per tornare alla guest house o per ripartire. Scendo ancora verso il Dashashwamedh. Nel tratto che porta al Manmandir ghat non si vede quasi nessuno, ma da qui, inizia il fermento: barche che si muovono, sadhu che accendono candele lungo il Gange e fiumi di gente che avanza verso gli spettacoli della sera. Passo attraverso le cerimonie delle due grandi puja del Dashashwamedh ghat: il coinvolgimento della gente è intensissimo. Mani giunte in adorazione, braccia che si levano verso il cielo, cori che ripetono mantra, campanelli che suonano, fumo che si sparge nell’aria.
Il rito di porgere la fiamma agli spettatori durante la cerimonia serale al Dashashwamedh ghat.
L’atmosfera è carica dell’energia della gente e io mi fermo per percepirla. Al Chousati ghat mi siedo a sgranocchiare gli arachidi che ho appena comprato da uno dei numerosi venditori che stanno sulla riva. Passa la cuoca di Arezzo che avevo incontrato in India due anni fa. Le mancano ancora quattro anni per raggiungere l’età della pesione e, saltuariamente, ora lavora come badante. Poco dopo, si siede accanto a me un sadhu del Madhia Pradesh. Parla un po’ d’inglese: mi racconta non ricordo cosa, ma quando mi alzo per andarmene mi chiede dei soldi. Torno al Dashashwamedh ghat e guardo i due sadhu che portano quei pesanti catafalchi sulla testa. Dico loro: “baba it’s too heavy!” e faccio il gesto di piegarmi per il troppo peso. Mi sorridono entrambi e quello che io chiamo “il divo” mi rincorre per darmi un colpetto scherzoso sul capo.
Varanasi, 27 febbraio 2019
Questa mattina, con internet che funziona a momenti, per un disguido, ho cancellato una settimana del mio reportage. Che rabbia! Lo rifarò, con calma, forse soltanto quando tornerò in Italia.
Panorama dall’ashram del Shiva ghat, verso Sud.
La maggior parte del tempo che trascorro qui, a Varanasi, lo passo sui ghat. E sono sempre delle giornate interessanti.
Donna del Rajasthan.
Oggi, ho voglia di tornare nella zona dell’ashram dove sono stata ieri. Lungo il percorso, prima del Kedar ghat, incontro un gruppo di donne del Rajasthan e mi fermo a cercare di comunicare con loro.
Gruppo di donne del Rajasthan.
Più giù, c’è un black baba indaffarato a tritare le verdure e a buttarle in una grossa pentola, colma d’acqua, che sta già sul fuoco.
Black baba che cucina.
Al Kedar ghat, si odono le solite cantilene dei mantra e si vedono gli stessi rituali delle puje. E’ la straordinaria ripetitività di eventi sempre vissuti intensamente da chi ne è coinvolto ed la grande emozione di chi, come me, se sta a guardare. Al palazzo dell’ashram mi siedo sulla gradinata a sferruzzare. Ho portato con me un top che mi è diventato troppo stretto o forse lo è sempre stato.
Attività nelle tende dei sadhu.
Controllo la porta dell’entrata all’ashram: è aperta e ogni tanto esce qualcuno. Ora sta arrivando, da lì, un gruppo di insegnanti di Dungarpur, nel Rajasthan. Loro, hanno pranzato qui all’ashram e, dopo aver visitato il tempio e fatto il bagno nel Gange, ripartiranno per Allahabad, dove alloggiano. Arrivano, accanto a me, uno ad uno, per scattare dei selfie. Poi, piano piano, si ricongiungono tutti per la foto di gruppo, insieme a me. Loro se ne vanno e scende dall’ashram una coppia di Allahabad: lei è una sarta di 40 anni e lui un impiegato di 48 anni. Hanno un figlio di 21 anni che studia ingegneria. Lei ha studiato fino alla quindicesima classe, completando gli studi dopo la nascita del figlio. Stanno trascorrendo nove giorni di vacanza qui, riempendo le giornate tra la visita al Vishwanath Temple, il bagno al fiume e il pranzo all’ashram. Nel pomeriggio riposano fino alle sette di sera, poi, tornano ad uscire. Quando se ne vanno, lei mi saluta con molto affetto, mentre lui si è completamente dimenticato di me, tutto preso dal soffiarsi il naso all’aria aperta.
Momenti di riposo all’interno di una tenda.
Sono quasi le 14:00 ed entro nell’ashram per pranzare. Il pavimento della mensa è stato appena lavato e non si vede nessuno in giro. Dalla cucina arrivano delle voci: sono di un gruppo di ragazzi e stanno preparando dei gnocchetti appallottolandoli con le mani e disponendoli poi su un tagliere. Oggi mi sento più coraggiosa rispetto a ieri e chiedo loro se c’è del thali. Mi capiscono soltanto quando uso la parola “cana”. Credo a quest’ora sia troppo tardi per il loro pranzo, ma comunque mi fanno sedere su un pezzo di stuoia, srotolata sulle pietre bagnate, e mi portano la “cana” sul solito piatto di foglie. Il ragazzo che mi serve non è molto loquace, anzi, forse è anche un po’ seccato. Il suo letto sta sotto la loggia lì accanto e appena mi vede corre subito a controllare se ci sono ancora il suo orologio e il cellulare sottto il cuscino. Appena terminato il mio pasto, il ragazzo, mi fa cenno di portare il piatto in una bacinella, poco lontana da lì. Sulla terrazza dell’ashram ci sono dei sadhu che dormono e degli studenti di sanscrito che mi informano sull’esatto nome dell’ashram: “Panchanda Nikan Jan Akhdd Vranghi”. Vicino al gruppetto di ragazzi c’è un sadhu con il suo letto. Si sta pettinando la barba. Mi dice che forse è nato nel 1969 e il suo nome è NikaJan Dev. Qualche giorno dopo mi dirà, invece, che ha 69 anni. Mentre sto chiacchierando con il sadhu, il cielo si è annuvolato e sta iniziando a piovere. Esco dall’ashram da dove sono entrata e vado a ripararmi sotto il tendone che fa da veranda ad una tenda, lì accanto. Arriva un sadhu con un enorme turbante sulla testa e si mette in posa per i turisti che lo vogliono fotografare. Appena smette di piovere mi avvio verso la guest house.
Sadhu impegnata ad asiugare il suo riparo dopo la pioggia.
Poco più su del Shiva ghat c’è la tendina della sadhu che sta sempre sola: sta asciugandola l’acqua che le è entrata all’interno ed è disperata. All’Harishchandra ghat saluto la sadhu artista della Croazia che sta andando, con una borsa di plastica, alla toilette che sta sotto il crematorio.
Elegante tenda all’Harishchandra ghat.
Qui, in questo ghat, di fronte alle gabbie per le pire, è stata allestita una sfarzosa tenda con pannelli, manifesti, ghirlande, bandiere, fiori finti e piante vere. Dall’interno esce un’allegra musica mentre all’esterno stanno riuniti i parenti dei defunti che stanno bruciando. Tutto si fonde qui: la gioia e l’allegria condivise dello stare insieme e il passaggio della morte così vicino e naturale.
Sadhu lungo i ghat.
La sera torno al Dashashwamedh ghat a rivedere questo grande fenomeno della religiosità del popolo indiano. I bambini, vestiti da divinità come fossero dei clown, mi chiamano, anche stasera, per salutarmi. Hanno il piattino con i colori rosso e bianco che gli indiani usano porre, come segno, sulla fronte delle persone, in cambio di un’offerta. Stasera ne vedo parecchi di questi bambini travestiti. Chi mai ci sarà dietro questi piccoli?
Folla di gente al Dashashwamedh ghat per la puja serale.
Torno in guest house con un pacchetto di melanzane e patatine fritte e anche dello yoghurt per la cena. Incontro Rahul, il proprietario della guest house, lungo i viottoli. Lui, mi annuncia che Edoardo, un amico di mio figlio, mi sta aspettando proprio in guest house. Edoardo sta facendo un dottorato di ricerca sul quartiere a luci rosse che si trova al di là del fiume. Là, ci sono delle stanzette allineate dove stanno le prostitute arrivate dal Bengala, dal Nepal, Bihar e dal Rajasthan. Sono circa una settantina e solo alcune sono di Varanasi. Ce ne sono poi delle altre: sono le adolescenti che abitano lì con le famiglie ed è difficile individuarle per la complicità che le protegge. Il quartiere ora si è animato per la costruzione di un cementificio che ha portato lì un gran numero di operai. “La ricerca è affascinante,” mi dice Edoardo, “ma anche molto triste.”
Varanasi, 28 febbraio 2019
In questi giorni, stanno arrivando delle notizie preoccupanti sui rapporti tra India e Pakistan. Sono stati abbattuti due aerei indiani e catturato uno dei due piloti che si era lanciato con il paracadute. I due aerei erano entrati nello spazio aereo del Kashmir, la regione contesa tra le due potenze. Come conseguenza, diversi voli che attraversano quel tragitto, tra il Nord dell’India e il Pakistan, sono stati cancellati e la zona è stata dichiarata “no fly zone”. Spero non venga sospeso anche il mio prossimo volo per l’Iran!
Tenda soggiorno nei pressi dell’Harishchandra ghat.
Questa mattina al Chousati ghat c’è un gruppo di italiani sui settant’anni. Sono arrivati qui dopo un veloce giro in Rajasthan e si fermeranno soltanto due giorni. Sono di Parma e viaggiano con un’agenzia di “Avventure nel mondo”.
Donna del Madhia Pradesh al Kumbh Mela di Varanasi. 28 febbraio 2019.
Cammino verso l’Assi ghat anche oggi. Nella zona della palazzina dei barcaioli c’è un gruppo di donne con i capelli rasati e in capo coperto da una specie di asciugamano. Sono del Madhia Pradesh e stanno contrattando, con un venditore, i prezzi per l’acquisto delle borse. Sono agguerrite: urlano che costano troppo, ma ne sono affascinate. Alla fine, si rassegnano! Cercano il sacchetto che portano legato al giro vita, sotto diversi strati di vestiti, ne estraggono i soldi, pagano e se ne vanno soddisfatte.
Gruppo di donne del Madhia Pradesh. 28 febbraio 2019.
Di venditori di borse ce ne sono sempre tanti lungo i ghat e fanno tutti dei buoni affari. Camminano straccarichi, tenendole appese dalle braccia al collo, al dorso e alle mani assumendo una forma quasi sferica. Si fermano a tratti, quando vedono arrivare i pellegrini e vengono subito attorniati. E’ il progresso che arriva a sostituire con la modernità di plastica i grossi bagagli annodati con un telo e portati sul capo.
Barca di sadhu in partenza dal Shivala ghat. 28 febbraio 2019.
All’Harichandra ghat mi si affianca un indiano per parlarmi dell’ “Hanuman Ashram” dove è possibile pranzare, ma per me è troppo presto. Mi indica la scalinata per accedervi e, stranamente, per caso, più tardi, forse, mi troverò davanti proprio a quell’ashram. Prima di lasciarmi, il ragazzo mi chiede un offerta, per se stesso, naturalmente!
Tra le tende.
Mi siedo vicino al fiume, sotto il palazzo che ospita l’ashram del Shiva ghat. La porta ora è chiusa, ma si aprirà, di lì a poco, per far uscire un numeroso gruppo di sadhu che poi saliranno su una barca e si allontaneranno fin oltre il Manikarnika ghat. Alcuni di loro sono europei e parlano in francese.
Il momento del the in una tenda. 28 febbraio 2019.
In quell’ashram non ho molta voglia di tornare per il pranzo, ma sono curiosa di capirne qualcosa in più. La mia perplessità è sorta nel modo con cui mi ha servito il pranzo il ragazzo di ieri. L’ha fatto come fosse un’elemosina, mentre il giorno prima era stato come un bel dono. Difatti, quando verso le 14:00 chiedo se c’è la “cana”, i lavoranti mi dicono che non c’è più cibo! Sarà anche vero, perchè, lì accanto, c’è tutta una serie di pentoloni vuoti messi a lavare.
Sadhu sulla scalinata dell’Hanuman ghat. 28 febbraio 2019.
Così, mi avvio verso i ristoranti di Bangali Tola. Passo davanti alla tenda della sadhu venale sempre munita di scopino. Oggi ha la faccia e il collo spalmati di bianco e sembra più magra e minuta. Le sadhu sono sempre vestite dalla testa ai piedi e non espongono alcuna nudità.
La scalinata dell’hanuman Temple. 28 febbraio 2019.
Mi fermo a guardare le due sadhu amiche che vivono nella stessa tenda pur essendo una vestita di arancione e l’altra di nero. All’Hanuman ghat arriva una barca carica di sadhu che salgono la scalinata e si dirigono tutti nella stessa direzione.
Tenda mista nei pressi dell’Harishchandra ghat.
Tra loro c’è una donna anziana che cammina a fatica, aiutandosi con un bastone. Seguo lei, ma anche gli altri sadhu finchè li vedo tutti entrare nell’ashram, forse proprio quello di cui mi parlava il ragazzo di qualche ora fa.
Ashram per sadhu all’Hanuman ghat.
In quella zona, chiamata Hanuman, come il ghat, ci sono altri luoghi che ospitano baba e sadhu gratuitamente. Sono posti che fanno riferimento a questo o a quest’altro guru.
La scalinata che porta all’Ashram dell’Hanuman ghat.
Lo si capisce dai grandi manifesti esposti con le loro immagini nelle entrate. Da questo intreccio di gali, popolato da sadhu. Sbuco sulla strada asfaltata che porta all’Harishchandra ghat, una zona percorsa da auto risciò e automobili. Qui, imbocco un viottolo che conosco bene e che porta verso l’interno del Kedar ghat e a Bangali Tola.
Incontro al Kedar ghat.
Nel tardo pomeriggio entro nella gali che va verso l’Annapurna Temple. Lì accanto c’è anche la mensa gratuita per i pellegrini. Riesco ad individuare il posto, difficile da trovare anche se c’ero già stata con mio figlio.
La gali accanto all’Annapurna Temple.
Le gali qui sono animatissime di negozi e pellegrini. Si aprono sullo stretto vicolo numerose le rivendite di sarees, bracciali, dolci, spezie, statuette e immagini sacre. Percorro questi vicoletti in varie direzioni, poi, torno sui ghat.
La benedizione dello scopino al Dashashwamedh ghat. Sera del 28 febbraio 2019.
Qui, le gradinate e le barche si stanno riempendo di pellegrini che attendono di vedere lo spettacolo della sera. L’atmosfera è magica!
Chousati ghat, 18 febbraio 2019. Pellegrinaggio di Kota, Rajasthan.
Mi siedo al Chousati ghat quando il sole è già alto sull’altra sponda del Gange. Oggi, anche qui, ci sono diversi pellegrini che fanno il bagno e si rivestono. Sono di Kota, nel Rajisthan e sono venuti qui, al Kumbh Mela, insieme a tre loro sadhu. Le donne, dopo il bagno, indossano sarees di svariati colori: arancione, rossi con fiori diversi e marrone con sfumature verde pisello.
Pellegrini di Kota dopo il bagno al Chousati ghat.
Alcuni uomini del gruppo portano il turbante bianco, mentre i più giovani indossano pantaloni e giubbini classici e camminano scalzi. Due di loro mi chiedono di scattare delle foto assieme, così prendo confidenza e iniziamo a chiacchierare. Hanno 37 e 40 anni, e come lavoro, il più giovane, commercia in argento e sarees attraverso internet e limitatamente all’India mentre l’altro fa il grafico.
Guru del Madhia Pradesh
Poco dopo arrivano altri pellegrini, soltanto maschi. Sono di Indore, nel Madhia Pradesh e stanno viaggiando con il loro guru, un omone enorme, tutto vestito di rosso. Mi parlano del loro fiume sacro: il Narmada, che anch’io conosco molto bene. Se ne vanno salutandomi con il loro “Narmade har!” Rimango ancora lì, seduta al sole, a leggere un altro pezzo di questo splendido “Guerra e pace”. E’ un momento in cui sono molto coinvolta, in particolare nei personaggi di Pierre e Andrey e faccio fatica a staccarmi dalla lettura.
Donna sadhu davanti alla sua tendina, lungo i ghat.
Dopo un po’, prendo la direzione che va verso Sud per cercare di scovare le poche donne sadhu che stanno rintanate nelle tende. Poco prima del Kedar ghat c’è una nuova tenda con una donna sadhu diversa da quelle che ho incontrato ieri. Sta insieme a degli altri sadhu.
La vita nelle tende dei sadhu, lungo i ghat.
Nel piazzale di fronte al palazzo dei barcaioli incontro il ragazzo che lavora per “Avventure nel mondo.” Mi racconta che nei giorni scorsi ha accompagnato un gruppo di turisti insieme all’altra guida, quella di Chowk. Incredibile: fino ad una settimana fa erano rivali e ora lavorano insieme!
Arrivi di pellegrini in barca.
Al Kedar ghat ci sono barconi straccarichi di pellegrini che scendono e formano un lungo sciame sulla spiaggetta che sta prima della scalinata. Poco prima dell’Harichandra ghat vedo seduto su un gradino un uomo anziano che gironzola qua e là un po’ come faccio anch’io. Mi dice che è svizzero e abita vicino al confine di Domodossola. A Varanasi trascorre lunghi periodi e alloggia proprio nella mia stessa guest house.
Artista sadhu della Croazia.
In una tenda lì accanto c’è un’altra sadhu. Viene da Koprivnica, in Croazia, vicino al confine con l’Ungheria. Quando è qui in India vive in un ashram, nell’Himachal Pradesh, insieme al suo guru e ad altri sadhu, che lei chiama fratelli. Ha frequentato l’Accademia ed è un artista, ma ora non disegna più nulla. E’ vedova dal 2003 ed ha un figlio ormai grande, sposato, che vive in Croazia.
Un sadhu.
Da diverse tende oggi fuoriescono delle musiche allegre. In alcune ci sono dei ragruppamenti da sadhu disposti accanto al focolare che si stanno passando una pipa di terracotta. Ognuno la prende, sistema uno straccetto dove si aspira, e poi, ogni bocca emette una grossa nuvola di fumo. Li guardo sbalordita e, senza accorgermi sono entrata a far parte del loro cerchio ed è arrivato il mio turno per la pipa. “No, no, thank you!” dico loro, e scappo via.
La sadhu che distribuisce benedizioni, a pagamento, con lo scopino.
In una rientranza c’è un’altra tenda con delle sadhu: sono due soltanto. Una distribuisce benedizioni a pagamento con lo scopino mentre l’altra appoggia soltanto il lavoro della compagna invitando i fedeli a versare un’offerta. Noto una madornale differenza tra la sensibilità e l’intelligenza della donna croata e la sfacciataggine di queste altre due. Termino il mio cammino verso Sud al Raja ghat, dove finiscono gli accampamenti di questo versante. Qui rimango seduta un po’ di tempo a ncora a leggere.
Il pittore canadese al lavoro lungo i ghat.
Passa il canadese che mi saluta di fretta perchè deve correre a lavorare da qualche parte al suo nuovo disegno. Nel frattempo si siedono accanto a me due donne di Istanbul, una delle quali, in particolare, è molto desiderosa di parlare. Metto via il mio reading book e chiacchiero un po’ con loro. Sono sempre curiosa di capire le persone, le loro storie, come si svolgono le loro vite e i valori che le caratterizzano. Quete due turche stanno in un costoso hotel, nei pressi dell’Assi ghat. Sono sui sessant’anni. Una è insegnante di letteratura e abita accanto alla casa dello scrittore Pamuk che fortunatamente conosco. L’altra, quella più loquace, fa l’interprete e vive a Londra. Stasera ripartiranno in treno per New Delhi e mercoledì rientreranno a Istanbul.
Passaggi lungo i ghat.
Sono quasi le 15:00 e riprendo il cammino del ritorno rimanendo sui ghat, ma dirigendomi verso i ristorantini di Bangali Tola. Mi fermo in una tenda dove sta distesa un’altra sadhu. E’ sola, nella sua piccola tenda, e anche lei, durante l’anno, vive in un ashram nel Nord dell’India.
Sadhu solitaria.
E’ una persona sorridente, delicata e dolcissima. Mi commuove la sua semplicità e quando mi porge il piattino delle offerte, eccezionalmente, le lascio una moneta. Passo davanti a tende dove i sadhu stanno impastando e cucinando il cjapati sulle piastre scaldate dal fuoco o su fornelli a gas.
Sadhu che cucina.
Molti di loro mi chiamano con un gesto della mano per darmi la scopettata in testa o per farmi i segni sulla fronte. Altri sadhu, invece, mi invitano a bere il cjai sotto la loro tenda.
Donna di Raipur.
In una scalinata c’è un numeroso gruppo di pellegrini che arriva da Raipur nel Chhattisgarh. Le donne portano preziosi ornamenti d’oro infilati nelle orecchie e nel naso oltre a bracciali e cavigliere. Mi fermo ancora davanti alla tenda dove c’è un raro black baba seduto con un amico che non è né sadhu né black baba.
Black baba con ospite.
Arrivo al Chousati ghat dove incrocio una lunghissima fila indiana di altri pellegrini di Raipur, che probabilmente andranno a ricongiungersi al gruppo che ho incontrato poco fa sulla scalinata. Al “Baba restaurant” di Bangali Tola arriva anche il canadese. Si chiama Steven, mi dice. Parliamo a lungo delle nostre intense giornate sui ghat. Mi piace moltissimo l’acutezza e l’ironia con cui osserva la vita degli indiani. Nel pomeriggio torno sui ghat attraverso la città vecchia. Sul piazzale del mercato di Bangali Tola, seduta, sull’asfalto dissestato, c’è una ragazza di 22 anni con un neonato in braccio che ta allattando. Accanto a lei stanno gli altri due figli, di poco più grandi.
Ragazza mendicante con tre figli.
Scendo al Dashashwamedh ghat e raggiungo la terrazza che sta più su, al Tripura Bharn ghat, quella che dall’alto arriva quasi fino al Gange. Sulla scalinata stanno sempre seduti tre sadhu. “We are really sadhu” mi dicono. Vivono in un ashram, qui a Varanasi, e sono molto distinti sia nel loro abbigliamento arancione, sia nel loro modo di dialogare.
Arrivi in barca nel tardo pomeriggio.
Appoggiata alla ringhiera della terrazza, guardo in silenzio la distesa dell’acqua che sta iniziando a splendere sotto il sole del tramonto. E’ un incanto! E finalmente, da quassù, riesco a prendere la linea e a parlare con mio figlio che sta in Italia. Sono i miracoli della tecnologia! Poi, mi rimetto a leggere un altro pezzo di Tolstoj e rimango lì fino a che, dopo il tramonto, la temperatura scende e si leva un po’ di vento.
Serata di luna piena sulla riva del Gange.
Varanasi, 19 febbraio 2019
Questa mattina sono presa dalla ricerca di qualche studio fotografico che mi scannerizzi la foto con le caratteristiche richieste per registrarmi sul sito visti iraniano. Questa procedura è richiesta per poi ottenere il visto in areoporto. In un posto di Bangali Tola non sanno come fare, in un altro, sempre nei paraggi, mi dicono di tornare dopo un’ ora, quando arriverà l’esperto.
Godowlia, staccionate vuote.
Proseguo fino a Godowlia, ma non riesco a risolvere nulla. Così, giro da un negozio di fotografia all’altro finchè risolvo quel problema. Poi, di sera, anche con l’aiuto di Alina, non riuscirò a registrami e scriverò di nuovo al consolato di Milano per ricevere lumi. Per farmi mettere foto sulla chiavetta, mi sono allontanata parecchio da Godowlia e tornando indietro, all’incrocio con la chiesa protestante, m’inoltro nella parte sinistra e mi addentro in un viottolo di Kodai Chowki.
Staccionate vuote anche a Chowk.
E’ una zona di negozi che sbocca sulla strada principale di Chowk. Qui, ci sono rivendite di coperte, cuscini e materassi, attrezzature elettriche, argenterie e bigiotterie. In alcuni negozi sono esposti un’infinità di braccialetti che le donne indiane portano numerosi su entrambe le braccia, facendoli arrivare, spesso, fino ai gomiti. A Chowk le staccionate dei pellegrini sono vuote. Probabilmente, a quest’ora, sono a fare il bagno al Gange e, soltanto nel pomeriggio riempiranno le file per il Vishwanath Temple. Attraverso la strada trafficata e imbocco un’altra gali. Un uomo sta tingendo dei tessuti all’esterno della sua bottega.
La tintoria.
Mi guarda mentre sto osservando le pentole con l’acqua colorata e lui che continua ad immergervi le stoffe e a masticare il paan. Più avanti ci sono dei negozi di sarees: là dentro, i proprietari se ne stanno seduti, tranquilli, ad attendere i clienti. In effetti, ci sono due tipi di venditori: quelli che si comportano come se la cosa non li riguardasse ed hanno spesso i negozi pieni, e quelli che s’affannano a chiamare i clienti che passano con pochi che li ascoltano.
Negozio di sarees.
Questa gali sbuca a Godowlia. Anche qui le staccionate dei percorsi per la visita al Vishwanath Temple sono vuote e, pellegrini, turisti, animali e scooter vanno e si fermano un po’ dovunque. Vicino alla discesa ai ghat di Bangali Tola incrocio un gruppo del Bihar che sta andando al Gange con i bagagli sulla testa.
Madre e figlia del Bihar.
Trascorro un po’ di tempo su una gradinata, seduta tra due caprette e attorniata da una miriade di palline nere rinsecchite sparse sulle pietre. Al Meer ghat il Black baba sta appendendo, con uno spago, una bottiglia d’acqua alla ringhiera della sua tana. E’ un uomo molto ordinato nelle pochissime cose che possiede. Con Alina e Marc torniamo a pranzo nello stesso ristorante di Godowlia dell’altro ieri e poi, ci sediamo, per il cjai, lì vicino. A Bangali Tola ci separiamo e io me ne torno sui ghat.
Donne di Jodhpur.
Poco dopo il Dashashwamedh ghat, mentre sto chiacchierando con un gruppo di Jodhpur, mi sento avvolgere da un abbraccio. E’ il mio amico baba dei tamburelli, completamente nudo.Anch’io lo abbraccio: sento una forte energia sprigionarsi da questo personaggio piccolo e minuto. “I love you” gli dico e lui mi risponde “Me too!” Ha 55 anni e durante l’inverno sta ad Haridwar e sulle montagne dell’Himalaya, dormendo sempre all’aperto. Quando gli dico la mia età, mi risponde che sono molto vecchia.
Con il mio amico baba.
Al Manmandir ghat c’è ancora il Black baba che ora mi guarda arrabbiato. Chiede a tutti 100 rupje, quasi 2,00 euro per farsi fotografare, ma nessuno glieli da. Lì, accanto al Black baba e alla vicina bancarella, stanno sedute due giovani sorelle musulmane. Hanno 23 e 20 anni e quella più giovane indossa il velo. Studiano entrambe per diventare insegnanti e frequentano il terzo anno in un college privato. Abitano a Badoi Carpet City un luogo poco distante da Varanasi, specializzato nella lavorazione dei tappeti.
Con due studentesse islamiche dei dintorni di Varanasi.
La ragazza della bancarella è di Chennai ed è induista. Ha 13 anni e frequenta la tredicesima classe di una scuola privata. Ha scelto come specializzazione la lingua inglese che parla in modo molto disinvolto facendo anche l’ interprete tra me e le due sorelle musulmane.
Donna del Bihar.
Varanasi, 20 febbraio 2019
Evitando di cenare con le melanzane fritte delle gali, il mal di pancia prima si è attenuato e poi è passato, per fortuna! Marc, invece, il ragazzo di Alina, è ancora indisposto.
Una delle tante puje che s’incontrano, al mattino, lungo i ghat.
Dopo il cjai del mattino alla solita Tea-stall, vado a camminare verso Sud, nella direzione dell’Assi ghat. All’altezza del palazzetto dei barcaioli, sull’argine del fiume, rivedo i due grossi bramini dell’altro giorno: uno sta seduto sulla stessa panca mentre l’altro sta sciacquando il suo perizoma.
Bramini sui ghat.
Lì, in parte, un sacerdote sta celebrando una puja con l’unico maschio della famiglia e le donne in disparte. Su un piatto c’è del riso cotto e il sacerdote aggiunge una banana spezzettata. Accanto c’è una ciotola bombata con i pochi resti del defunto. Mi siedo sulla gradinata, all’ombra del palazzetto dei barcaioli. Di fronte e a lato ci sono due templi, uno dei quali abitato da un sadhu che ora sta distribuendo le benedizioni. Alla mia destra c’è il lungo fiume e più in là il Gange.
Dall’Andra Pradesh.
Sulla scalinata si fermano a riposare delle pellegrine di Hyderabadh, nell’Andhra Pradesh. Scatto a qualcuna di loro una fotografia con il cellulare, ma loro, una dopo l’altra, desiderano essere ritratte e non sentirsi escluse.
Pellegrina dell’Andra Pradesh.
Al Kedar ghat scopro due donne impegnatissime a celebrare una puja per conto loro. Sono munite di un libriccino che leggono con molta enfasi.
Donna dell’Andra Pradesh.
Poco più là qualcuno ha costruito un’opera d’arte con cubetti di fango assemblati e disposti a cerchi concentrici. In mezzo si eleva un “Lingam di Shiva”.
Puja tra donne, in disparte. Kedar ghat.
All’Harischandra ghat, dove è concentrato il maggior numero di sadhu, arrivati qui per il Khumb Mela, stanno riprendendo con una telecamera un sadhu.
Costruzione del Lingam di fango.
Lui, sta seduto su una specie di trono e pare una celebrità. All’Harishchandra, come tutti i giorni, c’è il gruppo dei volontari del “Pronto soccorso Harichandra”, ma oggi incontro delle altre persone, con la stessa cassettina sanitaria, ma con la scritta “Pronto soccorso Banares”. Queste, vanno a soccorrere i malati direttamente nelle tende.
Intervista al sadhu che io chiamo “Divo”.
Nei dintorni del ghat delle cremazioni, incontro una sadhu che sta costruendo con le mani il focolare di cemento e fango, davanti alla sua piccola tenda. Mi avvicino e lei mi chiede di spalmare l’impasto insieme a lei. Non esito a farlo, in quanto, anche a me, da sempre, piace il contatto con la terra.
Uomo e donna sadhu lungo i ghat.
Più giù c’è un’altra sadhu: questa sta distesa su una coperta. Indossa una camicia e dei pantaloni arancione ed ha disegnati i simboli di Shiva sulla fronte. Poco più distante, in un’altra piccola tenda, c’è un’altra donna. Questa, l’ho già incontrata qualche giorno fa e la rivedo sempre lì, seduta nella stessa posizione, con gli occhi fissi sul Gange. Anche oggi, quando torno verso il Shivala ghat la ritrovo lì, ancora sola. Anche tra le sadhu c’è chi preferisce la solitudine, ma c’è anche chi sta in tenda con un’altra donna, e chi, invece, preferisce coabitare con piccoli gruppi misti.
Donna sadhu a passeggio lungo i ghat.
Gli uomini sono, in genere, più socievoli e spesso hanno dei seguaci al seguito. Pochissime donne, ma anche pochi uomini, parlano l’inglese a parte la parola “money” per chiedere l’offerta. Poco più in là, in una tenda mista, c’è un’altra sadhu che sta massaggiando uno di loro. Lui, sta protestando per l’interruzione che gli ha provocato la mia presenza. Più in là, sempre in agguato e armata di scopino, seduta sull’ingresso della sua tenda, c’è la grossa sadhu che ho già conosciuto nei giorni passati.
Donna sadhu che sta massaggiando un uomo sadhu, all’interno della loro tenda.
Tornando al Kedar ghat trovo gli allievi della scuola privata soprastante in un momento di pausa dalle lezioni. Sono ragazzini di dodici-tredici anni, che frequentano, rispettivamente, la sesta e la settima classe.
Scolari sul ghat in un momento di pausa delle lezioni.
Nel pomeriggio torno sui ghat e vado per un breve tratto verso Nord. Nel piazzale dopo il Dashashwamedh c’è una delle bambine clown che sta chiedendo l’elemosina. Più tardi, al buio, la rivedrò di nuovo, ma insieme ad un’altra bambina clown, un po’ più grandicella. Alla ringhiera del Meer ghat, c’è il mantello grigio del Black baba appoggiato, ma lui non c’è. La ragazza della bancarella invece è già lì, al lavoro, dopo aver trascorso la mattinata a scuola.
Bambina vestita da divinità per chiedere l’elemosina.
Salgo sopra la terrazzona del Tripura Bharn ghat e saluto i tre sadhu che stanno sempre lì sotto. Paiono tre remagi! Uno di loro si sente in dovere di farmi una precisazione rispetto a quanto mi aveva detto l’altro giorno. Mi dice che soltanto uno di loro, quello al centro, è un vero sadhu, anche se tutti tre abitano nello stesso ashram. Tornando indietro, passo sotto i pilastri del Dashashwamedh ghat e vedo una ragazza, seduta accanto ad altri due sadhu. Lei ha la carnagione molto chiara ed è russa. Il frastuono e il rimbombo della cerimonia soprastante ci impedisce di parlare.
Sarees stesi ad asciugare.
La sera con Alina riusciamo finalmente ad inviare al consolato iraniano di Milano la scheda della mia registrazione per il visto. Ma non è certo che lo concedano! Lo saprò, soltanto, dopo cinque giorni lavorativi, cioè verso giovedì della prossima settimama.
Donna sadhu mentre sta costruendo il suo focolare.
Varanasi, 21 febbraio 2019
Andando dal Chousatti al Dashashwamedh ghat, c’è una mucca distesa di lato, con del sangue sparso sulle pietre e un ragazzino che l’abbraccia come fosse una persona. “She is my cow! The doctor is coming!” mi dice, vedendo che lo sto guardando preoccupata.
Ragazzino che abbraccia la sua mucca ferita, nei pressi del Dashashwamedh ghat.
Al Dashshwamedh ghat mi siedo su un tavolone.
Bambina, anzi bambino, travestito da divinità per chiedere l’elemosina.
Quasi subito si avvicina una bambina, anzi, scoprirò più tardi che si tratta di un maschietto, travestito da divinità, tra quelli più piccoli. Non mi chiede dei soldi, ma una caramella che non ho. Gli dico che gliela porterò più tardi. Lui, mi porge un orecchino sporco, trovato chissà dove. Mi chiede di infilarglielo nell’orecchio, ma a parte la sporcizia mescolata al colore cosparso dalla faccia ai capelli, non riesco a metterglielo. Ha il buchetto troppo piccolo o forse otturato. Lui guarda i miei bracciali uno per uno. Hanno tutti una storia e lui mi indica proprio quello che mi ha portato mia nipote, dall’Australia, qualche anno fa. Lo sfilo e lui vorrebbe sapere quanto valgono le medagliette di latta che lo compongono. Poi, conta i dischetti, orgoglioso di saper arrivare fino al dieci e s’infila il braccialetto al suo piccolo polso. E’ troppo grande, ma lui lo spinge fin sotto il polsino della camicetta e con uno scatto si alza e va a rincorrere due turisti occidentali che stanno passando di lì.
Bambino mendicante travestito da divinità.
Sotto al colonnato che sostiene il piazzale che sta poco dopo il Dashashwamedh ghat mi fermo a parlare con il mio amico baba dei tamburelli. Si chiama Shiva Raj Giri Naga Baba e mi racconta ancora che vive sei mesi all’anno ad Haridwar e Rishikesh, nell’Uttarakhanda, senza mai leggere e senza alcun accesso ad internet.
Il mio amico baba con la sua discepola russa.
Accanto a lui c’è una sua discepola di 28 anni. Lei è russa, laureata in marketing, e trascorre i sei mesi del visto con questo baba, nel suo ashram all’aperto, insieme alla sua moltitudine di seguaci. In Russia fa l’insegnante di yoga, qui, invece, non lavora. Il baba mi aggiorna sul suo numero di cellulare, che non è più quello che aveva qualche anno fa. Mi piace il contatto fisico con questo baba, sentire la sua energia leggera e intensa, ma anche trattenuta. Dopo un po’ di tempo che gli stringo la mano, ho l’impressione, per un attimo, di percepire nel suo sguardo una certa ostilità. Lui, ha gli occhi molto vispi e sempre un sorriso sulle labbra che ricorda quello di un ragazzino furbo e intelligente. E’ velocissimo nel capire le cose e non mi chiede soldi. Ho visto che dal suo solito show serale ha tolto il suono dei tamburelli e l’ha sostituito con la benedizione dello scopino, che va tanto di moda in questo periodo. Gli mostro la foto con lui che ho postato sul blog, ma non riesce a vederla e si fa spiegare dalla ragazza sadhu cosa rappresenta. Il baba mi invita ad andare con il suo gruppo sull’altra sponda, a visitare un tempio e a meditare. Io, scuoto il capo con un sorriso. In fondo, in fondo, ho una gran paura di questo mondo ignoto e anche del nulla.
Arrivo di barche con pellegrini dell’Uttarakhand.
Poco più su, salgo sulla scalinata che porta ad un cancello che si apre, verso i ghat, sul retro di un lussuoso hotel. Sto andando a cercare un po’ d’ombra. Oggi è scoppiato improvvisamente il grande caldo e non è possibile stare fermi al sole. Questo cancello viene aperto soltanto qualche rara volta, per fare entrare o uscire i clienti che arrivano o ripartono con le barche.
Manmandir ghat, passaggio di un corteo nuziale.
Laggiù, dal lungo fiume, improvvisamente arriva la musica che accompagna un corteo nuziale che dall’alto della scalinata vedo passare. Quando scendo, mi fermo a guardare le barche strappiene di pellegrini che ripartono dopo aver fatto il bagno nel Gange e visitato il Vishwanath Temple. I pellegrini che stanno sul barcone ora, sono dell’Uttarakhand e poco più giù, incontro una famiglia di Patna che si ferma per chiedermi da che Paese provengo.
Arrivi in barca. Pellegrini dll’Uttarakhand.
Un numeroso gruppo, di Patna ancora, lo incontro poco dopo: sta seduto, sfinito, sulle pietre del Dashashwamedh ghat. Rimango ancora sui ghat perchè è il modo più rapido per tornare alla guest house, dove mi aspettano Marc e Alina per andare a pranzo. Verso il Lalita ghat ci sono numerosi bambini che giocano allo scivolo sulla pendenza lastricata che scende vrso il fiume.
Fratellini mendicanti lungo i ghat.
Lì vicino due bambini con i fratellini piccolissimi in braccio, muniti di biberon, stanno andando verso i ghat più affollati per chiedere l’elemosina.
Uomo del gruppo di pellegrini di Patna.
Varanasi, 22 febbraio 2019
Questa mattina ho dormito più del solito e mi sono svegliata quasi alle 10:00. Ieri sera con Alina abbiamo prenotato il mio volo da Varanasi a Delhi, e da lì andrò prima a Sharjah e poi a Shiraz. Già all’arrivo a New Delhi, dovrò spostarmi in autobus dal Terminal 1 al 3, e questo mi preoccupa un po’. E cosa ho sognato? Ero arrivata a Sharjah, un areoporto piccolissimo, sperduto tra le montagne, e non riuscivo a trovare le indicazioni per le altre partenze. Ho appoggiato lo zaino su uno scaffale e mi sono messa a parlare con due turiste occidentali che si ricordavano di avermi già incontrata da qualche altra parte. Loro avevano l’auto e si sono offerte di accompagnarmi al terminal delle partenze per Shiraz. Abbiamo percorso un pezzo di strada in un ambiente simile ad Almora e Kasar Devi, verso l’Himalaya. Ci siamo fermate a bere qualcosa e ripreso il percorso mi sono accorta di aver dimenticato lo zaino, proprio là, dove l’avevo appoggiato. Fortunatamente, avevamo percorso poca strada e non è stato un grosso problema tornare indietro. Le due donne, entrambe di mezza età, dovevano laurearsi fra poco e io ho promesso loro che sarei andata alla loro festa. Una delle due si chiamava Marta.
Stamattina, devo fare le cose in fretta per andare all’Assi ghat dove ci sono Alina e Marc che mi stanno aspettando per andare a visitare il “Bharat Kala Bhavan Museum Plan”, alla Banaras Hindu University. Percorro velocissima il lungo fiume, passo davanti alle numerosissime tende con i sadhu appollaiati sull’entrata che mi chiamano con un cenno della mano. Qua e là, ci sono sempre delle donne, a volte le stesse che ho già incontrato, ma spesso diverse. Anche loro mi invitano a fermarmi e a sedermi alla loro tenda. Lo scopo è quello di chiedermi del denaro, ma “sono di fretta” rispondo a tutte e a tutti. All’Assi ghat, a mezzogiorno in punto, Alina è già lì, puntualissima e Marc arriva poco dopo. Prendiamo un caffe sulla terrazza di un ristorante e, con un moto risciò elettrico raggiungiamo la zona adiacente all’università. Da qui, ci dicono, possiamo prendere soltanto un ciclo risciò, ma noi preferiamo andare a piedi. Il museo è molto interessante, ma dobbiamo depositare borse, macchine fotografiche e cellulari in uno stipetto. E’ rigorosamente vietato scattare delle foto! Alina ha una preziosa macchiana fotografica e non si fida a lasciarla nello stipetto, così, lei e Marc si danno il turno per entrare al museo. Al piano terra ci sono diverse sculture di divinità ritrovate in varie parti dell’India, dal Nord al Sud, risalenti ai periodi che vanno dal I all’XI secolo a.D. Le sculture rappresentano: Shiva, Parvati, Visnu, Buddha, Ganesa, Chamunda, la dea Ganga, Garuda, Tara, Indra, coppie di innamorati, e tante donne dai seni bombati e dalla vita sottile. Le sulture ritrovate in Panjab risalgono al II secolo, sono in pietra grigia e appaiono molto simili alle statue greche. Marc, che è un appassionato di storia, mi dice che quella parte dell’India, nel “Kusana period”, faceva parte dell’Impero greco. Nella sala principale del piano terra, è esposta anche una grande statua di Krishna del IV secolo, appartenente al periodo “Gunta” e proveniente da Varanasi.
Una sala, lì accanto, è dedicata al pittore russo, Nicholas Roerich. Questo artista ha prodotto oltre 7.000 dipinti che rappresentano le montagne e la vita sull’Himalaya, il luogo dove ha soggiornato per lunghissimi periodi nella prima metà del ‘900. Nicholas Roerich è riscito a catturare, in modo sorprendente, lo spirito di quei luoghi. Muore ad Almora, nel 1947.
Le altre stanze presentano delle fotografie di Gandhi, delle ricostruzioni di ambienti, con arredi, utensili e persone in miniatura, piccole bambole con la testa in terracotta, vestite con gli abiti del Rajasthan, del Panjab, dell’Uttar Pradesh e del Maharashtra. Una grande sala è dedicata alle pitture in miniatura che vanno dal XVI al XIX secolo. Questi dipinti mi ricordano quelli del museo di Chamba e, difatti, alcuni, appartengono alla scuola di Kullu, situata in quella zona.
Una grande sala, al primo piano, è dedicata ad Alice Boner, una scultrice nata in Italia da genitori svizzeri e visssuta dalla prima infanzia là, ma poi trasferitasi in Orissa, per lunghissimi periodi. Le sue sculture in metallo rappresentano le posizioni dell'”Uday Shankar’s dance”, spettacolo che vide per la prima volta a Zurigo nel 1926 e che di seguito studiò in tutte le sue manifestazioni.
Seguono, nelle altre stanze, diverse sculture e teste di Buddha risalenti al V e al VI secolo, e una statua di Shiva del X-XI secolo a.D. Segue un’altra sala con vasi e stoviglie in terracotta risalenti al I e II secolo, delle altre sculture in pietra, degli oggetti e degli animali in miniatura, dei piccoli busti e, appesa alla parete una enorme, antica, planimetria di Varanasi.
Pranzo insieme ad Alina e Marc all’Assi ghat e torno, da sola, per la strada principale che porta a Godowlia. Lì devo prelevare dei soldi allo sportello automatico per cambiarli in dollari con Alina. E’ già buio, ma sul percorso riesco a scorgere ben tre moschee illuminate e diversi grandi magazzini che nei giorni scorsi non avevo notato. L’attività commerciale della città si anima in particolare di sera, e a volte, con le illuminazioni accese, molti aspetti delle strade mi sembrano completamente diversi rispetto al giorno. Torno a Bangali Tola attraverso la gali che si trova attaccata alla banca J&K. Devo prendere la direzione giusta agli incroci, per arrivare nella zona del sarto e ritirare i due paia di pantaloni che mi ha confezionato. All’inizio del viottolo c’è un assembramento di gente che blocca il passaggio. “Che succede?” chiedo ad un passante. “E’ un party, un matrimonio! Si può passare!” mi risponde, sorridendo.
Varanasi, 23 febbraio 2019
Godowlia. venditrice di stecchetti per pulirsi i denti.
E’ di nuovo sabato! Lo si nota già dal primo mattino, guardando il gran numero di mendicanti accovacciati in terra con i loro piattini e le mani tese. Stanno, per lo più, lungo la Main street che da Bangali Tola porta al Dashahwamedh ghat. Vado fino a Godowlia per comprare un ago grosso che mi serve per sistemare un top, diventato troppo stretto. Sono le 9:30 e i negozi sono ancora chiusi. Apriranno dopo le 10:00, mi dicono. Approfitto per cercare un ristorante indiano che sta nella zona, ma non ricordo esattamente dove. Si entrava lungo una scala interna, stretta e buia, e si saliva al primo piano. Riesco a d individuarlo e a prendere come riferimento la grande moschea che sta di fronte.
Altro aspetto della venditrice di rametti.
Torno a Godowlia mentre il negozietto delle mercerie sta aprendo: l’ago che sto cercando non ce l’hanno, ma ne compro uno simile, ugualmente. Vado sul Gange: è la che trascorro quasi tutte le mie giornate. Il Dashashwamedh ghat è più affollato di sempre e i baba sono già al lavoro con gli scopini. Anche una delle bambine che paiono dei clown è in giro con un pentolino di alluminio per raccogliere le elemosine. Vado a sedermi più su, sulla stessa scalinata dell’altro ieri, quella che sta all’ombra del lussuoso hotel con la vista sul Gange. Oggi il cancello è aperto.
Decorazioni ai piedi di una pellegrina di Delhi, eseguite con l’henne.
Difatti, di lì a poco, arriverà una famiglia di indiani carichi di borse e valigie. Non mi rivolgono alcun saluto, forse perchè me ne sto seduta sui gradini. Entrano, poi, tre turisti, due ragazze e un giovane uomo, probabilmente europei. Questi mi sorridono amichevolmente. Scende, di seguito, una occidentale con la tazza del caffe in mano. Indossa un paio di leggins a fiori e porta una cuffia in testa. Non mi guarda nemmeno! Sale una coppia di giovani europei: mi guardano, fanno un accenno di sorriso o forse una smorfia e entrano nell’hotel. Alla fine, arrivano due robusti indiani, vestiti di bianco e con il turbante in testa che mi salutano con un ampio sorriso. Dopo un po’ di tempo, scende un dipendente dell’hotel per chiudere il cancello. Guarda il mio quaderno di appunti appoggiato con un angolo sul binario del cancello, e mi fa cenno, in un modo che a me pare sprezzante, di spostarlo.
Party nuziale sui ghat.
Torno verso il Dashashwamedh ghat passando sotto le fondamenta che sostengono il grande piazzale. Questo luogo, ora, è diventato il riparo di una parte dei numerosi sadhu arrivati qui per il Khumb Mela. Là sotto sta anche il mio amico baba che intravedo passando. Lui sta disteso su una stuoia e mi saluta con un cenno della mano. Veramente mi fa segno di avvicinarmi, ma oggi preferisco tirar dritto.
Momenti di un party nuziale sui ghat.
Fa molto caldo, ma si è alzato un leggero venticello che mitiga la temperatura. Poco prima del grande ghat, una donna di Chhattisgarh mi chiede di fare un selfie. Sono sempre molti gli indiani che mi chiedono di scattare delle foto insieme a loro, in particolare quelli che viaggiano in piccoli gruppi.
Coppia nuziale con lo sposo vestito da mahrajà.
Già prima di raggiungere il Dashaswamedh ghat, sento arrivare il suono dei tamburi che accompagnano i cortei nuziali, numerosissimi in questi giorni. Mi avvicino ad osservare un gruppo di parenti che sta eseguendo una danza in cerchio per accompagnare gli sposi. Molte nuove coppie sono vicino al fiume e stanno aspettando le barche per raggiungere l’altra sponda.
Sposa al Dashashwamedh ghat.
Le spose sembrano tutte uguali, vestite di rosso con un grande velo dai ricami dorati sul capo e sul corpo. Portano tutte un grande anello appeso al naso, degli orecchini, lunghe file di bracciali ai polsi, anelli alle dita dei piedi e intorno alle caviglie. Tengono sempre un oggetto tra le mani. Gli sposi di oggi sono quasi tutti vestiti con l’abito classico. Soltanto uno indossa il costume da “maharaja”, ma tutti ne portano il cappello. Gli sposi, inoltre, portano una collana di fiori gialli intorno al collo. Sia la sposa che lo sposo hanno delle decorazioni raffinate sulla pelle delle mani e dei piedi.
Le decorazioni delle mani.
E’ quasi l’una e sembra sia il momento più intenso del’arrivo dei cortei nuziali al Gange. I suonatori stanno intensificando i loro battiti e percuotono i tamburi con sempre più forza. Se salgono sulle barche, il suono si allontana e va verso l’altra sponda.
Con una coppia di sposi al Dashashwamedh ghat.
Sul ghat, lì accanto, c’è un gruppo di donne di Delhi che sta cantando una puja insieme al sacerdote. Il rituale è rivolto al dio Vishnu, mi dicono.
Le donne di Delhi mentre cantano una puja.
Pranzo con Alina e Marc sulla terrazza della “German bakery” di Bangali Tola. Loro sono in partenza per Jaipur e mi mancheranno molto. Regalo ad Alina un paio dei miei due nuovi pantaloni di khadi. Lei sceglie proprio quelli che mi piacciono di più. Quindi, nel pomeriggio, corro al Gandhi shop a comprare dell’altro khadi. Lì, oggi, c’è un commesso un po’ più giovane e sveglio, ed anche più attivo di quelli che ho trovato le altre volte. Porto la stoffa al sarto e torno sui ghat. Al Dashashwamedh c’è addirittura un party nuziale con gli invitati seduti qua e là che mangiano il cibo distribuito da un grosso pentolone. Le donne, elegantissime nei loro sarees sintetici, tutte ingioiellate, curate sia nel trucco che nelle decorazioni di mani e piedi, danzano, cantano e stringono i loro figli tra le braccia. E’ tutto un ripetersi, qui, sul Gange: le spose e gli sposi vestiti allo stesso modo, i pellegrini che fanno il bagno e mettono a stendere i panni, i sacerdoti che celebrano le puja, i venditori che cercano i clienti, i mendicanti che chiedono l’elemosina, i barcaioli che vanno e vengono, i turisti che scattano le foto e via, di seguito.
Corteo nuziale sulla barca per andare sull’altra sponda.
E’ già calata la sera e il vento è diventato più intenso. Mi sposto nella direzione dell’Assi ghat e mi fermo un attimo davanti ad una tenda di due black baba.
Black baba (la categoria di baba che mangia i resti delle cremazioni) mentre cucina.
Proseguo tra altri sadhu nudi seduti davanti al focolare o in giro, a passeggio, nonostante sia freddino. Poco più giù, dopo il Kedar ghat, c’è una donna con il giovane figlio che sta distribuendo del cibo e del cjai. Dice che è un cibo sacro, offerto dal suo maestro, un anziano guru, molto attivo, che sta lì, sotto la tenda. Sia lei che il figlio sono suoi ospiti in un’abitazione che sta qui sopra, accanto al fiume. La donna è ucraina, si occupa di estetica e yoga e vive a Milano. Insiste molto perchè lasci un’offerta, ma non l’ascolto.
Banchetto ayurvedico all’Harishchandra ghat.
Di fronte alla tenda dove sta la donna ucraina c’è un banchetto ayurvedico con un medico che ascolta i pazienti e capisce i loro problemi tastando soltanto il loro polso. Il medico, poi, distribuisce ad ognuno delle pastiglie sfuse, avvolgendole in un pezzo di giornale. Tra le persone che stanno a guardare l’attività medica di questo banchetto, c’è una “lady-man” taylandese, di religione buddhista. E’ proprio un incrocio tra uomo e donna! E’ molto simpatica e mi racconta molte cose riguardo ai suoi due viaggi in Italia. Torno a Bangali Tola attraverso i ghat. Lascio alle spalle le pire dell’Harishchandra ghat che stanno ardendo in continuazione e i sadhu, lì accanto, indaffarati a cucinare la loro cena.
Vasetti di fiori intorno al focolare di una tenda,
Mi fermo ancora un attimo più su ad osservare le strategie dell’uomo che legge la mano mentre sta catturando un gruppo di ragazze spagnole. Poi, poco più su, guardo con tenerezza la tenda del baba che ha disposto i vasetti di piante intorno al suo focolare.
Harishchanda ghat, verso sera.
Varanasi, 24 febbraio 2019
Oggi il cielo è coperto e sul Gange c’è un po’ di foschia, ma la temperatura è mite. Nella tarda mattinata, verso il Kedar ghat, incontro il canadese che è già di ritorno dal suo giro. Mi mostra il suo ultimo disegno che rappresenta proprio le attività che si svolgono in quel ghat. Il foglio, già di piccolo formato, l’ha piegato in quatto parti per farlo stare nel taschino della camicia, così ha rovinato un po’ il disegno. Lì, al Kedar ghat, è comparsa una tenda-rosticceria con una donna che frigge polpette vegetali di varie forme.
Preparativi per la puja.
Su un ripiano, delle donne dell’Andra Pradesh stanno mettendo su dei piatti tutti gli elementi necessari per celebrare una puja: la noce di cocco, la banana, gli incensi, le candele, i fiori, delle sostanze di colore giallo e delle altre bianche. Poco più in là, degli uomini a dorso nudo, ne stanno già celebrando un’altra, ma per i defunti di più famiglie.
Puja per gli antenati al Kedar ghat
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In questa puja, in ogni piatto, ci sono le solite palline che rappresentano gli antenati e il rituale è diverso da quello che stanno celebrando le donne di poco fa. Qui, al Kedar ghat, incrocio l’ucraina che ho conosciuto ieri sera. Ha anche oggi le treccie ed è vestita con un sari di colore rosa confetto. E’ assorta nei suoi pensieri e non risponde al mio saluto. E’ mezzogiorno e diversi sadhu stanno già pranzando o forse facendo colazione. Altri sadhu camminano nelle due direzioni, nudi, con il corpo coperto di cenere e le collane al collo.
Harishchandra ghat. Tendopoli.
Nella tenda dove ieri l’ucraina e suo figlio stavano distribuendo il cibo sacro, dei ragazzi stanno lavando il riso contenuto in una bacinella di alluminio. Sul davanti di questa grossa tenda sono appesi dei grandi poster con le immagini di guru e divinità.
Lavaggio del riso prima della cottura del pasto della “prasada”, il cibo sacro.
Tutte le tende hanno i loro idoli, quasi sempre disposti intorno al focolare, sul davanti o sui lati dei ripari. Qua e là, sui tettucci delle tende, spiccano delle bandiere arancione, il colore dei sadhu. Sul lungo fiume, incontro la donna dello scopino, la più venale tra le sadhu. Sta andando nella direzione opposta alla mia. E’ piccola, grassotella con la faccia tonda, la bocca grande e i capelli raccolti in un chignon. Oggi, mi sorride e mi stringe a se, come fossimo delle grandi amiche, anche se non le ho mai dato nessuna offerta.
Focolare di una tenda con le monete disposte intorno.
Dalle tende dell’Harishchandra ghat, escono delle musiche che i giovani ascoltano con un’espressione estasiata sul volto. L’Assi ghat non è molto animato a quest’ora. Le postazioni dei baba sono vuote e le barche stanno attraccate alla riva, senza pellegrini a bordo. Sulla riva c’è soltanto una bancarella con delle taniche vuote e un venditore di bastoncini di zucchero filato rosa appesi, uno per uno, su una struttura di legno triangolare.
Celebrazione di una puja per un matrimonio all’Assi ghat.
La mandria di bufali che solitamente sta qui vicino, si è spostata più giù e sta in piedi, ferma, forse in attesa di qualcosa. Qui, in alto, c’è qualche venditrice di collane, con la merce disposta sopra le pietre. Mi sembra tutto così tranquillo! Anche la gente seduta quassù se ne sta in silenzio.
Interno di una tenda.
Su un’altura di pietra compaiono quattro donne e un uomo con il necessario per celebrare una puja. ” E’ per un matrimonio” mi dice l’uomo del gruppo. Sono quasi le 14:00 e mi avvio per tornare a Bangali Tola ripercorrendo il cammino dell’andata. Il lungo fiume quaggiù è decisamente più tranquillo anche se le tende della zona Harishchandra sono ancora numerose.
Tendopoli lungo i ghat.
All’interno di qualche tenda c’è qualche turista seduto che chiacchiera con i sadhu. In alcune, invece, i sadhu stanno riposando. Passo davanti al sadhu-divo con gli occhiali da sole. Lui sta semi disteso su un tavolone e quando mi vede mi annuncia che vuole un dollaro per ogni foto che gli scatto. Rivedo, passando, il banchetto della medicina ayurvedica con il medico e i suoi assistenti sadhu al lavoro, nella loro postazione.
Tendopoli nei pressi dell’Harishchandra ghat.
Nella tenda di fronte, ora, stanno distribuendo il thali gratuito nei piatti di foglie. Prendono sia il riso che le salse da tre pentoloni di alluminio e li mettono nei piacci con dei grossi mestoli. Potrei mangiare qui: l’ucraina, ieri sera, mi ha giurato che l’igiene è sicura. Ci penso un attimo, ma rinuncio per il semplice motivo che non mi sento di mangiare con le mani e non oso chiedere un cucchiaio.
La cucina di una piccola tenda.
Più su c’è un baba che sta facendo bollire l’acqua per il cjai sollevando una gran fumera. Lì accanto, nella tenda attaccata, c’è un gruppo di sadhu con una rara black baba.
Tenda con donna Black baba.
Nel pomeriggio scendo al Chousati ghat che trovo molto animato. C’è un gran movimento di barche cariche sia di industi che di musulmani che vanno sull’altra sponda. Anche il Dashashwamedh ghat è animatissimo e i baba con gli scopini sono davvero tanti e tutti indaffarati.
Aspetti della vita nella tendopoli.
Sotto una fila di tende, a fianco della scalinata che sta dopo il Dashashwamedh ghat, tra i sadhu con lo scopino c’è anche una nuova donna. Al Manmandir ghat, passo davanti alla tana del Black baba e lui è lì, in piedi, elegantissimo nel suo mantello grigio. Al Lalita ghat c’è una barca di pellegrini in partenza e qualche sadhu seduto sulle gradinate. Mi fermo un po’ lassù, ma fa freddo e sono vestita troppo leggera.
Bambini travestiti da divinità.
Torno indietro e poco prima del Manmandir ghat ci sono le due bambine o bambini travestiti da divinità che stanno giocando allo scivolo, insieme ad altri bambini, lungo una discesa. Un turista le ferma per fotografarli e loro si mettono in posa. E’ il loro lavoro! In quei volti infantili, in certi momenti di distrazione, mi pare di scorgere la fatica e, tanta tristezza!
Il fotografo e i bambini travestiti da divinità.
Varanasi, 25 febbraio 2019
Vado a Godowlia, alla “J&K Bank”, attraverso le gali. Percorrendo quel viottolo si sentono sempre i rumori dei telai in azione. Oggi c’è una porta aperta: entro in un corridoio buio dal quale si affaccia uno stanzone tetro con le vecchie macchine al lavoro e una sola persona che le controlla.
Telaio in funzione.
Dopo aver prelevato le rupje allo sportello automatico, entro in un altro viottolo e sbocco nella Naisalak street, la zona islamica della città. Lì, il traffico è terribilmente caotico: un’ambulanza, una specie di furgoncino, sta cercando di passare suonando la sirena, ma un risciò con un divano sopra si è incastrato con un carretto di tubi e ha bisogno di tempo per farsi da parte.
Il traffico nella zona di Naisalak.
Le persone, ai lati della grande strada, si muovono lentamente e non s’arrischiano ad attraversare la strada. Quelle motorizzate suonano con insistenza il clacson creando ancora più confusione.
Chowk. File di pellegrini per entrare al Golden Temple.
All’incrocio con un’altra via, un militare con un basco rosso in testa cerca di dirigere il traffico, con qualche timido gesto delle braccia. Arriva una gip bianca della polizia, con la sirena accesa e con un uomo con diverse stelle sulle spalle al posto del passeggero. La vettura passa lentamente e gira all’incrocio per tornare nella stessa direzione dalla quale è arrivata. Cerco di uscire dal caos e di andare verso il Gange. Guardo la posizione del sole per orientarmi e, proprio di fronte ad una grande moschea rosa e verde, entro in una nuova gali. Sono nel quartiere musulmano, nella stradina che congiunge la Naisalak street con il piazzale di Chowk.
Naisalak, quartiere accanto a quello di Chowk.
Qui, ci sono stata tempo fa ed è una zona piena di macellerie, rosticcerie, negozi di uova, botteghe di alimentari. Svolto in un altro vicolo e qui cambiano gli articoli: ci sono negozi di borse, ciabatte, stoffe, mercerie, bracciali, abiti da sposa, articoli per la casa.
Donne nel quartiere musulmano.
Anche dentro le gali c’è un bel traffico, ma qui possono passare soltanto moto, vespini e biciclette. Il viottolo è stretto, gli edifici sono alti e i gas di scarico fanno fatica ad alzarsi nell’aria. Inoltre, proprio ora, tutti i negozianti stanno spolverando le loro merci con lo scopino, sollevando un gran polverone.
Interno di un negozio di tessuti di Naisalak.
Mi fermo a guardare le passamanerie di una bottega: il negoziante vede che sto cercando qualcosa e mi chiama. “Mi servirebbe un uncinetto” gli dico più a gesti che a parole. Tra scatole e scatolette mi trova uncinetti di tutte le misure e di vari prezzi. Compro quello che costa meno, naturalmente!
Chowk.
Lui è musulmano e abita a 60 km da qui. Mi dice che in questa zona l’80% degli abitanti appartiene a questa religione. Quando gli dico che sono italiana, lui subito fa riferimento a Sonia Gandhi, e mi dice che, secondo dei sondaggi, dovrebbe ottenere il 71% dei voti alle prossime imminenti elezioni. Esco dalla gali a Chowk, come previsto, e trovo le solite lunghe file di pellegrini che aspettano il loro turno per entrare al Vishwanath Temple, il Golden Temple.
Vetrine di Naisalak.
Entro in un altro vicoletto, pieno di negozi anche questo. Alzo gli occhi a guardare il sole e mi accorgo che sto andando verso Nord anzichè ad Est, verso il fiume. E’ una zona di mercati, anche questa. Gli indiani chiamano mercato qualsiasi zona abbia una certa quantità di negozi. Un tizio di media età vuole accompagnarmi al fiume dicendomi che sta andando proprio là. Conosco ormai queste strategie e gli dico che preferisco proseguire da sola, ma non mi ascolta. Arrivati al Gange, lui insiste nel chiedermi dei soldi, si fa pressante, dice una somma, poi la dimezza e la riduce ancora.
Donne dell’Andra Pradesh.
Esco sul Gange all’altezza della grande moschea, dove c’è la scritta: “Peshwa’s Sree Ganesh Mandir 1807”. Proprio lì accanto, c’è l’hotel elegante che si è esteso con tavoli e piante su tutto il ghat. Sul molo, nell’area riservata dell’hotel, c’è un grande barcone a due piani con sopra delle donne indiane vestite di rosa e degli uomini con addossso camice o giubbini senza maniche, dello stesso colore.
Donne velate del Rajasthan.
Mi metto a leggere su internet delle informazioni su alcune città iraniane che vorrei visitare prossimamente. Poi, mi sposto verso la zona di Bangali Tola, rimanendo sui ghat. Fino al Shindia ghat c’è poca gente, ma da qui inizia la ressa sul lungo fiume sia per il bagno che per l’asciugatura dei panni. Al Shindia ghat ci sono soltanto uomini. Le donne stanno poco più giù, in un posto più appartato: stanno strizzando i sarees e pettinandosi. Sono dell’Andra Pradesh, mi dicono. Il solito passaggio del Manikarnika è chiuso.
Le demolizioni accanto al Manikarnika ghat.
Per oltrepassarlo bisogna salire, attraversare la zona delle demolizioni e poi ridiscendere. Torno sulla riva del Gange: sono arrivata poco prima del sottoportico dove sta l’altro mio amico baba. Lui, il baba, è sempre in meditazione e con gli occhi chiusi. Oggi, lo tocco ad un braccio per sentire il suo contatto. Lui apre gli occhi e mi sorride: è bollente!
Contadino del Rajasthan.
Al Lalita ghat c’è il pienone di barche cariche di pellegrini in partenza. Sono quasi le 15:00. Più giù, nella pendenza c’è un gruppo di bambini e bambine che stanno giocando allo scivolo. Al Meer ghat, mi fermo a guardare un gruppo di pellegrini provenienti da Gallor e da un villaggio di Champura, nel Rajasthan.
Ricco contadino del Rajasthan.
Due di loro sono dei ricchi contadini e portano un turbante in testa e dei cerchietti appesi alle orecchie. Le donne sono vestite di rosso e si coprono il viso con il velo per una forma di riguardo o rispetto, mi dicono. Al Manamandir ghat mi sento salutare dalla riva del fiume.
Lungo i ghat. Turisti di un hotel, in partenza.
Sono dei bambini che si stanno rivestendo dopo il bagno. Uno di loro mi fa il segno del bracciale. Riconosco la camicia di quella che credevo fosse una bambina clown e, invece, è un maschetto. Mi ricordo di come, quel giorno, contava le medagliette del braccialettino che gli avevo appena regalato. Mi metto a contare fino a dieci, ma sbaglia sempre quando arriva al numero sette. Ma ha una gran voglia di imparare e ripete di continuo, mi insegue con gli abiti da clown in mano, ripete di nuovo e sbaglia ancora. Un attimo dopo lo vedo già al lavoro con un turista che ha attirato la sua attenzione.
Varanasi, 1 febbraio 2019. L’alba sul Gange visto dal Chousati ghat.
Eccomi arrivata a Varanasi, dopo un lunghissimo viaggio in treno! Sono raffreddata, probabilmente in seguito al prolungato bagno in mare e con i muscoli indolenziti dopo il vigoroso massaggio al quale mi sono sottoposta sulla spiaggia. E’ l’alba, ma è ancora buio e la guest house è chiusa. Aspetto che esca qualcuno e mi infilo dentro per appoggiare gli zaini e andare sul Chousati ghat. Che pace! Alle 9:00, arriva Sonu, il barcaiolo. Questa mattina ha dormito più del solito perchè ieri ha lavorato sodo fino a tardi. Tra le novità che mi racconta c’è il suo prossimo matrimonio che verrà celebrato a giugno o luglio. Ha visto soltanto la foto della ragazza, ma ha fiducia nella scelta fatta da sua madre.
Varanasi, 1 febbraio 2019. Passaggio di pellegrini sui ghat.
Torno alla guest house e il sacerdote del tempio mi indica la camera che mi hanno riservato. Porto su i bagagli, faccio un giro nella città vecchia e poi ritorno attraverso i ghat. Mi siedo a chiacchierare con un altro barcaiolo che conosco da tempo.La sua famiglia è aiutata da una signora francese sia nel pagamento della scuola privata che frequentano i suoi dei due figli sia per il loro abbigliamento. Il barcaiolo mi parla a lungo della difficile situazione politica in cui versa l’India a causa di questo governo che, a suo dire, tutela soltanto i ricchi. Fra poco ci saranno le elezioni e lui si aspetta un grande cambiamento. A pranzo, al ristorante si siede al mio tavolo una ragazza di 32 anni, originaria di un villaggio dell’Uttar Pradesh, che vive da una decina d’anni a New York, dove lavora nel settore informatico. Si è appena licenziata per poter intraprendere un lungo periodo di viaggio, ma poi tornerà là. Dopo un po’ si siede, accanto a meanche una signora anziana. Arriva dal Canada ed ha appena partecipato al festival induista denominato “Kumbh Mela” ad Allahabad. E’ vestita di bianco e porta i capelli rasati a zero. “Li ho tagliati con grande liberazione” mi dice!
Varanasi, 2 febbraio 2019
Al Chousati ghat incontro Sonu, molto preoccupato per il suo prossimo matrimonio e per il cambiamento che avverrà nella sua vita. Mi dice che lui vorrebbe rimanere libero, ma seguirà, comunque, la decisione di sua madre. Lascio Sonu ai suoi pensieri e vado a camminare sul lungo fiume, verso Sud.
Varanasi, 2 febbraio 2019. Pellegrini in attesa di attraversare il fiume sulle barche.
Guardo le numerose puje e i diversi rituali che si stanno svolgendo in continuazione sui piazzali dei ghat. Una delle tante puje è appena terminata e i famigliari maschi del defunto commemorato stanno portando i piatti ricolmi di palline, fiori e altri simboli al fiume. Lì vicino c’è l’Harishchandra ghat, il piccolo ghat delle cremazioni, con diverse pire avvolte dalle fiamme.
Varanasi, 2 febbraio 2019. Pellegrini del Rajasthan lungo i ghat.
Torno indietro un pezzettino e mi siedo a leggere sulla gradinata che sta accanto ad uno dei numerosi templi dedicati a Shiva. Sto completando il primo capitolo di “Guerra e pace” di Tolstoj e ho il mio bel daffare a memorizzare i ruoli dei tanti personaggi che si alternano nel romanzo. Una bambina di 12 anni si avvicina per vendermi delle cartoline. Parla un buon inglese pur non essendo mai andata a scuola. Mi dice che ha imparato la lingua sui ghat. Lei è la primogenita di sei fratelli e di un’altra sorella. Il padre fa l’elettricista. Nessuno dei fratelli frequenta la scuola perchè, secondo il racconto della bambina, anche quella pubblica chiede dei soldi che la sua famiglia non è in grado di pagare. Mi sento combattuta tra il voler stare tranquilla a leggere e la curiosità che mi ispira questa bambina, così intraprendente.
Varanasi, Kedar ghat, 2 febbraio 2019. Sadhu.
Forse, lei mi ricorda l’infanzia nella borgata, il vuoto delle mie giornate e il senso di fastidio che manifestavano i vicini quando ricevevano delle visite e io andavo nelle loro case. Verso sera esco per esplorare la viuzza a me familiare della città vecchia. Oggi c’è il calzolaio e approfitto per farmi riparare un’imperfezione delle mie scarpe “Prada”. Prima di me c’è un ragazzo di 23 anni, di Hampi. E’ affascinato da Varanasi, dalla sua antichissima storia. Mi dice che Hampi, in confronto a Varanasi, se pur antica, appare giovanissima, con i suoi 600 anni.
Varanasi, Bangali Tola, 2 febbraio 2019. Incontri nella città vecchia.
Il ragazzo è di famiglia bramina, la casta più elevata della gerarchia indiana. Poteva continuare l’attività bramina nel tempio di famiglia, ma ha preferito fare altre scelte. Attualmente sta frequentando un master in bio-agricoltura e già lavora in quel settore a Dehradun. A Varanasi vive da un mese in un ostello e si fermerà qui ancora un po’ di tempo.
Varanasi, Kedar ghat, 2 febbraio 2019. Residui di rituali ai Lingam di Shiva.
Di sera, mentre si sta svolgendo la cerimonia al “Dashashwamedh ghat” incontro la guida indiana che lavora per “Avventure nel mondo”. E’ felice di raccontarmi di essere da poco tornato da un viaggio in Italia con la sua famiglia.
Proprio in quel momento sul fiume, tra le tante barche spicca lo yoth del primo ministro Modi. Il costo del biglietto per vedere la cerimonia dal suo yoth è di 1500 rupje, quasi 20 euro e lo utilizzano, esclusivamente, i ricchi indiani. Faccio un commento critico riferito all’attività di business del primo ministro, anche sulla base di quanto riferitomi dai barcaioli, ma sia questa guida, sia altre persone diventano mute su questo argomento.
Varanasi, 3 febbraio 2019
Mentre me ne sto seduta alla Tea-stall del ghat, scaldandomi le mani infreddolite sul carbone rovente del braciere, due francesi della mia età mi chiedono delle informazioni sulle guest houses economiche della zona. Li accompagno alla Bramdew, dove sto io e dove fortunatamente troveranno una stanza libera. Sono appena arrivati da Khajuraho e hanno viaggiato tutta la notte in treno.
Varanasi, 3 febbraio 2019. Fila recintata di pellegrini in attesa di entrare al Golden Temple.
Lascio i francesi alla guest house e vado verso Godowlia e poi proseguo verso Chowk. E’ domenica e i negozi sono chiusi, ma c’è un gran fermento di pellegrini, venditori con bancarelle, carretti, borse strappiene, appoggiate sulle biciclette o merce tenuta tra le mani e appesa alle braccia.
Varanasi, 3 febbraio 2019. L’accesso al Golden Temple.
I ristorantini di strada si susseguono infiniti con per lo più uomini che tritano verdure, impastano farina e acqua con chissà che cosa che poi friggono nei pentoloni semisferici sui fornelli a gas. I venditori di cjai stanno appostati in ogni angolo e versano il the fumante in bicchieri di carta o di vetro. Questi ultimi vengono lavati alla meno peggio, passati prima in un catino e poi in un altro, senza cambiare mai l’acqua.
Pellegrino di Jaipur.
Già da Godowlia, all’incrocio con la strada principale che va verso Nord, la fila dei pellegrini che si recano al Golden Temple viene racchiusa all’interno di una staccionata, tenuta sotto controllo dai militari. Oggi è domenica e i pellegrini sono più numerosi che mai. Alcuni gruppi vengono da Hampi, altri da Jaipur e da altre zone del Rajanisthan. Indossano abiti coloratissimi e alcuni uomini anziani portano un turbante bianco sul capo. Diversi uomini e donne, come avviene nel Sud dell’India, indossano delle fasce di lana sul capo o delle cuffiette legate sotto il mento, per proteggere le orecchie dal freddo. Molti di loro sono scalzi.
La fila all’interno della staccionata, non finisce mai e quando, fiancheggiandola, credo di essere arrivata al viottolo che porta al tempio mi accorgo che, dalla parte opposta, ne sta arrivando un’altra, altrettanto numerosa.
Le decorazioni sulle mani di una pellegrina del Rajanisthan.
Dopo la seconda fila dei pellegrini, arrivata a Chowk, entro in un vicolo e tra una diramazione e l’altra riesco ad arrivare al Panchaganga ghat e a ritrovare i luoghi a me familiari.
Varanasi, 3 febbraio 2019. Pellegrini lungo i ghat.
Anche i ghat sono affollati dai pellegrini perchè molti gruppi, quando scendono dai pullman, prendono la barca ed entrano di buon mattino al Golden Temple prendendo il viottolo che parte dal vicino ghat.
Varanasi, 3 febbraio 2019. Pellegrini riposano lungo i ghat.
Ora, a metà mattinata, una gran massa di pellegrini sta ritornando ai barconi che li trasporteranno fino ai pullman, parcheggiati al grande ponte.
Varanasi, 3 febbraio 2019. In partenza dai ghat.
Camminando verso Sud, passo in mezzo alle enormi cataste di legna del Manikarnika ghat, il grande ghat delle cremazioni. Ora c’è soltanto una pira accesa e intorno alle fiamme ci sono diversi parenti del defunto. Più distanti, alcuni turisti seguono con attenzione la cerimonia, illustrata dalla solita, improvvisata, guida indiana.
Varanasi, Manikarnika ghat, 3 febbraio 2019. Celebrazioni per i defunti.
Sopra le gradinate, più famiglie insieme, stanno celebrando i rituali per le ricorrenze e gli anniversari di altri defunti. Intorno al ghat la vita continua con i suoi ritmi, con le bancarelle per i cibi e per il cjai, con il gironzolare di nuovi vitellini affamati e cagnolini denutriti. Sulla riva del fiume c’è una mucca in agonia, distesa su un fianco e coperta con un telo colorato. Superato il Manikarnika ghat, nel sottopassaggio successivo, c’è soltanto un “baba” in posizione yoga.
Manikarnika ghat, 3 febbraio 2019. Il baba.
Forse è lo stesso di sempre, anche se mi sembra ringiovanito. Può darsi che sia lo stesso, ma lievemente ingrassato, ma potrebbe anche essere un altro, uno più giovane. Magri, con la barba e i capelli lunghi a me sembra si assomiglino un po’ tutti. Anche la location è più animata del solito, con fiori finti, manifesti e statuette di divinità mai visti prima d’ora lì.
Pellegrini lungo i ghat dopo il bagno.
Continuo la mia discesa verso il Dashashwamedh ghat. Passo davanti ad un hotel raffinato e noto che si è molto allargato verso il lungo fiume rispetto a tempo fa. Ora, sul davanti, c’è un vasto giardino con tavolini, sedie e grandi fioriere in terracotta. Più avanti, alzo gli occhi per ammirare i colori e l’archittettura dei palazzi che s’innalzano imponenti sui ghat. Davanti ad una porta mi fermo ad ammirare una capretta con un copri mammelle in stoffa legato al corpo.
La casa della capretta con il copri-mammelle.
Nei pressi del Dashashwamedh ghat cerco la piccola bambina a cui mi ero affezionata, oltre un anno fa, ma non c’è traccia di lei. Chiedo delle informazioni qua e là, ma soltanto un indiano mi ascolta. Mentre questi mi parla viene aggredito verbalmente da due elegantissimi “Black baba” soltanto perchè mi sta rivolgendo la parola. Lui, mi accompagna presso un gruppeto dove c’è una bambina, ma non è quella che cerco. Più giù, poco oltre il Dashashwamedh ghat incrocio un gruppetto di nomadi sedute in cerchi su un terrazzamento.
Varanasi, 3 febbraio 2019. Nomadi e baba lungo i ghat.
Alcune ragazzine sono già madri e stanno allattando con disinvoltura i loro bambini.
Varanasi, 4 febbraio 2019
Alla Tea-stall mi soffermo ad osservare la gente tutta infreddolita che passa davanti a me che sto seduta su un gradino a bere il cjai del mattino. Molti pellegrini portano un fagotto di tela sulla testa dal quale si intravedono le coperte usate durante la notte. Molte donne stanno strofinandosi i denti con un ramoscello. Alcuni indiani usano soltanto le dita per la pulizia dei denti.
Varanasi, 4 febbraio 2019. Partenze.
Sono circa le 10:00 di una mattinata che si presenta già primaverile. Raggiungo il Dashashwamedh gath che, pur essendo lunedì, è già strapieno di pellegrini che stanno facendo il bagno e di altri che si stanno rivestendo.
Varanasi, 4 febbraio 2019. Pellegrini in cammino verso il Gange.
Un giovane indiano, che mi sembra di riconoscere, mi spiega che il pienone è dovuto alla fine del “Kumbh Mela” ad Allahabad e al suo proseguimento qui, con il bagno nel Gange. Non ho capito esattamente per quanti giorni si protrarrà questo “Kumbh Mela” qui a Varanasi: forse una settimana o forse un po’ meno.
Varanasi, 4 febbraio 2019. Nei pressi del Dashashwamedh ghat.
Cerco la via d’uscita dalla ressa tra borse che intralciano il passaggio, spintoni che mi arrivano da tutte le parti, venditori che s’infilano per vendere cjai, fiori, collane e taniche da utilizzare per portare a casa l’acqua del Gange. Esco dalla folla dei ghat e mi dirigo verso Godowlia. Sulla porta del gabbiotto dove c’è lo sportello automatico è appeso un cartello con scritto che il denaro è esaurito. Proseguo un pezzo verso Chowk e noto che oggi le staccionate della via per il Vishwanath o Golden Temple sono vuote, ma ne sono state montate altre, nelle direzioni del Gange e sono affollatissime. Sia lungo la via principale sia lungo i ghat i militari, uomini e donne in divisa, controllano attentamente ogni movimento. A volte stanno nascosti in guardiole o dietro degli angoli per passare inosservati, ma molti di loro si muovono tranquilli tra la gente.
Varanasi, 4 febbraio 2019. Parte della fila dei mendicanti all’ingresso del Dashashwamedh ghat.
Dopo mezzogiorno torno sui ghat. Per me è un piacere stare a guardare tutta questa gente che arriva qui dopo lunghi viaggi per seguire la propria fede. C’è da dire che, almeno in questo campo, i due secoli di colonialismo non hanno inciso per nulla. Sia sulla scalinata che porta al Dashashawamedh ghat, sia lungo la via accanto si sono appostati numerossimi mendicanti ai quali i pellegrini donano riso o legumi prendendoli dai loro sacchetti e appoggiandoli nei piatti che loro porgono.
Turista indiana distribuisce il cibo ai poveri sulla Main road.
Sulla strada principale è sempre in funzione il grosso pentolone che cucina e distribuisce cibo gratis a tutti. Mi soffermo ad osservare una ragazza indiana, vestita all’occidentale, con le mani curate e decorate, mentre prende in mano un secchio di cibo e un mestolo e si mette a distribuirlo ai poveri.
Dashashwamedh ghat, 4 febbraio 2019. Distribuzione del riso ai mendicanti.
Mentre scrivo questi appunti su un quaderno, seduta su una bancarella diroccata e unta del Dashashwamedh ghat, non ancora aperta, si avvicinano dei bambini. Due di loro, un maschietto di 10 anni circa e sua sorella di poco più piccola sono incuriositi dalla mia scrittura e cercano di riconoscere alcune lettere. Sono due bambini poveri, ma con una gran luce negli occhi. Non posso non pensare alla mia curiosità di sempre, mai abbastanza soddisfatta e sempre alla ricerca del perchè accadano le cose. Di certo, come lo è stato e lo è tuttora per me, anche questi bambini saranno salvati da questa curiosità. Mentre sto scrivendo, mi passa davanti una donna che trascina un grosso sacco di tela pieno di contenitori di plastica che sta raccogliendo tra le immondizie buttate qua e là dalla gente. Qui, in India, si vede concretamente la diversità della condizione dei poveri che qualcuno ha suddiviso in “operosi” e “oziosi”. In effetti ci sono tante persone che lavorano dall’alba al tramonto per poche rupje e altri, forse altrettanti, che giacciono distesi, a far nulla tutto il giorno.
Varanasi, 4 febbraio 2019. Pellegrina distribuisce riso ai poveri nei pressi del Chousati ghat.
Al Chousatti ghat mi siedo a leggere un po’. Quando alzo per un attimo gli occhi, vedo passare l’anziano tedesco che stava nello stesso mio hotel di Puri. Deve andare in Nepal da qui, ma si è accorto di aver dimenticato nella sua stanza di Puri le chiavi delle valige. Qualcuno da là gliele ha spedite, ma stanno tardando ad arrivare. Torno nel pomeriggio sui ghat. Il Dashahwamedh sembra vuoto rispetto a qualche ora prima. Diversi pellegrini con il bagaglio sul capo risalgono la gradinata versando gli ultimi granelli di riso ai mendicanti. Sul Gange c’è qualche barcone carico di gente in partenza, mentre su un altro c’è un corteo nuziale che sta raggiungendo l’altra sponda al suono dei tamburi. Sulla riva molti sacerdoti stanno sonnecchiando mentre altri indiani giacciono distesi, immersi in un sonno profondo.
Offerta della sera alla Madre Ganga. Nei pressi del Chousati ghat, sera del 4 febbraio 2019.
La sera scende velocissima. Vado verso il Raja ghat e arrivo fino al Kedar ghat, entrambi illuminati con fiammelle e lucette colorate per il “Kumbh Mela”. In una zona buia, di fronte al tempietto di Shiva, un gruppetto di donne con dei lumini su un piatto va verso il Gange, immerge i piedi nell’acqua e recita un mantra. Una di loro deposita alcuni lumini sull’acqua e il gruppetto se ne torna, pregando, rapido al tempio.
Varanasi, 5 febbraio 2019
Di notte fa ancora freschetto e dormo con due coperte e sopra appoggio anche i due giacconi che ho portato con me.
Varanasi, 5 febbraio 2019. Prima mattina lungo i ghat.
A metà mattinata, quando esco dalla stanza, il sole è già alto e la temperatura mite.
Chousati ghat, 5 febbraio 2019. Partenza dei pellegrini dopo il bagno.
Al Chousati ghat oggi c’è un grosso barcone a due piani; sta lì in attesa che i pellegrini salgano per poi ripartire. Questi pellegrini hanno già fatto il bagno e ora andranno al ghat che sta vicino al Golden Temple e, dopo un’interminabile fila rientreranno, in treno o pullman, ai loro paesi. Sul fiume c’è tutto un via vai di barche, sia a remi che a motore, mentre sugli argini, altri pellegrini si stanno immergendo nel fiume o ne sono appena usciti e si stanno già rivestendo.
Puja di soli uomini lungo i ghat.
Più giù, poco prima del Kedar ghat, una serie di uomini sta celebrando una puja insieme al sacerdote, mentre le donne, sullo sfondo, si stanno rivestendo dopo il bagno. Anche oggi una giovane si ferma a chiedermi cosa sto scrivendo. Non parla l’inglese e alle dita dei piedi porta i tipici anelli delle donne coniugate.
Accanto alla Tea-stall, dopo il bagno.
Mi fermo ad osservare due giovani donne del Sud sedute su un gradino: guardo le decorazioni disegnate sia sulle loro mani che sui piedi. Mi dicono che sono arrivate qui per la conclusione del Kumbh Mela che consiste con il tradizionale bagno nel Gange. Un gruppetto di ragazzi mi si avvicina per guardare la scrittura dei miei appunti. Due di loro sono di Kalkuta, hanno 18 e 15 anni e là frequentano la scuola privata del tempio. Con loro c’è lo zio ventenne del ragazzo più grande. Lui, lo zio, lavora l’oro qui a Varanasi e il nipote lo seguirà fra un anno, quando avrà completato gli studi.
Kedar ghat, dopo il bagno.
Poco più avanti, una famiglia di nomadi con dei bambini in braccio e biberon in mostra per chiedere l’elemosina sta seduta su un ripiano. Non vogliono farsi fotografare perchè non dò loro dei soldi.
Famiglia di nomadi al Kedar ghat.
Di fronte al Mahanrkani ghat stanno girando un film o qualcosa del genere, con la solita folla di curiosi animata nel seguire l’evento. Finalmente arrivo all’Assi ghat: è molto più ampio di come lo ricordavo.
Assi ghat, 5 febbraio 2019. Spidocchiamento.
Hanno costruito altri tempietti simili a quello già esistente, con il focolare in mezzo e la possibilità di sedersi intorno. Anche sulla spiaggia ci sono delle nuove panche, una cabina per cambiarsi, ancora tavoli e diverse altre panchine.
Assi ghat, 5 febbraio 2019. La spiaggia.
Un po’ dappertutto ci sono bancarelle e ombrelloni per ripararsi dal sole. Qua e là c’è qualche sacerdote seduto a distribuire benedizioni. Qui, sulla riva del fiume sono ormeggiati diversi grossi barconi, anche a due piani, oltre alle numerose barche alle quali si accede attraverso un ponticello, anche questo da poco costruito.
Assi ghat, 5 febbraio 2019. Cerimonia e benedizione dopo il bagno.
Mi guardo intorno per cercare lo yoth del primo ministro, ma non sta ormeggiato qui. Seguo per un po’ il trafficare delle donne nel fare il bagno vestite e nel cambiarsi con molta disinvoltura e riserbo.
Assi ghat, 5 febbraio 2019. Bagno di donne.
Non portano il reggiseno, ma soltanto un corpetto molto stretto che indossano sotto il sari. Ammiro anche l’attenzione che, sia gli uomini che le donne rivolgono ai loro anziani, accompagnandoli con delicatezza in tutto il percorso del Kumbh Mela.
Dopo il bagno.
Mentre sto guardando la gente che attraversa il ponticello e va a sistemarsi sulle barche, una numerosa famiglia di Lucknow mi fa cenno di avvicinarmi. Sono molto sorridenti e cordiali ma non riusciamo a comunicare.
Assi ghat. Bancarelle per le puja.
Gironzolo ancora un po’ per l’Assi ghat tra le mucche che vagano indisturbate, i cani che abbaiano, i sacerdoti che distribuiscono benedizioni o celebrano puje infinite, gente che fa il bagno, si riveste e se ne va. Torno verso la guest house attraverso la strada principale, nella direzione di Godowlia.
Godowlia, 5 febbraio 2019. Il rientro.
Sul percorso incrocio una piccola moschea, che riconosco. Questa è la parte islamica di Varanasi ed è caratterizzata da donne in “chador” e burqa, coperte da abiti neri dalla testa ai piedi e da uomini con il “chippà”, il tipico cappello musulmano sul capo.
Godowlia, 5 febbraio 2019. Le staccionate.
Man mano che proseguo, mi addentro sempre più nel caos del traffico e della massa di gente che va da tutte le parti. Ci sono molte vie chiuse con delle grosse corde o dei pali. Ritrovo le staccionate che contengono i pellegrini che vanno nelle due direzioni: quella verso il Gange e quella verso il Vishwanath Temple o nella direzione dell’uscita.
Molti pellegrini stanno seduti sulla strada, sfiniti dalla stanchezza. Sulla strada, mi fiancheggia uno scooter con su un enorme sacerdote-bramino del Dashashwamedh ghat alla guida.
Indiano del Rajasthan dentro la staccionata.
Mi offre un passaggio, ma preferisco camminare ancora.
La staccionata per il Kashi Vishwanath Temple.
Vorrei anche prelevare del denaro allo sportello automatico lì accanto, ma anche oggi troverò appeso il cartello con la scritta: “No cash”.
Varanasi, 6 febbraio 2019
Varanasi, 6 febbraio 2019. Donna guru di Bangalore al Kumbh Mela.
Oggi ho in mente, per prima cosa, di cercare di risolvere il problema del bancomat e della carta di credito. E’ una bella grana! Gli ATM della banca governativa non hanno soldi e negli uffici non danno liquidi, nemmeno con la carta Visa. Esco da una banca, entro nell’altra, ma non risolvo nulla. Non voglio pensarci per il momento. Vediamo se si risolverà la situazione quando si attenuerà il flusso del Kumbh Mela, fra pochi giorni.
Il percorso tracciato dalle staccionate sulla Main street.
Torno sulla strada principale e lancio uno sguardo ailla massa di gente, sempre diversa, ma sembre racchiusa dentro le staccionate che da qui portano al Kashi Vishwanath Temple, il famoso Golden Temple, grande meta di pellegrinaggi.
Percorsi nella direzione del Gange e, dall’altra parte, per il Kashi Vishwanath Temple
A Chowk incrocio due cortei funebri, uno di seguito all’altro, accompagnati, come i matrimoni, dal suono dei tamburi e dai canti. Le portantine con le salme, portate sulle spalle dai parenti maschi del defunto, entrano in un vicoletto e poi scompaiono. Stanno andando senz’altro al vicino ghat delle cremazioni, il Manikarmika.
Pellegrine del Madya Pradesh.
Entro anch’io in un viottolo e mi dirigo verso destra per raggiungere il Gange. Ma, il caso, questa svolta mi porta nella zona adiacente al Kashi Vishwanath Temple, proprio lì, vicino al famoso tempio.
Guardo con orrore lo spettacolo che mi si presenta davanti: le antiche case che stavano nei viottoli intorno al tempio sono state completamente abbattute e al loro posto sono rimasti soltanto fango e detriti.
Quel che rimane delle antiche case intorno al Kashi Vishwanath Temple.
Si, macerie dappertutto! E scavatrici in funzione, operai che spalano, militari che controllano, nessuno che si lamenti. Sonu, il barcaiolo, mi dirà, più tardi, che i proprietari delle case demolite sono stati retribuiti dal governo con del denaro che, seppur poco, ha messo tutti a tacere.
La spianata delle antiche case presidiata dai militari.
Cammino tra gli inerti seguendo l’esempio di qualche pellegrino che se ne torna dal fiume dopo aver fatto il bagno. Penso a tutta questa parte di storia della città e dell’India intera, cancellata per un piazzale, magari un parcheggio per auto e pullman. Mi fermo a scattare qualche foto, ma un militare mi dice di allontanarmi.
Rientri dopo il bagno al Lalita ghat.
Arrivo alla gradinata che porta al Gange. Solo quella, in questa zona, è stata lasciata integra.
Sono nei pressi del Lalita ghat e già la scalinata è piena di gente in partenza con i bagagli sulla testa.
Pellegrini di Shimla dopo il bagno nel Gange nei pressi del Dashashwamedh ghat.
Ormai è già passato mezzogiorno e la massa dei pellegrini, per oggi, si è già smaltita. Soltanto gli ultimi rimasti stanno facendo il bagno.
Il bagno delle donne di Shimla.
Vicino al Dashashwamedh ghat c’è un gruppo di donne di Shima, tutte vestite di rosso e verde, che sta entrando timidamente nel fiume. Lì accanto, un gruppo di uomini vestiti di bianco e con il turbante in testa, mi chiede di unirmi a loro per la foto di gruppo. Sono senz’altro i mariti delle donne di Shimla! Ormai mi è difficile ricordare i luoghi di provenienza delle persone che incontro perchè arrivano da ogni parte dell’India.
Dashashwamedh ghat, 6 febbraio 2019. Mendicanti curano il riso delle elemosine.
Nel tardo pomeriggio, camminando sui ghat verso Sud, mentre sto guardando incantata la gente che passa in fila con i borsoni sul capo, incontro uno dei due francesi che alloggiano nella mia stessa guest house.
Mendicanti con il riso delle elemosine al Dashashwamedh ghat.
Non ho ancora capito la relazione che li lega, ma potrebbe essere una coppia gay. Fra qualche giorno andranno a visitare Bodhgaya, ma torneranno per un po’ di tempo qui a Varanasi.
Primo pomeriggio a Chowk.
Domani andremo insieme all’ATM di Godowlia: forse, con il loro aiuto, riescirò a prelevare. Vediamo che succede!
Varanasi, 7 febbraio 2019
Come oggi, 71 anni fa si sposavano in tutta furia i miei genitori. Mia madre era incinta e 7 mesi dopo nascevo io!
Rana ghat, 7 febbraio 2019. Donne di Patna alle prese con l’asciugatura dei sarees.
Stamattina sono andata al bancomat della “Kashmiri Bank” insieme ai due francesi e ad un altro loro amico. Sono riuscita a prelevare, ma soltanto con la carta di credito Visa e non con il bancomat! Durante il tragitto per Godowlia, attraverso la città vecchia, ho raccolto qualche informazione sui francesi. Il più anziano ha 74 anni e faceva l’educatore per i minori che gli venivano assegnati dal tribunale. L’altro, quello che sta in camera con lui, ha 64 anni e, come lavoro, organizzava viaggi in Cina e Vietnam. L’ultimo arrivato ha 62 anni e lavora ancora, sempre nell’ambito del turismo, nel Sud-Est asiatico. Viaggiano tutti tre insieme, ma il terzo alloggia in un’altra guest house, qui vicino.
Rana ghat, 7 febbraio 2019. Sarees ad asciugare dopo il bagno e prima della partenza.
Sui ghat, anche oggi sfilano, in fila indiana, numerosi pellegrini,sempre con grossi bagagli sulla testa. Il primo gruppo che incontro viene da Patna: è composto prevalentemente da donne che, depositati i bagagli sulle pietre, si mettono a stendere i sarees ad asciugare.
Rana ghat, 7 febbraio 2019. Bambino con il trattorino, dopo il bagno.
Più in su, oltre la scalinata del Rana ghat ci sono diverse studentesse dei colleges e dell’università. Stanno divertendosi con dei giochi in cerchio dove si alternano nella conquista del posto al centro. Alla Tea-stall vengono a sedersi tre di loro. Hanno 19 anni, frequentano l’università e sono al secondo anno della facoltà di inglese. Sono vestite in modo raffinato e portano divise composte da pantaloni neri e bluse lunghe, bianche. Più distanti ci sono delle altre ragazze, più giovani, sempre con i pantaloni neri, ma con la blusa rosa.
Lungo i ghat, 7 febbraio 2019. Sadhu che si nasconde il viso.
Al Dashashwamedh ghat incontro il canadese che vive praticamente qui, nella mia guest house, da cinque anni. Ogni sei mese si reca in Nepal per rinnovare il visto, ma ora, al valico di Sonali, gli stanno creando dei problemi. Alla prossima scadenza andrà in una delle due altre frontiere, da lui già individuate. Qui, a Varanasi vive la sua routine quotidiana tra la guest house, il “Baba restaurant” e le passeggiate sui ghat. Legge sempre molto, ma si diletta anche a dipingere.
Lungo i ghat, 7 febbraio 2019. Pellegrine del Bihar, dopo il bagno.
Poco dopo il Dashashwamedh ghat mi siedo a leggere sulle gradinate. Lì accanto, si è appena sistemato un gruppo del Bihar con tanto di guru al seguito. Sono molto particolari gli zoccoli di questo baba: in legno, con diversi strati di suola che li solleva un bel po’ da terra. Sopra, al posto della tomaia, c’è un giro di copertone rivestito da una fascia di morbida gomma gialla.
Pellegrine del Bihar.
Alzando lo sguardo, sopra la gradinata, scorgo un anziano black baba che sonnecchia. Mi alzo per scattargli delle foto, ma lui, appena si accorge, scoppia in urla e imprecazioni per chiedere dei soldi. Più sotto, invece, c’è un gruppo di donne di Indore, che si mettono addirittura in posa, desiderose di farsi fotografare.
Varanasi, nei pressi del Manikarnika ghat, 7 febbraio 2019. Il baba del sottopassaggio.
Sono vicina al Lalita ghat, quell’accesso al fiume dal quale sono arrivata ieri. Oggi, decido di effettuare il percorso inverso, ma deviando un po’ dalla zona demolita.
Zona spianata, intorno al Kashi Vishwanath Temple.
Seduti su un gradino di un tempio ci sono, come sempre, degli indiani che riposano. Chiedo loro un parere su questi lavori in corso e mi rispondono che si tratta di un progetto del governo. Uno di loro mi riferisce che la maggior parte delle persone è rimasta soddisfatta dei soldi ricevuti.
Cucina di un ristorantino di strada a Bramnal Chowk, 7 febbraio 2019.
Mi confida che, lui stesso, si è trovato nella condizione di accettare l’accordo per evitare lo sgretolarsi della sua grande famiglia.
Demolizioni.
Mi distraggo dalle macerie che vedo sempre sullo sfondo e mi fermo ad ammirare delle coloratissime donne del Rajasthan che stanno andando verso il fiume. Poi, scorgo una cucina con più uomini indaffarati nella preparazione dei cibi da vendere lì, sul vicolo.
Più avanti, in un negozietti minuscolo, un ragazzo mi dice che i lavori delle demolizioni sono necessari per favorire il traffico verso il Kashi Vishwanath Temple. Nel quartiere di Bramnal Chowk ritrovo, per caso, il mio mercatino vegetale, esteso su più livelli. Due militari, uno dei quali con le stellette sulle spalline, mi fermano per chiacchierare, ma a me basta ricevere l’indicazione della stradina per arrivare a Godowlia e taglio corto.
Godowlia, 7 febbraio 2019. La porta finta per accedere al tempio posta davanti alla spianata.
Ed eccomi sulla Main road sempre affollata di pellegrini ingabbiati dentro le staccionate. Ora, spiccano i pellegrini di Pune, muniti di cappellino bianco, tutti uguali.
Mi fermo a guardare la finta porta innalzata provvisoriamente, prima della spianata, per indicare l’entrata nella zona del tempio.
Ora, dopo la demolizione delle case, oltre la spianata, si vede nettamente spiccare la piccola moschea che fa parte del complesso del Kashi Vishwanath Temple.
Varanasi, 8 febbraio 2019
Fa freddo oggi. Esco con maglione e scialle e scendo ai ghat. Dopo la pioggia della notte, le pietre dei viottoli e dei ghat si sono ricoperte di uno strato di fanghiglia viscida e scivolosa. E’ un impasto di acqua piovana, sterco di mucca, feci di cane, urina umana e immondizie varie.
Chousat ghat, 8 febbraio 2019. No money, no photo.
Raggiungo la Tea-stall del Rana ghat per il cjai del mattino. Anche oggi trovo, appollaiata sul ripiano, la moglie del “ragazzo” e i loro due gemelli, di circa due anni. La moglie è un donnone enorme, mentre i marito è piccolo, magro e sembra più giovane di lei. I due gemellini assomigliano ai genitori: hanno entrambi una bocca grande e degli enormi occhi sporgenti, come loro.
Dashashwamedh ghat, 8 febbraio 2019. Donna del Bihar al Kumbh Mela.
Di fronte alla Tea-stall e poco più su anche oggi ci sono le studentesse, ma spiccano soprattutto tre ragazzi vestiti di bleu, con giacca, pantaloni e cravatta. Hanno 17 anni e frequentano l’ultimo anno di un college privato. Nonostante il freddo pungente, i pellegrini si immergono nel fiume, anche oggi, per il bagno purificatore del Kumbh Mela.
Dashashwamedh ghat, 8 febbraio 2019. Pellegrinaggio dal Bihar.
Le donne fanno soltanto pochi passi dentro l’acqua e tutte vestite mentre gli uomini, più disinvolti, fanno il bagno in mutande o soltanto con i genitali stretti in uno striminzito perizoma. Dopo il bagno segue, come tutti i giorni, ma con persone diverse, il traffico per l’asciugatura dei sarees.
Dashashwamedh ghat, 8 febbraio 2019. Bambino vestito da divinità.
Al Dashashwamedh ghat c’è un dei tanti bambini che girano con la parrucca nera, il volto dipinto di bianco e truccatissimo, il vestito giallo, tipo pagliaccio. Avrà sei o sette anni e a me pare tanto triste. Lui si accorge, forse, del mio sguardo tenero e mi tende un pentolino chiedendomi dei soldi. Poi, si dirige veloce verso una bancarella di dolciumi chiedendomi di acquistargli qualcosa. Così fa con tutti i turisti, in continuazione!
Dashashwamedh ghat, 8 febbraio 2019. Bambino con madre di spalle.
Dopo una settimana che giro sui ghat, per la prima volta incontro un ragazzo che tempo fa lavorava come barbiere e massaggiatore proprio qui. Ha le labbra e i denti più rossi di quando l’avevo conosciuto a causa del “paan” che, anche lui, mastica in continuazione.
Partenze dal Dashashwamedh ghat.
Il paan è una combinazione di foglie di betel con noce di areca, talvolta mescolata al tabacco, che qui tutti masticano per la sua azione stimolante. Il ragazzo mi dice che sua moglie è in cura per un cancro e lui, in questo periodo, trascorre molto tempo in ospedale insieme a lei. Ha poco più di vent’anni e si è sposato sei mesi fa. Torno indietro e vado verso l’Assi ghat che sta dalla parte opposta.
Dashashwamedh ghat, 8 febbraio 2019. Un momento di riposo.
Oltrepasso l’Harishchandra ghat dove diverse pire stanno bruciando e molta gente se ne sta seduta negli spazi soprastanti. Capre, capretti, cani, mucche e anatre vagano per il selciato, sotto la scalinata, sempre alla ricerca di cibo. Lì accanto, proprio in fondo alla scalinata, c’è un gruppo di volontari del “Pronto soccorso sanitario” che sta medicando un ragazzo.
Intervento di Pronto soccorso sanitario all’Harishchandra ghat.
Esco dai ghat all’altezza del Shivala sulla scia di un gruppo di uomini che probabilmente arrivano da una cerimonia funebre. Con un po’ di fortuna imbocco prima un vicolo e poi un altro e riconosco i luoghi a me familiari: la serie di templi, il mercatino, i negozietti, la latteria con le forme di formaggio pressate dalle pietre.
La latteria.
Nel pomeriggio mi propongo di fare un giro attraverso delle altre stradine cercando di razionalizzare i percorsi anzichè abbandonarmi al caso.
Godowlia, 8 febbraio 2019. Bambino che vende giocattoli appesi ad un palo.
Arrivo a Godowlia e ritrovo la piazzetta interna con i negozi di tessuti, quelli delle mercerie, il barbiere sull’angolo e il sarto sick. Esco sulla strada principale, cerco di proseguire sulla via di fronte, la “Luxa road”, facendomi largo tra persone, risciò, moto e vespini, ma più m’inoltro e più precipito nel caos dei rientri. Mi fermo a guardare un ragazzino, poco più di un bambino che si è fermato in un angolo con il suo negozietto di giocattoli mobile, appeso ad un palo. Una bambina gli si avvicina per acquistare qualcosa: sono due bambini entrambi, penso! Mi porto con fatica sull’altro lato della strada per tornare indietro.
Godowlia, 8 febbraio 2019.
Sulla destra, nella rientranza, ritrovo le donne accovacciate del mercatino dei sarees usati e quello del latte con i coperchi dei bidoni contornati dalla paglia. Imbocco la via sulla destra, la “Sonarpura road” che mi sembra lievemente più scorrevole. Rivedo il ristorantino che frequentavo qualche tempo fa e la Tea-stall all’imbocco del viottolo che porta alla mia guest house. E poi, ecco, poco più giù, la K&J Bank dove ieri sono riuscita finalmente a prelevare, arrivando da un altro vicolo.
Tempietto accanto alla Bramdew guest house.
Torno da qui al Chousati ghat dove trovo i due francesi della mia guest house. Mi siedo un po’ distante per osservarli, ma mi scorgono quasi subito.
Rientri serali sui ghat.
Stanno aspettando il loro amico per andare in barca sull’altra sponda a raccogliere la sabbia da portare a casa, come souvenir. Si sono accordati proprio con i cugini di Sonu, i suoi grandi nemici barcaioli che stanno accanto. Mi invitano ad andare con loro, ma preferisco stare ad oziare qui, sui ghat.
Varanasi, 9 febbraio 2019
Dashashwamedh ghat, 9 febbraio 2019. Sadhu di passaggio.
Oggi splende il sole e la temperatura si è alzata di qualche grado. Mentre me ne sto seduta a leggere su una panchina, poco prima del Dashaswamedh ghat, mi si avvicinano due fratelli di Bareilly nell’Uttar Pradesh, a oltre 500 km da Varanasi. Hanno partecipato, per quattro giorni, al Kumbh Mela divisi tra Allahabad e Varanasi. Uno dei due parla poco ed è senza un braccio a causa di un incidente con il moto risciò e non è sposato. L’altro, più loquace, lavora nella pubblica amministrazione, è sposato ed ha due figli. Il piacevole colloquio si conclude con il più loquace che mi chiede dei soldi per mangiare. Lo fa, indicandomi il braccio amputato del fratello. Non posso che rispondere loro di recarsi all’Annapurna Temple, dove distribuiscono il pasto gratuito a tutti i pellegrini.
Dashashwamedh ghat, 9 febbraio 2019. Passaggi.
Mentre sto parlando con questi indiani passa il sadhu che ha una scuola di yoga al Dashashwamedh ghat. Si gira per lanciarmi un’occhiata terribile e se ne va. Da molto tempo è arrabbiato con me, da quando gli ho detto che, considerata la sua attività, è più un business-man che un sadhu. Difatti, i veri sadhu hanno abbandonato tutti gli agi di una vita comoda, non chiedono nemmeno l’elemosina e vivono con poco, utilizzando le donazioni a loro favore.
Mammanandir ghat, 9 febbraio 2019. Black baba addormentato.
Qui, in India, e a Varanasi in particolare, si può stare seduti per lungo tempo in un posto e guardare quello che accade intorno, oppure scegliere di spostarsi cambiando più location: succede sempre qualcosa, comunque. Ora, mi sposto più su e vado a sedermi al Meer ghat, su una panchina poco distante da dove ha trovato il suo posto un anziano e aggressivo “Black baba”. Fa impressione pensare che questa categoria di persone si ciba dei residui dei morti, quelli che rimangono dopo le cremazioni.
Mammanandir ghat, 9 febbraio 2019. Black baba.
Oggi, questo baba, sta dormendo profondamente e riesco così a fotografarlo, senza provocare le sue imprecazioni. Sto proseguendo nella lettura di “Guerra e pace”e dopo la prima parte dedicata a tutte le strategie delle battaglie ora lo trovo più scorrevole e coinvolgente.
Meer ghat, 9 febbraio 2019. Coppia di musulmani al Kumbh Mela.
Arrivano a sedersi accanto a me due coniugi musulmani: lui di 38 anni, lei 35. Lui è un grossista di tappeti ed ha frequentato la scuola fino alla dodicesima classe. Lei, porta un velo rosso intorno al capo e un vestito lungo nero. Non parla l’inglese, ma mi fa capire che è indisposta e per questo mastica il “paan” che le dà sollievo.
Meer ghat, 9 febbraio 2019. Donna musulmana.
Hanno entrambi i denti rossi e corrosi dal masticare questa combinazione di foglie di betel con noce di areca. Lui è vestito in modo classico e, mi racconta che, indossa l’abito bianco tradizionale soltanto in qualche occasione. Segue, però, assiduamente la tradizione della preghiera che si svolge 5 volte al giorno: tra le 4 e le 5 di mattina, alle 13.30, alle 16.25, alle 18.25 e alle 20.25.
Meer ghat, 9 febbraio 2019. La raccolta dei rifiuti.
Lancio uno sguardo verso il fiume. Lì, è approdata una grossa barca piena di grossi involucri di stoffa con le immondizie all’interno. Gli spazzini ne stanno caricando degli altri che trasporteranno oltre il nuovo ponte di ferro, dove le bruceranno. Sui ghat, in particolare, ci sono diversi cestelli in acciaio che gli spazzini lucidano in continuazione, ma la gente non li usa e continua a gettare in terra quello che non gli serve più. E’ un ciclo continuo: di immondizie buttate dappertutto, spazzini che le raccolgono, barche che le trasportano, fuochi che le bruciano e via daccapo, allo stesso modo di sempre.
Lungo i ghat.
Accanto al barcone dei rifiuti, un vecchio baba, in perizoma, sta facendo il bucato con molta cura e lo va a stendere sulla staccionata di un elegante hotel. Poi, torna al tappetino della sua postazione, tra fumi di incenso, lumini accesi e statuette di divinità. Sotto il cavalcavia che sta prima del grande ghat delle cremazioni, saluto il mio dolcissimo baba sempre seduto in posizione yoga. Ora, è impegnato ad attizzare il fuoco e a smuovere la grossa legna del focolare che gli sta davanti.
Manikarnika ghat, 9 febbraio 2019. Nuovi abitanti.
Proprio a ridosso del Manikarnika è stata piantata una specie di tenda che i giorni scorsi non c’era. Seduti accanto all’ingresso ci sono due sadhu, semivestiti di giallo. Alzo lo sguardo sulle case a più piani che s’affacciano sul ghat delle cremazioni; sono senz’altro abitate vista la numerosa quantità di panni stesi e di piante disposte sui balconi.
Casette al Manikarnika, accanto al ghat delle cremazioni.
Lì, accanto alle scale che portano alla porta di ingresso ci sono delle grandi cataste di legna. Più avanti ancora legna di diverso tipo, grandi stadere in funzione per pesarla e gente che la trasporta alle pire sulle spalle.
Pesatura della legna per le cremazioni, al Manikarnika ghat.
Attraversando questo ghat, mi saluta un indiano di mezza età, grassotello, mezzo pelato e senza due incisivi. Mi ricordo benissimo di lui perchè quando passavo di lì mi chiedeva sempre: “Quando muori?” Guardo oltre le pire che stanno ardendo e i numerosi parenti maschi che stanno loro intorno. Anche qui, è appena arrivato un barcone che sta raccogliendo gli involucri con i rifiuti e li porta via.
Fila all’interno della città vecchia, non ancora demolita, per accedere al Vishwanath Temple. 9 febbraio 2019.
Mi siedo più su, al Scindia ghat, a leggere. Arriva quasi subito un giovane, desideroso di parlare. E’ un ingegnere edile del Gujarat. E’ bramino, e porta tre file di codoni beige a tracolla. Dopo il matrimonio, mi spiega, il marito bramino ne porterà sei di file, aggiungendone altrettante per la moglie. Mi dice, inoltre, che ha incontrato altri italiani sui ghat ed anche parecchi turisti coreani e cinesi. Lui ha viaggiato per 36 ore, in treno, per raggiungere Varanasi e ripartirà questa sera.
Uscita dal Scindia ghat alla città vecchia di Bramnal.
Esco dal Scindia ghat e trovo per la maggior parte intatta questa parte di città vecchia. Ci sono già passata diverse altre volte, ma raramente sono salita da questo ghat.
Bramnal Chowk, 9 febbraio 2019. Mercatino vegetale.
Arrivo a Bramnal Chowk, supero il mercatino vegetale e mi fermo a fotografare due donne sedute su una sporgenza in pietra, lungo la via. Forse, quella più giovane è la badante di quella più anziana.
Donne sedute sulla stradina di Bramnal, 9 febbraio 2019.
Più giù, ritrovo anche la zona devastata del tempio e l’attraverso, sempre rattistata nel vederla.
La zona demolita.
Esco a Bangali Tola, sulla via principale. Poco prima della fine di quel viottolo saluto la stiratrice e il marito lavandaio, sempre molto cortesi e indaffarati.
Una delle numerose rivendite di paan, nella città vecchia.
Imbocco la stradina che porta alla mia zona ristoranti e guest house. Oggi, forse perchè è sabato, noto che ci sono molte più botteghe che vendono il paan. O forse, faccio più attenzione perchè sono rimasta colpita dalla donna musulmana che, oltre a masticare continuamente questo miscuglio, teneva una borsa in mano, con diverse riserve di paan impacchettate.
Dashashwamedh ghat, puja serale, 9 febbraio 2019. Raccolta delle offerte tra gli spettatori.
Di sera faccio un altro giro sui ghat. Al Dashashwamedh si sta concludendo la cerimonia serale e un indiano con un grande vassoio già pieno di soldi sta passando tra gli spettatori a raccogliere le offerte.
Ragazzina mendicante alla puja serale del Dashashwamedh ghat. 9 febbraio 2019.
Più in là, una ragazzina con un bambino in braccio e un pentolino in mano chiede l’elemosina soltanto ai turisti occidentali.
Varanasi, 10 febbraio 2019
Sono da dieci giorni qui, a Varanasi, e mi sembra di essere immersa in una dimensione senza tempo. Nelle stradine chiamate “gali” della città vecchia di Bangali Tola la mattina fa freddo fino a tardi, mentre il tepore, assorbito dalle pietre, rimane, poi, fino a sera inoltrata. Il barcaiolo del Dashaswamedh ghat mi mostra la statua della dea Saraswati, esposta sul retro del ghat sotto un coloratissimo baldacchino.
Dashashwamedh ghat, 10 febbraio 2019. Esposizione della statua di Saraswati.
Saraswati è la dea della conoscenza e delle arti, musica e letteratura, poesia e pittura, ma anche della verità, del perdono, delle guarigioni e delle nascite. Il festival dedicato a questa dea, il “Basant Panchami”, ha inizio proprio oggi e in diverse scuole, pur essendo domenica, vengono celebrati i rituali delle puja con gli studenti. La festa del “Basant Panchami” segna, inoltre, la fine della stagione fredda e l’inizio delle temperature estive. Mentre sto salendo la scalinata per andare a vedere la statua della dea, passa il baba della scuola di yoga che mi lancia un’occhiataccia e scappa via. La dea Saraswati sta seduta su un trono con la chitarra indiana tra le mani. E’ sorridente e ai suoi piedi sono state deposte diverse borse con riso, patate, banane, altri vegetali e tanti fiori.
Saraswati godness.
Cammino un po’ intorno al Dashashwamedh ghat e saluto il giovane sacerdote che ieri stava celebrando una puja per un’occidentale. Tempo fa, mi ha parlato del suo percorso di studi e tutte le volte che passo davanti al suo palco, mi fa cenno di avvicinarmi, ma io fuggo sempre via. Non voglio trovarmi nella condizione di dovergli dare dei soldi. Un giorno l’ho visto rincorrere un occidentale che si era lasciato abbindolare dai suoi mantra e non gli aveva dato poi un’offerta adeguata.
Sadhu e baba accanto ai pilastri del terrazzamento al Dashashwamedh ghat.
Mi sposto lentamente più su, cercando di scoprire cosa c’è di nuovo. Sotto i piloni che sostengono il terrazzamento più grande del ghat principale ci sono dei giovani sadhu con il fuoco appena spento. Tra loro c’è anche un baba anziano, grande e grosso, tutto dipinto di bianco, con i capelli legati lateralmente e con in mano un arpione. Questo baba lo vedo da tempo girare, sia sui ghat che per le vie e le “gali” di Varanasi. Di solito gira vestito soltanto con un perizoma, ma con la stagione invernale si è notevolmente coperto.
Mammandir ghat, 10 febbraio 2019. Black baba con la collana di teschi.
Al Mammandir ghat c’è ancora il Black baba addormentato. Probabilmente sta sveglio di notte per eseguire i rituali di magia nera e poi, sonnecchia di giorno. Noto che in questo periodo del Kumbh Mela, tutta la zona che ruota intorno al Dashashwamedh ghat è invasa da gruppi di bambine zingare e mendicanti. Oggi hanno numerosi sacchetti pieni di riso, ricevuto in elemosina dai pellegrini. Andranno senz’altro a venderli a negozi e ristoranti. Mentre alzo lo sguardo verso la scalinata, vedo il Black baba in piedi con una grossa collana di teschietti appesa al collo. Sta ammirando le collane e i bracciali della vicina bancarella. Mi vede e mi chiede di cambiargli 50 rupje, l’equivalente di poco più di 50 centesimi, in euro.
Mammandir ghat, 10 febbraio 2019. Bambini truccati e vestiti da divinità per chiedere l’elemosina.
Anche il gruppo di bambine lì accanto lo imita chiedendomi la stessa cosa e mostrandomi anche loro una banconota dello stesso valore. Queste bambine, mendicanti, hanno il volto dipinto di bianco o blu, il rossetto sulle labbra e portano una parrucca nera sul capo. Indossano anche dei vestiti da divinità, ma paiono dei clown. Assomigliano, nel modo di addobbarsi, a delle altre bambine che girano sui ghat, anche loro chiedendo l’elemosina. Mi siedo più avanti, al Meer ghat. Mi si avvicinano tre ragazzi: hanno 15, 17 e 18 anni e sono appena usciti dal fiume. Abitano poco sopra al ghat; i due più giovani sono cugini, mentre l’altro è lo zio del ragazzo più piccolo. Frequentano la scuola statale, ma hanno tutti delle ripetenze. Quello di 15 anni ne ha soltanto una, mentre gli altri due ne hanno parecchie. Dico loro che devono impegnarsi di più, ma in questo mi ascoltano soltanto i due ragazzi più giovani che vorrebbero diventare ingegneri. Chissà se l’immaginario di questi due ragazzi è abbastanza solido da poter realizzare il loro sogno! Per lo zio diciottenne non credo ci siano più speranze! E forse anche questi due cugini, mi avranno, forse, soltanto assecondata per cordialità.
Il baba del sottopassaggio insieme ai suoi seguaci.
Lascio i ragazzi e mi sposto fino alla location del baba che si fa le canne nel sottopassaggio del Manikarnika,. Lo guardo in lontananza e, difatti, lui e i suoi seguaci si stanno passando, anche oggi, la pipa dello spinello. Proprio in quel momento, arriva, dalla scalinata del Lalita ghat, un corteo funebre che se ne va verso il vicino ghat delle cremazioni.
Il Meer ghat allagato per la pulizia.
Torno un pezzetto indietro, ma trovo allagato il passaggio oltre il Meer ghat. Salgo la scalinata e guardando verso l’alto vedo appollaiato un uomo su un’impalcatura fatta di tre bastoni di bambù tenuti insieme da alcune grosse corde. E’ un imbianchino che sta tinteggiando l’esterno del palazzo a fianco.
Imbianchino su impalcatura di bambù e corde.
Proseguo per la stradina in alto, parallela al fiume. Quassù, non si vedono turisti e nemmeno pellegrini. Ci sono diversi tempietti, tutti molto curati. In uno, più grande degli altri, c’è un sacerdote vestito di bianco che sta recitando un mantra e dando la benedizione a delle donne.
Momento di pausa del sacerdote di un tempio e di una pellegrina sopra la gradinata accanto al Meer ghat.
Riprendo la “gali” orizzontale, e arrivo oltre la zona del ghat che stanno lavando. Ad ogni passo ci sono dei templi e degli alberi avvolti in fasce rosse con diverse statue e lumini appoggiati ai loro piedi. Mentre scendo la scalinata per tornare sul lungo fiume, vedo una veranda che sporge sul ghat e all’interno i tavoli affollati di un nuovo ristorante. Ripercorro il Mammandir ghat, dove c’è il Black baba in piedi. Appena mi vede inizia ad imprecare e, tutt’un tratto, si distende nella sua tana, coprendosi il volto con una mano. Pranzo a Bangali Tola, al primo piano di un grazioso ristorante frequentato per lo più da indiani. Eccezionalmente, vedo arrivare un gruppo di ragazzi occidentali: sono della Lituania, mi dicono. Più tardi, giù al ghat, incontrerò un gruppo di ragazzi polacchi.
Bangali Tola, 10 febbraio 2019. Vista dal primo piano del ristorantino sulla Main street.
Dall’alto del ristorantino, ammiro il caos intenso che regna sulla via principale. Sono le 15.30 e già il calore del sole si sta affievolendo.
Interno di un ristorantino di Bangali Tola.
Bambino con piffero, alla Tea stall di Bangali Tola.
Torno al vicino Dashashwamedh ghat: qui c’è qualche semplice corteo nuziale che al massimo si concede un giro in barca fino all’altra sponda.
Dashashwamedh ghat, 10 febbraio 2019. Corteo nuziale in partenza per l’altra sponda.
Qualcuno porta con sé i suonatori di tamburo e, a volte, si vedono anche galleggiare sull’acqua delle corde con i fiori appesi.
Dashashwamedh ghat, 10 febbraio 2019. Puja di famiglia per sposi.
E’ quasi sera e, sui palchetti dei sacerdoti come accanto ai numerosi mendicanti della gradinata, abbondano i sacchetti di riso, verdure, monete e banconote, donati loro dai pellegrini.
Varanasi, 11 febbraio 2019
Al Chousati ghat stamattina vedo le zingarelle impegnate ad aiutare una donnona belga a scendere la scalinata.
Chousati ghat, 11 febbraio 2019. Turista belga distribuisce abitini usati agli zingarelli.
Arrivate in fondo alla discesa, lei, da una borsa di tela, estrae una moltitudine di abitini usati e li distribuisce ai bambini.
Chousati ghat, 11 febbraio 2019. Turista belga e zingarelli.
Loro li esaminano con uno sguardo rapido e le restituiscono quello che non vogliono. Più su, un gruppo di pellegrini sta osservando delle immagini plasticate del Lingam di Shiva. Sono incantati perchè muovendole assumono anche un’altra posizione. Cammino un po’ e, lancio un urlo, quando mi trovo di fronte ad un incantatore di serpenti con un cobra in mano. Sui ghat ce ne sono moltissimi di questi ragazzi che sanno far danzare i serpenti al suono del loro flauto.
Dashashwamedh ghat, 11 febbraio 2019. Preghiera sul Gange.
Al Dashashwamedh ghat mi fermo a chiacchierare, più a gesti che a parole, con un gruppo di donne di Delhi. Vicino a loro, seduto su un palco, c’è un giovane, totalmente immerso in una intensa preghiera al Gange. Più in là, seduta sui gradini, c’è una famiglia di Devghar, nell’Jharkhand. E’ composta da due fratelli insegnanti. La scuola dove lavorano, mi raccontano, è rivolta ai bambini dai sei ai dodici anni. Il più giovane insegna matematica e scienze, l’altro, la lingua sanscrita. Insieme a loro ci sono le rispettive mogli e i due figli del fratello più giovane. Sono stati due giorni al Kumbh Mela di Allahabad e due giorni si sono fermati qui a Varanasi. Ripartiranno questa sera e li aspettano dodici ore di viaggio in treno.
Dashashwamedh ghat, 11 febbraio 2019. Esercizi di ginnastica dopo il bagno.
Qui in India tutti sono desiderosi di comunicare. In genere, gli uomini parlano l’inglese molto più delle donne, le quali, se ne stanno in disparte, sempre sorridenti e cordiali. Nelle famiglie delle classi medie e alte, inoltre, le donne, raramente lavorano fuori casa.
Arrivi di pellegrini al Meer ghat. 11 febbraio 2019.
Al palchetto accanto alla scalinata è arrivato ora un giovane sacerdote di casta bramina. L’ho già incontrato qualche giorno fa e mi raccontava del ruolo che ricopre nella celebrazione della puja serale al Dashashwamedh ghat. Oggi, mi parla anche del tempio di famiglia, dedicato alla dea Durga, dove lui celebra le puja per le persone che le richiedono, in cambio di offerte di cibo e denaro. Mi dice che la sua famiglia ha un tenore di vita medio e dà poca importanza all’accumulo di denaro. Lui, nutre una grossa fede nelle divinità che lo aiutano a dare senso alla sua vita.
Attraverso le gali del quartiere islamico, 11 febbraio 2019.
Alla “State bank” di Godowlia c’è anche oggi esposto il cartello con la scritta “No cash”. Più giù, alla “J&K” bank riesco a prelevare con il bancomat, ed è un gran sollievo. Non è successo per caso: giorni fa ho scritto alla mia banca e lì hanno provveduto a modificare il mio profilo.
Commercio di polli nel quartiere islamico. 11 febbraio 2019.
La “J&K” bank è sulla Sonarpura road e il traffico qui è davvero caotico e insopportabile. Mi infilo in una gali a caso e cerco di andare verso Sud, nella direzione dell’Assi ghat. Attraverso un viottolo tranquillo, abitato completamente da gente islamica. Sui muri ci sono numerose scritte e cartelli con un’infinità di pubblicità di sarees.
Godowlia, quartiere islamico, 11 febbraio 2019. Allievi delle moschea a ricreazione.
A volte si sentono dei rumori di telai provenire da dietro le finestre sbarrate. Incrocio molte donne, tutte con l’abito nero e velate, uomini vestiti di bianco con il cappello islamico sul capo e la barba tinta con l’henna. In uno stretto vicolo compare una moschea e accanto un uomo che frigge dei dolci nell’olio bollente. Sono cibi da vendere agli allievi della scuola islamica che sta all’interno della moschea. Lì c’è un cancello chiuso, ma i ragazzini riescono a far passare le loro braccia tra le inferriate. Tendono le mani con le rupje per acquistare la merenda che un ragazzo, dall’esterno, porge loro.
Vicoletti della citta vecchia. 11 febbraio 2019.
Ora , il vicoletto si è allargato e sono sbucata in una zona piena di negozi. “Sarò senz’altro vicina a qualche ghat”, penso fra me e me. Con un po’ di fortuna riesco a schivare uno spruzzo dietro l’altro di sputi di saliva e paan che gli indiani eliminano continuamente dalle loro bocche. Esco da una nuova gali, leggo la scritta “Assi ghat, 1 Km”, attraverso la strada e imbocco un altro viottolo, leggermente più largo del precedente.
Ingorgo in una gali della città vecchia. 11 febbraio 2019.
Piombo in mezzo a due carretti, uno carico di limoni, l’altro di fagotti di chissà che cosa. Si sono incastrati nelle due direzioni e stanno bloccando il passaggio. Mentre i due conduttori stanno urlando sulle loro ragioni, riesco ad infilarmi in una fessura laterale e a superare i carretti. Prendo altri viottoli che si diramano a destra e a manca. Mi ritrovo sempre all’interno di una o di un’altra gali. Ad un certo punto mi accorgo di essere arrivata in un luogo che riconosco benissimo, per la vasca in pietra che sta su un crocevia di viottoli, ma vicino a Godowlia. Sono nella direzione opposta a quella dell’Assi ghat che pensavo ormai vicino. Dove avrò sbagliato?
Bangali Tola, 11 febbraio 2019.
Ormai proseguo verso Bangali Tola e, poco prima di uscire sulla Main street, mi fermo ad ammirare due tempietti con esposta in entrambi la statua della dea Saraswati. Arrivata al vicino Dashashwamed ghat, sento arrivare i suoni dei tamburi che accompagnano i cortei nuziali.
Dashashwamedh ghat, 11 febbraio 2019. Sposi che se ne vanno in motocicletta dopo i rituali sul Gange.
Oggi più che mai, c’è un via, vai continuo di sposalizi che arrivano al Gange e vanno sull’altra sponda. Un ragazzo mi spiega che i giorni 11 e 13 di questo mese sono particolarmente indicati per i matrimoni. Comunque, tutto il periodo che va da febbraio ad aprile, è propizio per celebrare le nozze.
Meer ghat, 11 febbraio 2019. Barcone di uomini dal Gujarat.
Nel pomeriggio vado al Meer ghat dove c’è un barcone di pellegrini con il turbante bianco in testa. Arrivano dal Gujarat per il Kumbh Mela. Sono tutti uomini e viaggiano senza le loro famiglie.
Dal Gujarat, 11 febbraio 2019.
Un pellegrinaggio di Jodhpur , invece, composto da diverse famiglie, viaggia insieme ad una guru donna. Una coppia del gruppo e tutti loro sono felici di comunicare e di farsi fotografare.
Meer ghat, 11 febbraio 2019. Donna guru di Jaiphur.
Di sera, al Chousati ghat incontro un ragazzo che conosco da diverso tempo. Mi ricordo di lui perchè, qualche anno fa, mi aveva parlato di un negozio di abbigliamento che aveva da poco aperto in una gali di Bangali Tola.
Meer ghat, 11 febbraio 2019. Bambina clown gioca con una turista indiana.
Si chiama Raji e ora lavora per “Avventure nel mondo”. Parla un buon italiano e sta andando in aeroporto a prendere quattro donne di Milano alle quali farà da guida. Gli chiedo se conosce l’altro indiano che lavora per la stessa agenzia e abita dalle parti di Chowk. Mi risponde che quell’indiano ora è poco richiesto da “Avventure nel mondo” in quanto ci sono state delle lamentele su di lui sia per le troppe visite ai negozi che fa fare ai turisti sia per il 40% delle commissioni che si prende.
Pellegrini di Jaiphur al Meer ghat. 11 febbraio 2019.
Più tardi, mi sentirò chiamare proprio dall’indiano di Chowk, che, stranamente, se ne sta seduto alla Tea-stall della mia zona. Gli racconto qualcosa di quello che mi ha appena riferito l’altro giovane. Gli squilla il telefono proprio in quel momento: lui risponde e non mi rivolgerà più la parola. C’è una competizione terribile, spietata tra tutti qui. Anche tra queste due semplici guide turistiche.
Bangali Tola, 11 febbraio 2019.
Lascio i ghat con la dea Saraswati ancora lì, al Dashashwamedh, in attesa di veder compiuto il suo destino. Verrà presto trasportata nelle vicinanze della città e gettata in fondo ad un laghetto, dal momento che, qui, ora, non è più possibile immergere le statue nel Gange.
Varanasi, 12 febbraio 2019
Nella camera della guest house fa ancora freddo, sia durante la notte che alla mattina, quando mi alzo. Però, appena arrivo sui ghat che stanno a pochi metri di distanza, sento subito il tepore del sole riscaldarmi il corpo. Arrivo alla Tea-stall lì accanto, mi siedo vicino al braciere e mi scaldo le mani gelate. Ci vorrà ancora una settimana, mi dicono, perché arrivi completamente il caldo. Inizio la camminata quotidiana senza sapere dove andare. M’incuriosisce l’idea del “Golghar market”, detto anche “Mercato delle spezie”, ma devo capire meglio come andare. Secondo quanto mi raccontano, io quella zona, fatta di negozi e bancarelle, l’ho già esplorata senza sapere che avesse quel nome. Sotto il porticato di pilastri del ghat che sta dopo il Dashashwamedh oggi c’è un sadu italiano, di Firenze. Mi dice che sta qui a periodi, alternando la sua vita tra Varanasi e Firenze.
Il baba di Firenze.
Al Mammanadir ghat la tana del Black baba è vuota, ma ci sono le sue coperte, il mantello grigio, l’arpione con due collane e un secchiello appesi, un fagotto appoggiato sulle pietre.
Una delle bambine vestite da clown per chiedere l’elemosina. 12 febbraio 2019.
Accanto ad un giovane baba con il corpo ricoperto di cenere ci sono oggi due incantatori di serpenti. Loro sono di un villaggio non molto distante da qui, sempre in Uttar Pradesh. Questo baba ha il fuoco acceso, dice di essere indiano, ma i dati somatici rivelano la sua origine europea. Sta inzuppando d’acqua un riccio che poi ripone sotto le coperte. Intorno a lui ruotano anche due dei bambini mendicanti vestiti da divinità.
Uno dei bambin- divinità in posa per le foto con i turisti.
I bambini, se ho ben compreso, hanno sette e dieci anni, e sono stati addestrati a chiedere con insistenza dei soldi ai turisti. Uno di loro mi segue per un bel pezzo sui ghat, mettendosi in posa, con le mani alzate, per farsi scattare delle foto a pagamento. Al giovane baba chiedo l’età, ma mi risponde, farneticando e gesticolando, che lui ha gli anni del cielo. Poi, mi mostra il suo lingam con una spilla infilzata nella pelle.
Donne che cucinano il loro pasto sul ghat.
Più sotto, vicino al fiume, c’è un gruppo di donne con dei bambini. Stanno friggendo dei tondini di farina impastata con l’acqua. Il loro lavoro è molto ben organizzato: una, la più anziana impasta la farina con l’acqua, un’altra appiattisce i dischetti e l’ultima si occupa della frittura. Hanno portato da casa tutta l’attrezzatura, ma abitano poco lontano da Varanasi.
Partenze continue sui ghat.
Proprio qui, si avvicina un gruppo familiare composto dal padre e da tre figli: due maschi e una femmina. I due ragazzi studiano ingegneria all’università, mentre la ragazza, frequenta la dodicesima classe.
Donne di Jaipur si dipingono la fronte prima di andare al Vishwanath Temple.
Torno sulle terrazze del tempio che sta lassù in alto. Il baba ora non c’è e la porta del suo tempio è chiusa con catena e lucchetto. Ci sono, però, diverse donne di Jaipur che stanno colorandosi la fronte, prima di andare a visitare il Vishwanath Temple.
Pellegrinaggio di donne da Jaipur.
Mi porgono le loro mani: alcune sono colorate con l’henna sulle punte delle dita e soltanto a volte compaiono dei tondi disegnati sui palmi. Scendo dal tempio attraverso una scaletta semi nascosta e salgo su una lunga terrazza che scorre fino ad arrivare quasi al fiume. E’ un posto magnifico.
Panorama sui ghat.
Dall’alto guardo lo scorrere della vita: barche che arrivano e partono, pellegrini che fanno il bagno, uomini e donne che vendono souvenir e cibi e pellegrini che li acquistano, capre e montoni che si corteggiano, bufali che gironzolano, uomini addormentati, gente che cammina.
Panorama.
Dal Gange arriva il suono stridente di una sirena, ma è soltanto una nave mercantile che sta avvertendo le altre imbarcazioni del suo passaggio. Mi metto a leggere “Guerra e pace”. Sono quasi a metà e Tolstoj mi piace.
Arrivano tre italiani con una guida indiana: due sono ciociari e uno è di Forlì. Quest’ultimo sta in India da due mesi ed ha visitato anche Delhi, Jaipur e Agra. Tutti insieme andranno a Kalkuta dove rimarranno un giorno soltanto. Poi, il ragazzo di Forlì andrà a Bali mentre gli altri due rientreranno in Italia. Poco dopo, un ragazzo francese, invece, sempre sulla terrazza, mi fornisce delle informazioni utili sull’Iran, la mia prossima tappa. Scendo dopo parecchio tempo dalla terrazza e incontro delle donne di Guntur, nell’Andra Pradesh.
Donna che stende i panni sulla grande terrazza dei ghat.
E’ la città del mio amico architetto fantasma. Queste donne di Guntur, portano degli anelli d’oro sia appesi al naso che alle orecchie e sono cordialissime.
Pellegrinaggio dall’Andra Pradesh.
Cammino verso il Dashashwamedh ghat ora. Mi arriva all’improvviso una testata sul fianco destro. Perdo quasi l’equilibrio e mi sostiene un gruppo di ragazzi giapponesi. Mi giro e vedo con terrore che un enorme bufalo è appena passato e una numerosa mandria lo sta seguendo. Ho preso un bel spavento e anche una gran botta.
Donna di Guntur.
Esco nel piazzale di Bangali Tola per andare a pranzo da qualche parte. Seduto tra i mendicanti scorgo il “Black baba” del ghat. Gli chiedo se desidera un cjai, ma mi risponde che lui vuole soltanto soldi.
Il Black baba a Bangali Tola.
Il ristorantino di oggi è quello che frequenta abitualmente mio figlio, quando sta qui a Varanasi, ed è sempre affollato di indiani, quasi tutti uomini. Mi siedo in fondo, nell’unico posto vuoto. Alle mie spalle, quasi attaccato c’è il lavandino, dove la gente arriva dopo aver terminato il pranzo per lavarsi la mano con la quale hanno mangiato.
Bambine giocano alla fontana di Bangali Tola.
Torno sui ghat: sono circa le tre e mezza e fa già freschetto. Dalla scalinata del Meer ghat arriva un allegro suono di tamburi con una moltitudine di persone che si alternano nelle danze in cerchio. Non vedo gli sposi, difatti, il corteo, arrivato alla fine della scalinata, sempre al suono dei tamburi, se ne torna indietro.
Ritratto di donna dell’Andra Pradesh.
Mi fermo a parlare con un gruppo di Tirupati composto da due coniugi bramini e da alcune donne, tutte di 62 anni. Due di loro lavoravano in banca e le altre due insegnavano: una in un college e l’altra all’università. Il marito bramino ha 64 anni e non ha continuato l’attività sacerdotale della famiglia. Si è dedicato, invece, alla traduzione di testi di sanscrito nelle altre lingue indiane. Tutti quattro sono in pensione. Qui, in India, l’età della pensione è prevista a 60 anni.
Donne dell’Andra Pradesh.
Ripasso davanti alla tana del “Black baba” che sta lì ora. Appena mi vede si nasconde il viso per non farsi fotografare e mi chiede soldi. La signora della bancarella accanto mi dice che lui ha ottanta anni e da sessanta vive a Varanasi. Ha già una girl-friend americana, ma è disposto a sposare me se lo pago diverse migliaia di rupje, in contanti. Tutta la gente intorno, la signora della bancarella, il baba e io stessa scoppiamo a ridere divertiti.
Nuovi baba nei pressi del Dashashwamedh ghat.
Proseguo verso quell’altra parte del Dashashwamedh ghat che forse si chiama Man Mandir ghat, e vedo diverse nuove postazioni di baba. Uno è nudo e cosparso di cenere. Si è messo su un’altura e ha sistemato sopra una specie di baldacchino. Cosa fa per ricevere le offerte? Dà delle scopettate sulla testa a quelli che gli si fermano davanti. La scopa è morbida, come un grande pennello dal manico lungo, e questo baba ha parecchi clienti.
Baba che distribuisce colpi con la scopa sulla testa.
C’è poi un gruppo di baba accovacciato sotto una tenda e sono nudi anche questi. Mi siedo su una panchina dove un indiano mi spiega che i ghat sono proprietà dello Stato e quindi tutti possono utilizzarli. E’ un appassionato lettore di Alberto Moravia e di Mario Puzo. Mi parla anche di un film tratto da un romanzo scritto da quest’ultimo autore: “The Godfather”. Digito sul cellulare i dati che l’indiano mi ha indicato. Si tratta de “Il padrino”, scopro entusiasta! Ma l’uomo se n’è andato già via.
Mi alzo per andarmene anch’io, ma in quel momento arrivano delle giovani danzatrici del Kerala per un’esibizione sul palco che sta qui davanti. Le madri sono emozionatissime per l’esibizione delle loro figlie. E io mi fermo a guardare i bellissimi abiti di seta e la bravura nel danzare di queste ragazzine.
Varanasi, 13 febbraio 2019
Mattinata dedicata prima di tutto alla ricerca di un cavo nuovo per collegare il mio vecchio computer alla corrente. Già un’altra volta, qui a Varanasi, mi era successa la stessa cosa, probabilmente a causa dell’instabilità della corrente, che viene e va, in continuazione. Con il computer nuovo, che ho portato insieme al vecchio, non riesco a familiarizzare, mi mancano dei programmi da scaricare e non sono in grado di farlo da sola.
Godowlia, verso Chowk, 13 febbraio 2019. Vista dal risciò.
E così, devo andare fino a Durga Kund, mi dice un indiano elettricista, dove ci sono ben tre negozi che hanno tutto per i computers. A Godowlia contratto i prezzi dei risciò e, a pari costo, scelgo un ometto musulmano con la barba, piccolo e magro, che parla lentamente ed in modo carezzevole. Pedalando davanti a me, seduta sul calessino come una matrona, l’ometto mi porta a Durga Kund e si preoccupa di cercare il negozio che fa per me. Arriviamo nei dintorni dell’Assi ghat, proprio sul punto dove l’altro giorno avevo letto la scritta che indicava 1 km di distanza per raggiungerlo. Poi, da lì, mi ero disorientata, e senza rendermi conto, girando di qua e di là, ero ritornata indietro. L’ometto mi aspetta fuori dal negozio anche se gli avevo detto che sarei tornata a piedi. Veramente, come sempre, non so dove andare: all’Assi ghat? Oppure tornare a Godowlia?
Zona del Golghar market, 13 febbraio 2019.
Scelgo di farmi portare al mercato di cui mi ha parlato la giovane guida indiana e mi faccio portare là, al “Golghar market” di Ghasi Tola. L’ometto è felice per la congrua somma di rupje che è riuscito a guadagnare, quasi due euro! Torniamo, quindi, indietro verso Godowlia, superiamo l’incrocio, ci inoltriamo sulla strada che porta a Chowk e lo superiamo. A momenti il risciò frena di colpo e io scivolo in avanti rischiando di venir sbalzata sulla strada.
Vicoli della zona del mercato di Golghar, 13 febbraio 2019.
Passiamo attraverso il caos del traffico, tra gli scooter che strombazzano per farsi strada, i moto-risciò che accellerano, i ciclo-risciò spinti a piedi tra buche e dislivelli. Di là, sulla destra, c’è sempre la stessa staccionata con la lunga fila di pellegrini che attendono di entrare al Vishwanath Temple.
Zona del Gholkar market.
Arriviamo nella zona del “Golghar market”, una parte di Varanasi che già conosco, ma forse non abbastanza.
Mercatino tra le gali dalla parti di Chowk.
Di solito arrivo fin qui a piedi, ma oggi sono un po’ stanca: mi sono addormentata molto tardi, ero preoccupata per una mail dell’amministratore di viale Cadore che diceva che avevano venduto all’asta, per errore, il mio garage. Invece, esaminando le planimetrie, io e mio figlio, attraverso skype, ci siamo accorti che si tratta di due autorimesse diverse. Mi addentro nelle gali del “Golghar market”, ma qui non c’è null’altro che negozietti, niente di particolare!
Zona Gholkar market.
Mentre le altre volte da qui mi spostavo subito verso il Gange, oggi mi soffermo di più sulla parte sinistra della zona. Ad un certo punto, inaspettatamente, vedo intensificarsi le bancarelle di fiori, cordoncini colorati, corone, piattini per le offerte.
Zona del Gholkar market, 13 febbraio 2019. Il tempio di Shiva.
“C’è il tempio!” mi grida una ragazza indiana, sorridendo e svoltando un angolo. La seguo, e lì, ecco la folla di pellegrini in fila per entrare in un suggestivo antico tempio, dedicato a Shiva.
Shiva Temple della zona del Gholdar market, interno.
All’interno, al centro, in una specie di tabernacolo c’è un baba che distribuisce benedizioni. Intorno alle pareti, una fila di uomini e una donna con una scopa morbida tra le mani.
Benedizione dello scopino nel tempio.
“Ah, ecco dove ha preso l’idea il baba del Dashashwamedh ghat che spazzola le teste con la scopa”, penso tra me e me.
Baba del tempio dedicato a Shiva. 13 febbraio 2019.
Difatti, qui, le persone appollaiate intorno alla parte rialzata del tempio, distribuiscono colpetti di scopa sulla testa dei fedeli. Una spazzolata passa anche sul mio capo, ma scatto qualche foto, ignorando le proibizioni, e scappo via.
Momenti di benedizioni nel tempio.
Arrivo ad un mercatino vegetale su un viottolo, non è il solito, ma ci sono già passata tempo fa. Sono a Bramnal Chowk, ma quando chiedo informazioni su dove mi trovo ricevo ad ogni passo delle informazioni diverse. Probabilmente ci sono delle minuscole suddivisioni dei territori, capirle e ricordarle mi riesce troppo difficile. A parte il disturbo che arreco alle persone impegnate nella masticazine del paan, che a volte per rispondermi devono sputare il liquido o, al limite, parlarmi con la testa rivolta verso l’alto.
Lavorazione dei sacchi di juta nei pressi del Gola ghat.
Esco sul Gange al Gola ghat e sono vicinisssima al grande ponte d’acciaio. E’ affascinante guardare da qui lo scorrere allineato di auto e treni. Il ponte è a due piani: sopra passano le auto, sotto il treno. Sul ghat splende un sole splendido e le pietre sono caldissime.
La bicicletta parcheggiata in un vicoletto vicino al Gola ghat.
Non ci sono turisti quassù! Vedo soltanto dei bambini che gironzolano, uomini che stendono e raccolgono i panni, altri che fanno il bagno o stanno distesi al sole, donne con bambini in braccio, aquiloni che volano nel cielo. Mi si avvicina una ragazza incinta del suo terzo figlio. Mi sorride, mostrandomi la sua età con le dita delle mani. Ha 19 anni.
Il grande ponte visto dal Gola ghat.
Scendo verso Sud, lentamente. Incrocio qualche famiglia di pellegrini con i bambini rasati a zero. Due di loro stanno facendo una partita a cricket con due bottigle di plastica. Verso il Lal ghat la zona è ancora semi deserta. Incontro soltanto qualche capra impegnata a brucare quel po’ d’erba che spunta, a volte, in qualche angolo nascosto. Al Panchaganga ghat c’è qualche guru seduto nelle sporgenze che danno sul Gange, con i ripari di tela sul tettuccio.
Postazioni di baba al Panchaganga ghat.
Qui, mi saluta l’elegante e gentile venditore di tessuti che ha la moglie sarta. Arrivo al Jatar ghat e ammiro i suoi palazzi giganteschi e lineari e, sotto, vicino al Gange, il tempio con il tetto a cupola.
Il tempio con il tetto a cupola.
Poi, attraverso il Mehpa ghat, già immerso nell’ombra dei suoi palazzoni enormi. Ed eccomi alla grande moschea: sul muraglione c’è la scritta: “Peshwa’s Shree Ganesh Mandir” e la data 1807. Lì vicino c’è l’hotel elegante che ha ampliato la sua zona lungo il ghat. Sotto, sul fiume, c’è una moltitudine di barche private raggiungibili attraverso una passerella.
La passerella per le barche dell’hotel.
Il lungo fiume si anima quando arrivo al Shindia ghat dove s’intravedono numerosi templi e molti indiani che stanno facendo il bagno. Attraverso il Manikarnika con i fumi delle pire che arrivano fino in alto, sul percorso. Lì, sono comparsi dei paraventi arancione che nascondono chissà che cosa e subito dopo la zona delle cremazioni si è innalzata un’altra tenda, rossa, proprio accanto a quella tutta rapezzata. Più giù, mi fermo a guardare un gruppo di nomadi che sta pranzando vicino al fiume.
Nomadi.
Mentre sto uscendo dal “Baba restaurant” di Bangali Tola incontro il canadese che vive praticamente qui.
Mi siedo al tavolo con lui a guardare il suo album di disegni. Sono molto belli, sembrano disegnati velocemente, come per fermare l’attimo che lo caratterizza, con tutti i dettagli che lo animano.
Varanasi, 14 febbraio 2019
Vado a Godowlia per stampare i file delle spese di condominio che mi ha inviato mio figlio. Quando si tratta di conti, preferisco leggerli sulla carta stampata. Esamino i fogli, seduta su una lastra di pietra, in mezzo al rumore assordante del traffico. Poi, entro nel Gandhi shop lì accanto. E’ un negozio governativo e vende tessuti di cadhi, quelli lavorati con il metodo che usava il mahatma. E’ quasi mezzogiorno, ma una delle due saracinesche è ancora abbassata e all’interno c’è poca luce. Entro e guardo i tappetti accatastati in mezzo allo stanzone. Ci sono i soliti due anziani commessi: uno sta chiacchierando con un ragazzo, l’altro, dalla parte opposta, è concentrato su un quaderno di contabilità. Dopo un po’, quello più vicino, mi chiede cosa cerco e io gli mostro un campione di cadhi. Lui lancia un urlo e chiama quello impegnato nei conti il quale non risponde. Mi sposto da quella parte, ma il commesso non mi guarda nemmeno. Poi, rivolge un’occhiata al campioncino che tengo in mano e prende due balle di stoffa dagli scaffali, le butta sul banco e se ne torna al suo quaderno. Vorrei vedere degli altri colori, ma mi dice che non c’è altro mentre continua a scrivere sul suo librone. Invece, riesco a scorgere, nella vetrina, oltre ai tessuti marroni e gialli che ho davanti, un’altra balla a righe azzurre e bianche.
Divinità rivestita per il Khumb Mela.
Da Godowlia m’incammino verso Chowk per cercare un quaderno. Quello dei miei appunti è ormai terminato e ho urgenza di uno nuovo. Chissà perchè, quando sono in giro, mi piace annotare quello che vedo.
Negozi di Chowk.
Chiedo informazioni a destra e a manca, mi mandano da una parte e poi dall’altra. Un uomo attento, che mi stava tenendo d’occhio, finalmente mi fornisce le indicazioni giuste. Non trovo altro, però, che un quaderno per tenere i conti, con le colonne per trascrivere numeri e dati, ma mi accontento.
Negoziante.
Gironzolo ancora per quella zona: c’è la parte dedicata ai tessuti e ai sarees, quella degli utensili per la casa, delle stoviglie, dei mobili, delle bevande, dei ristoranti e delle tea-stall. Seguo il corteo funebre che sta passando sulla strada principale e s’infila in una gali. Va senz’altro al Manikarnika per il vicolo più breve, ma è troppo veloce e io mi distraggo facilmente a guardare intorno. Rivedo il mercato vegetale più importante e imbocco un’altro viottolo. Mi ritrovo nella zona demolita, con gli operai al lavoro sui muri diroccati.
La zona delle demolizioni estesa fino al grande ghat delle cremazioni.
Deduco che, il nuovo piazzale, senza più le vecchie case, arriverà fino al Manikarnika ghat.
Donna dell’Uttar Pradesh in pellegrinaggio.
Attraverso il ghat delle cremazioni, sempre in funzione e ovunque affollato; passo davanti al baba del sottopassaggio che sta cantando con un fil di voce. Mi siedo più giù a leggere un po’, ma arrivano immediatamente due studenti. Uno dei due è di casta bramina, ha 19 anni e studia commercio all’università. L’altro rimane in disparte, con l’aria insofferente, ad aspettare l’amico.
Donna del gruppo con il cartellino di Modi.
Più giù, mi fermo a parlare con un gruppo di pellegrini dell’Uttar Pradesh. Portano tutti il cartellino con il nome del primo ministro Modi che mi mostrano orgogliosi.
Barca con pellegrini vestiti di bianco.
Esco a Bangali Tola e noto che tutte le divinità dei tempietti sono vestite a festa. E’ per il Khumb Mela, mi dice qualcuno! Lì, tra i mendicanti c’è il mio Black baba, ma se ne sta andando via. Di fronte, dove distribuiscono il cibo a tutti, pellegrini e mendicanti, ora, un uomo sta pulendo la grossa pentola. Noto che è nuova ed è fornita di un mestolo a motore. Più giù, incrocio una delle tante coppie di sposi. Questa, sta attendendo i parenti che stanno arrivando dalla scalinata del Dashashwamedh ghat.
Bangali Tola, 14 febbraio 2019. Sposa.
Di sera, ceno al Chousati ghat con 4 melanzane fritte, due banane, un sacchetto di arachidi. In lontananza, sul Raja ghat, sono comparse due nuove tende. Da una esce del fumo da entrambe le aperture. Vado a vedere di che si tratta e scopro che c’è un baba che sta cucinando sul fuoco di sterco.
Varanasi, Rana ghat, 14 febbraio 2019. Fumo dalla tenda dei baba.
Lì, incontro il barcaiolo del Dashashwamedh ghat che mi fornisce sempre delle interessanti informazioni. Questa sera mi parla dell’eccezionale numero di baba arrivati da Allahabad per il Khumb Mela. “E ne arriveranno ancora, domani e nei prossimi giorni”! mi dice sorridendo, mostrandomi i suoi denti rossi, corrosi dal paan.
Varanasi, 15 febbraio 2019
Stamattina presto è piovuto abbondantemente, ma sui ghat ci sono ugualmente dei pellegrini e nuove tende di sadhu. Nell’aria si respira un odore di fumo che proviene dai numerosi fuochi accesi accanto alle tende e non solo. A tratti, però, l’odore dell’ urina, fatta scorrere dalla pioggia, si fa sentire, più forte degli altri.
Varanasi, 15 febbraio 2019. Dopo la pioggia, lungo i ghat.
Ha smesso, da poco, anche la pioggerellina, ma fa freddino, il cielo è nuvoloso ed è calata una sottile nebbia. Sotto la sporgenza, rimasta asciutta, di un palazzo del Chousati ghat ci sono tre baba che oziano infreddoliti, seduti sulle pietre e avvolti nelle coperte. Il ritmo sui ghat, dopo la pioggia pare più lento del solito. Sadhu panciuti e altri magrissimi, vecchi e giovani, a volte vestiti soltanto di vistose collane vanno su e giù per i ghat scalzi o in ciabatte, oppure se ne stanno rintanati accanto al fuoco delle loro tende.
Accampamenti di sadhu lungo i ghat.
Verso Sud, dopo il Kedar ghat, si apre una distesa di accampamenti, con ripari di tutte le dimensioni e di svariati colori. All’Harishchandra ghat noto per la prima volta delle gabbie di ferro che servono per contenere le pire. Accanto a quella che sta bruciando, vicino al passaggio, ci sono delle caprette che brucano della paglia: una ha una maglia addosso e un’altra è vistosamente gravida.
Harishchandra ghat, 15 febbraio2019. Caprette accanto ad una pira che brucia.
Mentre me ne sto seduta su una gradinata, poco più giù, mi si avvicina un ragazzo che lavora al ghat delle cremazioni. Mi dice che la sua è un’attività antica che la sua famiglia svolge da sette generazioni. Mi parla poi dei numerosissimi sadhu arrivati a Varanasi. “Non sono quelli i veri sadhu” mi racconta “quelli veri stanno negli ashram e si vedono raramente sui ghat. Le ricche famiglie da cui provengono e altre persone benestanti, fanno delle continue donazioni, che servono al loro mantenimento. Naturalmente, il ragazzo chiede anche a me di fare una donazione, senza dirmi il motivo.
Sadhu lungo i ghat.
Guardo i diversi tipi di baba arrivati qui a Varanasi per il Khumb Mela: ci sono quelli vestiti di giallo, quelli cosparsi di cenere, quelli che girano nudi, quelli con soltanto il perizoma, quelli con dei gingilli appesi al lingam , quelli con i capelli infeltriti e quelli con una specie di chignon da un lato della testa. Alcuni diventano aggressivi e ostili se non dai loro dei soldi e altri, invece, che continuano a chiedere e richiedere, educatamente, la carità.
Interno di una tenda con sadhu.
Sono quasi le due del pomeriggio e, forse, sta spuntando il sole e la nebbia si sta alzando. Ora si può vedere un po’ l’altra sponda del fiume. Di là, di fronte al Kedar ghat, ci sono non più di quattro-cinque tende, mentre più su, ce n’è qualcuna in più. Qui, sulla sponda Ovest del fiume, al Chet Sing ghat, gli accampamenti finiscono.
Accampamento di sadhu nei pressi dell’Harishchandra ghat.
Osservo la cura che i sadhu dedicano al loro habitat: lasciano le calzature fuori dalla tenda, mettono i tappeti in terra e appendono le immagini dei guru o degli dei a cui fanno riferimento, costruiscono il focolare sul davanti o all’interno e puliscono continuamente tutto intorno.
Qualche donna sadhu lungo i ghat.
Raramente si vedono delle donne tra i sadhu, ma ce n’è qualcuna. Esco dal lungo fiume prima del Kedar ghat e imbocco, ormai sicura, la gali giusta. Incrocio un numeroso gruppo di pellegrini del Rajasthan che sta tornando dal Gange che si ferma a salutarmi.
Gruppo di pellegrini del Rajasthan nella città vecchia.
Più tardi, torno sul Gange attraverso la città vecchia di Bangali Tola, ma quando scendo al Dashashwamedh ghat inizia a piovere e, tutta inzuppata rientro veloce in guest-house. Dopo un po’ torno su ghat, e dal vicinissimo Chousati passeggio lentamente guardandomi intorno, supero il Dashashwamedh e vado un po’ più su. Guardo un barbiere che, senza clienti, si guarda allo specchio e approfitta per sistemarsi i baffi.
Barbiere sui ghat.
Rivedo il mio amico baba che suona il tamburello su un sopralzo. E’ arrivato oggi chissà mai da dove. Lui mi riconosce e mi saluta con un largo sorriso, ma sta ricominciando a piovere e corro a ripararmi sotto la passerella che porta al serbatoio dell’acquedotto.
Puja serale sotto la pioggia al Dashashwamedh ghat.
La pioggia s’intensifica, ma gli spettacoli delle puja e gli show dei baba continuano. E il pubblico rimane lì, sotto la pioggia, a guardare.
Varanasi, 16 febbraio 2019
C’è uno strano silenzio questa mattina. Dalla finestra della mia stanza guardo verso il Gange: è completamente avvolto dalla nebbia. Non si sentono nè i soliti ronzii delle barche nè le allegre voci dei pellegrini che trasportano. Pian piano, man mano che le ore trascorrono, la nebbia si alza e compare un raggio di sole.
Sotto i pilastri del Dashashwamedh ghat. 16 febbraio 2019.
Alla Tea-stall del Rana ghat fa già caldo quando scendo. Dal gradino, coperto da una striscia di stoffa malandata, dove sto seduta, guardo i turisti che mi passano davanti con i loro grandissimi teleobbiettivi appesi al collo. Io, scatto le foto soltanto con il cellulare che non funziona quando c’è troppa luce o quando ce n’è poca.
Oggi cammino nella direzione Nord dei ghat. Sono le 10:00 e il baba con lo scopetto è già all’opera, mentre l’anziano Black baba del Manmandir ghat sta ancora dormendo, disteso sulle pietre. A momenti mi fermo ad osservare quello che sta avvenendo intorno. Ad un tratto due donne e un uomo del Panjab si fermano per parlarmi.
Donne del Panjab al Khumb Mela.
Una di loro, in particolare, mi spiega delle cose, ma io non capisco e ripeto meccanicamente quello che lei mi dice. E se ne vanno via contenti!
La giornata è diventata splendida: guardando in giro, in alto, verso il fiume e in tutte le direzioni si vedono panni stesi dappertutto: sulle staccionate, sulle ringhiere, sui pali delle barche. E’ sabato e per il week-end sono previsti numerosi arrivi per il Khumb Mela. Fotografi, venditori di collane, di immagini sacre, fischietti, girandole, cinture e cibi paiono raddoppiati rispetto ai giorni scorsi. Uno dei bambini-dvinità è già sui ghat, ma è distratto dal suo ruolo di mendicante e sta giocherellando con una ragazza che vende collane. Sopra la gradinata di un palazzetto, su un terrazzino stanno facendo esercizi ginnici: vado a vedere. Già sul terrazzino coperto di foglie mi urlano di togliermi le scarpe. Lì, effettivamente c’è uno stanzino buio denominato “Club dei ginnasti” o qualcosa di simile.
Il club dei ginnasti sopra il Dashashwamedh ghat.
Guardo giù verso il Gange: è più pieno che mai di barche a remi e a motore cariche di pellegrini che vanno e vengono. Sembra strano, ma sugli stessi percorsi, ogni volta, vedo delle cose nuove.
Manmadir ghat, 16 febbraio 2019. Il bambino-divinità.
Al Manikarnika, il ghat delle cremazioni, scopro un edificio con numerosi, altissimi, camini d’acciaio: è il forno crematorio coperto. Salgo la gradinata di quell’edificio e mi affaccio allo stanzone: qui ci sono due file di gabbie di ferro, vuote, ognuna collegata direttamente al camino. Una pira soltanto sta ardendo.
Varanasi, 16 febbraio 2019. Il forno crematorio del Manikarnika ghat.
Più sotto, vicino al passaggio, mi accorgo che ci sono delle altre gabbie, uguali a quelle che ho visto ieri nell’altro ghat delle cremazioni, ma paiono non in uso. Invece, laggiù, vicino al fiume ci sono delle pire a catasta che stanno bruciando. Qui, in questo ghat, c’è sempre un via vai di barche che trasportano legname, di uomini che lo caricano sulle spalle e lo portano dove stanno le bilance.
Manikarnika ghat, 16 febbraio 2019. Mungitura.
Ci sono le solite capre e i cani che girano liberi mentre le mucche e i vitelli stanno legati con una corda ai ganci dei muri. Mi giro a guardare una mucca e vedo un uomo, accovacciato accanto a lei, con un secchio tra le ginocchia, che la sta mungendo. Tutto intorno, si vede gente diversa: sono i parenti maschi dei defunti da cremare. Ci sono anche delle persone fisse che girano qui, attente a catturare i turisti e a trascinarli in varie tipologie di business.
Puja al Manikarnika ghat.
Sotto il colonnato del tempietto laggiù stanno celebrando una puja con i parenti uomini del defunto che, nel frattempo, hanno lasciato all’esterno.
Manikarnika ghat, 16 febbraio 2019. La celebrazione della puja con la salma depositata all’esterno.
Lungo il passaggio, seduto su un’altura, un vecchio baba, mezzo nudo, sta prendendo delle piccole cose da un pentolino di ottone per mostrarle alla gente che passa, chiedendo l’elemosina.
Il baba del Manikarnika ghat.
Saluto tutti i baba che incrocio: in particolare quelli anziani. Mi piace quello del sottopassaggio perchè se ne sta sempre lì, tranquillo e anche il Black baba del Manmandir ghat perchè è sempre arrabbiato. Mi è simpatico anche il sadhu della scuola di yoga che mi odia da quando ho messo in dubbio le sue contraddizioni.
Passerella al Manmandir ghat.
Al tranquillo Ganga Mahal ghat mi siedo all’ombra a leggere un po’. Quando torno indietro, il vecchio baba è ancora lì, ma il piattino con i soldi delle elemosine ora è vuoto. Uscendo dal Manikarnika, alcuni indiani mi urlano di fare attenzione e di spostarmi verso il Gange. “Cosa avrò mai combinato?”, penso tra me e me. Alzo gli occhi e vedo degi operai che stanno demolendo il palazzo a fianco e lasciano cadere i pezzi di mattoni sul ghat, proprio sul passaggio. “Qui verrà costruito un grande piazzale” mi dice un indiano che sta ad una delle numerose Tea-stall del ghat. Sentire queste conferme e vedere in atto queste demolizioni provocano in me una gran dolore, ma anche qui, probabilmente sta avvenendo lo scempio che è stato fatto da noi negli anni ’50 e ’60.
Passerella al Dashashwamedh ghat.
Oggi scopro un’altra novità sui ghat. Dal fiume in secca sono emerse delle passerelle di plastica che vengono utilizzate per collegare le barche ai ghat Manmandir e Dashashwamedh. Veramente io non me n’ero accorta che ci fossero e pensavo le avessero appena posate. Percorro i due ponticelli prefabbricati, a doppia corsia, in lungo e in largo e ammiro il panorama sui palazzi più lontani e quello verso l’altra sponda, più vicina. Mi stupisce il fatto di essermi accorta soltanto ora dell’esistenza di questi ponticelli!
Donna sadhu.
Pranzo con Alina, l’ex ragazza di mio figlio e il suo nuovo boy-friend. Sono entrambi del Kazakistan. Scegliamo un ristorantino di Godowlia dove andavamo spesso proprio con Simone, mio figlio. E’ piacevole stare con loro perchè amano la cultura e sono molto educati. Con le persone che usano l’inglese come seconda lingua mi è più facile comunicare che con quelli di lingua madre, ma me la cavo.
Vedova al Khumb Mela insieme ad un pellegrinaggio di Delhi.
Nel pomeriggio torno sui ghat, ma si è alzato un po’ di vento e la temperatura è scesa in un attimo. E sono solo le 16 e 30!
Varanasi, 17 febbraio 2019
Dalla guest house vado a Godowlia percorrendo soltando le gali. Devo prelevare dei soldi al bancomat per cambiarli in dollari con Alina. Ho una scorta di euro per l’Iran, ma nel dubbio che possano accettare soltanto dollari, preferisco avere una riserva anche di quelli. Ho saputo da poco che, in Iran, non accettano le nostre carte né di credito né di debito, ed è un bel problema! Lungo la gali incrocio una capra vestita con un pullover beige, senza maniche, che sta riposando distesa su una pietra. Più avanti, incontro una donna musulmana con un bambino per mano: indossa il burqa, l’abito nero che copre il corpo dalla testa ai piedi, lasciando liberi soltanto gli occhi. Se ne vedono parecchie di donne vestite così, a Varanasi.
Godowlia, 17 febbraio 2017. Pellegrini, sempre in fila, per il Vishwanath Temple.
Dal viottolo, sbuco proprio davanti alla banca del J&K e, dopo il prelievo, mi fermo a guardare un gruppo di pellegrini del Rajasthan, seduti a far colazione su una panca.
Accampamenti e pellegrini all’Harishchandra ghat. 17 febbraio 2019.
Proseguo sulla Sonarpura road fino a quando vedo indicato l’Harishchandra ghat e mi addentro sul lungo fiume.
Le tende dei sadhu sono concentrate maggiormente intorno a questo ghat delle cremazioni. I nuovi arrivi sono moltissimi e i ripari continuano ad aumentare.
Momento del cjai in una tenda di sadhu, nei pressi dell’Harishchandra ghat. 17 febbraio 2019.
Ogni tenda ha davanti il focolare costituito da un contorno in cemento, con i bordi rialzati per trattenere la legna e la cenere. I fuochi sono quasi tutti accesi e di fronte al focolare, all’interno delle tende, stanno seduti alcuni sadhu, quasi sempre nudi e ricoperti di cenere.
Esterno di una tenda, con bicicletta, nei pressi dell’Harishchandra ghat.
Tra i sadhu ci sono parecchi giovani, anche stranieri che insieme ai numerosi anziani costituiscono un notevole numero di persone che stanno vivendo una dimensione alternativa. Dirigo lo sguardo verso l’alto e anche in questo ghat oggi noto, per la prima volta, due enormi camini d’acciaio che s’innalzano rigogliosi, sul tetto dell’edificio delle cremazioni.
Il crematorio dell’Harishchandra ghat.
Proprio qui, incontro il mio amico canadese impegnato a disegnare un movimentato angolo dell’Harishchandra ghat. Più giù, finalmente vedo delle altre donne sadhu, vestite con dei teli arancione avvolti intorno al corpo.
Donna sadhu al Khumb Mela.
Sono anziane e molto raffinate nel modo di relazionarsi. Più avanti, in una tenda, ne incontro altre due, una delle quali molto esigente sulla richiesta di denaro per lasciarsi fotografare. E’ particolare: ha il volto molto colorato, porta diverse collane ed ha i capelli o la parrucca raccolti in una specie di grande turbante. E’ molto spontanea ed anche simpatica.
Donna sadhu che vuole dei soldi per farsi fotografare.
Pranzo anche oggi con Alina e il suo ragazzo e scegliamo di andare a Godowlia, in un altro ristorante che conosciamo da tempo. In quella zona c’è sempre un grande caos e, come tutti i giorni le file per visitare il Vishwanath Temple sono infinite. Per il cjai torniamo a Bangali Tola e poi accompagno i due ragazzi a visitare la zona delle demolizioni.
Giovane donna che allatta nella zona della spianata.
Attraverso un contorto giro di gali, dopo lo spianamento, ci ritroviamo all’altezza di Chowk. Torniamo a Godowlia percorrendo la Main street e a Bangali Tola ci separiamo.
Torno sui ghat a guardare le barche dei pellegrini, i gruppi seduti qua e là, le capre, i cani e le mucche che gironzolano e, su nel cielo, gli stormi degli uccelli e gli aquiloni che volano indisturbati. Sento delle urla rivolte verso di me. Mi stanno avvertendo che è in arrivo un enorme bufalo nella mia direzione e riesco a scansarlo appena in tempo.
Pellegrini del Madhia Pradesh.
Sono ferma all’inizio della scalinata che porta alla lunga terrazza del Tripura Bharn ghat e vorrei tornare lassù a sedermi un po’.
Il guru della Malesya al Khumb Mela.
Ma proprio qui vedo risalire dal Gange un corteo al seguito di un guru giovane, grande e grosso, con una folta barba nera, vestito di rosa e rosso, con un cappellino in testa, addobbato di collane e bracciali. Lo seguono diversi uomini vestiti in modo accurato, con il “Kurta”, il bianco pigiama tradizionale indiano. “Veniamo dalla Malaysia, “mi dice uno del gruppo, “per il “Khumb Mela”. Lo stesso uomo, ordina al guru di fermarsi e lasciarsi fotografare. Lui si mette in posa, sorride, si gira in tutte le drezioni come fosse un divo. Poi, la stessa persona, si rivolge ad una donna del gruppo per dirle di lasciarmi il biglietto da visita del guru. Lei, apre una borsetta elegante di pelle nera e me lo porge. Su c’è la foto del guru con sotto un grande simbolo che ricorda il Lingam di Shiva con il nome del gruppo scritto intorno e, di seguito, tutti i riferimenti per contattarlo.
Donna del Madya Pradesh.
Non salgo più sulla terrazza sul Gange perchè me ne dimentico.
Guru al Dashashwamedh ghat.
Mi fermo a parlare con dei pellegrini del Madhia Pradesh e poi, con altri del Rajashan e con altri ancora dell’Andra Pradesh.
Dal Madhia Pradesh.
Da qualsiasi parte dell’India arrivino, dal Nord al Sud, dall’Est all’Ovest, sono sempre tutti fieri di spiegarmi in quale Stato si trova il loro paese o la loro città.
Benedizioni della sera nei pressi del Dashashwamedh ghat.