Sono a Varanasi da due giorni e ho incontrato Simone, mio figlio che in questo periodo vive praticamente lì. Questa parte dell’India mi piace perché è molto intensa e ricca di spiritualità!
India, Varanasi. Lungo le stradine della Old town.
Il viaggio da Kathmandu è stato lungo ed anche faticoso: in autobus fino a due kilometri dal confine, poi in ciclo-risciò fino alla cittadina indiana di Sunauli, quindi, autobus fino a Gorakhpur. Qui c’è la prima stazione ferroviaria indiana e ho preso il treno notturno in vagone letto fino a Varanasi. L’amicizia con Jemma e Sam, due ragazzi australiani incontrati sulla corriera già a Kathmandu, è stata piacevole e di sostegno reciproco durante tutto il tragitto.
India, Varanasi. Panorama dalla terrazza della Brahamdev Ashram guest house
Dalla stazione ferroviaria di Varanasi ci siamo lasciati condurre all’hotel che, con molta insistenza, ci ha indicato il guidatore del motorisciò. Questo aveva anche un aiutante che gli sedeva accanto. Sono abilissimi a portarti dove vogliono loro, cioè dove hanno i loro accordi. Oggi, comunque, mi sono trasferita nell’alloggio di Simone, alla Brahamdev Ashram guesthouse che si trova vicino al Chausatti ghat, nella città vecchia. In passato, era un Ashram, un luogo di meditazione, ed i proprietari sono i bramini del tempio che sta accanto. Al piano terra, difatti, c’è un via, vai continuo di fedeli che attendono di essere ricevuti dal bramino anziano o dal figlio che sarà il suo successore. Il bramino anziano, in particolare, riceve continuamente gente, ascolta, parla, canta, brucia incenso producendo coltri di fumo. Gira spesso intorno ad un simbolo disposto al centro di una stanza e distribuisce benedizioni dipingendo un segno rosso sulla fronte, tra gli occhi dei fedeli. E’ il tilak, il simbolo del terzo occhio, quello che ti permette di vedere la realtà, al di là delle apparenze. Una sera partecipo con Simone alla cerimonia funebre organizzata in ricordo del fratello del bramino, morto circa una settimana prima. I bramini rappresentano il livello più alto del sistema delle caste che ancora è ben presente in India. Si distinguono dagli altri perché portano i capelli rasati e lasciano soltanto un ciuffetto sulla nuca: indossano, inoltre, un triplice cordone beige, che mettono a tracolla, a contatto con la pelle. Molti indiani portano soltanto il cordone, ma questi non sono bramini, anche se più volte mi è capitato di sentirli dichiararsi tali; sono soltanto dei fedeli che per qualche ragione di fede indossano il cordone. Qui, nell’abitazione del bramino defunto è esposta una sua gigantesca foto incorniciata con dei lumini accesi accanto. La cerimonia fa parte di un rituale indù ed ha lo scopo di liberare il defunto dai legami terreni che ancora lo trattengono! L’atmosfera della casa è molto serena, ma le donne non partecipano alla cerimonia. I figli del defunto ci accolgono con molta cordialità e ci invitano a prendere posto intorno alle pareti di una stanza. Ci sediamo in terra con le gambe incrociate e attendiamo: subito dopo arrivano i figli, sereni e sorridenti, con degli enormi secchi bianchi fumanti. Con un ramaiolo dorato ci versano il riso e le salse sulle foglie di banano che teniamo tra le mani. Qui, in India, per rito, si mangia con le mani e precisamente con la destra. Non è un’impresa facile! Bisogna separare un mucchietto di riso, appallottolarlo, intingerlo nella salsa e portarlo alla bocca senza farlo cadere!
Varanasi, celebrazione di rituali al Dasaswamedh Ghat.
A Varanasi dedico molto tempo a gironzolare tra le stradine della città vecchia per osservare i ritmi di vita delle persone e degli animali. Ci sono vacche, vitelli e tori che camminano tranquillamente per i viottoli e lungo i ghat: vagano sempre alla ricerca di cibo che trovano tra le immondizie oppure sulle bancarelle dei venditori.
India, Varanasi. Ristorantini di strada lungo le stradine della città vecchia.
A sera si distendono ovunque, preparandosi per la notte. Questi animali, qui a Varanasi, ma in tutta l’India, sono molto rispettati, accarezzati, baciati, venerati. Un po’ dappertutto, si incrociano cani affamati che si accoppiano e si riproducono in continuazione. Dalle finestre della mia camera posso ammirare la distesa rossastra delle tegole dei tetti intervallati dal bianco cemento intonacato delle terrazze; sono i luoghi abitati dalle scimmie, di tutte le età, che insieme ai loro piccoli si arrampicano e saltano qua e là, sempre in cerca di qualcosa da mangiare. Riescono a recuperare cibo continuamente e ovunque, con grande rapidità.
Varanasi, vendita di prodotti per le puja.
Camminando per la città vecchia un giorno mi fermo in una zona sempre affollata da pellegrini e, soprattutto, brulicante di militari e guardiani. E’ l’ingresso al Wishwanath Temple, il tempio indù chiamato anche Golden Temple. I non indù non possono accedere al tempio vero e proprio, ed a tutti è vietato portare all’interno macchine fotografiche e cellulari. Entro porgendo anch’io, come gli altri visitatori, una composizione di collane di foglie e fiori: la offro ad uno dei variopinti santoni che stanno lì seduti, in attesa dei fedeli. Rimango un po’ ad osservare questi personaggi che distribuiscono benedizioni e predicono il futuro; alla fine non posso non ricevere anch’io una simpatica veggenza!
Varanasi, veduta da una tea-stall della città vecchia.
Oggi è il 12 settembre ed è il mio compleanno! Una gran bella giornata! Pranzo con Simone nel ristorantino economico della città vecchia dove servono un buonissimo Dhal, il piatto fondamentale della cucina indiana a base di lenticchie che si consumano accompagnate da riso del tipo basmati, cotto a parte e servito in bianco. Nel piatto ovale d’acciaio a più incavi, assieme al Dhal mettono anche delle fette di pane, il chapati, e pure altre verdure cotte, sempre diverse. Dopo il pranzo ci spostiamo, come ogni giorno, nella vicina sala da tè per bere il garam chai, un tè caldo con molto latte e zucchero. Seduti sulla panca, dalla porta che dà sul viottolo salutiamo tutti i giorni la signora che lavora affacciata alla finestra. Stira e piega continuamente: sari, camice, tovaglie e lenzuola, senza un attimo di sosta. Per stirare usa un vecchio ferro riscaldato con delle bronze di carbone.
India, Varanasi. Bottega di una stiratrice nella città vecchia.
Qualcuno ci racconta che una quarantina di anni fa, sia lei che il marito, erano poverissimi. Con un duro lavoro, soprattutto per gli alberghi, con il marito che lavava i panni nel Gange e li stendeva lungo la riva ad asciugare e la moglie che li stirava, sono riusciti a costruirsi una grande casa che dista poco lontano dal centro.
India, Varanasi. Asciugatura dei sari lungo le rive del Gange.
Nella sala da tè ci raccontano, inoltre, che qui in India sono ancora le famiglie a combinare i matrimoni dei figli. La negoziazione di un matrimonio è una faccenda che va per le lunghe con più incontri per concordare la dote. La dote di una donna indiana si compone di due parti. In primo luogo ci sono il corredo e i suoi gioielli personali che rimangono di sua proprietà. E in secondo i regali che porta alla sua nuova famiglia ed a quella del bramino che celebrerà il matrimonio. Questa tradizione riguarda tutte le caste, dalla più alta alla più bassa e, una volta celebrato il matrimonio, la donna abbandona la casa materna per entrare a far parte per sempre della famiglia del marito. Qualche giorno fa un giovane massaggiatore che ho incontrato sulle gradinate del Dasaswamedh gath, mi aveva raccontato che nove anni fa aveva avuto una storia d’amore con una ragazza coreana, massaggiatrice pure lei, dalla quale è nato un figlio. Quando si è rivolto al padre per chiedergli l’autorizzazione a sposare la giovane, questi l’ha messo di fronte alla scelta tra il non sposare la ragazza e rimanere nella casa di famiglia o l’opposto. Lui ha scelto di rimanere nella casa del padre, ma ha mantenuto i contatti con la donna che ora vive in Corea con il figlio. Questa giovane sta per tornare a Varanasi con il bambino; vi rimarrà per un lungo periodo in quanto desidera avere dal ragazzo un altro figlio. In questi anni, nel frattempo, il giovane ha accettato un matrimonio di famiglia: ha una figlia piccolissima e la moglie di nuovo incinta. Ci spiega che le due situazioni sono giustificate in India, in quando il suo matrimonio è stato deciso dalla famiglia.
Varanasi, il Dasaswamedh Ghat di prima mattina.
Terminato il garam chai’ e salutati i nostri numerosi amici della tea room, Simone ed io, c’incamminiamo verso il lontano tempio dedicato alla Dea Dourga, la divinità induista raffigurata come una donna che cavalca una tigre, con numerose braccia mani che impugnano diversi tipi di armi. Questa Dea, festeggiata a Varanasi in questi giorni, rappresenta l’incarnazione dell’energia creativa femminile ed ha in se entrambi i poteri di creazione e distruzione. La zona intorno al tempio è abitata da gente poverissima che vive in un gruppo di catapecchie polverose, simili a pollai, e da altre persone che se ne stanno giorno e notte accucciati lì, intorno al tempio. Il parco di baniani che c’è all’esterno dell’edificio è zeppo di immondizie di ogni genere. L’interno del tempio, invece, è accogliente e curato. Il Festival dedicato a Dourga è in pieno svolgimento nell’intera città, ma qui, il suo tempio diventa particolarmente significativo per l’evento. E’ affollatissimo ed è molto suggestivo per le coloratissime file di uomini vestiti di bianco, arancione o giallo attorniati da mandrie di donne coperte con sari di tutti i colori. Sotto un porticato, dentro ad un enorme pentolone, alcuni uomini sono indaffaratissimi: stanno preparando il ghee, il burro fuso, per il rituale che ne prende il nome. Da un’altra parte del tempio c’è una grossa calca di pellegrini impegnati a recitare una serie di mantra. Altri fedeli si stanno spingendo verso uno sfarzoso altare per poi inginocchiarsi lì davanti, a turno, a pregare e baciare e ribaciare le immagini della Dea. L’atmosfera è molto suggestiva e coinvolgente!
Varanasi, il bagno delle donne.
C’è una grande afa oggi: la temperatura sta sfiorando i 40 gradi. Decidiamo di prendere un risciò e concordiamo il prezzo con uno dei tanti conduttori che stanno lì fuori dal tempio. Percorriamo un breve tratto, ma il conduttore fa troppa fatica a respirare. Ci sentiamo a disagio, non abbiamo il coraggio di proseguire: gli chiediamo di fermarsi e scendiamo molto prima del previsto!
India, Varanasi. Pellegrini in arrivo per il Festival del 16 settembre 2014.
E’ il 16 settembre e sono ancora a Varanasi! Oggi sta piovendo a dirotto: le stradine ed anche la via principale in un attimo si sono trasformate in grossi torrenti impercorribili da qualsiasi mezzo. In un arco di tempo brevissimo, non più di un’ora, smette di piovere, le stradine via, via, dalle più alte a quelle più in basso si asciugano e tutto ritorna velocemente alla normalità. Ieri sono stata al Manikamba ghat, dove si svolgono maggior parte delle cremazioni. E’ stato molto toccante, in particolare, venire a conoscenza che negli edifici adiacenti stanno gli anziani che vengono lì ad aspettare la morte. La persona che mi ha fornito queste informazioni aveva i capelli tinti di un giallo rossastro e masticava, come tanti altri, il paan, la stimolante miscela di foglie di betel, di noce di areca e di altri ingredienti che macchia di rosso la bocca e i denti delle persone. Mi ha chiesto di donare 300 rupie per comprare la legna necessaria per cremare un povero. Ne avevo solo 2.80, l’equivalente di 3.50 euro e glieli ho dati. Forse sono piccole truffe, chissà!
Varanasi, il Manikanka Ghat, il ghat principale delle cremazioni.
E dalle informazioni ricevute in seguito scoprirò che è stato proprio così! Non ci sono, non esistono proprio gli ospizi per i poveri qui! Ci sono delle case di riposo negli edifici lungo il Gange, ma soltanto per gli Shadu, gli uomini vestiti di giallo e arancione, i santoni, i seguaci di Shiva. Questi, il più delle volte, appartengono a delle famiglie ricche e per loro scelta hanno deciso di vivere in povertà; alla loro vecchiaia provvedono economicamente sia le loro famiglie d’origine sia i proventi che arrivano dalle donazioni in loro favore. Per i poveri di tutte le età, lungo la parte centrale della Main Road, c’è sempre qualcuno che cucina e distribuisce gratuitamente i pasti, due volte al giorno, all’ora di pranzo e verso sera, per la cena.
Varanasi, la mensa dei poveri lungo la Main Road.
Nonostante non manchi il cibo, lungo tutta la città vecchia e ovunque, s’incontrano continuamente persone che chiedono con insistenza l’elemosina mimando il gesto della fame. Molti di loro sono mutilati, alcuni sono stati storpiati alla nascita per favorire l’offerta delle elemosine, ma molti di loro lo sono diventati in seguito alle amputazioni causate dalla lebbra.
Varanasi, il festival del Durga Puja.
I giorni scorsi, prima del Dourga Puja ci sono stati degli altri grandi pellegrinaggi qui a Varanasi. Gruppi di donne ed anche di uomini con i loro figli dagli occhi bistrati in braccio sono arrivati sulle rive del Gange per il Festival dedicato alla fertilità ed al good luck dei bambini! Ora è ancora in pieno svolgimento il Festival del Dourga Puja, le celebrazioni in onore della Dea dalle 10 braccia. Le sue statue e quelle del suo seguito vengono preparate e decorate in laboratori appositi. Dopo essere state adorate per cinque giorni, vengono portate in processione su dei camion, o dei risciò lungo le vie della città. L’ultimo passaggio della cerimonia riguarda l’arrivo delle statue al Dasaswamedh gath, il maggiore dei ghat, e il loro trasferimento sulle barche che le porteranno al largo per immergerle poi nel fiume. In questo periodo, il Dasaswamedh gath già alle 7.30 di mattina è affollatissimo di pellegrini provenienti da ogni parte dell’India. Arrivano sulle gradinate del Gange, fanno il bagno e poi si recano a pregare al Golden Temple. Nel piazzale e lungo le scalinate dei ghat ci sono numerosi guru che tengono dei corsi di rituali.
India, Varanasi. Lezioni di rituali al Ghat.
Ogni gruppo affronta una tematica diversa, sempre legata al trascendente: molti di questi riguardano la ricerca di un contatto con i familiari da poco estinti. Ci sono molti bramini tra gli allievi dei guru ed anche molte donne che stanno lì, forse soltanto accanto ai loro mariti! Le donne indù di qualsiasi casta o fuori casta, sono sempre molto curate nel loro aspetto. Hanno i piedi e le mani dipinti di cinabro; portano molti ninnoli alle caviglie e tanti anelli alle dita dei piedi, delle mani e lungo il bordo delle orecchie. Stanno sempre avvolte nel loro sari che le coprono dalla testa ai piedi, anche quando s’immergono nel fiume. Dopo il bagno, si tolgono gli abiti incollati, con molto pudore, per indossarne degli altri, asciutti, simili ai precedenti. Gli uomini, invece, quando stanno sulle rive del Gange, sono tutti seminudi: indossano soltanto una lunga striscia di stoffa leggera che avvolgono intorno ai fianchi e con i lembi presi all’altezza delle ginocchia, fatti passare tra le gambe e arrotolati sulla vita formando una specie di mutandone, che accorciano o allungano a loro piacimento: il dhoti. Terminato il tempo dei rituali, quasi tutti gli uomini si rivestono con abiti comuni, simili a quelli indossati dagli occidentali e insieme ai familiari ed al loro gruppo di pellegrini se ne vanno verso il Golden Temple.
Varanasi, pellegrini in fila per accedere al Golden Temple.
Qui a Varanasi stanno per arrivare due fotografi da Roma che insieme a mio figlio dovranno realizzare un reportage sugli intoccabili addetti alle cremazioni.
Io me ne devo andare e così parto per Kolkata. In un immenso palazzo a colonne visito la ricca esposizione dell’Indian Museum, poi, raggiungo a piedi il Parco del Victoria Memorial, un luogo bello e ben curato che contiene uno degli edifici più grandiosi dell’India, costruito in ricordo della famosa regina. Qui, nel bellissimo parco, incontro un indiano di Varanasi che con modi molto familiari mi chiede informazioni sul mio viaggio e mi invita a sedere sulla panchina accanto a lui. In modo sempre affabile mi racconta che viene da Varanasi, che ha quattro figli ed è qui a Kolkata per cercare lavoro. Quando gli dico che la sera dopo vorrei andare a Darjeerling inizia a parlarmi assiduamente di quella città. Ha pronto un elenco scritto a mano delle cose interessanti da visitare lassù. Mi indica anche il nome di un buon hotel economico, che in seguito scoprirò essere inesistente. Terminato il suo racconto mi chiede 35 rupie per comprarsi una bibita, l’equivalente del costo di una Coca Cola o di una Pepsi. Fa molto caldo, lui ha parlato tanto per me e mi ha messa nella condizione di dovergli del denaro. Un episodio simile mi era già accaduto a Varanasi. Un indiano distinto nei suoi abiti tradizionali si era seduto vicino a me lungo la gradinata del Dasaswamedh gath parlandomi in modo amichevole di argomenti legati al trascendente. Ero convinta si trattasse di un dialogo alla pari, di una chiacchierata amicale, invece, alla fine, anche in questo caso la persona ha preteso un compenso, dicendomi che quello era il suo lavoro. Pensavo di aver imparato a prevenire queste situazioni, invece qui a Kolkata ci sono ricascata in pieno! E’ un po’ un’ossessione questa continua, abile, affinata richiesta di denaro!
Kolkata, abitazioni di strada.
Il giorno dopo, prima delle sette di mattina m’incammino verso il Centro fondato da Madre Teresa, il Mother Teresa’s Mission. Lungo le strade assisto al risveglio della gente che vive in strada, la osservo mentre si alza e, munita di asciugamano e sapone, va rassegnata a far la fila per lavarsi alle fontane pubbliche e poi vaga, sempre rassegnata, in giro per la città.
India, Kolkata verso le 7 del mattino per le vie del centro.
Sono tantissime le famiglie che vivono lungo i marciapiedi, in uno spazio reso abitabile soltanto da qualche telo steso per ripararsi dal grande caldo. Lungo la strada incrocio diversi carretti portati a mano da uomini che galoppano come cavalli. Sono gli uomini risciò: corrono velocissimi con i grossi carichi di persone e merci, ma io non avrò mai il coraggio di salirci su!
Kolkata, uomo-risciò.
Al Mother Teresa’s Mission mi mescolo ad un gruppo internazionale di volontari che sta entrando nella struttura: sono lì per la colazione e per essere poi condotti con dei mezzi nei vari centri. Una ragazza spagnola mi confida che a Kolkata se non fai volontariato non c’è nulla di interessante da fare.
Kolkata, verso le 7 del mattino.
Mi conferma che vale la pena di andare fino a Darjeeling, la cittadina situata su un crinale a 2134 metri di altitudine, tra le montagne dell’Himalaya, vicino al confine con il Nepal. Ci vado, naturalmente e mi piace molto! Il paesaggio tra le piantagioni di tè e le montagne innevate dell’Himalaya è incantevole!
India, Darjeeling. Panorama dalla Gandhi Road. Si intravedono la stazione ferroviaria del Toy Train e il Tempio indù sottostante.
Queste montagne il cui nome sanscrito significa dimora delle nevi, dove hima, é la neve e alaya la dimora, sono state da sempre il simbolo dell’aspirazione umana alla conoscenza del trascendente, a quello che rimaneva un immenso mistero divino. Lassù, tra quelle vette avvolte dalle nuvole e coperte da nevai e ghiacciai eterni, lassù su quelle cime stanno nascosti i segreti della saggezza e della serenità che solo alcuni uomini riescono a raggiungere.
India, Darjeeling. Festival del Durga Puja nel piazzale di Chowrasta, in cima alla collina.
Salgo lungo la riva che porta alla grande piazza di Chowrasta: in questi giorni la collina ospita il Festival del Dourga Puja che qui si festeggia qualche giorno dopo, rispetto a Varanasi. In occasione delle celebrazioni tutte le scuole del Bengala rimangono chiuse per cinque giorni e le famiglie indiane della media borghesia colgono l’occasione per trascorrere al fresco di Darjeeling una breve vacanza. Passeggiando per la cittadina osservo gli edifici coloniali, le chiese protestanti rigorosamente chiuse, i numerosi templi induisti e buddhisti sparsi un po’ dappertutto. Cammino fino al Mahakal Temple, un tempio che racchiude sia la religione buddhista che quella induista. Qui, un ragazzo nepalese mi dice di essere il bramino del tempio, ma non ha né cordone né rasatura con ciuffo; comunque è gentile e mi lega al collo il cordoncino rosso che ancora indosso.
India, Darjeeling. Vista panoramica dallo Stupa accanto al mercato.
Al Chowk Bazaar di Darjeeling ci vado spesso per lo più per osservare la gente, per guardare meravigliata i portatori e le portatrici che salgono lungo le scalinate e le stradine trasportando sulla schiena pesi notevoli, aiutandosi con un sistema di corde. La stazione ferroviaria, la Darjeeling Himalayan Railways, inaugurata nel 1881, con il suo Toy Train a vapore che è ancora in funzione per un breve tratto nel periodo dell’alta stagione, è tutelata dall’UNESCO.
India, Darjeeling.La stazione ferroviaria tutelata dall’UNESCO. In primo piano un portatore.
Dai monti di Darjeeling torno in jeep a valle, fino alla prima stazione ferroviaria importante: quella di New Japaiguri. Mi siedo per oltre un’ora su una panchina, all’esterno della stazione, in attesa del treno per Patna. Lì, tra il parcheggio brulicante di taxi e risciò e la sonnolenta stazione ferroviaria, proprio sul piazzale, ci stanno molte donne e numerosi bambini. I piccoli sono sporchi e completamente nudi e mostrano senza nulla nascondere la miseria umana nella quale vivono.
India, Darjeeling. Lo stand delle jeep. E’ una città situata a 2140 metri di altitudine, con strade dissestate e pochissimi mezzi pubblici.
Nel percorso in treno tra New Japaiguri e Patna incontro un simpatico gruppetto di giovani pendolari: uno di loro è un ingegnere che lavora presso le Ferrovie dello Stato, uno è un bancario, due sono dipendenti della pubblica amministrazione. Nel primo tratto del percorso viaggio soltanto con l’ingegnere: ha soltanto 24 anni e con il conseguimento della laurea e il suo posto di funzionario delle Ferrovie dello Stato rappresenta un motivo di orgoglio per la sua famiglia, anche in quanto il nonno paterno, in passato, aveva ricoperto un incarico simile. Il ragazzo, però, vorrebbe lasciare questo lavoro monotono e di routine, desidererebbe viaggiare, conoscere il mondo, vivere delle esperienze nuove, ma il padre non glielo consente. Parliamo a lungo del problema e riusciamo insieme a convenire che l’unica possibilità sarebbe quella di cercare delle opportunità di viaggiare attraverso il lavoro, ad esempio, con un’attività di ricerca sui sistemi ferroviari delle altre nazioni. Il ragazzo è molto contento di aver condiviso con me questa sua prospettiva di vita futura e quando arriva a destinazione mi saluta con molto affetto. Agli altri giovani, sopraggiunti nel frattempo, chiedo qualche informazione riguardo alla situazione politica attuale dell’India. Mi rispondono che nutrono molta fiducia nel nuovo governo conservatore, ed in particolare sul modo di operare dell’attuale Primo Ministro Modi. Narendra Modi, difatti, è risultato vincitore nelle recenti elezioni con il suo Partito Popolare Indiano, un partito che sta all’interno della coalizione di Alleanza Nazionale. Questi ragazzi, ma anche molti altri giovani indiani incontrati nelle varie città, sono certi che con Modi, la situazione economica e sociale dell’India subirà un grosso cambiamento in un arco di tempo compreso tra i cinque e i dieci anni. Riguardo al problema legato alla carenza della fornitura dell’energia elettrica che penalizza tutto il Paese, questi giovani, molto informati e competenti, appoggiano decisamente la scelta di incrementare l’utilizzo dell’energia nucleare in sostituzione delle attuali carenti fonti idrauliche e fossili. C’è una gran bel dialogo con questi giovani, riguardo al significato ed ai valori che scegliamo per le nostre vite, alle nostre conoscenze culturali e politiche, alle nostre reciproche letture. Prima di scendere, il più loquace del gruppetto mi trascrive i titoli di alcuni libri della letteratura indiana che, a suo parere, sono fondamentali per la formazione delle persone. Sono tre titoli con i rispettivi autori che in seguito scoprirò non essere stati tradotti in italiano, a parte, forse, quello scritto da Mahatma Gandhi, ma con un titolo diverso:
-“Mansarovar” short stories di Premchand Munshi;
– “The Story of My Experiments with Truth di Mahatma Gandhi;
– “The Wonder That Was India” di Arthur Llewellyn Basham.
Il gruppetto, compreso l’ingegnere, mi lascia a Katihar, molto prima di Patna, ma Nishu Jha ed anche gli altri, li ritrovo spesso in chat, su facebook.
India, New Japaiguri station. Bambini che vivono nella stazione ferroviaria.
Da Patna raggiungo la vicina Gaya con un altro treno e da lì, con un moto risciò collettivo arrivo a Bodhgaya, nello Stato Federato del Bihar. Qui c’è, un tempio buddhista importante, il Mahabodhi Temple, ed è fantastico!
India, Bodhgaya.Sabato pomeriggio del 18 ottobre 2014 al Mahabodhi Temple.
Costruito nel VI secolo dopo Cristo, distrutto dagli islamici nell’XI secolo il tempio è stato più volte ristrutturato. L’albero di Pipal o Bodhi Tree, sotto il quale il Buddha, l’Illuminato, riposò sette giorni per ottenere l’Illuminazione, cioè la rivelazione delle verità supreme. L’albero è immenso, ma non è l’originale: potrebbe, però, essere rinato da alcune talee da esso trapiantate. Il Mahabodhi Temple è anch’esso molto vasto: qua e là sotto gli alberi ci sono tantissime persone sole e numerosi gruppi di monaci e pellegrini in meditazione. Nei fine settimana, più che mai, arrivano delle coloratissime processioni di fedeli appartenenti alle più svariate culture e religioni.
India, Bodhgaya. Meditazioni sotto l’albero di Pipal o albero del Bodhi.
Camminano intorno al tempio in senso orario, cantano, pregano e si soffermano sotto il grande albero della Bodhi a raccogliere le foglie che lascia cadere. Rimangono poi lì seduti per molto tempo, in silenzio, in pace. Qui, nel tempio è proibito entrare con la macchina fotografica e con il cellulare. Noto con meraviglia che ci sono alcuni turisti che scattano delle foto e nei giorni successivi mi adeguo anch’io alle strategie da utilizzare per svicolare dai divieti. L’ultimo giorno mi scoprono e mi rimandano indietro, ma la soldatessa dell’ingresso mi concede di rientrare con il cellulare che utilizzo per fotografare. Il parco del tempio è vastissimo. Camminando lungo i viali scopro delle lastre con delle scritte: sono alcuni pensieri filosofici del buddhismo. Ne trascrivo alcuni, qua e là, tra gli spazi vuoti di un depliant che ho tra le mani.
India, Bodhgaya. Mahadodhi Temple, eretto nel VI secolo, raso al suolo dalle invasioni islamiche del XI secolo, ristrutturato nel 1882. Patrimonio UNESCO.
Li riporto nonostante qualche probabile imperfezione:
Senses subouded and assuredly accomplished. Agin in the peace and serenity of solitude; the learned joyful reside in the forest as they leave their youth behind (Individua Lliberation Sutra).
I sensi si sottomettono e sicuramente giungono al termine (giungono a completamento). Di nuovo nella pace e nella gioia della solitudine; i sapienti felici risiedono nella foresta mentre si lasciano alle spalle la loro giovinezza.
When the elephant of the mind is tightly bound with the rope of total mind fullness all fear will be gone and all virtues will fall into your hands. (Engaging in the Bodhisattiva Deeps)
Quando l’elefante della mente è strettamente legato con il filo della completa pienezza della mente, tutte le paure spariranno e tutte le virtù cadranno nelle vostre mani.
The three planes of existence are as transient, as autumn clouds; the birth and deadh of sentient beings is like watching theatrical shows. The lives of sentient beings pass like a flash of lightning; they swiftly pas away, like water plunging down a step fall (Sutra Requested by Lalitavistara).
I tre piani dell’esistenza si muovono come le nuvole autunnali; la nascita e la morte degli esseri senzienti è come guardare uno spettacolo teatrale. Le vite degli esseri senzienti passano come un lampo di luce; se ne vanno velocemente, come l’acqua che si tuffa in una ripida cascata.
Even gorgecus royal chariots wear out and indeed this body too wears out. But the dhamma of the good does not age; thus the good make it known to the good (The Buddha).
Perfino i magnifici cocchi reali e in verità anche questo corpo si logorano. Ma il dharma (la religione) dei buoni non invecchia; così il bene si fa conoscere al bene.
Indeed, he who moves in the company of fools grieves for lone association with fools is ever painful, like partnership with an enemy. But association with the wise is happy like meeting one’s own kinsmen (The Buddha).
In verità, colui che sta in compagnia degli sciocchi si affligge in solitudine, l’associarsi con gli sciocchi è sempre doloroso, così come l’associarsi con un nemico. Ma stare in compagnia dei saggi dona felicità, come incontrare un proprio congiunto.
By oneself is evil done; by oneself is one defiled. By oneself is evil left undone; by oneself is one made pure. Purity and impurity depend on oneself; no one can purify another (The Buddha).
Il male lo facciamo da soli; noi ci contaminiamo da soli. Il male viene lasciato incompiuto per nostra scelta; noi ci rendiamo puri da soli. La purezza e l’impurità dipendono da noi; nessuno può purificare un altro.
Let a men guard himself against irritability in bodily action; let him be controlled in deed abandoning bodily misconduct, let him practse good conduct in deed (The Buddha).
Lasciate che un uomo si guardi da sé dall’irritabilità nelle azioni fisiche, lasciate che si controlli nelle proprie azioni abbandonando le cattive condotte, lasciategli praticare la buona condotta nelle proprie azioni.
The sage do not wash away sins with water, neither do they remove sentient beings’ suffering with their hands; nor can they transfer own realisations to others.
They liberate beings by revealing the truth of suchness. (Udanavargatika)
I saggi non lavano via i peccati con l’acqua e non rimuovono con le loro mani le sofferenze degli esseri senzienti; non possono nemmeno trasferire la propria realizzazione agli altri. Possono però liberare gli esseri viventi rivelando tale verità.
Those whose minds have reached full excellence in the factors of enlightenment, who, having renounced acquisitiveness, rejoice in not clincing to things-rid of cankers, glowing with wisdom, they have attained nibbana in this very life. (The Buddha)
Coloro, le cui menti hanno raggiunto la piena eccellenza nell’illuminazione, che, avendo rinunciato all’avidità, gioiscono nel non attaccarsi alle cose, sbarazzandosi dei cancri, splendendo di saggezza, quelli hanno raggiunto il nirvana proprio in questa vita.
The man who is without blind faith, who knows the uncreate, who has severed all links, destroyed all causes (for karma, good and evil), and thrown out all desires-he, truly, is the most excellent of men. (The Buddha)
L’uomo che non ha fede cieca, che conosce la distruzione, che ha reciso tutti i legami, distrutto tutte le cause (per il karma, per il bene ed il male) ed eliminato tutti i desideri, proprio lui, in verità, è il più eccellente degli uomini.
We who drinks deep the dhamma lives happily with a tranquil mind. The wise man ever delights in the dhamma made known by the noble one. (The Buddha)
Noi che beviamo profondamente il dharma (la religione) viviamo felicemente con una mente serena. L’uomo saggio si rallegra sempre nel dharma resogli noto da un virtuoso.
India, Bodhgaya. Ingresso al Tempio Buddhista Cinese, uno dei tanti appartenenti a diverse nazionalità.
A Bodhgaya ci sono molti altri templi e monasteri buddhisti: appartengono alle più diverse nazioni asiatiche. Sono tutti invasi da folle di mendicanti deformi che stazionano lì in attesa dei visitatori: quando li vedono arrivare si trascinano fino ai loro piedi per chiedere, con insistenza e sfacciataggine, la carità.
Al Karma Temple Tibetano, all’ora di pranzo, distribuiscono i pasti sia ai pellegrini che ai bambini che gironzolano intorno. Lì di fronte c’è una scuola elementare pubblica: chiedo ai numerosi ragazzini la ragione per cui non vanno alle lezioni e mi rispondono che per loro è troppo difficile. E’ l’ora di pranzo anche all’interno della scuola color rosa: le maestre con titubanza mi lasciano assistere alla distribuzione del pasto fornito dal governo. Le due aule si svuotano rapidamente: i ragazzini e le ragazzine, circa una cinquantina, si siedono lì, accovacciati sul pavimento del corridoio ad aspettare che arrivi la cuoca con la pentola a versare nel loro piatto l’impasto di riso e legumi.
India, Bodhgaya. La scuola statale del centro.
C’è un gran silenzio in questa scuola! Il giorno dopo, camminando tra le baracche che stanno accanto alla città vecchia vedo un piccolo edificio in muratura con la porta aperta e dei bambini appoggiati al parapetto esterno. E’ un’altra scuola senz’altro e forse è il momento della ricreazione, penso! Invece, mi dicono, non ci sono insegnanti in quella scuola: c’è soltanto la cuoca. Entro nell’unica aula: non ci sono arredi, ma soltanto dei grossi sacchi di juta pieni di riso, depositati in fondo, in un angolo. C’è una signora gentile e sorridente all’interno: è la cuoca della scuola che fra poco preparerà il pranzo per i bambini.
Più lontano dal centro, nel villaggio di Sujata, dopo il grande ponte sul fiume Falgu, raggiungo casualmente un’altra scuola: questa è gestita da un’associazione privata, la Gyanjyoty Rural Development Welfare Trust, e raccoglie una settantina di bambini delle zone rurali dei vicini villaggi. E’ una struttura grezza, una costruzione appena iniziata, priva di servizi igienici, molto povera e bisognosa di aiuto. Si regge a fatica grazie al lavoro ed al contributo di alcuni volontari, ma fa un grande sforzo per sopravvivere.
India, Bodhgaya. Mendicanti all’ingresso della zona pedonale.
Riattraverso il ponte sul fiume Falgu e torno a Bodhgaya. Nella zona pedonale, nei pressi del Mahabodhi Temple, staziona un enorme numero di mendicanti, grandi e piccoli, ciechi e zoppi che chiedono la carità. Proprio lì, nel piazzale antistante alla zona pedonale, un giorno rimango colpita da una bambina sola, piccolissima, vestita di pochi stracci, che sta dormendo tutta ricoperta di mosche e vespe. Mi rivolgo ai poliziotti che stanno lì accanto perché controllino il suo stato di salute. Mi ascoltano e rassicurata torno accanto alla bambina che nel frattempo si era svegliata. Arriva un poliziotto barcollando: è completamente ubriaco e mi dice in malo modo e con la voce impastata che lì non c’è alcun problema e mi invita ad andarmene. Mi accerto sulle condizioni della piccola che in realtà stava solo dormendo. Il gruppetto di passanti che si era formato intorno mi racconta che la bimba è figlia di due genitori completamente ciechi e che la mamma ha un altro bambino più piccolo a cui badare. I genitori sono relativamente poveri perché entrambi ricevono un sussidio dallo Stato per la loro cecità.
India, Bodhgaya. L’arrivo delle processioni al Mahabodhi Temple.
L’ultimo giorno a Bodhgaya lo trascorro quasi tutto al Mahabodhi Temple, ma riesco a fare un salto anche al Museo archeologico per ammirare le colonne originali del grandioso tempio buddhista. Qui non c’è molto da vedere, ma le antiche colonne sono davvero un incanto!
India, Bodhgaya. Sabato 18 ottobre 2014, primo pomeriggio. Arrivo di pellegrini al Mahabodhi Temple.
Sono, ormai, arrivata alla fine di questo splendido viaggio, devo tornare a Delhi: il 22 ottobre, nella notte ho l’aereo per Venezia. Per fortuna ho già acquistato il biglietto da Gaya a Delhi! Arrivo alla stazione ferroviaria di Gaya in moto risciò insieme a dei simpatici ragazzi. Alcuni di loro sono venuti a Gaya per partecipare ad un concorso pubblico nella speranza di essere assunti nella Polizia di Stato. Entrata in stazione, apprendo subito che il mio treno porta un ritardo di ben 17 ore a causa dei lavori di rifacimento della linea ferroviaria per Delhi. Riesco a sostituire il mio biglietto, ma devo accontentarmi soltanto di un posto in piedi. Non c’è alternativa! Il viaggio è lunghissimo e c’è un’intera notte da trascorrere in treno. Tutto si risolverà per il meglio grazie alla collaborazione di più persone e, in particolare, di una giovane coppia di israeliani che mi cederanno uno dei loro due letti.
A Delhi trascorro molto tempo a gironzolare per il Main Bazar. Una mattinata la dedico alla Jama Masjid, la Grande Moschea, un luogo che avevo già visitato qualche anno fa, in compagnia di un’amica.
India, Delhi. Il piazzale interno alla Moschea Jama Masjid.
Questa volta la raggiungo a piedi e la rivedo con grande piacere, in solitudine, in silenzio! Sulla strada che porta dalla stazione ferroviaria di New Delhi alla Grande Moschea di Jama Masjid incontro un intenso traffico di carri trainati da bufali, di ciclo risciò, auto, taxi, camion e camioncini con un grande movimento di persone e merci.
India, Delhi.Incontri sul cavalcavia che sovrasta la stazione ferroviaria.
Seduti su alcuni marciapiedi incontro anche diversi gruppi di artigiani con tra le mani i loro pochi attrezzi da lavoro: stanno lì in attesa che qualcuno li chiami a fare gli imbianchini, i muratori oppure i facchini.
India, Delhi, zona della Grande Moschea Jama Masjid. Imbianchini in offerta di lavoro.
Questo viaggio sta per terminare! Sono appena arrivata in taxi all’aeroporto di Delhi! Addio Delhi, addio dolce, cara India! Ritornerò! Ora, partenza per Zurigo e poi da lì per Venezia. Una corsa in corriera per la stazione ferroviaria di Mestre per prendere il primo treno diretto a Udine. Sto già pensando di ripartire al più presto!