Sto tornando a casa. Da Lubiana a Udine ci sono, circa, due ore di viaggio, in pullman. Mi vien da piangere al solo pensiero di lasciare questa dimensione nomade, questo modo quasi improvvisato di esplorare il mondo, di vederlo e viverlo, con la gente che incontro. Il pullman viaggia veloce: attraversa campagne coltivate, prati erbosi curatissimi e s’addentra tra boschi di latifoglie e fitte pinete. Ogni tanto, si nota qualche albero di ciliegio, che, con i suoi fiori bianchissimi, spezza l’uniformità verde del paesaggio. Seduta, accanto a me, c’è una signora sui sessant’anni, di Zagabria. Sta andando a Udine per far visita alla figlia, che vive là. Mi sorride, desiderosa di comunicare, ma non riusciamo a capirci. Quando tossisco una, due volte, si porta il fazzoletto di carta, sgualcito, alla bocca e poi va a sedersi in un altro posto. Guardo fuori dal finestrino: stiamo attraversando una zona quasi disabitata. Si vede soltanto qualche raro casolare, sparso, qua e là. Pochi Kilometri ancora ed ecco apparire un gruppo di case tra le colline e poi dei paesetti, ordinati, con le abitazioni nuove, costruite intorno alla chiesa. La giornata è tiepida, il cielo è completamente sereno e il traffico scorrevole. Ora l’ambiente sembra già carsico, con le rocce e i massi che compaiono a tratti, tra alberi e cespugli. A momenti, usciti dalle zone boschive, si vedono delle distese di prati erbosi, intervallati soltanto da qualche piccolo appezzamento di terreno, appena arato. In diversi posti ci sono delle grosse balle di fieno accatastate, chiuse in sacchi di plastica azzurri. Poco lontano da un paesetto, su una collina, appare una grande pala eolica in movimento. Più avanti se ne vedono delle altre, tutte che ruotano, mosse dal vento. Siamo a 23 Km da Trieste. Poco prima di raggiungere il confine compare una grossa centrale elettrica di trasformazione. Ancora boschi, ciliegi in fiore, rocce e massi; poi, all’improvviso tutto si fa buio: siamo entrati in una lunga galleria. Alla frontiera passiamo tranquilli, senza fermarci e senza nessun controllo. Siamo in Italia. Il paesaggio sembra aprirsi e diventare più ampio e le colline paiono più lontane. Attraversiamo delle altre gallerie, una dopo l’altra e poi, nei bordi della strada vediamo delle lunghe file di cespugli bianchi e gialli che sembrano allontanarsi alla stessa velocità del pullman. Ad un tratto compare il mare da una parte e dall’altra ritornano le rocce carsiche e gli alberi, a volte in fiore. Ora, su un cartello stradale, c’è l’indicazione con la scritta “Udine”. Ancora una corsa lungo l’autostrada, tra piccoli boschi, distese di campi coltivati, alcuni filari di gelsi con poche foglie spuntate in cima e qualche cespuglio interpoderale fra gli appezzamenti. Siamo nei pressi di Palmanova. Qui, distese di campi coltivati a soia, orzo, mais, frumento, girasoli si alternano a filari di vigneti immensi. Compaiono, pure, molti frutteti e diverse aziende agricole e case isolate. In qualche zona si vedono delle superfici di campi con il frumento già alto e davanti a qualche casa degli alberi di lillà e delle magnolie in fiore. Più avanti, anche qui, compaiono le distese di campi coltivati con le piante dai fiori gialli: la colza. Poco lontano dalla strada, c’è una grande fabbrica con le ciminiere che fumano e delle vaste cataste di legname disposte intorno. Forse è una centrale a biomasse. Siamo vicinissimi a Udine. Guardo verso Est dove ci sono ancora le montagne imbiancate, mentre lassù, verso Nord, sul Quarnan, ai piedi del quale sono nata, la neve è già sciolta.