Da Teheran a Tabriz, 28 marzo 2019

Saluto Nafiseh, Nina, il piccolo Amir Abbass, ma anche il fratello, sua moglie e il loro bambino. Saluto anche il personale dell’ostello, una gestione particolarmente familiare ed accogliente.

La giornata è in parte nuvolosa, ma la temperatura è mite. Sono da poco passate le 10:00 e sulla strada per Tabriz, lungo i bordi sterrati, si vedono già le famiglie sedute in cerchio, accanto alle loro auto, impegnate nel tradizionale picnic. Il paesaggio qui è piano, i campi sono coltivati e s’intravedono i ruderi di alcune vecchie case di fango in mezzo a delle nuove industrie. C’è anche la ferrovia che corre parallela a questa grande strada. Più avanti compaiono delle pinete intervallate da fabbriche e nuove costruzioni, dei palazzi piatti ed incolori. In lontananza si vedono le montagne e ai loro piedi dei vasti gruppi di abitazioni. Nei prati e sulle basse colline compaiono più volte i greggi di pecore, marrone e bianchi, che si spostano in continuazione, apparentemente senza alcun pastore. In qualche zona si vedono numerose persone raccogliere le erbe selvatiche dei campi. Andando avanti, si notano distese di campi arati e alcuni con le piante già nate. Compaiono anche delle vaste zone coltivate a riso e delle altre con alberi da frutto. All’uscita dei grossi tratti autostradali ci sono delle vaste aree di sosta con servizi igienici, negozi e ristoranti. Nel parcheggio attrezzato, nei pressi della città di Qazsvin ci sono dei venditori di tamburelli che, suonando, cercano di vendere gli strumenti da loro stessi costruiti. Sono di Tabriz, mi dice qualcuno. Sulla strada principale, ci sono diversi autostoppisti che mostrano dei grandi cartelli con delle scritte in persiano.

Ci sono anche dei venditori di pupazzi che li agitano tenendoli tra le mani, con le braccia alzate. Continuando il percorso si vedono, molto distanti, le montagne basse e aride che si alternano con i campi arati e le piantine ancora piccole. Ora, compaiono delle alte cime lontane, ancora innevate su alcune costoni. Nell’area di servizio di Tach-e Soleiman, pranzo, seduta su un gradino, con un panino offertomi da una donna di Tabriz che parla l’inglese. E’ molto grezza, ma essenziale nelle informazioni che mi fornisce. Ha studiato all’università di Beirut, in Libano e, pur avendo la mia età, insegna ancora nella sua città. Comincia a piovere e la gente dei picnic ritira velocissima la sua attrezzatura e si rifugia in auto. La neve delle montagne si fa più vicina e ora per un tratto, su un’altura che stiamo attraversando, sta nevicando intensamente. Scendendo lungo una pendenza la neve si trasforma in pioggia battente, poi si ferma e ricompare un raggio di sole. Nell’arco di pochi Kilometri ci sono stati sia la pioggia che la neve; di seguito, ancora la pioggia dirompente e poi, all’improvviso è tornato il sole. Verso le 19:00 arriviamo a Tabriz e la donna della mia età mi saluta frettolosamente con un “Good bye!” e scappa via. La temperatura è mite quassù e l’hotel che mi ha prenotato l’agenzia di Kashan è carino.  Nessuno dei lavoranti parla, nemmeno una parola d’inglese. Di fronte alla mia stanza c’è la sala delle preghiere, con il pavimento rivestito da sfarzosi tappeti. Dentro c’è un uomo che sta pregando rivolto verso di me, ma non alza lo sguardo per salutarmi.

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Tabriz, 28 marzo 2019. Sera nell’area pedonale.

E’ sera ormai quando esco dall’hotel per esplorare la cittadina. C’è anche qui, una vasta zona pedonale o forse soltanto un’area a traffico limitato. L’hotel sta sulla Iman Komeini street, la via centrale di Tabriz.

I simboli del Norooz

I simboli mitologi del Nawruz, esposti in mezzo ad un piazzale di Tabriz.

Ci sono diversi negozi ancora aperti e numerosi venditori ambulanti, sparsi qua e là. In alcuni spazi sono esposti i simboli del Nawruz: mele, frutta secca, acqua, erba e fiori.

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Carrettino con le barbabietole lessate.

Caratteristici del luogo sono i carrettini che vendono delle grosse barbabietole cotte. In diverse postazioni ci sono delle statue che rappresentano le attività e i modi di vivere antichi della zona e ora molti le utilizzano per scattare delle foto insieme a loro.

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Teheran, 27 marzo 2019

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La moschea Sahah.

Oggi splende il sole ed esco ancora con il gruppetto familiare di Esfahan. Andiamo nella zona pedonale e raggiungiamo la moschea Iman Komeini, ora denominata Sahah, ma non è visitabile fino a domani. La zona pedonale è affollatissima.

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Acquisti sulla strada.

Ci affacciamo al bazaar e proviamo ad entrare, ma usciamo subito per non venir sommersi e rischiare di perderci nella grande ressa.

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Teheran, 27 marzo 2019. Zona pedonale.

Oggi, c’è molta più gente di ieri in giro e i negozi sono quasi tutti aperti sia sulla strada sia all’interno del bazaar. Le file davanti ai fast-food sono lunghissime già dal mattino. Qui, la gente pranza, fa colazione o cena a tutte le ore del giorno. Sono circa le 14:00.

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Mercatino nella zona pedonale.

Ora, lungo la via, sulle panchine e sedute un po’ qua e là, numerose persone stanno pranzando con i cibi portati da casa o comprati nei numerosi fast-food della via. Entro con le mie amiche e il bambino in diversi negozi di profumi. I venditori ce li spruzzano nell’aria con una siringa per farci sentire l’odore delle varie essenze.

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Nina, la figlia di Marzy e nipote di Nafiseh, in un negozio di profumi.

Nafiseh, la ragazza di 27 anni, ne compra una boccetta che il commesso riempie e vende a peso. Nina, la ragazza di 16 anni, figlia di Marzy, sorella maggiore di Nafiseh, invece si compra un foular coloratisssimo, ma sintetico, come la maggior parte dei tessuti in vendita qui. Camminiamo a lungo e ci fermiamo in un fast-food specializzato nel cucinare i felafel e ci sediamo a pranzo su un gradino di una piazzetta, insieme a numerose altre persone. Il bambino, Amir Abbass, l’altro figlio di Marzy, è stanco e torna in hotel con sua madre.

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Una delle tante entrate al bazaar.

Noi tre, passeggiamo ancora, guardiamo le vetrine di frutta secca ed essicata con esposte un’infinità di pregiate e costose tipologie di: noci, arachidi, mandorle, pinoli, uva, albicocche, prugne e molte altre varietà. Guardiamo le file dei fast-food con delle persone sempre diverse, ma sempre lunghissime e infinite.

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Una zona per il cambio dei soldi.

Passiamo davanti ad un gruppo di uomini che tengono tra le mani pacchi di banconote per il cambio: anche qui a Teheran questa attività dev’essere redditizia. Riguardo al cambio dell’euro e del dollaro in rial ci ho capito poco. Quello che sta scritto su internet è diverso da quello che mi han detto gli iraniani, ai quali ho chiesto delle informazioni.

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Gente che pranza su una piazzetta nei pressi del bazaar.

Torniamo all’hotel e ci separiamo. Sono in arrivo i genitori di Nafiseh e Narzy, insieme al fratello con la moglie e il figlio di 4 anni. Esco da sola anche se è già tardi. La città è ancora animata da un gran via vai di gente. Appena fori dall’hotel c’è un assembramento di gente e mi avvicino a vedere cosa succede.

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Ragazza di Tabriz.

C’è un uomo che parla al microfono ed ha con sè tre scatole, dalle quali estrae, uno per volta dei grossi serpenti. Non capisco che cosa stia dicendo, ma vedo la gente avvicinarsi a lui e dargli dei soldi, probabilmente per delle scommesse. Lui, dà, in cambio, un gettone. Lascio lo spettacolo senza vederne gli sviluppi e mi avvio verso il centro di Teheran.

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Le scommesse sui serpenti.

Al rientro, nella sala dell’hotel incontrerò l’intera famiglia di Esfahan, ma tra tutti, soltanto Nafiseh sa parlare l’inglese. Lei, per un po’ traduce qualcosa di quello che stiamo dicendo, ma poi preferisce intensificare il dialogo soltanto con me.

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Nafiseh.

E gli altri, ad uno ad uno se ne vanno, salutandomi con un sorriso.

Teheran, 26 marzo 2019

Il cielo è nuvoloso, ma appena esco inizia a piovigginare. Pazienza, non mi va di tornare indietro a prendere l’ombrello. Spero tanto che compaia il sole, come qualcuno ieri aveva previsto.

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La Moschea Jameh

Niente, comincia a piovere a dirotto e qui, a Tehran, l’acqua della pioggia non scorre via, ma si ferma lungo i bordi della strada e dei percorsi pedonali, formando delle grandi pozzanghere, difficili da evitare. La zona dove sta il mio ostello si trova nei pressi del bazaar e per raggiungerlo cammino su una vasta zona pedonale, con delle file di alberi ai lati e delle fioriere disposte un po’ dappertutto. Il bazaar è vastissimo, ma quasi tutte le serrande sono chiuse per il Nawruz, il Nuovo Anno iraniano.

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Preghiera nell’area riservata alle donne della moschea.

I festeggiamenti, mi dicono, andranno avanti per un’altra settimana ancora, ma già da domani numerosi negozi riapriranno. Accanto al bazaar, trovo una moschea, la Jameh Mosque, che porta lo stesso nome di questo mercato. Il bazaar è suddiviso in zone, con diversi nomi, e ogni parte è collegata con dei viottoli interni, che percorrono tutto il mercato. Con tutti i negozi chiusi e senza la gente, però, la zona è desolata.

la moschea Jameh all'Amol Sassanid bazaar, i secolo a.D. restaurata durante regno dinastia ajar.

La Moschea Jameh

Un venditore di tappeti mi dice che lui è lì perchè ha bisogno di lavorare e non può concedersi la vacanza, come gli altri. Esco sulla strada principale: sta piovendo a dirotto e quasi, quasi me ne torno in ostello a leggere. Lì, accanto c’è un’altra moschea ed entro a visitarla. Qualcuno mi accompagna verso l’entrata sul retro, dove c’è la zona riservata alle donne. Qui, ci sono i figli di una giovane che stanno giocando animatamente e due anziane assorte in preghiera. Mi fermo nella prima stanza dove stanno i due bambini e le due anziane. Più in là ci sono altre sale di preghiera e la madre dei bambini probabilmente sta là dentro. Una delle due donne, ad un certo punto, inizia a protestare, ad alta voce, per il disturbo che le stanno arrecando i due bambini e la madre viene a riprenderseli.

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Moschea nei pressi del bazaar.

La moschea è ricca di cristalli e piastrelle in maiolica ed ha il pavimento in marmo ricoperto da preziosi tappeti. Arrivano delle altre donne: una madre con due giovani figlie. Sono di una città del Nord-Est dell’Iran e sono qui per i festeggiare il Nowruz, come tanti altri. Mi invitano ad uscire per mostrarmi un’antica tomba in pietra, esposta in una stanza recintata del cortile interno della moschea. Lì fuori ci sono anche il marito della donna, un generale, e il figlio di 23 anni, studente di medicina. La tomba ha 250 anni, mi dicono, e contiene la salma di un prelato, particolarmente buono e amato da tutti.

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Il Golestan Palace.

La famiglia, dopo una sequenza di selfie sotto la pioggia, mi accompagna, fino all’entrata del “Golesan Palace” una delle residenze reali più lussuose dell’Iran. L’ingresso è costoso, ma è affollatissimo di iraniani.

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Il giardino Golestan.

Il palazzo è costituito da maestosi edifici disposti intorno ad un curatissimo giardino. In questo luogo sorgeva, in precedenza, una cittadella safavide, ma lo scià Nasser al-Din, che regnò dal 1848 al 1896, decise di far costruire lì un edificio simile a quelli che aveva visto durante un suo viaggio in Europa. Lo sfarzo che lo caratterizza è immenso. Marmi, maioliche, cristalli, specchi, vetri colorati, alabastri, dipinti e cesellature spaziano ovunque.

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Trono in alabastro, particolare.

C’è la “Veranda del trono di marmo”che serviva per le udienze. Aperto su un lato e rivestito di specchi, il salone contiene un trono sorretto da figure umane, costruito nel 1800, con l’alabastro, proveniente da Yazd, sotto il regno di Fath Alì. In questa sala venne incoronato anche lo scià Reza, nel 1925.

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La Nicchia di Karim Khan Zhand.

Poi, c’è la “Nicchia di Karim Khan Zhand”, una specie di terrazza elevata, l’unica parte rimasta di un edificio del 1759, utilizzata, in particolare, dallo scià Nasseral-Din per fumare il “galyan”, la pipa ad acqua della tradizione turco-iraniana. In questa terrazza c’è ora anche la sua tomba. Diverse stanze del palazzo sono ora adibite a museo ed ospitano opere d’arte di epoca qagiara, ritratti degli scià e scene di vita quotidiana dell’Iran ottocentesco.

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Interno del palazzo Golestan.

Poi, tra le varie stanze, c’è la “Sala degli specchi”, costruita tra il 1874 e il 1877, che ospitava il Trono del Pavone. Il palazzo è enorme e le sale si susseguono con esposizioni di doni ricevuti dai vari scià, di arredi, orologi, vasi e quadri.

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Particolari del palazzo Golestan.

I pavimenti e i rivestimenti in maiolica sono splendidi. Esco dal palazzo che sta piovendo ancora a dirotto e torno in ostello grondante d’acqua. Nella sala da pranzo incontro di nuovo tre donne che avevo già intravisto ieri: una di 27 anni, l’altra di 37, una ragazza di 16 anni e un bambino di 5 anni.  Sono di Esfahan e viaggiano in auto, per la prima volta da soli. Mi propongono di andare insieme a loro a visitare la “Milad Tower”, la grande torre che sta alla periferia della città, a circa 8 Km da Teheran.

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Interno della Milad Tower.

La “Milad Tower” è stata inaugurata nel 2008 ed è la sesta tra le torri più alte del mondo. Misura 435 metri di altezza ed è suddivisa in 12 piani. Sulla cima e al piano terra ci sono diversi fast-food, un centro commerciale ed anche un hotel di lusso. Il parcheggio si estende su un’area di 27.000 mq.

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La lunga fila per salire in ascensore sulla torre.

La base della torre ha la forma ottagonale, una caratteristica dell’architettura persiana. Il posto è affollatissimo di iraniani che fanno lunghe file in attesa dell’ascensore per salire in cima alla torre e poi, un’altra lunga fila per ridiscendere. La torre è controllatissima ed è necessario acquistare il biglietto per accedervi.

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In posa per la foto con il ragazzo travestito da pupazzo.

La torre è attrezzata di servizi di ogni genere: fast-food, parchi gioco, salotti, fontane zampillanti, luci colorate e musiche. Più in là, all’esterno, c’è anche una vasta zona mercato. Nel salone, incontriamo un simpatico ragazzo travestito da pupazzo, sempre in attesa di posare per le foto con i turisti. E’ molto tardi, sono circa le 22:00.

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Vasi e luci della Milad Tower.

Saliamo sulla cima della torre dopo una lunghissima fila: il paesaggio che si estende su Teheran illuminata è immenso e stupendo. Qua e là, tutt’intorno, una miriade di canocchiali consentono di esplorare le zone lontane. Più sotto, qualche sala con delle esposizione di vasi e ceramiche, vuota.

Panorama dalla torre

Panorama notturno su Teheran, visto dalla Milad Tower.

E’ mezzanotte ormai. Con le mie nuove amiche ceniamo nel fast-food che sta nell’interrato e ci avviamo verso l’auto. Ci siamo disorientate. La zona dei parcheggi è più vasta e complessa del previsto, ma con l’aiuto della gente riusciamo a trovare l’auto e a rientrare.