Kashan (Iran), 23 marzo 2019

Questa mattina, attraverso la piazza Kamal-al Molk ed entro nel Traditional Bazaar che sta a due passi da lì.

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Kashan, 23 marzo 2019. The Old Bazaar.

Oggi è sabato e l’intera città, ma anche l’interno del bazaar, sono molto più animati di ieri. Molti negozi sono ancora chiusi per i festeggiamenti del Nowruz, il Nuovo Anno iraniano, ma ieri lo erano molti di più perchè era venerdì, giornata sacra per i musulmani. La struttura del bazaar di Kashan ha circa due secoli, ma la parte con la grande cupola, dove stanno le botteghe degli antiquari, è molto più antica.

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Il Vecchio Bazaar.

In questa zona sono già passata ieri sera e oggi, con la luce del giorno che filtra dalle finestrelle della cupola, l’atmosfera è ancora più suggestiva. Gli oggetti, esposti sui banchi e all’interno dei negozi, sono antichissimi e di grande pregio. Alcune botteghe sono raggiungibili soltanto attraverso delle ripide, strette, tortuose scale che raggiungono il primo piano o scendono negli interrati.

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Una sala da the, interna al Vecchio Bazar.

Ci sono degli altri negozi di oggetti antichi che si aprono intorno ad un cortile interno; le esposizioni dei mobili spaziano anche all’esterno della struttura. Gli oggetti esposti, nel Vecchio Bazaar, vanno da: antichi mobili e cassoni, a bilance, orologi, vassoi, lampade ad olio, tappeti, teiere, quadri, specchi e molto altro. La gente che visita questa zona è composta quasi esclusivamente da famiglie iraniane che abitano in villaggi o città che stanno a grandi distanze da qui e sono in vacanza per il Nowruz. Sono circa le 11:00 quando esco dal bazaar e vado a visitare la moschea Agha Buzorg, che sta poco distante da qui.

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La moschea Agha Buzorg.

Questo edificio è stato costruito nel XIX secolo ed è conosciuto per la perfetta simmetria dei suoi elementi architettonici. La moschea, è disposta su quattro piani ed è composta da una grande cupola e dai minareti rivestiti di preziose piastrelle di maiolica. Sul tetto ci sono diverse torri del vento, i “badgir” molto più alti e imponenti di quelli di Yadz. La moschea non è più utilizzata come luogo di culto, ma è un’importante meta di pellegrinaggio per i turisti musulmani che visitano Kashan.

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Le cupole della moschea Agha Buzorg.

All’interno della Agha Buzog Mosque, incontro una giovane coppia di Rasht. Lui, ha 37 anni, fa il bancario ed è originario di Kashan. Lei, ha la stessa età e lavora in un’azienda che si occupa di trasporti marittimi. Sono circa le 14:00 e mi dirigo verso la zona di Kashan dove stanno le vecchie case tradizionali. Molte abitazioni, costruite con i mattoni essicati al sole o soltanto con il fango sono andate distrutte, ma alcune di queste, appartenute a dei ricchi mercanti, sono rimaste intatte e sono visitabili.

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Giardino interno con vasca della vecchia casa museo “Taj Historichal House”.

Anche l’hotel Ehsan, dove alloggio, è una vecchia casa tradizionale composta da un cortile interno, con una grande vasca al centro. Tutt’intorno, si aprono le varie stanze, ora adibite a camere e bagni, per i turisti. In un angolo c’è la cucina e su un lato la sala da pranzo con una grande vasca anche lì. Anche al primo piano ci sono le stanze che si aprono, su una grande terrazza da una parte e su una lunga griglia frangisole dall’altra. La struttura è stata interamente costruita in mattoni e anche i pavimenti, spesso su due livelli, sono in formelle quadrate, di terracotta. Visito la prima casa museo che incontro, la “Taj Historichal House” che sta sull’Alavi street, ma ce ne sono diverse altre. All’interno della costruzione c’è anche una parte denominata “Anthropology Museum of Kashan”.

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Selfie con la coppia di Rasht, alla moschea Agha Buzorg.

La casa ha oltre due secoli ed apparteneva ad un religioso musulmano, amico dei poeti Hafez, Molana, Sa’di e Khayyam. La casa, si estende su un’area di 800 metri quadri ed è stata costruita nel periodo Qajar. E’ composta da 13 stanze disposte su due piani, inclusi il piano terra e la parte interrata. Anche qui, come nelle case di Yazd, prevale la simmetria della struttura e il ricorrere del numero delle porte, di 3-5-7 e 8 che si aprono sulle pareti intorno al cortile interno e alla terrazza del primo piano.

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Ricostruzione di una scena familiare alla casa museo “Taj Historichal House”.

Al centro della prima stanza, denominata “La stanza del re”, c’è una grande anfora e una vasca che serviva per raccogliere l’acqua. Su una parete si aprono tre porte con delle vetrate decorate con colori che vanno dal rosso, al verde, al bleu e al giallo. Queste tinte venivano utilizzate per tenere lontane le zanzare che nelle giornate afose invadevano l’abitazione. Caratteristica della casa è la cucina con il focolare, la macina in pietra e una specie di graticola appesa in alto, in corrispondenza di un’apertura sul soffitto. Tutt’intorno al perimetro, su una mensola, ci sono vasi e anfore. Nella parte interrata c’era la cantina dove si conservavano i cibi. Anche in questa abitazione c’era la zona estiva e quella invernale. La guida che mi accompagna nella visita non mi parla della zona primaverile, quella che avevo trovato nella casa di Yazd. La parte dell’abitazione, adibita a museo, si apre per lo più al piano terra, intorno al cortile con la grande vasca in centro. Nelle varie stanze del museo sono rappresentate le ricostruzioni delle attività del passato. In alcune stanze sono esposti oggetti, abiti tradizionali, quadri e fotografie, sempre riferiti alla vita di un tempo, a Kashan.

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Incontro.

Tornando verso il bazaar incrocio una delle tante moschee di Kashan, la “Jame Majed” ed entro a visitarla. Pare sia stata costruita 200 anni fa, ma nessuno sa dirmelo con precisione. Al bazaar, incontro un numeroso gruppo familiare di Rasht, una città che sta a 600 km da qui. Anche loro, come molti altri iraniani, sono in vacanza per il Nowruz. Mi dicono che la festa vera e propria è soltanto di un giorno, il 21 marzo, cioè il primo giorno di Primavera, ma che i festeggiamenti si protraggono per ben 13-15 giorni, in tutto il Paese.

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Incontro al bazaar con due sorelle insegnanti di Rasht.

Questa famiglia è composta da una coppia di sarti, due sorelle insegnanti, il marito di una delle due bancario, tre ragazzi adolescenti e una nipote di 25 anni, laureata in ingegneria chimica. Rientro all’hotel e qui ritrovo dei turisti che avevo incontrato lungo le strade di Kashan nel pomeriggio. Sono numerosissimi e viaggiano con delle guide. Fanno parte di un viaggio organizzato; molti sono giovanissimi e arrivano da diversi Paesi come: Corea, Cina, Svizzera…Si sono incontrati a Zurigo prima di imbarcarsi per l’Iran.

Da Esfahan a Kashan, 22 marzo 2019

Il tratto di strada che congiunge Esfahan a Kashan si presenta per lo più pianeggiante, con delle zone aride che si alternano ai campi coltivati a grano, con le piantine ancora piccole. Più avanti, si vedono altri campi, già arati, pronti per la semina. All’uscita di Esfahan e nelle vicinanze di Kashan si notano numerose fabbriche, alcune con delle alte ciminiere, altre con dei piccoli camini in acciaio, tutti fumanti. Lungo i bordi della strada e in alcune zone si vedono delle piantagioni di conifere, a volte raggruppate per formare dei piccoli boschi. In lontananza appaiono le montagne, basse e aride e, più avanti, molto lontane, si vedono quelle alte, con dei picchi ancora ricoperti dalla neve. A momenti s’intravedono dei gruppi di palazzi tutti uguali, grigiastri e anonimi, con qualche auto parcheggiata accanto. Nei campi coltivati, in tutto questo lungo percorso, noto soltanto una persona, impegnata a spargere i semi, gettandoli con le mani. Qua e là, nella zona pianeggiante, si vedono delle piccole costruzioni di fango, ormai fatiscenti. Poi, appare un gruppo di case, sempre di fango, abbastanza esteso, ma sempre in rovina. Ai bordi delle strade, che si stagliano staccate  e vanno nelle due direzioni, non mancano le auto in sosta sui lati, con i gruppi di persone sedute accanto, impegnate nell’abituale pick nick. Quando arrivo a Kashan, nel tardo pomeriggio, la prima cosa che noto è la grande piazza centrale con numerosi gruppi di gente, anche qui, seduti su delle coloratissime coperte, intenti ad ormeggiare tra pentole, fornelli e piatti. Kashan è una città molto più piccola delle altre che ho visitato fin’ora e la dimensione è quasi simile a quella di un paese.

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Kashan, 22 marzo 2019. Pick-nick nella piazza Kamalalmolk.

Ci sono diversi negozi: di generi alimentari, frutta e verdura, macellerie e mercerie, che si aprono sulle vie principali. Si notano numerose moschee, ma quella che emerge con i minareti e la dimensione più imponente è la Msjed-e-Agha Bozorg, che sta laggiù, in fondo alla via del bazar. Camminando intorno alle strade che portano alla piazza riesco a scorgere il grande gruppo di case antiche, costruite con fango e paglia.

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Kashan, 22 marzo 2019. Kamalalmolk square.

Le vedrò meglio subito dopo, aiutata da un ragazzo che mi farà salire sui tetti di questo interessante sito. Da lassù vedrò, attraverso una delle finestrelle poste sulla cupola dell’antico bazar, il vecchio mercato d’antiquariato che sta sotto.

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Sui tetti di Kashan con la cupola del Vecchio Bazar.

In lontananza, da quassù, spicca la grande moschea, ora illuminata dalla luce del tramonto e, ancora più lontano, tutt’intorno, ricompaiono le montagne, alte e con le loro punte innevate. Anche qui, come a Yazd, le case utilizzavano il sistema dei camini di ventilazione per arieggare le case durante la calura estiva e, anche quassù, su questi tetti, se ne vedono molti.

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Sui tetti della vecchia Kashan. Sullo sfondo la moschea Aghabozorg.

Il tetto di fango essicato della copertura a tratti è stato ricoperto da catrame e alluminio, per sopperire alle infiltrazioni di acqua piovana.

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La moschea Aghabozorg vista dai tetti della vecchia Kashan.

Il paesaggio da quassù è stupendo. Scendo, e quasi per caso arrivo nel vecchio bazar sotto la cupola che ho appena visto dall’alto. Gli oggetti e i mobili esposti sono bellissimi e raffinati.

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Il Vecchio Bazar visto da una finestrella del tetto.

Qui inconto una famiglia composta da una coppia anziana, una coppia giovane e un ragazzo. Sono i genitori dei due ragazzi. Loro, i genitori, vivono vicino a Shush, al Sud dell’Iran, a circa 600 Km da qui. La giovane coppia, lui ingegnere chimico e lei traduttrice d’inglese, abita a Teheran ed anche il fratello più giovane, un ingegnere meccanico, vive là. La famiglia si è riunita in questo viaggio nell’occasione della festa del Nowruz, il nuovo anno iraniano.

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Il Vecchio Bazar di Kashan.

Al ristorante incontro un’altra famiglia composta da una giovane coppia e due ragazzi adolescenti. Sono di Tehran e anche loro sono in viaggio per festeggiare il Nowruz. Dopo Kashan, andranno a Esfahan, dove si fermeranno per tre giorni.

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Esfahan (Iran), 21 marzo 2019

E’ il primo giorno di Primavera, ma sulla Charbagh street c’è poca gente, tutto sembra più tranquillo rispetto ai giorni scorsi. Quando arrivo al ponte Si-o-Seh mi rendo conto, però, che moltissima gente è concentrata qui, sul fiume Zayandeh, dove è tornata a scorrere l’acqua.

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La zona delle piccole barche sul fiume Zayandeh

Mi sposto verso la direzione Ovest dove, anche qui, c’è un grande parco. I percorsi pedonali fra le piante fiancheggiano tutto il fiume e l’area verde si estende fino alla strada che sta più su, dove scorre un intenso traffico. Poco dopo il ponte di Si-o-Seh, c’è una lunga fila di persone che attende il suo turno per accedere a delle piccole imbarcazioni colorate che già stanno muovendosi in quella zona circoscritta del fiume.

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Pick-nick nel parco lungo il fiume Zayandeh

Andando più su, la gente si fa più rara: soltanto qualche pick-nick sui prati, dietro ai cespugli e tra gli alberi in fiore. Il parco è magnifico, le piante sono curatissime e tutto intorno è pulito e ordinato. Servizi igienici e panchine sono collocati ad ogni breve distanza. Alcune famiglie stanno sedute su coperte e tappeti e pranzano con il cibo portato da casa, o cucinato lì, sul prato. Altre persone, invece, stanno già dormendo, avvolte completamente nelle coperte. Una famiglia numerosa sta cucinando, proprio ora, qualcosa su un fornello e mi invita a pranzo, ma le difficoltà della lingua mi portano a rinunciare.

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Pick-nick nei pressi del ponte Si-o-Seh.

Mi siedo su una panchina a guardare la mia planimetria: ho camminato molto e sono quasi arrivata al Marnan bridge, un altro vecchio ponte sul fiume Zayandeh. Qui, un gruppo di ragazzi e adulti sta passeggiando nel parco; si ferma a salutarmi e mi invita a pranzo a casa di uno di loro. Chiamano al telefono una voce femminile per convincermi, ma, oltre al gesto del mangiare, non riesco per nulla a comunicare. Rimango ancora un po’ seduta sulla panchina, in questa zona bellissima e silenziosa, ma meno frequentata delle altre. Sento il bisogno di vedere la gente e torno verso il ponte Si-o-Seh.

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Affitto negrilè nei pressi del ponte Khaju.

Ritrovo le famiglie incontrate poco fa, ma ne sono arrivate delle nuove, che mi salutano con un sorriso. Sulla riva del fiume ci sono dei ragazzini che si stanno divertendo lanciando dei sassi nell’acqua; si sentono bambini che piangono e si vedono degli altri giocare nel parco attrezzato, lì accanto. Ci sono anche donne sedute ad allattare e altre che tengono i figli addormentati in braccio. Il pick-nick e il vivere all’aria aperta per lunghe ore fa proprio parte della cultura di questo popolo.

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Il lungo fiume verso Ovest.

Nella ricorrenza del Nowruz, il nuovo anno iraniano, che coincide con il primo giorno di Primavera, la gente arriva, di continuo, anche qui, ad Esfahan, per festeggiare l’evento. L’attrezzattura per il pick-nick, che le famiglie si portano appresso, è ingombrante e complessa: coperte, tappeti, fornelli, pentole, piatti, borse e anche spesso il negrilè. Qualcuno ha anche montato una piccola tenda per ripararsi dal vento che sta soffiando abbastanza intensamente, anche ora.

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Pick-nick con negrilè.

Mentre passo sotto il ponte moderno che sta tra il Marnan e il Si-o-Seh bridge sento i rumori delle auto che passano sopra, ma anche il vocio delle persone che l’attraversano. Più giù, al ponte Si-o-Seh viene a sedersi accanto a me una famiglia afghana, di Kabul, composta da una giovane coppia e due bambine. Lui, ha 34 anni e si occupa del commercio di fiori, pannelli solari ed ha anche un piccolo servizio di ricariche per cellulari. Soltanto lui, come nella maggior parte dei casi, parla l’inglese. In genere, le mogli, se ne stanno in disparte e soltanto qualche volta il marito le coinvolge nei discorsi. Lui, mi racconta che l’Afghanistan, ora, in generale, è tranquillo; soltanto nelle zone di confine esistono ancora delle tensioni. Le relazioni commerciali del suo Paese con l’Iran sono buone, mentre con l’Iraq persistono dei grossi problemi. Anche con la Cina le relazioni economiche sono ottime, ma il suo sogno è quello di raggiungere l’Europa, al più presto.

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Pick-nick nel parco del fiume Zayandeh.

Torno a passeggiare, tra la gente che sta sui ponti e sul lungo il fiume: rivedo il piccolo ponte e-Chubi e raggiungo l’altro, il maestoso e-Khaju. Tutta questa zona è affollatissima, piena di gente ancora seduta per il pick-nick o intenta e chiacchierare. Anche nel parco che sta al di là del fiume c’è parecchia gente. Passeggiando tra i diversi gruppi scopro che dev’essere giunta l’ora del negrilè, perchè molte persone di ogni età lo stanno fumando. Qua e là ci sono anche dei ragazzi indaffarati a darli in affitto alle persone che li richiedono. Guardo le ragazze e i ragazzi che li stanno fumando: qualcuno di loro mi porge una specie di coloratissimo vaso con un tubo e mi invita a fumare, ma io sono sempre paurosa per questo tipo di esperienze.

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Donna sul ponte Khaju.

Mi fermo un po’ di tempo al Khaju bridge, il mio ponte preferito. Ammiro, ancora, le bellissime maioliche che, girando e alzando lo sguardo, vedo un po’ ovunque. E’ l’ora del crepuscolo: ammiro ancora un po’ il panorama che si apre dalle terrazze dei due lati del ponte. Mi sono affezionata a questa parte di Esfahan, alla vita che si svolge sul lungo fiume e sui ponti, in particolare. Torno, lentamente, attraverso il parco, verso la Charbag street e l’ostello. Domani lascerò Esfahan e mi sposterò a Kashan.

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