Esfahan (Iran), 21 marzo 2019

E’ il primo giorno di Primavera, ma sulla Charbagh street c’è poca gente, tutto sembra più tranquillo rispetto ai giorni scorsi. Quando arrivo al ponte Si-o-Seh mi rendo conto, però, che moltissima gente è concentrata qui, sul fiume Zayandeh, dove è tornata a scorrere l’acqua.

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La zona delle piccole barche sul fiume Zayandeh

Mi sposto verso la direzione Ovest dove, anche qui, c’è un grande parco. I percorsi pedonali fra le piante fiancheggiano tutto il fiume e l’area verde si estende fino alla strada che sta più su, dove scorre un intenso traffico. Poco dopo il ponte di Si-o-Seh, c’è una lunga fila di persone che attende il suo turno per accedere a delle piccole imbarcazioni colorate che già stanno muovendosi in quella zona circoscritta del fiume.

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Pick-nick nel parco lungo il fiume Zayandeh

Andando più su, la gente si fa più rara: soltanto qualche pick-nick sui prati, dietro ai cespugli e tra gli alberi in fiore. Il parco è magnifico, le piante sono curatissime e tutto intorno è pulito e ordinato. Servizi igienici e panchine sono collocati ad ogni breve distanza. Alcune famiglie stanno sedute su coperte e tappeti e pranzano con il cibo portato da casa, o cucinato lì, sul prato. Altre persone, invece, stanno già dormendo, avvolte completamente nelle coperte. Una famiglia numerosa sta cucinando, proprio ora, qualcosa su un fornello e mi invita a pranzo, ma le difficoltà della lingua mi portano a rinunciare.

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Pick-nick nei pressi del ponte Si-o-Seh.

Mi siedo su una panchina a guardare la mia planimetria: ho camminato molto e sono quasi arrivata al Marnan bridge, un altro vecchio ponte sul fiume Zayandeh. Qui, un gruppo di ragazzi e adulti sta passeggiando nel parco; si ferma a salutarmi e mi invita a pranzo a casa di uno di loro. Chiamano al telefono una voce femminile per convincermi, ma, oltre al gesto del mangiare, non riesco per nulla a comunicare. Rimango ancora un po’ seduta sulla panchina, in questa zona bellissima e silenziosa, ma meno frequentata delle altre. Sento il bisogno di vedere la gente e torno verso il ponte Si-o-Seh.

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Affitto negrilè nei pressi del ponte Khaju.

Ritrovo le famiglie incontrate poco fa, ma ne sono arrivate delle nuove, che mi salutano con un sorriso. Sulla riva del fiume ci sono dei ragazzini che si stanno divertendo lanciando dei sassi nell’acqua; si sentono bambini che piangono e si vedono degli altri giocare nel parco attrezzato, lì accanto. Ci sono anche donne sedute ad allattare e altre che tengono i figli addormentati in braccio. Il pick-nick e il vivere all’aria aperta per lunghe ore fa proprio parte della cultura di questo popolo.

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Il lungo fiume verso Ovest.

Nella ricorrenza del Nowruz, il nuovo anno iraniano, che coincide con il primo giorno di Primavera, la gente arriva, di continuo, anche qui, ad Esfahan, per festeggiare l’evento. L’attrezzattura per il pick-nick, che le famiglie si portano appresso, è ingombrante e complessa: coperte, tappeti, fornelli, pentole, piatti, borse e anche spesso il negrilè. Qualcuno ha anche montato una piccola tenda per ripararsi dal vento che sta soffiando abbastanza intensamente, anche ora.

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Pick-nick con negrilè.

Mentre passo sotto il ponte moderno che sta tra il Marnan e il Si-o-Seh bridge sento i rumori delle auto che passano sopra, ma anche il vocio delle persone che l’attraversano. Più giù, al ponte Si-o-Seh viene a sedersi accanto a me una famiglia afghana, di Kabul, composta da una giovane coppia e due bambine. Lui, ha 34 anni e si occupa del commercio di fiori, pannelli solari ed ha anche un piccolo servizio di ricariche per cellulari. Soltanto lui, come nella maggior parte dei casi, parla l’inglese. In genere, le mogli, se ne stanno in disparte e soltanto qualche volta il marito le coinvolge nei discorsi. Lui, mi racconta che l’Afghanistan, ora, in generale, è tranquillo; soltanto nelle zone di confine esistono ancora delle tensioni. Le relazioni commerciali del suo Paese con l’Iran sono buone, mentre con l’Iraq persistono dei grossi problemi. Anche con la Cina le relazioni economiche sono ottime, ma il suo sogno è quello di raggiungere l’Europa, al più presto.

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Pick-nick nel parco del fiume Zayandeh.

Torno a passeggiare, tra la gente che sta sui ponti e sul lungo il fiume: rivedo il piccolo ponte e-Chubi e raggiungo l’altro, il maestoso e-Khaju. Tutta questa zona è affollatissima, piena di gente ancora seduta per il pick-nick o intenta e chiacchierare. Anche nel parco che sta al di là del fiume c’è parecchia gente. Passeggiando tra i diversi gruppi scopro che dev’essere giunta l’ora del negrilè, perchè molte persone di ogni età lo stanno fumando. Qua e là ci sono anche dei ragazzi indaffarati a darli in affitto alle persone che li richiedono. Guardo le ragazze e i ragazzi che li stanno fumando: qualcuno di loro mi porge una specie di coloratissimo vaso con un tubo e mi invita a fumare, ma io sono sempre paurosa per questo tipo di esperienze.

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Donna sul ponte Khaju.

Mi fermo un po’ di tempo al Khaju bridge, il mio ponte preferito. Ammiro, ancora, le bellissime maioliche che, girando e alzando lo sguardo, vedo un po’ ovunque. E’ l’ora del crepuscolo: ammiro ancora un po’ il panorama che si apre dalle terrazze dei due lati del ponte. Mi sono affezionata a questa parte di Esfahan, alla vita che si svolge sul lungo fiume e sui ponti, in particolare. Torno, lentamente, attraverso il parco, verso la Charbag street e l’ostello. Domani lascerò Esfahan e mi sposterò a Kashan.

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