Verso Amalfi e ritorno a Napoli

17 agosto 2022: verso Amalfi
Oggi a servire la colazione, al posto della ragazza di Scampia, ci sono il gestore o proprietario del B&B e sua moglie. Delia, i giorni scorsi, pensava che il B&B fosse addirittura del signor Giuseppe Scarlatti in persona, o di un omonimo, ma le avevo fatto notare che la struttura dovrebbe aver preso il nome sicuramente dalla via in cui si trova. Al momento non era convinta perché anche il proprietario o gestore che le aveva più volte risposto al telefono si chiama Giuseppe. Però, stamattina, ha chiesto al signor Pino chi è, o era, Scarlatti: “un musicista del ‘700!” lui le ha risposto con orgoglio! Nella saletta della colazione c’è un quadretto appeso alla parete con il nome della Residenza Scarlatti di Giuseppe Todaro, ma sono più che convinta che, il signor Pino, abbia affittato l’appartamento (ha parlato di Cedolare secca) e che gestisca gli affitti brevi sia con le piattaforme sia per conto suo. La moglie è alta e un po’ formosa e se ne sta in silenzio, accondiscendendo con gesta e sguardo, a tutto quello che il marito dice. Il signor Pino avrà circa sessant’anni, ma forse ne dimostra di più perché è piuttosto grassottello. Indossa una camicia a mezze maniche e un paio di pantaloni lunghi, un po’ eleganti, tenuti su da una lunghissima cintura che gli taglia a metà l’enorme pancione. Ci racconta che ha lavorato molto al Nord come portiere d’albergo e, in seguito a dei problemi di salute ha deciso di intraprendere questa nuova attività, su suggerimento e in collaborazione con la moglie. Delia si complimenta con lui sia per la pulizia degli ambienti che per la bravura della ragazza di Scampia. Elogia molto la struttura, l’ottima posizione in cui si trova e l’accoglienza funzionale che offre. Io ascolto e me ne sto ben zitta! Per me, in questo viaggio, trascorso, quasi totalmente, in passività, lontana anni luce dal mio modo di essere, rimane sempre prioritaria la voglia di recuperare i ricordi dell’infanzia che mi legano a Delia e la mia identità di base. Dopo esserci consolate con il buon caffè del nostro amato bar, partiamo per Sorrento con la solita Circumvesuviana e, arrivate lì, questa volta, a differenza dell’altro giorno, prendiamo l’autobus per Amalfi. Passiamo soltanto per Positano e guardiamo con nostalgia la splendida città, arroccata sulla roccia. Proseguiamo per un lunghissimo tratto di Costiera Amalfitana: il traffico è lentissimo, l’unica strada è strettissima e l’autobus è costretto a lunghe soste per lasciar passare le auto che viaggiano in senso opposto. Arrivate ad Amalfi verso le 13:00 rimaniamo sbalordite dalla bellezza della città. Fa molto caldo anche qui! Delia mi porta subito in una gelateria e io prendo una costosissima, ma deliziosa, granita al limone che, per quanto mi riguarda, sostituirà completamente il pranzo. Lei protesta un po’ per i tempi stretti che ci costringono a saltare il pranzo a causa della lentezza del traffico. Camminiamo avanti e indietro lungo una delle due vie principali, l’asse che procede in direzione Nord-Sud, quello del centro città che va dalla Piazza Municipio alla Cattedrale. L’altra via pedonale percorre il Lungomare. Ci fermiamo un po’ ad ammirare una fresca e splendida fontana attorniata da bellissime sculture femminili. Di Amalfi ho un ricordo lontano, che mi accompagna sin dalle elementari: era una delle quattro Repubbliche Marinare che nel Medio Evo intrecciavano relazioni feconde con altri Paesi. La città di Amalfi, si è costituita come repubblica autonoma già nell’839. Alla fine dell’X secolo, le sue attività mercantili spaziavano dalla Spagna all’Africa, da Costantinopoli ai porti dell’attuale Libano. Nel 1131, però, è iniziata la decadenza, con la conquista dei normanni poi aggravata dalla guerra tra Angioini e Aragonesi. Sono seguite le carestie, gli spopolamenti, i conflitti e i blocchi navali che contrassegnarono il XIV secolo. Da allora, Amalfi, è stata relegata ad un ruolo subalterno, fino all’avvento del turismo che ancora oggi la caratterizza. Camminiamo verso il Municipio e poi torniamo verso la grandiosa, ripida e celebre scalinata che porta alla Basilica di Sant’Andrea e al suo campanile duecentesco. Il Duomo di Amalfi non si può ricondurre ad un unico stile architettonico perché condensa un insieme di culture, luoghi, storie di altri popoli. Ricorda un po’ le architetture arabo-normanne siciliane, ma la facciata è della fine del XIX secolo e nell’interno, a tre navate, prevale lo stile barocco, con qualche riferimento medioevale nei mosaici del XIII secolo. Difatti, la sua attuale veste barocca, voluta dall’arcivescovo Michele Bologna, agli inizi del Settecento, ha cancellato quasi del tutto il primitivo impianto romanico. Comunque, i marmi policromi, il ricco soffitto a cassettoni, con grandi tele incorporate, offrono un affascinante spettacolo. La porta bronzea, del 1057, proviene da Costantinopoli, dove Sant’Andrea era patrono, ed è stata donata alla cattedrale dal nobile e ricco mercante amalfitano Pantaleone di Mauro. Le quattro finissime figurine in argento, in puro stile bizantino, raffigurano Cristo e la Vergine e san Pietro e sant’Andrea. La Cripta sottostante è il cuore di Amalfi, perché qui si conservano le reliquie del corpo di sant’Andrea, il primo discepolo di Gesù. L’apostolo, che aveva evangelizzato la Grecia fino a spingersi all’odierna Russia, venne crocifisso a Patrasso. Da lì, il corpo è stato trasportato prima a Costantinopoli e poi ad Amalfi, durante la IV Crociata, nel 1208. Il dipinto seicentesco presente nella lunetta, documenta l’evento e il primo miracolo del santo ad Amalfi. Sotto l’altare c’è un’ampolla di cristallo che contiene il liquido denso che trasuda, in certe occasioni, dal sepolcro del santo. L’altare centrale mostra una scultura in bronzo raffigurante l’apostolo Andrea; accanto figurano statue marmoree con i santi Stefano e Lorenzo scolpite dal padre di Gian Lorenzo Bernini. La volta della Cripta, affrescata nei primi decenni del’600, rappresenta scene della Passione di Cristo. Il Museo Diocesano che sta accanto alla Basilica è stato istituito nel 1996 e raccoglie diverse reliquie contenute in preziosi contenitori in legno e osso. Il Museo custodisce anche un gruppo numeroso di opere scultoree, bassorilievi marmorei e dipinti su tela e tavola di epoca barocca. Nell’abside, accanto alla Cripta, c’è uno straordinario Crocifisso trecentesco e, quanto resta del mirabile affresco con l’immagine della Vergine in trono che tiene in braccio il bambino, opera attribuita ad un artista marchigiano attivo a Napoli agli inizi del XV secolo. Usciamo dal Complesso Monumentale di Sant’Andrea e giriamo un po’ per la stradina principale e i viottoli che si diramano. Ammiriamo la bellezza delle case, i colori che le caratterizzano, il sistema di portici e gallerie orientaleggianti del percorso principale. Tornando verso il Lungomare notiamo una miriade di lussuose imbarcazioni, di varia grandezza. Ma è già l’ora di far ritorno a Napoli ed il percorso è lungo. L’autista di questo autobus è molto frenetico: urla e dirige il traffico sporgendo metà corpo dal finestrino. “Solo così”, ci spiega, “è possibile affrontare il traffico della Costiera Amalfitana”. Ceniamo al Vomero, al ristorante “La Caprese” di via Luca Giordano. Delia, verso la fine della cena apre il discorso che forse da giorni teneva in serbo: la faccenda dell’eredità ricevuta (o non ricevuta) dai genitori, che ha favorito i due figli maschi. Lei giustifica sia il fatto che i genitori, ancora in vita, abbiano tacitamente “venduto” ai fratelli (anzi, al fratello più astuto) la grande casa e il terreno adiacente, sia il fatto che loro l’abbiano accettato come un diritto (perchè maschi). Secondo lei, i fratelli abitavano lì, in una parte della grande casa di proprietà dei genitori e, quindi, erano un punto di riferimento per loro, anziani, ma autonomi. Secondo me, invece, erano gli stessi genitori che si sobbarcavano gran parte del peso economico dei figli maschi e delle loro famiglie. Comunque, Delia, ha mantenuto un minimo di contatto con il fratello più grande, la mente e l’artefice delle decisioni effettuate dai genitori. Capisco la posizione di Delia che, avendo ricevuto molto poco, in tutti i sensi, dalla famiglia, non si è nemmeno mai aspettata nulla, ma comunque, le dico che, se la pensa così, per quanto mi riguarda il rapporto con lei finisce qui (ma non sarà così). Troppi rancori vengono a galla, anche da parte sua, ma ricadono soltanto su di me; anche se, più volte, da quando abbiamo ripreso a frequentarci, lei mi ha confidato che nostra madre non le voleva bene e che io ero la sua figlia preferita. E’ una storia senz’altro molto triste, quella della sua infanzia! Però, si sofferma soltanto su quello che io ho avuto in più rispetto a lei e tralascia completamente quella che io considero una grossa discriminazione per entrambe. Sarò stata, certamente, la figlia preferita di mia madre, ma alla fine, ha prevalso la sua fede nella tradizione con il ripetere l’ingiustizia subita anche da lei stessa: quella di privilegiare i figli maschi, sempre compiacenti naturalmente, in passato come oggi!

Napoli, 18 agosto 2022
Oggi, nel pomeriggio, lasceremo Napoli per tornare a Udine. Abbiamo tutta la mattinata a disposizione e anche parte del pomeriggio per goderci la città. Nella Metro Delia subisce un tentativo di scippo, ma io non mi accorgo di nulla. Erano in tre uomini, due anziani, minuti e uno robusto, di mezza età. Io stavo seduta accanto ad una porta d’uscita e Delia era rimasta in piedi con la borsa firmata appesa al braccio. Quello di mezza età mi si è parato davanti con invadenza, sporgendosi, facendo finta di guardare fuori dal finestrino e capire dove si trovasse: pareva ansioso e frettoloso di scendere. Nel frattempo era riuscito ad aprire la cerniera della borsetta di Delia, fino a metà. D’impulso o d’istinto, lei ha appoggiato l’altra mano sopra la borsa accorgendosi che era semi aperta. Uno dei due vecchietti del trio, quello che avevo di fronte, rideva divertito. E’ stato un attimo e arrivati subito ad una fermata, sono scomparsi. La gente si era accorta di tutto, ma era rimasta in silenzio. Solo dopo la sparizione dei tizi, alcune persone hanno chiesto a Delia informazioni su quanto avevano visto. Torniamo alla Cappella Sansevero che martedì scorso era chiusa e prenotiamo la visita che avverrà poco più tardi. Edificata nel 1590 come ex voto, in stile barocco, acquistò prestigio a partire dal 1749 quando il principe di Sansevero chiamò al suo cospetto i migliori artisti del tempo, per progettare un luogo indimenticabile. Difatti, il dinamismo dell’affresco sul soffitto, l’altare maggiore con l’altorilievo della Deposizione e il Sepolcro con il condottiero che con la spada sguainata esce dalla bara attirano subito la nostra attenzione. I due capolavori, però, sono le sculture ai due lati dell’altare: la statua velata dell’Impudicizia, dedicata alla madre del principe, morta giovane e il Disinganno che rappresenta il peccato, dedicato al padre del principe. Il Cristo Velato, di Giuseppe Sanmartino, è il capolavoro assoluto della Cappella. Il Cristo pare appena adagiato su materasso e cuscino, protetto da un sottilissimo velo, con la fisionomia ben visibile, mostra i segni martoriati del corpo. Scendiamo nella Cripta della Cappella dove sono esposti gli scheletri di un uomo e di una donna, in posizione eretta e con il sistema arterovenoso quasi perfettamente integro. Si tratta delle famose Macchine anatomiche commissionate nella seconda metà del Settecento dal principe di Sansevero. La visita alla Cappella è senz’altro interessante, ma l’aggressività con cui viene vietato di scattare delle fotografie rimane disgustosa. E’ una proprietà privata, senz’altro una grossa fonte di reddito da tutelare, per la famiglia Sansevero!

Napoli, 18 agosto 2022. Il Cristo velato della Cappella Sansevero. Foto da internet

Usciamo dalla Cappella e ci immergiamo sulla via Toledo per raggiungere la piazza del Plebiscito e l’altro nostro amato ed elegante bar Gambrinus. Abbiamo sufficiente tempo per andare a pranzo da qualche parte, prima della partenza. Delia ha notato che il ristorante “Acurzo” del Vomero è riaperto, proprio da oggi. E’ un altro ristorante raccomandato, forse non dal cameriere di Udine, ma dal signor Pino. Prendiamo la funicolare che arriva proprio di fronte al ristorante. Pranziamo con una buonissima insalata caprese e due Prosecchi. Compriamo pure due mozzarelle, da portare a Udine. Corriamo al B&B a recuperare le valigie e torniamo un attimo al familiare caffè di via Luca Giordani per gli ultimi saluti a Napoli e ai napoletani.

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