Varanasi 2017. Madre con bambina accanto al loro cumulo di coperte.
Varanasi, 16 febbraio 2017.
Il letto del Gange è molto ristretto in questa stagione e forse per questo sembrano molto più numerose del solito le imbarcazioni cariche di turisti e pellegrini che lo percorrono. I ghat sono stati accuratamente ripuliti da terra e immondizie ed è un piacere camminare sopra le antiche lastre di pietra ed i terrazzamenti del lungo fiume. Numerose giovani donne con la divisa da spazzino e munite di grosse scope stanno pulendo le gradinate in continuazione, mentre due ragazzi con addosso la stessa identica divisa se ne stanno seduti sulle gradinate a riposare. Tutte le scritte, le pitture e le statue con le divinità induiste sono state da poco restaurate e l’insieme appare pronto ad ospitare i prossimi eventi importanti. Il 24 febbraio si festeggerà lo Shivaratri, l’anniversario di matrimonio del dio Shiva con Parvati, il 10 marzo ci sarà l’Holi, il festival della luce e il 24 marzo ci saranno le elezioni politiche dell’Uttar Pradesh, lo Stato federale al quale Varanasi appartiene.
Varanasi, 16 febbraio 2017. Siesta sui ghat.
Camminando sui ghat rivedo alcuni sadhu e guru che conosco: quello con il corpo e la faccia dipinti di bianco, quello con il volto pitturato di rosso e bianco e il giovane baba che sta sempre là, seduto a gambe incrociate, sullo stesso palco, davanti all’altarino con l’immagine di Shiva in rilievo. La novità, rispetto alle altre volte, sono i massaggiatori che paiono notevolmente aumentati e tutti affannati a lavorare sui corpi dei turisti. La tecnica con cui avvicinano il cliente inizia prendendo il suo braccio tra le mani e appoggiandolo sulla propria spalla dandogli subito dei consigli su come rilassarsi. A questo punto, difficilmente il cliente si tirerà indietro e il massaggiatore potrà proseguire con professionalità e astuzia il suo lavoro. Laggiù, poco prima del Kedar Ghat ritrovo i coriacei bufali con dei nuovi nati. Alcuni, di quelli adulti, sono già immersi nel fiume per il consueto bagno giornaliero e un mandriano li sta grattando, spazzolando e sciacquando con molta cura. Un altro indiano, sulla riva, ne sta esaminando altri: controlla le mammelle, le zampe e ogni piccola escoriazione presente sul loro corpo. Anche più su, poco dopo il Dasaswamedh Ghat, in un piazzale, ci sono numerosi bufali sdraiati. Poco più in là, un sadhu malaticcio sta dormendo sotto una pila di coperte. Sulla scalinata ci sono diversi indiani seduti a chiacchierare e qualche turista, in piedi ad osservare e fotografarne il contesto.
Varanasi, 16 febbraio 2017. Donne che cercano di rivestirsi, inosservate, dopo il bagno nel Gange.
Lì, in disparte ci sono delle donne appena uscite dal bagno nel fiume sacro. Stanno cercando affannosamente di cambiarsi gli abiti bagnati senza lasciar intravedere le loro nudità.
Varanasi, 16 febbraio 2017. Dopo il bagno nel fiume sacro.
Una ragazza australiana vestita di arancione come i sadhu e con una mezza luna in testa passa di lì, quasi inosservata, nonostante il richiamo del suo tamburello.
Varanasi, 16 febbraio 2017. Ragazza australiana vestita da sadhu, lungo i ghat.
Varanasi, 17 febbraio 2017
Un giro a Godonia prendendo come punto di riferimento la chiesa protestante e ritrovare il ristorante indiano dove ho cenato ieri sera con due signore di Roma, Luigina e Amelie, con Simone e insieme a Tolga, un ragazzo tedesco di origine turca. Il ristorante non era facile da individuare, ma sono riuscita a trovarlo con facilità. Sono andata, poi, verso il Dasaswamedh Ghat a guardare il via vai di matrimoni che si riversa sul Gange per celebrare il tradizionale rituale propiziatorio. Lancio uno sguardo al fiume in secca: è splendido nel suo azzurro intenso! E’ animato da barchette e barconi che lo percorrono in tutte le direzioni. Stormi di uccelli bianchi volano sopra il fiume e si calano in acqua a recuperare il cibo che i turisti gettano loro dalle barche.
Varanasi, 17 febbraio 2017. Pellegrine si riposano all’ombra, accanto al tempio di Shiva.
Sul retro del grande tempio dedicato a Shiva, sotto un telo sistemato a tettuccio, sta seduto un gruppo di pellegrine in attesa che i loro uomini ed il guru terminino la celebrazione della loro puja. Più giù, appoggiato ad un muretto, sta il baba della scuola di yoga del Dasaswamedh Ghat. Gli chiedo notizie riguardo ai dolori alle sue gambe, nascondendogli il fatto che anche le mie non sono molto in forma. Cammino fino al Chousati Ghat accompagnata dal battito dei tamburi che festosi arrivavano dalle imbarcazioni nuziali e dagli stormi di uccelli che arrivano cinguettando al palazzo del Rana Ghat. Al Chousati Ghat, mi siedo sulla scalinata a leggere il giornale. Sonu, il mio amico barcaiolo, oggi non c’è. Qualcuno l’ha incontrato stamattina, completamente ubriaco. Tempo fa mi aveva promesso, con grande convinzione, che avrebbe smesso di bere! Arriva il rumore di un tuffo nell’acqua: sbuca la testa di un indiano che in breve tempo raggiunge a nuoto la metà del fiume, lancia due urla alzando le braccia e poi ritorna sul ghat. Il suono dei tamburi continua ad arrivare festoso dalle barche che vanno e tornano dall’altra sponda. Nel pomeriggio usciamo tutti insieme e ci fermiamo a bere un cjai in una buia tea-stall di uno stretto vicoletto, nei pressi del Manikarnika Ghat. Più avanti, attraverso un piccolo portale entriamo in un santuario islamico.
Varanasi, 17 febbraio 2017. Il cortiletto del santuario islamico.
Seduto, in posizione yoga, c’è un guru alto e sottile con una lunga barba bianca, vestito anche lui di bianco. Intorno a lui un folto gruppo di uomini sta bevendo il cjai che qualcuno ha preparato con l’attrezzatura che sta lì accanto. Da quella stanzetta, attraverso un altro piccolo portale in pietra si accede ad un cortiletto con un albero sacro in un angolo. La grande pianta pare aver le radici appena appoggiate su un sopralzo di terra.
Varanasi, 17 febbraio 2017. Donne in preghiera nel cortiletto del santuario islamico.
Sedute in terra, stanno delle donne in burka o insciallate, insieme a tre neonati dagli occhi bistrati, adagiati accanto a loro. Una bambina di circa sei anni con il capo coperto da un velo nero gira intorno ad Ameli per farsi fotografare.
Varanasi, 17 febbraio 2017. Giovane madre islamica con bambino.
Un maschietto con il berrettino bianco sul capo si inginocchia e protrae più volte in avanti, rivolto verso il santuario. Da una porticina posta su una facciata lunga e bassa si accede alla moschea. Guardo un attimo dall’esterno la stanza affollata di soli uomini raccolti nella preghiera del venerdì. Nei pressi del Manikarnika Ghat incrociamo un funerale seguito da una barella carica di legna da utilizzare per la pira. Più avanti, davanti ad un tempietto, il suono festoso dei tamburi ci annuncia l’arrivo di un matrimonio. Un gruppo di parenti, per lo più donne, inizia una danza in cerchio davanti al tempio, mentre lo sposo tocca più volte l’architrave della porta per chiedere la protezione agli dei.
Varanasi, 17 febbraio 2017. Suonatori e danze di un corteo nuziale.
Al Brahma Ghat passiamo davanti ad un grande tempio in ristrutturazione. Di fronte c’è il negozio di un barbiere di mezza età con i capelli tinti con l’enna rosso vivo. L’uomo si mette in posa e chiede con insistenza ad Amelie di fotografarlo e di inviargli via e-mail le immagini scattate. Al Raj Ghat incontriamo dei bambini sui dieci anni, allievi di una scuola di sanscrito. Stanno preparando gli ornamentali per celebrare loro stessi la puja serale. Qui ci separiamo: Amelie e Luigina si fermano ad assistere alla puja, Simone e Tolga tornano alla guest house e anch’io mi avvio, lentamente, verso la mia stanza, attraverso i ghat. Al Manikarnika Ghat ci sono oltre dieci salme che stanno bruciando contemporaneamente, mentre i gruppi di parenti in parte sono impegnati a celebrare le puja o a bere il cjai. Vitellini, cagnetti, caprettini nati da poco, se ne stanno già da soli; solo a volte li vedo accostati, accanto alle loro madri. Poco più in là, tra grosse cataste di legna, un indiano sta spaccando con una scure alcuni tronchi. Sotto la scalinata, lì accanto, una fila di povera gente sta consumando la cena offerta dal tempio.
Varanasi, 17 febbraio 2017. La distribuzione della cena accanto al Manikarnika Ghat.
Su un palco illuminato dalle torce, tre ragazzi stanno celebrando la cerimonia serale animandola con fragorose scampanellate.
Varanasi, 17 febbraio 2017. Cerimonia serale nei pressi del Manikarnika Ghat.
Grandi barconi si riempiono lentamente, un po’ ovunque, di pellegrini che fanno ritorno ai loro pullman o alle loro guest house. Sono le sette di sera; è già calato il buio, ma i ghat sono illuminati come se fosse giorno.
Varanasi, 17 febbraio 2017. Il calar della sera sui ghat.
Scendendo lungo il fiume, prima del Dasaswamedh Ghat incontro numerosi gruppi di uomini che stanno ancora facendo il bagno o rivestendosi. Arrivo al Dasaswamedh Ghat: un’immensa folla di turisti e pellegrini sta assistendo alla conclusione della cerimonia serale dalle barche e dalle scalinate.
Varanasi, 17 febbraio 2017. La conclusione della cerimonia serale al Dasaswamedh Ghat.
Le fiamme dei bracieri si muovono lentamente tra la folla pullulante di pellegrini e turisti per donare la loro benedizione alle persone che vi avvicinano le loro mani.
Varanasi, 18 febbraio 2017
Luigina e Amelie sono partite per Roma e hanno lasciato un grande vuoto.
Varanasi, 18 febbraio 2017. Venditore di zucchero filato al Dasaswamedh Ghat.
E’ la stagione dei matrimoni e anche oggi il Dasaswamedh Ghat è affollato da un festoso via vai di cortei nuziale.
Varanasi, 18 febbraio 2017. Venditori di offerte al Dasaswamedh Ghat, nella tarda mattinata.
Un gruppetto di politici sta facendo un sopralluogo sui ghat con un candidato locale alle prossime elezioni. Appartiene al Satish party, mi dicono gli uomini che lo accompagnano.
Varanasi, 18 febbraio 2017. Un guru sempre presente al Dasaswamedh Ghat.
Nel primo pomeriggio mentre sto passeggiando sui ghat meridionali, osservo degli operai mentre stanno liberando dal fango le ultime pietre, quelle più vicine al fiume. Rimuovono, a colpi di piccone, lo strato di terra indurito dagli anni. Una spazzina, sulla gradinata, sta raccogliendo le immondizie che la gente lascia sparse ovunque. Negli ultimi tempi, lungo i ghat, sono comparsi dei raccoglitori, ma quasi nessuno li utilizza ancora. Là sotto, sulla spiaggetta fangosa, due bambini nudi stanno correndo veloci fino alla parte terrazzata del ghat. Cercano di scappare dai loro genitori che li vogliono rivestire dopo il bagno.
Varanasi, 18 febbraio 2017. Gruppo di donne mentre fa il bagno nel Gange.
Quaggiù, nella zona del Raja Ghat, ci sono diverse donne anziane che stanno facendo il bagno vestite. Alcune sono sole, altre sono arrivate in gruppo, desiderose di purificarsi nel fiume sacro. Guardo con tenerezza un ragazzino che sta aiutando una di loro, molto anziana, ad uscire dall’acqua ed a risalire, lentamente, la scalinata. Poco prima del Tempio delle Scimmie inizia, come sempre, la grande distesa dei bucati messi ad asciugare sulle pietre e su dei fili volanti, sostenuti da paletti di bambù. Due lavandai, un uomo e una donna, hanno appena iniziato a ripiegare le lenzuola già asciutte e ad impilarle su un muretto.
Varanasi, 18 febbraio 2017. Bucati.
Lancio uno sguardo sul fiume: sta passando un barcone carico di turisti con il capo ricoperto da un vistoso cappellino giallo. Stanno andando verso l’Assi Ghat, ma torneranno indietro quasi subito. Risalgo la gradinata all’altezza del palazzetto abitato dalle famiglie dei barcaioli e percorro il viottolo che porta alla guest house.
Varanasi, 18 febbraio 2017. Gruppo di lingam sulle gradinate, sotto il palazzetto rosso dei barcaioli.
Lungo la stradina sono in corso dei lavori alle fognature e qua e là ci sono dei tombini ancora aperti mentre altri sono stati appena ricoperti con le loro pietre.
Varanasi, 18 febbraio 2017. New look to the mirror.
Al Chousati Ghat incontro Sonu, il barcaiolo. Mi dice che da ieri a stamattina è stato male per dei dolori allo stomaco. Gli ho chiesto se si fosse per caso ubriacato la sera prima e mi ha risposto negativamente. Ha però ammesso che qualche volta lo fa.
Varanasi 19 febbraio 2017
Varanasi, 19 febbraio 2017, Dasaswamedh Ghat. Celebrazione del rituale della rasatura dei capelli per un bambina.
Camminando da Godonia a Chowk osservo l’approccio che utilizzano i vari cercatori di clienti per catturare i turisti. Quelli dei moto risciò, si affiancano alla persona, senza il mezzo che tengono posteggiato poco lontano, dove è loro consentito, chiedono in continuazione: “dove stai andando?”, oppure, “cosa stai cercando?” e spesso propongono di portarli a Sarnath e poi di ritornare qui. I ciclo risciò, invece, sono autorizzati ad infilarsi dappertutto e si avvicinano ai pellegrini o ai turisti quando li vedono affaticati e li invitano a salire sul sedile per poche rupje. Anche sui ghat ci sono le tecniche speciali per catturare i turisti. I barcaioli sono numerosissimi e stanno dislocati su tutto il lungo fiume. Offrono giri scontatissimi durante le ore calde del giorno e prezzi di molto superiori all’alba, al tramonto, per i matrimoni e durante le cerimonie serali sui ghat. I massaggiatori lavorano il cliente in diversi modi: oggi, un giovane indiano che conosco da tempo è venuto a sedersi accanto a me sulla scalinata e mi ha assillata con la descrizione del suo metodo. E’ arrivato a dire a se stesso che prossimamente avrei accettato. Di massaggiatori ce ne sono molti nella zona del Dasaswamedh Ghat e riescono facilmente ad adescare i turisti. Dopo aver massaggiato loro la mano ed il braccio, li fanno distendere a terra o sui palchi vuoti per completare l’operazione. Un’altra categoria sono le guide turistiche: fermano le persone e indagano sul loro modo di trascorrere le giornate, sui loro interessi, su eventuali incertezze e insicurezze, proponendone la soluzione. Ce ne sono tante di guide o pseudo guide in giro: oggi, quando ho attraversato il Manikarnika ghat, ho visto diverse coppie di turisti accompagnate da un indiano. Lì, al borning ghat, ce ne sono molte di guide, ma ci sono altri individui che gironzolano: si spacciano per volontari che si occupano dell’ospizio e chiedono diversi soldi allo scopo di acquistare la legna per cremare le salme dei poveri. Naturalmente, quello che raccontano non corrisponde a verità e i soldi se li tengono loro. Per le strade , lungo i ghat e ovunque, poi, non mancano i procacciatori di clienti per i negozi di sari e di scialli che invitano con insistenza i turisti a visitare le esposizioni spacciandole per proprie. Arrivati al negozio, affidano il visitatore al proprietario che lo accoglie come un cliente reale.
Varanasi, 19 febbraio 2017. Pellegrini si riposano nei pressi del Golden Temple.
All’altezza del Manikarnika Ghat, sulla Main Road, c’è un pittoresco mercato dei fiori dove i familiari dei defunti recenti, i parenti dei morti arrivati qui per celebrare le ricorrenze, gli sposi ed i semplici pellegrini vengono qui per acquistare fiori, ghirlande, collane, corone, corolle e petali in grandi quantità. Dalla strada principale entro nei vicoletti della città vecchia: in lontananza si sentono le voci di un mantra funebre. Sta arrivando un funerale con la salma avvolta in un telo rosso coperto di fiori. La trasportano dei ragazzi seguiti da un numeroso corteo. Si tratta di una madre ancora giovane, mi dice qualcuno. Più avanti, nella zona di Chowk, incontro una manifestazione a sostegno di un candidato alle prossime elezioni politiche. In testa al corteo sta sventolando una bandiera rossa e i manifestanti portano un cappellino con su disegnati la falce e il martello.
Varanasi, zona di Chowk, 19 febbraio 2017. Parte di una manifestazione pre elettorale.
Mentre parlo con alcune persone per cercare di capire qualcosa su questo partito mi arriva una grossa botta sulla schiena. E’ una mucca gravida che sta cercando di scappare da tutta questa folla. Proprio ora sta arrivando un altro corteo funebre e i manifestanti si portano silenziosamente in disparte per lasciarlo passare. Dopo il Manikarnika Ghat, sotto il porticato, il magrissimo baba con l’altarino e i poster delle divinità appesi alla parete non c’è. Chiedo sue notizie e mi dicono che se n’è andato in un ashram di Allahabad, a 2 km da qui. Rimarrà là per due mesi in quanto ha bisogno di una nutrizione regolare per ristabilirsi. Nel primo pomeriggio, nella città vecchia di Bengali Tola, incrocio un comizio elettorale. E’ il candidato che appartiene al partito che porta come simbolo la bicicletta. Anche il giornale che ho appena acquistato gli ha dedicato delle intere pagine.
Varanasi, 19 febbraio 2017. Verso sera al Dasaswamedh Ghat.
Poco prima della puja serale, al Dasaswamedh Ghat vedo una grande folla di gente munita di macchine fotografiche, videocamere e cellulari accalcarsi intorno ad un personaggio. E’ un attore del cinema, mi dice qualcuno. Me ne andrò, senza riuscire a vederlo.
Varanasi, 20 febbraio 2017
E’ lunedì e sono arrivata camminando fino a Godonia o Godalia, una parte di Varanasi sempre affollata e piena di negozi eleganti. Sono da poco passate le 11.00 e quasi tutte le serrande sono ancora abbassate. Soltanto alcune sono già alzate e una qua e una là si sta sollevando ora.
Varanasi, 2o febbraio 2017. Main Road.
Sulla Main Road, all’altezza del Manikarnika Ghat incontro un bambino di 10 anni, con lo zainetto sulle spalle, che sta rientrando da scuola per il pranzo. Mentre due funerali ci passano davanti, uno di seguito all’altro, il bambino mi insegna a fare il segno di mezza croce portandosi la mano destra dal petto alla fronte per due volte consecutive. Entriamo in un vicoletto della città vecchia, ma dobbiamo subito rientrare sulla strada principale a causa dei lavori alla fognatura che sbarrano la stradina.
Varanasi, 20 febbraio 2017. Tea-stall in un vicoletto di Chowk.
Prima di imboccare un altro vicolo, il bambino mi indica una piccola moschea, dicendomi che lui è di religione induista. Camminando in direzione del Gange mi racconta che sta frequentando la quarta classe di una scuola privata e che i suoi genitori hanno un negozio di alimentari poco più avanti. Gli indiani che incrociamo lo salutano con simpatia mentre lui continua a fornirmi le sue spiegazioni in un corretto inglese. Al Meer Ghat, un ragazzino che dimostra una decina d’anni, vestito in modo accurato e con uno smartphone in mano mi chiede se voglio fare un giro in barca. Mi dice che ha 15 anni e frequenta la decima classe della scuola statale. Le lezioni, mi racconta, vanno dalle 7.00 alle 11.00 di mattina. Ora, in effetti, sono quasi le 12.30 e, secondo il suo racconto, la scuola è da oltre un’ora terminata.
Varanasi, 20 febbraio 2017. Gruppetto di sadhu mentre prepara il pranzo, lungo i ghat.
Poco più avanti, al Tripura Bhairavi Ghat, all’ombra di un tempietto, da qualche tempo si è stabilito un gruppo di sadhu mendicanti. Hanno appeso dei poster sul retro e appoggiate delle pietre in cerchio per formare un piccolo focolare. Ora, stanno cuocendo del riso per il pranzo usando il pentolino che portano sempre con loro. Nel pomeriggio vado a sedermi accanto al portale di un tempietto vicino al Ksemeshwar Ghat. Passa di lì Gil, il canadese che ho conosciuto a Maheshwar, incontrato, poi, sia a Gokarna che qui, a Varanasi. Mentre parliamo, due indiani del Sud stanno ascoltando i nostri discorsi. Intrecciamo la comunicazione anche con loro.
Varanasi, 20 febbraio 2017. Kedar Ghat
Ci raccontano che sono arrivati in treno da Hyderabad, dopo un viaggio di due notti, e questa sera ripartiranno. Sono venuti a Varanasi per consegnare una donazione per l’acquisto del cibo per i poveri. Sono due cugini: Srikanth è architetto e Wishnu è un designer. La moglie di Srikanth dirige una scuola privata con 700 alunni che frequentano il ciclo di studi che va dalla prima alla dodicesima classe. Mi parlano dei templi che potrei visitare nei dintorni della zona dove abitano: Tirupati e Amaravathi in Andhra Pradesh; Arunchalam e Rameswara Ranu in Tamil Nadu. Mi parlano delle tre principali divinità indù: Brahma, mi spiegano, è il creatore e rappresenta il passato; Wishnu è il dio che favorisce le positività dell’esistenza ed è associato al presente; Shiva, invece, è il distruttore. Senza distruzione non ci potrebbe essere la creazione che è raffigurata dal Lingam del dio che gli induisti adorano. Shiva protegge le anime di tutto l’universo e rappresenta il nostro futuro.
Varanasi, Bengali Tola, 20 febbraio 2017. Banda musicale in attesa di suonare in Bengali Tola.
E’ ormai sera. Cammino lentamente dal Kedar al Dasaswamedh Ghat ammirando le luci delle candele che sono comparse al largo intorno alle imbarcazioni. Un giovane venditore di collane, che conosco da tempo, mi ferma per donarmi un braccialetto composto da piccolissimi coralli.
Varanasi, 21 febbraio 2017
Varanasi, 21 febbraio 2017. Tempietto di Shiva con tea-stall accanto, lungo i ghat.
In tarda mattinata cammino verso sud percorrendo la stradina della città vecchia e scendendo al Ksemeshwar Ghat, all’altezza del tempietto.
Varanasi, 21 febbraio 2017. Lavaggio quotidiano e decorazione del Lingam di Shiva in un tempio sui ghat.
Un indiano, all’interno, sta lavando la scultura del lingam di Shiva e mettendo dei fiori gialli sopra e intorno. Fa molto caldo. Mi siedo all’ombra del tempietto a guardare il fiume e a leggere. Un barcaiolo affaticato si distende accanto a me: sonnecchia, canta dei mantra, parla ad alta voce e propone, ogni tanto, sbadigliando, dei giri in barca ai turisti che camminano sul lungo fiume.
Varanasi, 21 febbraio 2017. Casette sui ghat meridionali.
Ho bisogno di stare un po’ in silenzio e mi sposto all’ombra del tempio delle Scimmie dove, sotto il porticato, un anziano sadhu sta facendo degli esercizi ginnici con addosso un minuscolo costume da bagno rosso. E’ appena uscito dall’acqua e sta sollevando dei pesi alterandoli con delle flessioni. Poi, cammina in su e in giù, contando i passi in tutte le direzioni; si ferma di scatto e rimane in silenzio, per un lungo tempo, davanti al portale. In un angolo, un occidentale e un indiano stanno seduti, immobili, in posizione yoga.
Varanasi, 21 febbraio 2017. Tarda mattinata lungo i ghat.
Nei pressi del Dasaswamedh Ghat c’è il solito anziano bramino vestito di bianco che ferma i turisti ponendo loro la mano sulla fronte per benedirli e chiedere, poi, dei soldi. Una coppia di italiani, 45 anni lui e 52 lei, quando il bramino inizia la sua prassi lo abbracciano, gli parlano scherzosamente e se ne vanno senza prestarsi al gioco. Sorrido loro: sono di Cuneo e stanno viaggiando in India da oltre due mesi per vacanza, ma anche per affari. Lui fa il rappresentante di vini e lei cucina gli alimenti da abbinare, durante le dimostrazioni.
Varanasi, 21 febbraio 2017. Matrimonio al Dasaswamedh Ghat.
Dalla scalinata sta arrivando una fila di cortei nuziali accompagnati dallo squillo di una tromba e dal battito festoso dei tamburi.
Varanasi, 21 febbraio 2017. Rituale di donne in un piccolo tempio del Dasaswamedh Ghat.
In un tempietto in basso, vicino al fiume, delle donne con un sacerdote stanno celebrando un rito. Una di loro tiene uno straccio bianco, attorcigliato e acceso in mano; con la fiamma disegna dei cerchi nell’aria, davanti al portale. Mentre lo straccio continua ad ardere, le donne iniziano a cantare in coro ed a recitare dei mantra. Fanno parte di un grosso gruppo familiare e provengono da un villaggio che sta dalle parti di Allahabad. Gli uomini sono seduti in disparte, su un palchetto di legno. Sono ancora dorso nudo e con il telo bianco avvolto intorno alla vita. Hanno da poco terminato la celebrazione della puja riservata ai maschi della famiglia e ora, mentre si rivestono, stanno contrattando con un venditore, il prezzo delle immagini di alcune divinità. Due ragazzi del gruppo ci raccontano che hanno da poco terminato gli studi, uno alla decima classe e ora fa il carpentiere; l’altro alla dodicesima e lavora come tessitore. Prima di lasciarci tutta la grande famiglia chiede di scattare insieme a noi e a delle studentesse in divisa che stavano passando di lì, una foto di gruppo.
Varanasi, 21 febbraio 2017. La mensa gratuita aperta a tutti dell’Annapurna Temple.
A pranzo, Simone, Tolga, Amanta (una ragazza di Stoccolma) ed io, andiamo all’Annapurna Temple dove offrono un ottimo thali gratuito a qualsiasi lo desideri.
Varanasi, 21 febbraio 2017. Danza tradizionale indiana al Tulsi Ghat.
Alla sera andiamo al Tulsi Ghat ad assistere a un concerto di musiche e danze classiche indiane.
Varanasi, 21 febbraio 2017. Sera in un quartiere islamico, nei pressi di Godonia.
Durante la notte Simone partirà per il Nepal dove rimarrà per un mese.
Varanasi, 22 febbraio 2017
A Godonia, in mezzo al caos del traffico e tra la moltitudine di abitazioni e negozi accatastati, scorgo un ospedale. Davanti agli scalini dell’entrata c’è un addetto che sollecita i risciò e gli auto risciò a non sostare troppo a lungo sulla strada difronte. L’entrata è affollata di gente, ma non ci sono insegne che indichino l’ospedale. Mentre sto guardando l’edificio a due piani con le finestre che si affacciano sulla Main street, un indiano mi si avvicina proponendosi come guida.
Varanasi, 22 febbraio 2017. Pellegrina in attesa di entrare al Golden Temple.
Decido di esplorare i vicoletti che si aprono sulla destra della strada principale entrando in quelli che non conosco ancora. Un sacerdote con dei paramenti gialli e rossi sulle spalle sta girando per i negozi con un braciere fumante di incenso. Entra, si ferma subito dopo l’entrata, smuove i carboni ardenti e lascia uscire una nuvola di fumo che invade l’ambiente. Il negoziante mette, in cambio, una piccola offerta nell’apposita coppa del braciere. Giro tra le stradine che a volte mi sembra di riconoscere e mi trovo più volte davanti alle lunghe file di pellegrini che attendono di entrare al complesso del Golden Temple. Il 24 febbraio è vicinissimo e già oggi sono arrivati migliaia di turisti e pellegrini per festeggiare lo Shivaratri, visitare i templi e fare il bagno nel Gange. Ci sono diverse entrate per il Vishwanath Temple, oggi piantonate più che mai da militari armati, molto attenti al controllo della folla. Mi accorgo di aver perso completamente l’orientamento, ma so di non essere lontana dal Gange.
Varanasi, 22 febbraio 2017. Sadhu al Meer Ghat.
Esco al Meer Ghat attraverso una scalinata quasi verticale dove stanno seduti a riposare alcuni spazzini e due anziani sadhu. Mi siedo sotto uno degli ombrelloni di cemento che stanno sul lungofiume. Un barcaiolo in piedi lì accanto mi dice che quello è il suo posto, ma siccome sono vecchia posso rimanerci.
Varanasi, 22 febbraio 2017. Barca in riparazione sui ghat.
Poco prima del Dasaswamedh Ghat incrocio il massaggiatore insistente dell’altro giorno. Riesco a dirgli che ora desidero rilassarmi in solitudine e mettermi a leggere un po’. Cerco di non guardarlo mentre si sta allontanando rammaricato.
Varanasi, 22 febbraio 2017. Una zona d’ombra sui ghat nella tarda mattinata.
Mi siedo sulla scalinata accanto ad un Angori Baba (la setta che mangia i resti dei cadaveri cremati), dei sadhu mendicanti che dormono distesi sulle pietre e a qualche indiano di passaggio. Due donne, là sotto, stanno dormendo su un unico tavolone, avvolte dentro dei vivacissimi saree.
Varanasi, 22 febbraio 2017. Spazzina lungo i ghat.
Delle spazzine stanno pulendo la scalinata e il piazzale, trascinando lentamente una scopa di rami secchi. Due ragazzi, arrivano di corsa, raccolgono con due lamine le immondizie ammucchiate dalle spazzine e le mettono dentro un telo di stoffa. Noto che le righe dei giubbotti degli spazzini hanno un colore diverso da quello delle femmine: sono gialle e grigie anziché grigie e arancione. Torno alla guest house camminando attraverso i ghat. Su un palco, subito dopo il Dasaswamedh Ghat si sta celebrando una sfarzosa puja in memoria di un familiare morto da poco.
Varanasi, 22 febbraio 2017. Celebrazione di una costosa puja per un familiare scomparso da dodici giorni.
E’ una puja molto ricca di particolari questa, composta da una moltitudine di oggetti, cibi e procedure. Intorno, disposti in cerchio, numerosi uomini la stanno seguendo con dei libri sacri in mano e dando delle indicazioni al figlio del defunto, il quale ha una parte attiva nello svolgimento del rituale. Il prete titolare del palco è in costume ed è appena uscito dal bagno nel fiume. Mi dice che si tratta di una puja molto lunga e costosa il cui prezzo s’aggira sulle 3500 rupje e si sta svolgendo, come da tradizione, tra l’undicesimo e il dodicesimo giorno dalla morte del familiare. Nel gruppo, aggiunge, oltre al giovane celebrante da lui delegato, ci sono due professori che stanno arricchendo di dettagli la procedura del rito. Dopo circa tre ore, terminata la cerimonia, il figlio porterà al Gange l’offerta di cibo e denaro preparata durante il rito.
Varanasi, 22 febbraio 2017. Celebrazione di un puja semplice per la scomparsa di un familiare.
Riprendo il cammino lungo i ghat. Guardo le cerimonie simili, ma molto più semplici che si stanno svolgendo contemporaneamente lungo il fiume: alcuni gruppi familiari hanno il celebrante, altri non possono permetterselo e si arrangiano per conto proprio.
Varanasi, 24 febbraio 2017
E’ il giorno dello Shivarati, l’anniversario del matrimonio di Shiva con Parvati. Migliaia di pellegrini sono arrivati qui anche stamattina e ora stanno allineati, in fila indiana, ad attendere il loro turno per entrare al Wishwanath Temple. Si muovono lentamente, all’interno della lunga staccionata che hanno innalzato per il grande evento. I grandi pali, annodati con grosse corde, partono dalla Dasaswamedh Road, arrivano a Godonia e proseguono lungo la via principale che porta al quartiere Manikarnika.
Varanasi, 24 febbraio 2017. La staccionata per il percorso dell’entrata al Wishwanath Temple.
Una moltitudine di venditori ambulanti, con e senza le bancarelle, è comparsa un po’ ovunque, insieme a grandi masse di mendicanti vestiti da sadhu ed a famiglie povere con stormi di bambini piccoli al seguito. Dalla fila chilometrica, ogni tanto, arriva uno squillo di tromba, ma subito si disperde, coperto dalle fragorose musiche che escono dagli altoparlanti appesi un po’ dappertutto.
Varanasi, 24 febbraio 2017. Personaggio lungo la Main Road.
Imbocco un vicoletto sconosciuto: qui c’è un elegante negozio di saree. Entrano delle donne e si siedono subito sul materasso in terra, di fronte ai venditori che stanno servendo contemporaneamente delle altre clienti. Ci sono moltissimi negozi di saree e di stoffe, qui e in tutta l’India, ma è raro trovarli in pura seta o in cotone, nonostante le produzioni e le lavorazioni locali. Il tessuto sintetico, difatti, ha invaso, quasi totalmente questo settore e i prodotti in fibra naturale sono diventati pregiati ed anche difficili da riconoscere.
Varanasi, 24 febbraio 2017. Pellegrini in fila per entrare al Wishwanath Temple.
Tornando sulla via principale ritrovo la fila dei pellegrini quasi ferma. Uno di loro si è distratto e non è avanzato in tempo: arrivano immediate le proteste e le urla degli indiani che stanno dietro e lui recupera lo spazio, correndo, per uno spazio lungo poco più di un metro. Sulla sinistra della Main Road hanno allestito diversi banchetti che distribuiscono cibo caldo, acqua e cjai, gratuitamente, su iniziativa del Wishwanath Temple.
Varanasi, 24 febbraio 2017. Banchetto per la distribuzione di bevande e cibo organizzato dal Wishwanath Temple.
Passando per i mercati di frutta e verdura che ruotano intorno al quartiere Manikarnika e per i negozi di quella zona noto che sia gli uni che gli altri sono più forniti rispetto ai giorni scorsi. Grandi pile di arance, mandarini, banane, mele, uva, frutta secca decorate con stelle filanti colorate spiccano sulle bancarelle e grandi stoffe nuziali rosse con fili d’oro insieme a saree di tutti i colori pendono, più fitti che mai, all’esterno dei negozi. C’è una gran folla di gente anche sulla strada, all’esterno della staccionata che cammina nelle due direzioni. Sta arrivando un funerale e un altro ancora subito dietro. I cortei funebri imboccano il vicoletto che porta al borning ghat, dove sto andando anch’io. Lungo la stradina, come ovunque in questo periodo, ci sono spazzini che scopano la via e altri che raccolgono le immondizie. Oggi le stanno ficcando in un grande sacco bianco di plastica che poi trasportano sulle spalle, per bruciarle, da qualche parte. Per alcuni metri il vicolo appare tranquillo con qualche uomo in bicicletta, una mucca qua e là e nessun altro.
Varanasi, 24 febbraio 2017. Vicoletti affollati intorno al Manikarnika Ghat.
All’incrocio con un’altra stradina arriva l’ondata di pellegrini che sta tornando dai ghat. Hanno tutti un sacchetto con fiori, banane, riso, farina, legumi e noci di cocco all’interno. Più tardi mi diranno che fa parte del rituale portare i doni dal Gange al Wishwanath Temple.
Varanasi, 24 febbraio 2017. Uscita di un gruppo di pellegrini del sud dal Manikarnika Ghat.
Cerco di scattare una fotografia alla folla, ma il vicoletto è stretto e la gente mi travolge. Una motocicletta arriva suonando ripetutamente il clacson: non riesce a passare e il passeggero seduto dietro mi fa una lunga predica perché sto intralciando il suo passaggio.
Varanasi, 24 febbraio 2017. Puja di pellegrini del sud sui ghat.
Sui ghat c’è un gruppo di pellegrini del Kerala che sta celebrando una puja. Sono soltanto maschi e sono vestiti di azzurro. E’ una cerimonia in onore di Shiva, mi dicono degli indiani.
Varanasi, 24 febbraio 2017. Bambina che vive sulle gradinate intorno al Dasaswamedh Ghat.
Al Dasaswamedh Ghat una bambina mendicante si avvicina ad un cumulo di coperte per appoggiare una lercia bottiglia d’acqua. Quella è la sua casa, penso, tra me e me. Si siede sulla gradinata: tiene gli occhi bassi ed è molto timida. Le scatto qualche foto e gliele mostro. Prende coraggio e mi chiede ripetutamente dei soldi.
Varanasi, 24 febbraio 2017. I cumuli di riferimento di una bimba che vive sui ghat.
Arriva sua madre e la prende in braccio: sembra una bambina anche lei, ma mi indica con le dita che ha altri due figli. Anche qui, al Dasaswamedh Ghat sta arrivando una musica assordante. Oggi, là sotto, ci sono due Angori baba che stanno fumando dell’ hashish con una pipa di terracotta che passano, a rotazione, agli altri componenti del gruppo. Il tavolone che sta laggiù è stato rivestito con un telo di plastica per coprire della mercanzia e tre persone, una donna e due uomini stanno dormendo alla sua ombra, distesi sulle pietre. Un indiano mi si avvicina per dirmi che oggi, oltre agli altri pellegrini, ci sono 5.000 indiani arrivati dal Kerala per visitare il Wishwanath Temple e per celebrare i loro tradizionali rituali. E’ loro usanza, aggiunge, farsi radere i cappelli per donarli alla madre Ganga. Di lì a poco lo vedrò prendere delle masse di capelli, simili a delle parrucche, avvolte tutte assieme in un panno e selezionarne alcune. Verranno vendute, mi confiderà più tardi. Dalla scalinata principale del Dasaswamedh Ghat il suono delle trombe annuncia che sta arrivando un corteo.
Varanasi, 24 febbraio 2017. Processione con le offerte da donare al fiume sacro.
Sfilano sacerdoti con sul capo composizioni di offerte, pellegrini con drappi e bandiere svolazzanti, donne che alzano le braccia gridando dei mantra.
Varanasi, Dasaswamedh Ghat, 24 febbraio 2017. Arrivo di un corteo con le offerte da donare al Gange.
Varanasi, 24 febbraio 2017. Esibizione con le braccia alzate dei partecipanti ad una processione all’ arrivo al Dasaswamedh Ghat.
Sulla Dasaswamedh Road trovo un grande carro di legno carico di bambini e adornato con dei filari di fiori gialli. Il carro si è inceppato e non riescono né a trainarlo né a spingerlo nonostante i numerosi sforzi.
Varanasi, 24 febbraio 2014. Carro con bambini sulla Dasaswamedh Road.
Una musica assordante esce da un altoparlante e distinguo il ritornello del mantra “ Om namah shivaya” che un cantante ripete ad intervalli. Verso sera, accanto alla guest house incontro uno dei giovanissimi cugini di Rahul, il proprietario . Ha un segno rosso, verticale disegnato sulla fronte. Mi dice che è il segno della puja che celebra due volte al giorno, alle sei del mattino e alla sera. Più tardi, sui ghat, dei ragazzi di Hyderabad mi ribadiranno, passandosi la pipa con l’hashish, che anche loro celebrano le puja con le stesse cadenze giornaliere. Approfitto per chiedere loro qualche informazione sul sistema delle caste e sui matrimoni. Mi rispondono, con convinzione, che per loro non esistono più le caste in quanto le persone hanno tutte uguali diritti. Riguardo ai matrimoni, mi precisano che nel sud dell’India ci si sposa soltanto per amore.
Varanasi, 24 febbraio 2017. Postazione della dea Kalinka al Dasaswamedh Ghat.
E’ già calata la sera. Sul piazzale del Dasaswamedh Ghat è comparsa la statua in terracotta della dea Kalinka, mentre nei tempietti lungo il fiume sono stati appesi addobbi e accese luci colorate, in attesa dei rituali. Mi siedo su un tavolone vicino ad un indiano con tre figli piccolissimi accanto. Quando mi alzo per andarmene mi inseguono sia il padre con la bambina in braccio sia i due maschietti più grandi. Mi parlano in indi, mi ripetono delle parole, ma io non riesco a capirli. Subito dopo il Chousati Ghat si sta svolgendo una cerimonia iniziata diverse ore prima. Sono dei pellegrini vestiti in modo simile a quelli dei ghat più su, di stamattina. Ora, però, anche se in disparte e impegnate in altri riti, ci sono anche le donne. L’insieme della cerimonia è composto da un grosso falò e da una serie di pupazzetti con alla base un pentolino e sulla testa un cono di diversi colori . Delle coroncine di fiori gialli avvolgono i corpi dei numerosi pupi, mentre corolle e petali dello stesso colore sono stati sparsi intorno a tutto quello spazio.
Varanasi, 24 febbraio 2017. La grande puja dei pellegrini del sud.
In parte, disposte in modo perfettamente allineato, oltre un centinaio di piccole ciotole con dentro il ghi e lo stoppino sono pronte per essere accese. In un cesto, accanto ad una scultura rudimentale di Shiva, ci sono delle noci di cocco, delle corolle di fiori ed alcune banane che serviranno per la puja conclusiva.
Varanasi, 24 febbraio 2017. Rituale celebrato sui ghat dai pellegrini del sud in occasione dello Shivarati.
Lascio il gruppo del sud mentre gli uomini stanno girando intorno al fuoco cantando, pregando e recitando i mantra e le donne stan sedute in cerchio, impegnate in un altro rito. Ripercorro il lungo fiume sempre più affollato di pellegrini che vanno nella direzione del Dasaswamedh Ghat o dell’Assi Ghat. Saluto Sonu, il barcaiolo, che sta allestendo il tempietto accanto alla tea-stall del Rana Ghat per la cerimonia che inizierà tra poco. Riesco a malapena a farmi spazio tra la numerosa folla seduta e in piedi che sta assistendo alla spettacolare cerimonia del Dasaswamedh Ghat. Arrivo, quasi per magia, nell’antico vicolo di Bengali Tola e mi dirigo, lentamente, verso la guest house.
Varanasi, 25 febbraio 2017
La notte dello Shivarati è passata. I festeggiamenti si sono protratti fino oltre le quattro di stamattina con balli, canti, urla e tante ubriacature, mi raccontano. Gli indiani bevono il banglasi, una bevanda composta da yogurt e sostanze vegetali mescolate insieme, mi dicono. Ha un effetto eccitante al momento e rilassante poi, aggiungono. E fa dormire, chi lo beve, anche per due giorni di fila, concludono.
Varanasi, 25 febbraio 2017. I dettagli di una sposa, al Dasaswamedh Ghat.
Al Dasaswamedh Ghat questa mattina sono ricomparsi i matrimoni, più numerosi che mai. Gli squilli delle trombe e i battiti dei tamburi stanno accompagnando decine di cortei fino alle imbarcazioni che li porteranno sull’altra sponda.
Varanasi, 25 febbraio 2016. Un guru benedice una coppia di sposi dal suo palco, al Dasaswamedh Ghat.
Tutti i gruppi dei familiari stanno intorno alla loro sposa, in particolare. Loro, le spose, sono quasi sempre vestite allo stesso modo: uno sfarzoso manto rosso, degli ornamenti d’oro o dorati che brillano dal viso ai piedi. Mi sposto poco più su, nell’altro piazzale del Dasaswamedh Ghat: una bambina di 8-9 anni sta esibendosi in uno spettacolo su una fune, sospesa nel vuoto.
Varanasi, 25 febbraio 2017. Spettacolo di una bambina sulla fune, al Dasaswamedh Ghat.
E’ truccatissima ed è vestita con un abito azzurro di finto tulle. Ha dei vasetti di metallo sulla testa che tiene in equilibrio e nell’esercizio che sta facendo ora, sta sulla fune, inginocchiata su un vassoio di acciaio. In un altro giro, avanza, dondolando, sulla corda, a tratti a piedi nudi, a tratti con delle ciabattine che le mettono, al momento, ai piedi.
Varanasi, 25 febbraio 2017. Esibizione di una bambina funambola, al Dasaswamedh Ghat.
Tiene, durante tutte le fasi dello spettacolo, una lunga spranga gialla legata con una cordicella al petto e la fa oscillare, in orizzontale, mentre cammina nel vuoto. Si muove al ritmo di una musica che esce assordante da una specie di fonografo, sistemato su una vecchia bicicletta.
Varanasi, 25 febbraio 2017. Il sistema audio dello spettacolo alla fune, sui ghat.
In un piatto di metallo, appoggiato sulle pietre, vengono raccolte le offerte. Un anziano con un vestito bianco lercio, seduto su una sedia davanti ad un tavolino tiene d’occhio il piatto e lo svuota di tanto in tanto riempendo una cassetta di legno che tiene chiusa a chiave. Seduta, in terra, una coppia di ragazzini con due figli piccoli in braccio e una giovane donna sollecitano gli spettatori a dare dei soldi.
Varanasi, 25 gennaio 2017. Bambini mendicanti mentre assistono allo spettacolo sulla fune, al Dasaswamedh Ghat.
La struttura che tiene su la corda sulla quale cammina la bambina è molto traballante. E’ fatta di quattro paletti di metallo incrociati in alto e disposti a due a due alle estremità. Una grossa corda li attraversa in alto, prosegue oltre, ed è fermata, da una parte e dall’altra, sulle pietre, con due grossi cunei di acciaio. Richiamati dai numerosi spettatori, stanno ora arrivando i venditori di palloncini, quelli di zucchero filato, di cartoline e collane. Arrivano pure dei bambini mendicanti e iniziano a chiedere l’elemosina alla gente radunata per l’evento. La donna che dirige lo spettacolo li caccia via, ma loro si siedono su una panchina a guardare l’esibizione. Cerco la bambina senza casa incontrata ieri, proprio qui. La vedo: sta trascinandosi sulla gradinata, vestita con lo stesso abitino lercio di ieri. Mi sorride mentre dal mucchio di coperte si alza il busto della madre con le parole ridondanti: “money, money”.
Varanasi, 25 febbraio 2017, sera. Lo spettacolo della bambina equilibrista sulla Main Road.
Lungo i ghat incontro un Angori baba che mi benedice toccandomi con una mano la fronte e il capo. Rabbrividisco pensando ai resti dei cadaveri che avrà appena mangiato, ma gli sorrido quando mi rassicura con delle parole che non comprendo. Di sera, sulla Dasaswamedh Road rivedo lo spettacolo della bambina sulla fune, allestito in uno scenario diverso. Molti indiani e diversi turisti la stanno ammirando, anche qui. Sui ghat mi rincorrono due dei tre bambini incontrati ieri sera. Mi prendono per mano e mi portano dal loro padre che sta lì vicino, seduto con la figlioletta di 5 mesi in braccio. I due figli grandi hanno 7 e 9 anni, mi dice, e frequentano la prima e la seconda classe della scuola statale. Sono molto piccoli per quell’età, penso, e sono anche molto indietro con le classi! Proseguo il cammino verso il Chousati Ghat e poi ritorno alla Dasaswamed Road dove compro della frutta per la cena. Lungo la stradina di Bengali Tola trovo la signora che vende le verdure fritte e acquisto due melanzane impannate e delle patate arrosto.
Varanasi, febbraio-marzo 2017. Le verdure fritte di Bengali Tola.
26 febbraio 2017
E’ domenica. Esco nella mattinata e cammino lungo la Dasaswamedh Road. La vecchina che ieri stava tagliando in due una zucca grande quasi quanto lei, oggi ha il suo telo disteso in terra ricoperto da una numerosa varietà di verdure fresche. Mi fa tenerezza e le compro dello zenzero: me lo fa pagare il doppio rispetto agli altri venditori.
Varanasi, 26 febbraio 2017. L’inizio della lunga fila per il Vishwanath Temple.
La prima stradina che porta al Vishwanath Temple oggi è sbarrata con un palo, ma la fila inizia già da qui. Hanno tolto le staccionate in legno e i pellegrini sfilano lentamente, sul bordo destro della strada, tenendo una boccetta in mano con dentro corolle di fiori bianchi, gialli, rossi e tante foglie. Entro in un vicoletto secondario di fronte a un frequentatissimo negozietto di pan.
Varanasi, 26 febbraio 2017. Vendita di pan in un negozietto della zona di Manikarnika.
Un bambino mi chiede l’elemosina dicendomi che ha fame. Gli rispondo di andare alla mensa gratuita dell’Annapurna Temple. Delle donne di Hyderabad, vestite all’occidentale, pensano che stia cercando quel tempio e me lo indicano nella direzione sbagliata. Subito dopo le ritroverò, disorientate, in un vicoletto mentre stanno cercando di tornare sulla Main Road. Nella stradina incrocio file interminabili di pellegrini già quasi arrivati al Vishwanath o Golden Temple. A questa altezza della fila c’è un gruppo di uomini e donne che tengono in mano dei cestelli di vimini o di plastica colmi di petali di fiori . Hanno acquistato tutto qui, lungo la via: i cestini nei negozi, i fiori dalle donne che stanno sedute un po’ ovunque. La fila è quasi ferma.
Varanasi, 26 febbraio 2017. Momenti di riposo durante la fila per accedere al Vishwanath Temple.
Gli anziani sembrano sfiniti dalla lunga attesa e alcuni si son seduti in terra per riposare. Arrivano delle motociclette suonando il clacson per farsi spazio. Mi addosso al muro di una casa e mi passano davanti quasi sfiorandomi. Alla mia sinistra scorgo un’inferriata con all’interno un cortile e dei bambini.
Varanasi, 26 febbraio 2017. Parco giochi nei pressi del Vishwanath Temple.
E’ un vecchio parco giochi con due altalene arrugginite e un piccolo campo per giocare a cricket. Due bambini mi mostrano come si colpisce la pallina con la mazza mentre un ragazzino si dondola per conto suo sull’altalena. Il cortile è piccolissimo e trascurato, soffocato dai palazzetti fatiscenti che gli stanno intorno. Al Dasaswamedh Ghat la bambina senza casa oggi non c’è e i due cumuli coperti sono diventati uno solo.
Varanasi, 26 febbraio 2017. La cucina allestita al Dasaswamedh Ghat per cucinare il pranzo per i poveri.
Su un terrazzamento delle scalinata sono comparsi degli enormi pentoloni e il più grande sta sul fuoco. Un gruppo di donne, lì accanto, sta pelando un grande mucchio di patate e tre uomini mescolano il cibo giallo che sta bollendo nel pentolone.
Varanasi, 26 febbraio 2017. Donne che pelano le patate per il pranzo da distribuire ai poveri.
E’ per la festa dei baba che si celebra oggi e il cibo viene offerto loro dal Golden Temple, mi dice uno dei cuochi. Il bancale là sotto oggi è libero e tre Angori baba insieme ai loro discepoli stanno seduti sopra e in parte.
Varanasi, 26 febbraio 2017. Gruppo di Angori baba e seguaci al Dasashwamedh Ghat.
Si passano dei soldi. Uno dei seguaci sta preparando accuratamente la marijuana: la mescola sul palmo della mano, toglie le parti da scartare e la trita tagliandola a pezzettini con un paio di forbicine. Il baba principale sta seduto su un tappeto e davanti a sé ha allestito un altarino con due teschi umani spruzzati di polvere rossa. Sul lato ha appoggiato due arpioni in ferro battuto e davanti ai teschi i suoi seguaci hanno acceso due incensi triangolari e una candela. Lui, il capo, mentre guarda una moltitudine di testi stropicciati di magia nera, tiene una specie di lezione ai suoi seguaci. Ha gli occhi rossi, spiritati e li muove continuamente a destra e sinistra. Parla ad alta voce ed è rissoso e prepotente. Lo vedo cacciare in malo modo un anziano Angori che si era avvicinato avanzando delle pretese su quello spazio. Mentre parla, lui, il baba capo, si cosparge di polvere bianca, la spalma su tutto il corpo e ne getta una parte, di minore quantità, agli altri due. Poi, sia lui che gli altri si disegnano delle strisce rosse sulle mani. Alzo gli occhi e vedo che è arrivata la bambina, vestita sempre con lo stesso abito dei giorni scorsi. Sta insieme ad un maschietto più grandicello e, a momenti, compare anche la madre. La bambina si sta grattando in continuazione la testa, ma da lontano mi vede e mi saluta con un cenno della mano. Una fila di barbieri sta rapando con il rasoio una riga di pellegrini che sta seduta sulla stessa gradinata. Accanto a me, in una postazione appartata, un altro barbiere è al lavoro con una serie di persone della stessa famiglia.
Varanasi, 26 febbraio 2017. Sadhu in posa accanto alla statua in terracotta della dea Holinka al Dasaswamedh Ghat.
Sono diversi gli scenari che sto seguendo contemporaneamente: gli Aghori baba e i loro seguaci; la bambina lassù in alto; i pentoloni che stanno cuocendo il cibo per i poveri; la fila del barbiere qui a lato. Al ristorantino degli spaghetti alle verdure si siede al mio tavolo Pamela, una ragazza svizzera che ha la madre originaria di Pordenone. Ha 43 anni, fa la segretaria, per scelta lavora soltanto a periodi e viaggia per il tempo rimanente. Ora, ha trascorso oltre un mese in Tamil Nadu, a Tiruvanna Malla nell’ashram che segue gli insegnamenti impartiti dal guru Arthur Osborne, scomparso nel 1943. Questo guru, mi racconta, è andato via da casa a 16 anni ed è rimasto in silenzio per anni e anni. Anche M. G. Ghandi ne raccomandava gli insegnamenti. Sulla scalinata del Chousatti Ghat arriva un giovane indiano con il quale ho scambiato qualche parola solo a volte. Oggi ha bisogno di 300 rupie per comprare dei medicinali per curare una lussazione alla gamba. Quando se ne va, una ragazza russa seduta da una parte e un giovane olandese seduto dall’altra mi si avvicinano per commentare l’episodio. La ragazza è laureata in economia e lavora in un ufficio finanziario di Mosca. Ora, arriva dall’ashram di Amma in Kerala, dove è rimasta per due settimane. La guru stessa, ci racconta, raccomanda di non dare soldi ai mendicanti o a qualsiasi indiano li chieda, ma eventualmente di comprare loro del cibo. Il ragazzo olandese, Vincent, ha 37 anni ed è laureato in scienze forestali. Viaggia in India dall’età di 19 anni e ora ha appena trascorso un lungo periodo a Kasaldevi, una cittadina che sta nei pressi di Almora, nello stato dell’Uttarakhand, dove ritornerà al più presto. Per guadagnarsi da vivere ha fatto la guida turistica per una compagnia olandese, ma il guadagno è stato troppo irrisorio e non intende continuare.
Varanasi, 26 febbraio 2017. Le donne preparano il cjapati per la cena da distribuire ai poveri.
Prima di tornare alla guest house faccio un ultimo giro oltre il Dasaswamedh Ghat: i pentoloni sono ora in attività per la cena. Il gruppo di donne che stamattina pelava le patate è ora impegnato ad impastare e stendere i cjapati, il pane indiano.
27 febbraio 2017
Nella tarda mattinata gli Aghori Baba non ci sono al Dasaswamedh Ghat; al loro posto sono arrivati dei sadhu mendicanti. Uno è sdraiato sul bancale e sta dormendo; gli altri sono seduti in cerchio, lì accanto. Più in là, altri baba anziani, vestiti di arancione, con la barba lunga e bianca, stanno riposando o chiacchierando. Qualcuno è avvolto nelle coperte dal capo ai piedi: sta solo dormendo, mi rassicurano i vicini. Su dei gradini diversi, due donne stanno dormendo profondamente, distese sulle pietre. La cucina allestita ieri per la festa dei baba è scomparsa dalla scalinata e al suo posto, ora, c’è un pellegrinaggio che sta aspettando qualcuno, all’ombra delle colonne rosate. Un gruppetto di mendicanti ha acceso il fuoco sotto un pentolino con dell’acqua che sta bollendo. Passano gli spazzini con la scopa di rami e sollevano un gran polverone proprio lì vicino.
Varanasi, 27 febbraio 2017. La bambina senza casa con la madre.
Sono appena tornata da Godonia dove ho comprato dei libriccini e dei colori da regalare ai bambini. Non trovo la bambina senza casa, ma il cumulo delle sue coperte è ancora nello stesso posto degli altri giorni. Ora la vedo: sta lassù in alto, seduta all’angolo di un bancale vuoto. Ha addosso il solito vestitino, sempre più lercio e stropicciato. Alla metà del bancale c’è una bambina di sette anni che ha aperto il suo zainetto per sfogliare un quaderno e mostrare quel poco che c’è scritto su al suo fratellino di quattro anni. Oggi, mi dice, non è andata a scuola. Devo trovare il modo per regalare i colori a cera e i libriccini alla bambina senza casa. Un indiano la prende per mano e l’accompagna da un venditore di cibo per comprarle qualcosa da mangiare. Un uomo, lì accanto, mi dice che la bambina ha sei anni e il padre si è impiccato qualche anno fa. Vive lì, sul ghat con la madre, mi conferma, e ogni tanto qualcuno le compra qualcosa da mangiare.
Varanasi, 27 febbraio 2017. La bambina che vive con la madre sui ghat.
Mi si avvicina la giovane madre che oggi è sorridente e non mi chiede soldi. Mi dice soltanto che ha bisogno di una stanza. Le mostro i libriccini ed i colori: è attratta da quello con le immagini disegnate e le scritte sia in indi che in inglese riportate accanto. Le raccomando di insegnare a colorare alla sua bambina i disegni dell’altro libretto.
Varanasi, 27 febbraio 2017. La bambina che vive sui ghat mentre mangia del cibo offertole da un indiano.
Si fa avanti il padre degli altri due bambini per appoggiare i suoi figli nella richiesta di una scatola di colori e di un libro. Dico loro che tornerò nei prossimi giorni a vedere i risultati.
28 febbraio 2017
Oggi prendo un’altra direzione rispetto ai giorni scorsi e vado verso l’Assi Ghat. Percorro la vecchia stradina di pietra piena di negozi, ristoranti e guest house fermandomi ogni tanto a guardare i tempietti che danno sulla via e scoprendone sempre di nuovi. Alcuni hanno i cancelletti aperti per le pulizie e le preghiere giornaliere, mentre altri li stanno ridipingendo con i vivacissimi colori che li caratterizzano. Scendo sul lungo fiume e proseguo ancora nella stessa direzione guardando da una parte gli edifici che si affacciano sul Gange e dall’altra le poche imbarcazioni che oggi lo percorrono. I ghat sono poco affollati in questa tarda mattinata di fine febbraio: solo qualche turista occidentale passeggia frettolosamente sotto il sole e appena può corre a ripararsi in qualche posto all’ombra. Sono le 11.00 e molti bambini stanno gironzolando sul lungo fiume chiedendo l’elemosina. Non vanno a scuola, mi dirà poco dopo un indiano, perché gli insegnanti della statale non li motivano e gli istituti privati sono troppo costosi per le famiglie. Guardo i lavandai e le lavandaie mentre lavano i panni e li sbattono sulle antiche pietre dei lavatoi e ammiro la moltitudine di colori dei bucati già stesi per terra e sui fili.
Varanasi, 28 febbraio 2017. Il luogo dell’Harishchandra Ghat dove s’immolavano le vedove, sulla pira del marito.
All’Harishchandra Ghat mi soffermo un attimo sul luogo dove le vedove si immolavano sulla pira del marito mentre una mendicante mi sta aspettando per chiedermi dei soldi. Questo borning ghat è più piccolo e meno frequentato del Manikarnika: qui, ora, ci sono soltanto una pira che sta bruciando e un funerale in arrivo. Passo oltre e arrivo al Jain Ghat e subito dopo mi fermo sulla scalinata che porta alle grandi torri dell’acquedotto. Mi siedo all’ombra ad osservare una commemorazione che due sacerdoti e un anziano indiano stanno celebrando su un terrazzamento.
Varanasi, 28 febbraio 2017. Anziano celebra una puja in ricordo della moglie.
Il figlio minore dell’anziano mi spiegherà, poco dopo, che attraverso la celebrazione della puja si entra in diretto contatto con l’anima del defunto. Lui, mi racconta, non partecipa direttamente alla cerimonia perché è presente il padre. In assenza del genitore, nella gerarchia delle celebrazioni rituali, sarebbe comunque preceduto dal fratello, il figlio primogenito. Le ciotole per la puja sono ricolme di: riso, zucchero, farina, fiori bianchi, corone, semi, tè nero, zenzero, latte. Una boccia d’acciaio è piena d’acqua e una bottiglietta contiene del miele.
Varanasi, 28 febbraio 2017. Puja per gli antenati lungo il Ganga.
Davanti all’anziano, posizionato in direzione sud-est, è stato sparso del fango preso dal Gange e lasciato asciugare al sole. L’uomo è seduto sulla paglia, un altra componente importante della cerimonia, mi dicono. Ora, impasta la farina con l’acqua e gli altri componenti: forma sei palline e le divide in due gruppi. Rappresentano la famiglia d’origine della moglie e quella del marito, fino alla terza generazione passata. L’anziano, appoggia le palline con la mano girata e con l’anulare e l’indice che si toccano e mette delle corone di fiori bianchi intorno alle sfere e poi dei cerchietti formati al momento con del cordoncino di cotone grezzo. Sono i vestiti, mi sussurra il figlio che sta in piedi accanto a me. Su ogni pallina, il sacerdote, sparge del tè, miele, sandalo, un pizzico di foglioline e un dolcetto a forma di parallelepipedo. Davanti ad ogni piccola sfera viene posata, poi, una foglia ovale con sopra un frutto e poi ancora cerchi di cordoni gettati per unire le palline tra di loro. A questa cerimonia seguirà un grande pranzo preparato dalle donne di famiglia al quale parteciperanno undici bramini. Tra gli ingredienti non dovranno esserci né miele né zenzero, se ho ben compreso. Tra un’informazione e l’altra il figlio dell’anziano mi racconta che abita a Varanasi con la famiglia e lavora a Delhi nell’ufficio marketing di un giornale che appartiene al partito di Modi. E’ un grande sostenitore ed ha molta fiducia nell’operato di questo primo ministro. Rispetto ai valori dell’induismo mi dice che pone come secondaria l’importanza del denaro rispetto alla religione, aspetto che il mondo intero ha, invece, invertito. Verso sera vado un attimo al Dasaswamedh Ghat: vedo la bambina più sporca che mai. La prendo per mano e la porto accanto ad una bancarella per comprarle del cibo. Un ragazzo che vende pietre e collane lì vicino mi dice di aver parlato diverse volte con la madre per convincerla a farsi aiutare da un’associazione che offre alloggio, vitto e istruzione gratuitamente, ma la donna non ne vuol sapere. La bambina, mi racconta ancora il ragazzo, ha un fratello soltanto, un po’ più grande e nemmeno lui frequenta la scuola. Il padre è vivo, mi dice, ma è malato di mente.
1 marzo 2017
Tutte le mattine sulle panche in pietra, subito dopo il Chousati Temple, stanno sedute le anziane vedove prive di reddito che chiedono l’elemosina. Oggi ce n’erano soltanto due e ho offerto loro il cjai alla tea-stall che sta poco più giù. Con la loro calma, prima o poi, lo andranno a bere. Anche oggi scelgo di andare verso sud, ma proseguendo per un tratto più lungo sulla vecchia stradina.
Varanasi, 1 marzo 2017. Panorama dalla scalinata della scuola di sanscrito che sta accanto al Kedar Ghat.
Scendo al Gange soltanto all’altezza del Kedar Ghat. Poco dopo la tea-stall incontro un gruppo di indiani che sta discutendo animatamente. Alcuni portano il capellino con il simbolo del partito del Congresso, altri ne indossano uno simile, con il simbolo della bicicletta. Chiedo loro delle spiegazioni e mi rispondono che i due partiti si sono appena alleati in vista delle elezioni in Uttar Pradesh che si terranno l’8 marzo. Le informazioni sulla data delle elezioni sono discordanti. Ieri, il figlio dell’anziano che stava celebrando la puja mi aveva parlato del 11 marzo; tempo fa avevo letto che si sarebbero tenute il 24 dello stesso mese. C’è un mercatino nella zona intorno al Kedar Ghat con i prezzi più bassi di quello della Dasaswamedh Road. Anche i negozietti sono più semplici ed economici rispetto a quelli di Bengali Tola.
Varanasi, 1 marzo 2017. Bambini di una scuola di sanscrito mentre si esercitano nella recita dei mantra.
Arrivo ad un grande tempio e sento le voci dei bambini che stanno recitando dei mantra. Annessa al tempio c’è una scuola di sanscrito per bambini bramini; ora si stanno esercitando canticchiando più volte le stesse frasi.
Varanasi, 1 marzo 2017. L’edificio della scuola di sanscrito nella zona del Kedar Ghat.
Girando intorno al tempio e alla scuola si arriva direttamente sulla scalinata che scende al fiume. Mi siedo all’ombra : qui arrivano più nette le voci, quelle delle esercitazioni dei singoli gruppetti che vanno a fondersi insieme tra di loro, creando un tutt’uno di armoniche diversità.
Varanasi, 1 marzo 2017. Lavandai e bucati stesi lungo i ghat.
Lancio uno sguardo al Gange: fa molto caldo e molte imbarcazioni si sono attrezzate per creare un po’ d’ombra ai passeggeri mettendo un telo sostenuto da dei paletti di bambù. Laggiù ci sono i soliti lavandai con il loro lavoro di routine quotidiano: lavare, sciacquare, stendere e poi stirare i panni dei ristoranti e degli alberghi. Mi viene in mente la ricerca fatta da uno studioso veneto qualche tempo fa quando ha diviso i poveri in operosi e oziosi. Qui, a Varanasi, ci sono sia quelli che lavorano incessantemente che quelli che oziano in continuazione. Sento ora i bambini cantare tutti insieme con lo stesso ritmo l’identico canto che diventa sempre più incalzante. Poi s’interrompe e cala un improvviso silenzio. Il suono di una campanella, seguito dal vocio allegro dei bambini, annuncia che è iniziata la pausa pranzo.
Varanasi, 1 marzo 2017. Le scritte rinnovate da poco, sui ghat.
Ritornando verso il Dasaswamedh Ghat guardo le scritte appena rifatte con i vecchi nomi delle uscite che portano al Gange. Sono state ridipinte da poco, insieme alle pubblicità delle varie guest house e hotel, dei ristoranti e dei negozi che stanno nelle zone intorno.
Varanasi, 1 marzo 2017. La casa rossa lungo i ghat e il piccolo tempio accanto.
Mentre cammino sul lungo fiume incontro una psicoterapeuta canadese della mia età che sta ancora lavorando nel suo studio privato e può concedersi soltanto tre settimane all’anno di ferie. E’ appena tornata da Rishikesh dove ha incontrato diversi guru buddisti. Dopo Varanasi, andrà a Bodhgaia e alloggerà in un monastero. Davanti al tempietto delle Scimmie mi sembra di riconoscere le due persone che stavano facendo yoga una decina di giorni fa, proprio lì. Guardo le calzature lasciate all’esterno del tempio e riconosco le scarpe particolari, a forma di guanto, che avevo già notato l’altra volta. Oggi i due uomini stanno soltanto parlando: sono entrambi francesi.
Varanasi, 1 marzo 2017. Le scarpe lasciate all’esterno del Tempio delle Scimmie.
Nonostante il caldo, al Dasaswamedh Ghat ci sono ancora dei cortei nuziali sul Gange. Alcune mendicanti con un bambino in braccio mostrano un biberon vuoto e chiedono ai turisti di comprare loro del latte. Qualcuno mi ha detto che poi lo rivendono, anche allo stesso negozio dove se lo sono fatte acquistare.
Varanasi, 1 marzo 2017. Mendicante con il biberon mentre chiede di comprare il latte per il suo bambino.
Mentre attraverso il vicoletto di Bengali Tola incrocio un gruppo elettorale che sta distribuendo dei volantini. Si tratta di un altro partito ancora: questo porta come simbolo un palloncino bianco e nero. Verso sera torno nella zona dei ghat dove stanno le bambine a cui ho regalato i libriccini ed i colori. La bambina di sette anni mi mostra i disegni che ha già colorato. Anche lei e la sua famiglia sono senza casa e vivono lì, in un angolo della scalinata. L’altra bambina è più sporca che mai ed ha i pantaloncini con un grande strappo sull’addome. La madre è assorta: sta ascoltando della musica da un cellulare. Mi si avvicinano altri bambini piccoli che vivono sui ghat con le loro madri. I padri se ne sono andati, e hanno altri figli con donne diverse, mi racconta il ragazzo che vende pietre e collane. Anche le madri, mi dice ancora, hanno altri figli, con uomini diversi.
2 marzo 2017
Varanasi, 2 marzo 2017. La zona interna al Kedar Ghat.
Stessa direzione verso sud, anche oggi, ma spingendomi sempre più oltre, fino a raggiungere la strada principale, percorrerla per un tratto e svoltare, poi, nella direzione del Gange attraverso un viottolo.
Varanasi, 2 marzo 2016. Il mercatino del Kedar Ghat.
La stradina sembra terminare con uno spazio lungo e stretto riservato sulle stanze della guest house.
Varanasi, 2 marzo 2017. Bambina mendicante nella zona del Kedar Ghat.
Invece, quasi nascosto, dietro un angolo, c’è un cancello semi chiuso, legato con una grossa catena. Entro attraverso l’ampia fessura e mi trovo all’interno di un grande cortile racchiuso dalle mura del Rojal Palace. Due studenti del terzo anno di architettura e arte del teatro stanno esplorando il luogo semi abbandonato. Mi aggrego a loro: insieme superiamo un portale e accediamo ad una scalinata che ci consente di vedere dall’alto la struttura. Ci sono due logge, diverse guglie e un tempio indù che pare sia frequentato durante le cerimonie della sera.
Varanasi, 2 marzo 2017. Abitazioni intorno ad un lato interno del Rojal Palace.
Usciamo dal cancello semi aperto e giriamo intorno al palazzo: su un lato si aprono delle porte che lasciano intravedere delle piccole stanze abitate. In fondo c’è la parte un tempo abitata dalle servitù, ora adibita a guest house.
Varanasi, 2 marzo 2017. La parte laterale del Rojal Palace adibita a guest house ed il tempio.
Le passiamo davanti e ci troviamo di fronte al tempio: la porta dell’entrata è chiusa con una tenda rossa. “Gli Dei ora stanno riposando”, mi dice uno dei due ragazzi. Usciamo da questo piccolo spazio marginale del maestoso Rojal Palace attraverso un portoncino di legno che pare chiuso con una catena. “Siamo entrati di qua” mi dicono i due ragazzi.
Varanasi, 2 marzo 2017. Panorama dalla scalinata del Rojal Palace.
Arriviamo in cima ad una scalinata ripidissima che si affaccia sul Gange. Saluto i due giovani e mi siedo all’ombra, sul punto più alto della gradinata. Altri due ragazzi, seduti poco più in là, mi raccontano le loro storie: sono alla ricerca di un lavoro, ma non lo riescono a trovare. Hanno entrambi 24 anni: uno è ingegnere meccanico e l’altro ha un diploma alberghiero. L’ingegnere desidera trovare un’occupazione in India, mentre l’amico vorrebbe andare all’estero, anche attraverso il matrimonio con una ragazza straniera. I due ragazzi continuano la conversazione parlando fittamente tra di loro; poi, accendono una pipa di terracotta e si mettono a fumare dell’ashish, dimenticandosi di me.
Varanasi, 2 marzo 2017. La scalinata del Rojal Palace.
Qui, all’ombra della grandissima struttura del Rojal Palace le frequentazioni sono minori e completamente diverse rispetto alla zona più a nord del lungo fiume. Ci sono due giovani distesi sulle pietre che stanno dormendo, un gruppo di ragazzi immerso in una piacevole discussione, un sadhu che sta predisponendo un tappeto con le bigiotterie da vendere ai turisti. C’è, anche, qualche capretta che gironzola sui gradini e in alto, degli stormi di colombi e una moltitudine di uccelli dal becco giallo stanno appollaiati sui fili della luce.
Varanasi, 2 marzo 2017. Aspetti del Rojal Palace.
Nel tardo pomeriggio passo al Dasaswamedh Ghat: saluto il ragazzo della bancarella. In lontananza vedo la madre della bambina mentre sta prendendo qualcosa dal suo mucchio di coperte e ci salutiamo con un gesto della mano.
Varanasi, 2 marzo 2017. Bambini che giocano vicino al Chousati Ghat.
3 marzo 2017
Varanasi, 3 marzo 2017. Pifferaio lungo i ghat.
Una camminata nella città vecchia attraverso le stradine che portano all’Annapurna e al Vishwanath Temple fino all’uscita sul Gange, poco prima del Manikarnika Ghat.
Varanasi, 3 marzo 2017. Venditori di cibo attendono l’arrivo dei barconi carichi di pellegrini.
Qui, incontro la guida indiana che parla italiano: sta aspettando un gruppo di turisti da accompagnare al Nepali Temple e poi in giro per la città vecchia. Il gruppo sta viaggiando con Avventure nel mondo ed ha visitato: Delhi, Agra, Jaipur, Orchha, Chajuraho. Ora, conclude il tour a Varanasi. Tornando verso il Dasaswamedh Ghat incontro la bambina a cui ho regalato i colori a cera e un librettino con le immagini da dipingere: non è andata a scuola nemmeno oggi.
Varanasi, 3 marzo 2017. Madre con bambina accanto alle loro coperte.
Saluto in lontananza la madre dell’altra bambina: sta seduta lì, accanto al suo cumulo di coperte. Vedo da lontano anche la sua bambina che oggi è vestita con degli abiti puliti. Una famiglia di donne mendicanti con delle bambine grandicelle e dei maschietti ancora piccoli mi saluta.
Varanasi, 3 marzo 2017. Gruppo di mendicanti al Dasaswamedh Ghat.
Le ragazzine mi rifanno il verso: “Annapurna Temple”. Sono le parole che dico loro quando, chiedendo l’elemosina, fanno il gesto della fame. Il tempio Annapurna, ma non è l’unico, offre gratuitamente i pasti a tutti, in diverse ore del giorno.
Varanasi, 3 marzo 2017. Bambina mendicante al Dasaswamedh Ghat.
Mentre me ne sto seduta all’ombra di un palazzo, poco dopo il Dasaswamedh Ghat, vedo l’anziano avvocato risalire la scalinata. Lo avevo incontrato tempo fa, in una tea-stall di Bengali Tola. Abita nel palazzo qui sopra e ora sta tornando a casa dopo aver fatto il bagno nel Gange.
Varanasi, 3 marzo 2017. Puja semplice del decimo giorno dalla morte di un familiare.
Nella tarda mattinata attraverso in auto risciò tutta la città per trovare un cavetto per il mio computer. Lungo le vie principali incrocio diverse manifestazioni a favore del Primo Ministro Modi che domani verrà in visita a Varanasi. Su una Main Road, guardo i numerosi motociclisti che sfilano suonano i clacson, gridando slogan, sventolando manifesti e bandiere con il simbolo del fior di loto. Al ritorno, poco prima di arrivare nella zona del Manikarnika Ghat, c’è un lungo corteo che sta sfilando con baldacchini e bandiere, sempre a sostegno del Primo Ministro. In tarda serata pure a Bengali Tola, all’interno di una sala che si affaccia sulla vecchia stradina, c’è un animato comizio del partito di Modi, sul tema delle prossime elezioni.
Varanasi, 3 marzo 2017. Aghori baba.
4 marzo 2017
Tutte le mattine, quando esco dalla guest house e arrivo al primo incrocio dei viottoli, decido lì, al momento, quale direzione prendere. Questa mattina prendo la via verso Godonia: percorro le stradine della città vecchia e sbocco sul grande incrocio della Main Road. Oggi, le strade sono chiuse al traffico ed il piazzale è pieno di gente con cappellini, sciarpe, spille, bandierine e ombrelloni arancione con il simbolo del fior di loto.
Varanasi, 4 marzo 2017. Manifestazione a Godonia in favorie del P.M. Modi.
Tra la folla, spunta una grande sagoma di cartone del Primo Ministro con le mani giunte. Intorno, ragazzini e bambini gironzolano con il volto coperto dalla maschera di Modi. C’è un gran frastuono: musiche che escono dagli altoparlanti, tamburi che scandiscono il ritmo con il loro battito, gente che urla scandendo il nome di Modi. Spruzzi di coriandoli arancione fuoriescono dall’alto di un tubo e cadono a pioggia sulle teste dei manifestanti. Dalle balconate dell’ospedale e dalle finestre dei palazzi intorno alla piazza spuntano i busti delle persone che guardano dall’alto lo spettacolo. Attendono l’arrivo di Narendra Modi che passerà di qui fra una decina di minuti per andare a visitare il Vishwanath Temple. Numerosi militari si muovono tra la folla, armati di bastoni, fucili, pistole e mitra. Una moltitudine di elicotteri sta sorvolando la città. “C’è sempre il terrore di nuovi attentati”, mi dicono. “E’ rimasto questo panico, dopo le drammatiche stragi del 2008 e del 2010”, qualcun altro aggiunge, descrivendomi nei dettagli i disastrosi effetti provocati dalle bombe. “Da allora, la presenza ed i controlli dei militari sono divenuti più intensi, ovunque” conclude la stessa voce. Nel piazzale, incontro due dei tre bambini conosciuti lungo i ghat: sono con il padre e portano anche loro cappellini e sciarpe con il simbolo del partito di governo. Qualcuno mi regala una spilla con il fiore del loto, altri mi mettono il cappellino in testa per scattare una foto insieme. Mi defilo dalla folla e mi dirigo verso Chowk.
Varanasi, 4 marzo 2017. Il sacerdote del tempio di Shiva e di quello delle Scimmie.
Entro nei vicoletti e percorro quelli più stretti che si diramano dai principali. Incrocio due templi: “uno è dedicato a Shiva, l’altro alle Scimmie”, mi racconta un sacerdote vestito di bianco e con una serie di collane al collo. Il tempio di Shiva ha la tenda tirata: “la divinità sta riposando” mi dice il prete. Arrivo ad un gruppo di templi piccolissimi e allineati sul lato di una piazzetta. All’interno, dentro un cancelletto di ferro, ci sono le divinità, ma in uno c’è soltanto un uomo disteso, profondamente addormentato. In mezzo alla minuscola piazza c’è un grosso albero quasi secco, con qualche foglia ancora attaccata, nonostante la gabbia piastrellata che lo racchiude alla base. Sul ripiano intorno, una serie di sculture e altarini stanno appoggiati in ogni piccolo spazio. Lì accanto, disposti sulle pietre, hanno messo una serie di vasi bianchi di plastica a forma di calice, con un’infinità di fiori finti infilati dentro. E ancora, fioriere di cemento con piante vere e piccolissimi templi appoggiati lungo tutta la scalinata che scende al Meer Ghat. Dietro l’albero, quasi nascosta dal grande tronco, c’è la porta d’entrata di una elegante guest house.
Varanasi, 4 marzo 2017. Il baba del porticato dalle colonne rosa, accanto al Manikarnika Ghat.
Mi sposto fino al porticato dalle colonne rosa che sta prima del Manikarnika Ghat. Il baba dell’altarino con i poster è tornato, dopo un lungo periodo trascorso in un asram di Allahabad. Ha portato con sè nuove immagini sacre e molte statuette di divinità, rinnovando così il suo abitacolo. Ha un pezzo di tronco con delle braci accese davanti a sé; sopra, ha appoggiato il suo pentolino, con il latte da bollire. Dopo aver salutato il baba, vado a sedermi sotto uno degli ombrelloni in cemento che stanno in questa zona; guardo i barconi dei pellegrini che vanno e vengono e i movimenti dei venditori che li attendono. Due uomini su una barca, non lontana dal Meer Ghat, stanno lottando con una rete per catturare un grosso pesce che per un po’ riesce a scappare. “E’ una carpa!” mi dice un giovanissimo barcaiolo seduto accanto a me.
Varanasi, 4 marzo 2017. Il piazzale di Godonia con la manifestazione di tutti i partiti presenti alle prossime elezioni.
Nel tardo pomeriggio torno a Godonia e trovo il piazzale ancora affollatissimo non soltanto dai sostenitori di Narendra Modi, ma da tutti i partiti presenti alle imminenti elezioni in Uttar Pradesh.
5 marzo 2017
Questa mattina, sono sbucata al Kedar Ghat attraverso un cunicolo che congiunge la zona dei mercatini con il lungo fiume. Si esce da una porticina laterale che sta nella parte più alta della scalinata che scende giù fino al Gange.
Varanasi, Kedar Ghat, 5 marzo 2017. Cagna mentre allatta i suoi nove cuccioli.
Mi siedo sui gradini e rimango lì per un lungo tempo. A momenti, ascolto le voci dei pellegrini che echeggiano e rimbombano mentre attraversano il piccolo tunnel dopo la risalita della ripida scalinata. Là sotto la scalinata del Kedar Ghat una cagna sta allattando i suoi nove cuccioli accanto al riparo che qualcuno le ha costruito. Più sotto, una bambina si sta esibendo in un piccolo show accompagnata dal battito del tamburo della madre.
Varanasi, marzo 2017. Piccolo show al Kedar Ghat.
Dall’altra sponda del fiume arrivano le grida allegre della gente che sta facendo il bagno in un’acqua più pulita rispetto a questa sponda.
Varanasi, 5 marzo 2017. Bambini mentre giocano a cricket acanto al palazzetto rosso sui ghat.
Passo davanti al palazzetto rosa dove abitano i barcaioli e sento le loro voci e quelle dei loro familiari uscire dalle porte azzurre sempre aperte. Arrivo alla casa rossa a tre piani, dove, sul davanti, dei bambini stanno giocando a cricket. Sullo sfondo, tra la casa e i bambini ci sono: un cane, un caprone nero disteso. due ragazzi che parlano. Arriva una scimmia: si cala dal tettuccio del tempietto accanto e cerca di afferrare la pallina dei ragazzi, ma loro riescono a cacciarla via in un attimo.
Varanasi, 5 marzo 2017. Pellegrini e venditori di collane lungo i ghat.
Più su, incrocio un gruppo di pellegrini del Mahashtra seduti a riposare sui gradini e già assediati dai venditori di collane. Sotto, vicino al fiume, i soliti lavandai che a quest’ora raccolgono i panni asciugati e li piegano in grandi pile. All’ora del tramonto vado al Dasaswamedh Ghat a portare del materiale scolastico alla bambina più grande che vive lì. Arriva la bambina più piccola e vuole anche lei le matite, il temperino, i colori, i libretti da dipingere. Oggi, c’è anche il fratello, forse di otto anni. Anche lui mi chiede dei libretti da colorare, anche se non è mai andato a scuola. La bambina piccola ha messo le sue cose dentro una borsa di plastica che stava appesa ad un chiodo di un’impalcatura. Sono arrivati altri bambini, ma non avevo altro da regalare. Più tardi, di sera, insieme a Paola, la cuoca di Arezzo, che ho conosciuto a Gokarna e ritrovato qui, sono ripassata velocemente per quel luogo. La bambina era seduta in cerchio, insieme a due adulti indiani.
Varanasi, 5 marzo 2017. Passaggio di pellegrini lungo i ghat.
6 marzo 2017
A Bengali Tola, già di mattina, c’è una lunga fila davanti ad un negozio che distribuisce alimenti e gas agli abitanti muniti di tessera.
Varanasi, 6 marzo 2017, Bengali Tola. La fila con le tessere governative per ricevere cibo e gas gratuitamente.
Lungo le stradine decine di bambini giocano e gironzolano: mi dicono che l’orario della scuola statale va dalle sette alle dieci di mattina e dalle tre alle cinque del pomeriggio. Molti di loro vanno alle lezioni soltanto ogni tanto, o addirittura mai, ma raramente lo ammettono.
Varanasi, 6 marzo 2017. Una piccola galleria che congiunge la stradina interna con il Kedar ghat.
Al tempietto che sta prima del Kedar Ghat parlo un po’ con una ragazza svizzera: è in India per una ricerca di marketing sulla lavorazione artigianale dei tappeti. Nei dintorni di Varanasi, ha visitato i maggiori centri specializzati in questo settore: Mirzapur e Badohi. Lungo i ghat ricevo una botta in testa da una pallina da cricket rimbalzata sul muro della scuola di sanscrito che sta lì accanto.
Varanasi, 6 marzo 2016. Bambino della scuola di sanscrito mentre gioca a cricket sui ghat.
Sulla gradinata del Chousati Ghat si siede accanto a me un indiano di Mainital, una cittadina situata vicino ad Almora e Kasadevi, i luoghi dove vorrei andare nei prossimi giorni. Là possiede un albergo di lusso che conduce insieme al figlio. Si fermerà a Varanasi per qualche giorno per rimanere accanto alla madre, novantacinquenne.
7 marzo 2017
Nella tarda mattinata, mentre cammino all’interno del quartiere vicino ad Harishchandra Ghat, incontro delle bambine che stanno giocando, in strada, con una pallina. In questi giorni, mi dicono, sono in vacanza perché gli allievi dell’undicesima e dodicesima classe stanno sostenendo gli esami. Una di loro frequenta la settima classe, mentre l’altra, più giovane, è in quarta. Più avanti, da una finestra si vede lo schermo di una televisione accesa e dei bambini aggrappati alle sbarre di una finestra che guardano fuori. Da un edificio arrivano i canti degli studenti che frequentano una delle tante scuole di sanscrito presenti nella zona. Cammino fino alla zona intorno al Shivala Ghat. Lungo le strette stradine si sentono i suoni incessanti dei clacson delle moto e s’incrociano di continuo carretti con la frutta e la verdura che ostruiscono il passaggio. Esco in una strada asfaltata, larga e sommersa dal traffico; dei ciclo e degli auto risciò mi raggiungono chiedendomi dove voglio andare. Io non lo so, ma preferisco cercare i luoghi, quasi sempre a piedi. Nella zona di Assi Ghat incontro Paolo e Barbara, la coppia di Trieste conosciuta a Gokarna e insieme visitiamo sia il Durga Temple che il Tempio delle Scimmie. Sono entrambi affollati di pellegrini che, divisi in file di maschi e femmine, con i piattini di fiori in mano, attendono di arrivare al sacerdote che sta seduto davanti alla divinità.
Varanasi, 7 marzo 2017. Sera al Dasaswamedh Ghat.
Tornando verso il Chousati Ghat incontro due donne francesi che mi parlano di un’associazione indiana che, in collaborazione con un’organizzazione tedesca, si occupa dei bambini in difficoltà. Si tratta della Kutum Schlterhouse e ha la sua sede a Nadasar, un quartiere di Varanasi. Al ristorante parlo un po’ con un americano che sta nella mia stessa guest house. E’ un tipo solitario e molto schivo. Mi dice che ha sessant’anni ed ha insegnato inglese in Giappone per diverso tempo, ma non gode di alcun tipo di pensione. Recentemente ha ricevuto in eredità una considerevole somma di denaro che gli consentirà di vivere tranquillamente in India per il resto dei suoi anni.
Varanasi, 7 marzo 2017. Il Baba Shiva Raja Giri durante un’esibizione al Dasaswamedh Ghat.
Durante le puja serali che si svolgono nei due piazzali del Dasaswamedh Ghat ho rivisto il Baba Shiva Raja Giri: ci eravamo conosciuti l’anno scorso proprio qui. E’ tornato da Haridwar due giorni fa e ora si sta esibendo, con il corpo dipinto di bianco e quasi nudo, su un palco, agitando due tamburelli colorati e distribuendo benedizioni.
8 marzo 2017
E’ arrivato il giorno delle elezioni: oggi si vota nel distretto di Varanasi per il rinnovo dei rappresentanti politici nello Stato federale dell’Uttar Pradesh. L’orario per votare va dalle 9.00 di mattina alle 18.00 di pomeriggio, ma i risultati si conosceranno soltanto l’11 sera, quando tutti i distretti avranno completato le operazioni di voto.
Varanasi, 8 marzo 2017. Le stradine di Bengali Tola.
Rahul, il proprietario della guest house, contrariamente a quanto pensavo, mi dice che il partito di Modi, il Primo Ministro, non è molto forte e che lui e la sua famiglia voteranno il partito del Congresso. “Anche perché”, aggiunge, “ è preferibile ci sia una competizione tra il governo della Nazione e quello dello Stato federale”.
Varanasi, 8 marzo 2017. Riferimenti degli iscrtti nelle liste elettorali lungo la stradina di Bengali Tola.
In Bengali Tola, nella parte vecchia della città, c’è una sede di seggio controllata all’esterno da una decina di militari. Lungo la stradina ci sono delle postazioni governative che controllano l’elenco degli aventi diritto al voto e distribuiscono i certificati elettorali. Un numeroso gruppo di uomini è seduto a discutere, nel piazzale del Post Office, poco prima del seggio, sotto uno striscione con il simbolo del fior di loto in bella vista. Quasi tutti i negozi sono chiusi, e in generale, non si vede molta gente in giro. Sui ghat la situazione è diversa: è un giorno di vacanza, e numerosi gruppi di pellegrini stanno attraversando il fiume con le barche o percorrendo il lungo fiume.
Varanasi, 8 marzo 2017. Aspetti del Kedar Ghat.
Al Kedar Ghat ed anche più su, numerosi bramini stanno celebrando delle puja più numerose degli altri giorni. Le scuole statali rimarranno chiuse per un altro giorno ancora, mi dice un tredicenne che frequenta la decima classe. Il ragazzo è di Patna, ma vive qui a Varanasi, dove la scuola governativa funziona meglio. Secondo questo giovane, la possibilità di studiare c’è per tutti, anche se nei villaggi la scuola non è di buona qualità come nelle città. “Le famiglie, però”, aggiunge, “ preferiscono mandare i loro figli a lavorare nei ristoranti o a vendere piccole cose sui ghat e sulle strade”. All’ombra del tempietto dedicato a Shiva sto seduta a lungo a sferruzzare. Gli indiani che passano sul lungo fiume o si fermano al tempio mi guardano meravigliati. Un indiano mi dice che qui in India le donne non usano lavorare a maglia.
Varanasi, 8 marzo 2017. Gruppo di Baba al tempietto di Shiva lungo i ghat.
Accanto a me c’è un gruppo di sadhu: tre sono vestiti di arancione, tra cui una donna, molto rare a vedersi. C’è poi un giovane sadhu vestito di bianco che arriva da un ashram del Tamil Nadu e parla molto bene l’inglese. Poco dopo si aggiunge al gruppo un Aghori Baba: tutti insieme discutono in indi e poi si allontanano per andare a pranzo, deduco, sentendo nominare più volte la parola “cana” che significa cibo. Verso sera, nel tratto tra il Chousati e il Dasaswamedh Ghat si vedono già i primi segnali dell’Holi festival, la festa dei colori e della gioia. Facce e corpi dipinti di rosso sfilano a gruppi in particolare nella zona più centrale. L’indiano di Mainital che ho conosciuto qualche giorno fa e incontrato di nuovo questa sera mi informa che il festival dei colori è iniziato oggi, con la cerimonia d’apertura celebrata al Golden Temple.
9 marzo 2017
Arrivo al Rojal Palace quasi per caso, percorrendo diramazioni di stradine e biforcazioni di viottoli sconosciuti. Riconosco il grande cortile con il cancello dalla catena allentata, la riga di casette abitate intorno, il portale della guest house dal quale si accede alla zona dei templi.
Varanasi, 9 marzo 2017. Insieme di templi all’interno del Rojal Palace.
Sono già stata qui, una decina di giorni fa, insieme a due ragazzi indiani che stavano esplorando il palazzo come me, ma oggi sono sola e posso girovagare negli spazi accessibili con lentezza ed in silenzio.
Varanasi, 9 marzo 2017. Abitazioni intorno al gruppo di templi del Rojal Palace.
Davanti alle stanze adibite a guest house, che danno direttamente sulla corte, c’è qualche turista sdraiato; più avanti, negli ampi cortili che si affacciano sul fiume, incontro soltanto un turista che sta guardando il suo cellulare e scompare subito dopo. In un vasto spazio ci sono diversi templi, alcuni con la tenda di color rosso cupo tirata davanti all’entrata.
Varanasi, 9 marzo 2017. Le abitazioni che stanno su un lato della zona dei templi del Palazzo Reale.
Nelle abitazioni che stanno intorno ai templi non c’è nessuno: si percepisce la presenza delle persone soltanto da qualche panno steso all’esterno. Guardo il panorama che si estende verso nord fin oltre il ponte della ferrovia e quello di fronte che spazia sulla zona sabbiosa dell’altra sponda.
Varanasi, 9 marzo 2017. Panorama dal Rojal Palace.
Cerco il portone dal quale sono uscita sui ghat la volta scorsa: lo trovo, ma è chiuso con un lucchetto. Esco dal palazzo e ripasso attraverso il portale della guest house. Lì fuori, in un’altra serie di stanze adibite ad abitazione c’è una bambina seduta su un tavolino di metallo che sta riponendo con cura dei giocattoli dentro una borsa. La madre è intenta a fare il bucato in una specie di sgabuzzino, lì accanto.
Varanasi, 9 marzo 2017. Un ashram per pellegrini indiani nella zona adiacente al Rojal Palace.
Cerco di trovare uno sbocco per accedere al lungo fiume. Entro in una stradina: dei negozianti mi chiamano per mostrarmi i loro tessuti. Proseguo oltre, ma la strada si blocca quando entro in un gruppo di abitazioni signorili. Torno indietro: passo davanti ad un ashram per pellegrini indiani e mi fermo sul portone a leggere i cartelli con le regole da osservare per accedervi: entrare scalzi, essere vegetariani, non bere alcolici, non fumare e non consumare pasti nelle stanze, non lavare i panni all’interno della struttura, rientrare entro le dieci di sera, tenere puliti i bagni versandovi dell’acqua dopo averli usati, non chiudere le stanze con lucchetti od altro… Sul Gange mi fermo alla tea-stall del tempietto di Shiva: c’è un barcaiolo seduto lì, tutto imbacuccato nonostante il grande caldo. Sta male, mi dicono le persone sedute accanto, ma non ha i soldi per comprarsi le medicine.
Varanasi, 9 marzo 2017. La partita a cricket davanti alla casa rossa dei ghat.
Davanti al palazzetto rosso oggi dei ragazzi grandicelli stanno giocando a cricket mentre dei bambini più piccoli corrono a raccogliere le palline che rimbalzano fino al fiume. Da una delle porte esce l’anziana dai lunghi capelli bianchi che abita lì; stende una coperta su un filo e rientra subito in casa.
Varanasi, 9 marzo 2017. Un sadhu solitario lungo i ghat.
Poco più su incontro due dei sadhu conosciuti ieri al tempietto di Shiva: un uomo e una donna. Lui è di Chennai ed ha 58 anni. Si è licenziato dal suo impiego governativo già nel 1990. Ha lasciato la moglie e i due figli, per diventare sadhu e, in seguito, non ha mantenuto alcun rapporto con loro.
Varanasi, 9 marzo 2017. Amma, una donna sadhu.
La donna è diventata sadhu nel 2007 dopo la morte del marito; ha 50 anni e proviene dallo Stato federale dell’Andhra Pradesh. Con i suoi due figli, di 29 e 31 anni, ha frequenti contatti. Qui, a Varanasi, entrambi dormono in un alloggio a pagamento e non chiedono mai l’elemosina.
Varanasi, 9 marzo 2017. Spettatori alla celebrazione della puja serale del Dasaswamedh Ghat.
La sera, all’ora degli spettacoli nei due principali piazzali del Dasaswamedh Ghat, vedo la bambina più grandicella a cui ho regalato dei libretti e del materiale scolastico. E’ truccatissima. Le chiedo delle notizie, in particolare, sul libretto con le immagini e le scritte riportate in indi e in inglese. Mi risponde che ci sta lavorando su. Arriva il Baba Shiva Raja Giri insieme ad un corteo di seguaci: si siede in posizione yoga sul palco e pone con le dita un punto rosso sulla fronte dei pellegrini che si chinano davanti a lui.
Varanasi, 9 marzo 2017. Il baba Shiva Raja Giri al Dasaswamedh Ghat.
Quando iniziano le celebrazione, anche lui parte con il suo spettacolo, integrandosi nell’atmosfera dell’insieme.
10 marzo 2017
Un giro a Godonia per acquistare un tessuto di cotone al negozio governativo e poi, una passeggiata al Dasaswamedh Ghat a salutare il Baba Shiva Raja Giri di giorno.
Varanasi, 10 marzo 2017. Il gruppo del sadhu Shiva e dei pellegrini sul piazzale rialzato del Dasaswamedh Ghat.
Lo trovo là, seduto nel piazzale rialzato del ghat, in piena battuta di sole, mentre sta preparando la pipa di terracotta da fumare insieme ai suoi seguaci.
Varanasi, 10 marzo 2017. Il Baba Shiva Raja Giri con i suoi seguaci nel suo abitat del Dasaswamedh Ghat.
Le persone che stanno intorno a lui sono diverse rispetto a quelle dello scorso anno, ma lui non ci fa caso e mi dice che c’è sempre chi viene e chi va… Mi racconta che a Kathmandu ha vissuto nel Rama Temple mentre ad Hardwar è rimasto sempre all’aperto. Mi mostra una sua foto, trasformata in cartolina, e mi dice che si trova in vendita sia in India che in Nepal; risale a sedici anni fa e lo rappresenta completamente nudo e con il pene eretto. Mi dice che si trova in difficoltà in quanto non ha il denaro per pagarsi una stanza ed è costretto a dormire all’aperto. Gli chiedo se riceve delle offerte dopo lo spettacolo serale e mi risponde affermativamente.
Varanasi, 10 marzo 2017. La bambina senza casa con i vestiti colorati per l’Holi Festival.
Sui gradini, accanto al suo mucchio di coperte, c’è la bambina piccola con i soliti abiti sporchi. Ora, in occasione dell’Holi Festival, anche i suoi abiti sono spruzzati di colore. La madre della bimba sta dormendo sui gradini, avvolta in una delle coperte del suo mucchio. “Sta male” mi dicono due spazzine sedute lì accanto.
Varanasi, 10 marzo 2017. La madre della bambina riposa accanto al suo mucchio di coperte.
Mi sposto nel piazzale centrale del Main Ghat. I matrimoni sono diminuiti in questi giorni che precedono il grande festival dei colori. C’è qualche faccia colorata in giro, ma l’Holi esploderà soltanto domenica sera e proseguirà fino a lunedì pomeriggio. Cammino lungo i ghat: c’è sempre, ovunque qui, un gran abbaiare di cani agguerriti nel difendere il proprio territorio. Alzo gli occhi e vedo i due sadhu incontrati ieri: sono seduti su un pendio rivestito di mattoni.
Varanasi, 10 marzo 2017. Sadhu seduto su un pendio dei ghat.
Mi mostrano i loro due tesserini di riconoscimento. Il sadhu è anche un guru ed ha 800 seguaci al suo seguito, tra cui 25 donne. Anche Amma, la sadhu che sta qui a Varanasi con lui è una sua seguace. Vivono a Tiruvannamalay, in Tamil Nadu, nel Sivanadiyarsadhukkal ashram, dove ci sono altri 5 guru.
Varanasi, 10 marzo 2017. I tesserini di riconoscimento di due sadhu del Tamil Nadu.
Poco più su, scambio qualche parola con l’uomo dalla barba e dai capelli bianchi che ho visto più volte passeggiare con una bambina dai capelli lunghi e biondi. Sono padre e figlio, scopro ora. Il padre, Fabrizio, ha 66 anni; il bambino, Siddhartha, ne ha nove. La madre ha 36 anni, è di Fano, ma ora abita ad Imperia, con il nuovo compagno. Fabrizio è di Ancona e fa il contadino in un luogo chiamato: “La tribù delle noci sonanti”. Ha lasciato l’università quando aveva 22 anni per svolgere dei lavori di artigianato. Quando è riuscito a guadagnare il denaro necessario per acquistare dei terreni ha iniziato a fare il contadino, un’attività che svolge tuttora. “La separazione con la madre del bambino” mi racconta Fabrizio, “ è avvenuta tre anni fa ed è stata molto complessa per trovare l’accordo sui tempi di permanenza di Siddhartha con l’uno e con l’altro genitore”. Data la lontananza che separa i genitori, il bambino rimane a mesi alterni con ciascuno dei due. Siddhartha non frequenta la scuola, ma i genitori lo preparano per gli esami che sostiene prima dell’inizio di ogni anno scolastico in un Istituto statale. Insieme a Fabrizio e Siddhartha viaggia anche Agnese, una trentenne di Torino, laureata in storia dell’arte.
11 marzo 2017
Pranzo all’Annapurna Temple insieme a Fabrizio, Siddhartha e Agnese, incontrati poco prima, per caso, al Chousati Ghat.
Varanasi, 11 marzo 2017, Dasaswamedh Road. Fabrizio e suo figlio Siddhartha mentre acquistano dei colori per l’Holi Festival.
Sulla Dasaswamedh Road c’è un gruppo di manifestanti con le bandiere arancione del partito BJP ( Baratiya Janata Party di Narendra Modi) che esulta per il risultato delle elezioni.
Varanasi, 11 marzo 2017. Manifestazione dopo la diffusione dei risultati elettorali.
Anche sulla vecchia stradina che porta alla mensa c’è una postazione video che trasmette i risultati dello spoglio dei voti ed è seguita da molti indiani. Più tardi, nel piazzale del Post Office di Bengali Tola vedrò un altro numeroso gruppo di uomini seguire l’andamento dello scrutinio su un grande schermo postato lì per seguire l’evento.
Varanasi, Bengali Tola, 11 marzo 2017. Risultati delle elezioni sullo schermo del piazzale del Post Office.
Un indiano mi dirà che il partito legato al Primo Ministro Narenda Modi ha registrato il 40% dei voti e conta 311 eletti nel parlamento locale su 403, mentre gli altri partiti (quelli del Congresso, dei simboli della Bicicletta e dell’Elefante) avranno il resto, tutti insieme.. Verso sera Agnese ed io, sui ghat, incontriamo un sadhu italiano che abita a Carpi, in provincia di Modena. Agnese porta i capelli lunghissimi, ma desidera celebrare il rituale della Munda che consiste nella rasatura a zero e nel dono dei capelli al Gange. Lo farà domani mattina all’Assi Ghat, dove alle cinque di mattina, tutti i giorni, delle ragazze giovanissime celebrano un tradizionale rito con il fuoco, simbolo di dio. Marco, il Baba di Carpi è diventato sadhu sette anni fa con un’iniziazione avvenuta ad Hardwar, quasi per errore. Lui, mi racconta, aveva chiesto delle informazioni per partecipare al meeting internazionale di sadhu che si tiene ogni dodici anni. Il suo interlocutore ha capito, invece, che lui stesso voleva diventare sadhu e, con il suo consenso poi, ha eseguito l’iniziazione. “In quel momento” mi racconta, “ho capito che questo avrebbe dovuto essere il lavoro della mia vita”. A Carpi fa il giardiniere, ma il suo guadagno s’aggira sui mille euro all’anno. In questo viaggio ha girato l’ India per due mesi insieme a Sebastiano, un suo giovane amico. Al Chousati Ghat vedo seduti sulla scalinata sia Paola che l’indiano che possiede un hotel a Mainital. Mi chiamano, ma dico loro che sto andando a vedere l’esibizione del Baba Shiva Raja e scappo via.
Varanasi, 11 marzo 2017. Un particolare della cerimonia serale al Dasaswamedh Ghat.
Arrivata là, mi accorgo che Paola mi ha seguita e mi sta aspettando in disparte. Guardo per un po’ i rituali del Baba: le benedizioni che porge, le numerose offerte che riceve e la sua esibizione con i tamburelli.
Varanasi, 11 marzo 2017. Il Baba dei tamburelli al Dasaswamedh Ghat.
Poi, vado a salutare la bambina senza casa che sta giocando, da sola, con due piccoli palloncini colorati. Paola mi accompagna un pezzo verso la stradina che porta alla guest house, poi, ci separiamo: lei va a cena in un ristorantino sulla Dasaswamedh Road mentre io mi compro delle melanzane fritte lungo la stradina di Bengali Tola.
Varanasi, 11 marzo 2017. Sera sul Gange.
Prima di andare in guest house vado a sedermi sulla scalinata del Chousati Ghat per godermi, in solitudine, la luna piena che sta splendendo sopra il Gange.
12 marzo 2017
All’Harichanda Ghat incontro una donna Aghori, una delle rare donne vestite di nero che si cibano dei resti dei cadaveri rimasti dopo la cremazione.
Varanasi, 12 marzo 2017. Una Aghori Baba insieme ad un Shiva Baba.
E’ canadese, della provincia del Québec. Là era un’attivista sociale ed anche una scrittrice di novelle che non si trovano più sul mercato. Ha 51 anni e da 21 vive in India con un visto valido, ora, per 10 anni. Il solo vincolo che la condiziona è quello di doversi recare in Nepal alla scadenza dei sei mesi e di rimanervi per almeno 24 ore prima di rientrare in India.
Varanasi, 12 marzo 2017, Manikarnika Ghat. Aghori Baba donna.
E’ diventata Aghori 18 anni fa ed il suo guru è Sri Sri 1008 Kapalik Mashakal Saraswati. Mi parla anche di una sorella guru di nome Bubaneshwari Sarawasti. Ha una pensione di invalidità concessale dallo Stato del Canada con la quale può pagarsi una stanza ed avere una sua autonomia. Mi parla di un’altra Aghori che vive qui a Varanasi, con la quale non è in buone relazioni. Quest’altra Aghori ha circa sessant’anni ed è di nazionalità tedesca. La Baba mi parla a lungo di una ricerca interiore che sta elaborando in questo periodo. Vorrebbe trovare un equilibrio nel suo modo di relazionarsi. “L’essere troppo accondiscendenti”, mi dice, “non è costruttivo per se stessi e l’essere troppo aggressivi porta al rifiuto da parte degli altri e all’isolamento”. “Qui, in India” prosegue, ”le donne sono sottomesse agli uomini e, di conseguenza, questi, non hanno una buona relazione con me che sono indipendente da loro”. Mentre stiamo parlando, un indiano si distende, a testa in giù, sul lastricato, di fronte a noi e davanti alla statua di Harichanda; poi, emette dei rantoli. L’Aghori Baba mi chiede di ascoltare l’uomo senza guardarlo molto per non ostacolare il contatto che egli ha, in quel momento, con la divinità suprema. L’uomo si alza e sorride come niente fosse accaduto; poi ritorna a distendersi nella stessa posizione e rifà lo stesso rantolo. Prima di salutarci l’Aghori mi lascia il suo nome per contattarla su facebook.
Varanasi, 12 marzo 2017. Lavandai e bucati sulla riva del Gange.
Riprendo il cammino verso l’Assi Ghat tra lavandai e bucati stesi, gente che celebra la puja per gli antenati e indiani che fanno il bagno di purificazione nel Gange.
Varanasi, 12 marzo 2017, Kedar Ghat. Una delle tante puje per gli antenati che si celebrano lungo il Gange.
Verso il Tulsi Ghat mi trovo il passaggio sbarrato da un palo di bambù appoggiato in orizzontale su due sostegni. Sei bambini mi chiedono 10 rupje per aprire il passaggio, ma riesco a concordare l’accesso con sei caramelle. “E’ per l’Holi”, mi dice un indiano che oltrepassa lo sbarramento senza dare retta ai bambini. “Il festival”, mi informa, “inizierà domani alle 5 di mattina e avrà una pausa dalle 12.00 alle17.00. Dopo, sarà consentito soltanto l’uso dei colori in polvere”.
Varanasi, 12 marzo 2017. Aspetti dell’Holi Festival in arrivo.
Già da oggi, però, ho visto intensificarsi i lanci di sacchetti di colore e gli spruzzi con i fucili ad acqua. Lungo i vicoletti e ai lati delle strade principali sono comparse numerose bancarelle con cumuli di colori in polvere e con vasti e sofisticati assortimenti di attrezzature per spruzzarli.
Varanasi, 12 marzo 2017. Bancarelle per l’Holi Festival.
A Bengali Tola incontro Marco, il Baba di Carpi conosciuto ieri. Sta, anche oggi, insieme a Sebastiano, il suo compagno di viaggio che ha appena iniziato un percorso spirituale. Oggi, Marco, mi parla dei suoi guru. Quello attuale si chiama Om Gurugimaragi che significa: signore, onore al maestro e a me. Il guru vive nell’Haridhar ashram di Satdhara (getto a cascate), a sette km da Kareli e poco prima di Barman, in Madhia Pradesh. Marco, si è formato a Pistoia, in un ashram dove c’era un guru indiano con un gruppo di guelfi. In seguito a dei contrasti violenti tra due gruppi contrapposti di guelfi, il guru è rimasto seriamente ferito e da allora è scomparso nel nulla facendo perdere le sue tracce. L’ashram di Pistoia, con tutte le immagini sacre che conteneva, è stato completamente distrutto dal gruppo avversario e di quella struttura, ora, non è rimasto nulla. “Questo nuovo guru del Madhia Pradesh” mi racconta ancora Marco, “in realtà, è il guru principale dal quale anche quello che stava a Pistoia aveva preso gli insegnamenti”. Sui ghat, nel tardo pomeriggio, rivedo la coppia di sadhu del Tamil Nadu: oggi lui sta meglio e il raffreddore si è attenuato. Ieri sera si soffiava continuamente il naso sulla parte a scialle del lungo telo arancione che lo ricopre.
Varanasi, 12 marzo 2017. Il palazzetto rosso oggi.
A sorpresa, sempre sui ghat, all’altezza del palazzetto rosso, passa Gil, il canadese, appena tornato dal Nepal e ci fermiamo a chiacchierare. Verso sera, sempre sul lungo fiume, incontro Agnese, con la testa rapata e avvolta in un foulard arrotolato a spirale e coperto a sua volta da uno scialle. Mi racconta di aver conosciuto Fabrizio nei pressi di Rieti, nel monastero buddhista “Teravada della foresta” di Santacittarama dove era andata a meditare per una settimana. La struttura ospita le persone in piccole casette di legno costruite nel bosco, arredate soltanto con una stufa a legna e un letto. (La giornata, là, inizia alle 5:00 del mattino con dei canti seguiti da lunghe ore di meditazione. Si mangia soltanto una volta al dì, prima di mezzogiorno. Alle 17:00 ci sono gli insegnamenti basati sulle risposte alle domande dei partecipanti). Saluto Agnese che domani andrà a Gaia e poi di lì, a piedi, fino a Bodhgaia, insieme a Fabrizio e Siddhartha. Lungo il percorso, sia in treno sia camminando, mi han detto, continueranno la lettura, a turno, del libro “La vita del Buddha” di Tch Nath Han. Verso le 20.00 sui ghat e lungo le strade iniziano ad accendere i numerosi fuochi che mandano al rogo la dea Holinka.
Varanasi, 12 marzo 2017.Il falò dell’ Holinka sulla Dasaswamedh Road.
Sulla Dasaswamedh Road, nella zona del mercato, le fiamme del rogo paiono andare a toccare i cavi della corrente elettrica. Giù, al Main Ghat, stanno celebrando una serie di rituali e lentamente accendono dei piccoli focolai dove sta collocata la statua della dea Holinka.
Varanasi, 12 marzo 2017. La messa in salvo della sorella della dea Holinka, prima del rogo.
Prima di accendere la catasta, un celebrante afferra la scultura piccola che sta accanto a Holinka e la porta in salvo. “E’ la sorella della dea” mi spiega un sacerdote, “Holinka, che prima che le fiamme l’avvolgano, l’affida al padre, mentre lei si sacrifica”.
Varanasi, 12 marzo 2017. Il rogo della dea Holinka al Dasaswamedh Ghat.
Man mano che il fuoco avanza verso la dea dei giovani e un guru le girano intorno cantando e inneggiando con le braccia alzate verso il cielo. Vedo Paola in piedi su un banchetto intenta a guardare lo spettacolo. Saluto frettolosamente l’indiano che abita a Mainital e vado verso il Chousati Ghat. C’è Sonu che mi saluta con un abbraccio e mi augura un “Happy Holi”. Gli parlo, ma mi accorgo che non riesce ad ascoltarmi.
Varanasi, 12 marzo 2017. Notte di luna piena sui Ghat.
13 marzo 2017
Esco dalla guest house poco prima delle 13:00. La tregua dei lanci d’acqua colorata sui passanti dovrebbe essere partita già dalle 12:00, ma non mi sento sicura. Scendo la scalinata del Chousati Ghat e vedo delle masse di ragazzi immersi nelle acque del Gange intenti a lavarsi gli strati di colore che li ricoprono.
Varanasi, 13 marzo 2017. Il bagno alla fine della mattinata dell’Holi Festival.
Vedo subito il distinto indiano dell’hotel di Manital che sta camminando lungo i ghat, anche lui inzuppato di colore come gli altri. Non credo ai miei occhi! Lui, invece, si meraviglia che sia rimasta tutta la mattinata in camera per evitare di essere bagnata. Mi sposto verso la tea-stall del Rana Ghat: il ragazzo è sfinito dalla stanchezza per la nottata passata in piedi a servire il cjai.
Varansi, 13 marzo 2017. Holi Festival al Dasaswamedh Ghat.
Giro lo sguardo verso il lungo fiume e vedo Sonu che si sta trascinando verso il molo delle sue barche. Lo raggiungo: si è appena appoggiato ad un muro ed ha chiuso gli occhi. Gli dico che ha bisogno di andare a casa a riposare, ma lui mi risponde: “Perchè?” Pochi passi più avanti dei ragazzi con le mani piene di colore mi si avvicinano: sono terrorizzata, ma alla fine accetto che mi dipingano il viso.
Varanasi 13 marzo 2017. Le ceneri della dea Holinka alla fine della mattinata dell’Holi Festival.
Al Dasaswamedh Ghat la dea Holinka non c’è più: di lei so rimaste soltanto le ceneri che stanno ancora fumando. Torno al Chousati Ghat: oggi è in festa per una tradizione che si tiene nel tempio dedicato alla dea Durga, la dea Madre.
Varanasi, 13 marzo 2017. Il Chousati Ghat in festa per il pellegrinaggio alla Mata Durga.
Ho già assistito altre volte a questo tradizionale pellegrinaggio che si tiene tutti gli anni al termine dell’Holi Festival. Anche quest’anno lungo il ghat e sulle vie intorno al Chousati Temple si sono appostate numerose bancarelle di fiori, foglie, corone di peperoncini, bracciali e cesti di garofani gialli. Accanto ad ogni bancarella c’è un secchio d’acqua del Gange che i pellegrini usano per lavarsi le mani prima di accedere al tempio. Attingono l’acqua con una foglia secca, poi, lasciano in custodia le loro calzature presso il venditore di fiori e si avviano scalzi verso il tempio. Per l’occasione, arrivano intere famiglie, vestite con i loro migliori abiti; giungono dai villaggi e dai paesetti che stanno intorno a Varanasi per rendere omaggio alla dea.
Varanasi, 13 marzo 2017. Una delle due file per accedere al Chousati Temple e rendere omaggio alla Mata Durga.
Le donne con addosso dei saree di tutti i colori, dal rosa confetto all’azzurro cielo, dal viola al rosso vivo e quasi sempre con il capo coperto da un lembo dello stesso abito, sfilano con mariti e figli lungo i due vicoletti che conducono al luogo sacro.
Varanasi, 13 marzo sera. Le bancarelle per la festa della Durga Mata al Chousati Temple.
Le bambine, vestite da bambola e i maschietti da ometto stanno pazienti e silenziosi in fila per lungo tempo, accanto ai loro genitori.
Varanasi, 13 marzo 2017. Interno del Chousati Temple con i pellegrini in fila per portare i doni alla dea Madre.
Paiono fieri di tenere le polveri colorate in una mano e le corolle dei garofani gialli, avvolti in una foglia, nell’altra; sono le offerte piene di significato, da donare alla dea Madre.
14 marzo 2017
La città è tranquilla oggi. Della festa, appena terminata, sono rimasti soltanto gli abiti dismessi ed i rifiuti lasciati un po’ dappertutto. I negozi più importanti hanno ancora oggi le saracinesche abbassate, nell’attesa che la città venga ripulita e ritorni alla normalità.
Varanasi, 14 marzo 2017. Studenti di una scuola di sanscrito nella zona del Tulsi Ghat.
Camminando lungo il fiume, entro al Tulsi Ghat dove incrocio una lunga fila di studenti di una scuola di sanscrito che sta lì vicino. Hanno diverse età e sono vestiti di bianco con una fascia arancione appoggiata sulle spalle. Torno verso Godonia percorrendo gli antichi vicoletti interni.
Varanasi, 14 marzo 2017. La mensa gratuita del Cycle Swamy Ashram, nella zona di Godonia.
Improvvisamente, m’imbatto in una lunga fila di indiani di ogni età che stanno attendendo di entrare alla mensa del Cycle Swamy Ashram. Mi accodo con loro e pranzo lì.
Varanasi, 14 marzo 2017. La distribuzione del cibo alla mensa del Cycle Swamy Ashram.
Imbocco, poi, la Dameswadeth Road e ritorno sulla riva del Gange. Al Main Ghat mi fermo a guardare le ceneri della dea Holinka che stanno ancora fumando.
Varanasi, 14 marzo 2017. Il Dasaswamedh Ghat il giorno dopo l’Holi Festival.
Il piazzale ha già ripreso il suo ritmo abituale con la presenza di moltitudini di pellegrini, barcaioli, massaggiatori, barbieri, preti, sadhu e mendicanti inframezzati da venditori di flauti, di cjai, di cibi, collane e cartoline. Tra le bancarelle sono ricomparse quelle con le immagini sacre, con i fiori, le offerte e le taniche per portare a casa l’acqua del fiume. Dopo le fragorose giornate dell’Holi, il ghat per primi hanno ripreso il ritmo della normalità che li caratterizza.
Varanasi, 14 marzo 2017. Le ceneri della dea Holinka al Dasaswamedh Ghat.
Al ritorno in guest house entro al Chousati Ghat, oggi deserto, e ammiro la dea Durga da un lato e la dea Kali dall’altro, separate dalla scultura di una tigre a strisce gialle e nere, collocata tra le colonne.
Varanasi, 14 marzo 2017. La dea Durga ( la Mata) del Chousati Ghat.
Il tempio è già stato ripulito dalle numerose offerte di fiori ricevute; soltanto sul pavimento si vedono ancora le macchie lasciate dalle polveri colorate lanciate in aria, secondo la tradizione.
15 marzo 2017
Lungo i ghat, all’altezza del palazzetto dei barcaioli sta arrivando una processione animata da canti, danze e offerte da donare al Gange.
Varanasi, 15 marzo 2017. Arrivo di una processione al Gange.
Sono dei pellegrini del sud dell’India e stanno viaggiando con il loro guru che si distingue in lontananza, oltre che per la sua figura imponente, per un vassoio di offerte che porta sul capo.
Varanasi, 15 marzo 2017. Musiche, canti e danze durante il percorso di un gruppo di pellegrini sul Gange.
Tra i diversi doni della terra, che le donne hanno tra le mani, ci sono delle ciotole di terracotta con dentro le piantine di riso, appena germogliate.
Varanasi, 15 marzo 2017. Pellegrini dell’India del sud al Gange.
Lascio lo spettacolo dei pellegrini in pieno svolgimento e proseguo il mio cammino verso il quartiere del Tulsi Ghat. Da giorni sto cercando il Gandhi Shop che sta lì, ma lo trovo sempre inspiegabilmente chiuso. “Ce n’è un altro uguale a Godonia” mi dice un indiano; ci vado ripercorrendo, ancora una volta, i vicoletti interni, paralleli alla Main Road. Per un tratto riconosco le stradine, ma poi, m’addentro in altri vicoletti sconosciuti e non so più dove mi trovo.
Varanasi, 15 marzo 2017. Vicoletto di un quartiere musulmano nei pressi di Godonia.
Arrivo in un affollato quartiere musulmano, proprio davanti ad una moschea, dove gli uomini stanno uscendo dalla preghiera di mezzodì.
Varanasi, 15 marzo 2017. La moschea del quartiere musulmano nei pressi di Godonia.
Sono tutti vestiti di bianco, ma il capellino è diverso: a volte è rigido e ricamato con righe bianche e gialle o bianche e nere, a volte è bianco e lavorato all’uncinetto.
Varanasi, 15 marzo 2017. Interno della moschea del quartiere musulmano nei pressi di Godonia.
Alcuni bambini sbucano dal porticato che sta intorno alla moschea: portano il capellino sul capo anche loro. Si infilano le ciabatte lasciate sull’entrata e scompaiono tra gli spigoli delle case. Ai lati della vietta si apre una fitta serie di porte che portano direttamente all’interno di piccole stanze adibite a negozi. I clienti devono rimanere, quasi sempre, sulla stradina per mancanza di spazio.
Varanasi, 15 marzo 2017. Barbiere nella zona musulmana di Godonia.
C’è il negozietto con pile di tessuti sintetici ripiegati, la bottega del barbiere, uno spaccio di alimentari con i sacchi di granaglie, farine e zucchero esposti sulla via. E ancora, poco più avanti, si vede la porta aperta del laboratorio di un sarto al lavoro su una vecchia macchina da cucire a pedale. Proseguo il cammino sulla stradina di pietra e, a sorpresa, inizio a riconoscere i luoghi. Sono nei pressi di Godonia, uno dei centri commerciali di Varanasi. Esco sulla strada principale sommersa da auto risciò e pulmini privati, carichi di bambini che rientrano da scuola. Qui, scopro che il Gandhi Shop è lo stesso negozio governativo che già conosco. A pranzo, vado nel ristorantino di Bengali Tola che cucina gli spaghetti di riso saltati con le verdure, i chowmine. Qui incontro la Aghori Baba conosciuta qualche giorno fa al Manikarnika Ghat : mi chiama per salutarmi, e lo fa molto amichevolmente. Al mio tavolo siedono due ragazzi e un giovane uomo vestito in modo sportivo e raffinato. L’ho già notato da qualche parte, ma non ricordo dove. Lui mi riconosce. E’ un pittore di Sidney e qualche giorno fa stava dipingendo, con tanto di cavalletto, una tela con delle barche vuote, ormeggiate sulla riva del Gange. “Non ci sono le persone?” gli avevo chiesto guardando il dipinto…
16 marzo 2017.
Scendo sui ghat e affronto il lato sud del lungo fiume sotto un sole caldissimo. I barcaioli del Chousati Ghat stanno giocando a carte all’ombra della cabina messa lì da poco. Sono già sfiniti per il grande caldo che a me sembra ancora tollerabile.
Varanasi, 16 marzo 2017. Tea-stall accanto ad un tempitto nella zona del Raja Ghat.
Supero la zona dei bucati stesi del Raja Ghat e le numerose puje che si stanno svolgendo intorno ai gruppi di pellegrini silenziosi. Un bambino sta girando in bicicletta sui ghat, altri ragazzini stanno giocando con gli aquiloni. “Non vanno a scuola?” chiedo a Crishna, il mio amico venditore di collane. “Sono i figli dei lavandai e stanno accanto al luogo dove lavorano i genitori” mi risponde “Non hanno i soldi per pagare la scuola privata e quella statale non li sa coinvolgere!” aggiunge. Un pappagallo azzurro inizia il suo canto melodioso sporgendosi da una fessura del palazzo accanto, poi vola via, ritorna e va ad infilarsi in un altro buco, poco lontano da quello precedente. Guardo in terra le carte aperte che i barcaioli gettano via alla fine della partita: la donna di cuori, il sei di quadri, il due di picche, il re di fiori: dovrebbero essere di buon auspicio… Da quassù arriva la voce lontana, amplificata dagli altoparlanti, di un predicatore che sta parlando al microfono. Cammino ancora verso giù: incrocio dei pellegrini scalzi che stanno andando verso il Wishvanath Temple e vedo numerosi barconi che si dirigono dalla parte opposta, verso il Durga e il Monkey Temple dell’Assi Ghat.
Varanasi, 16 marzo 2017. Cerimonia sulla riva del Gange di un pellegrinaggio del sud dell’India.
Il piazzale del palazzo dei barcaioli è in festa: le lastre di pietra del pavimento sono rivestite da un tappeto verde e sopra è stato sistemato un enorme baldacchino bianco con le balze intorno, sostenuto da lunghi pali di bambù.
Varanasi, 16 marzo 2016. Pellegrini di Hyderabad durante un rituale sulla riva del Gange.
All’ombra del tendone, sul tappeto, stanno seduti centinaia di pellegrini, allineati su diverse file, con i pupazzetti dai cappellini colorati e i prodotti per le puja disposti davanti a loro. Sono i pellegrini del sud, quelli che ho incontrato proprio qui, ieri, mentre arrivavano al Gange.
Varanasi, 16 marzo 2017. Pellegrini di Hyderabad durante un rituale sulla riva del Gange.
La voce che arrivava a Kilometri di distanza è quella del loro guru, che ancora sta parlando. Sono di Hyderabad, mi dicono dei giovani sacerdoti che stanno seduti in disparte, ed appartengono ad un tempio legato al Sai Baba.
Varanasi, 16 marzo 2017. La zona dell’Assi Ghat con le bancarelle delle taniche per attingere l’acqua del Gange.
All’Assi Ghat, mi siedo a sferruzzare sulla gradinata che sta sotto un albero di pipal. Dall’alto mi arriva un cjapati che mi colpisce con forza sulla spalla. Mi guardo intorno e su un ramo dell’albero, sopra di me, vedo soltanto un corvo. Passa un cane, annusa il cjapati e lo lascia lì. Arriva una mucca e lo divora in un attimo; poi, mi si avvicina e inizia a leccarmi un braccio. Mi sposto sulla gradinata di fronte. In questa posizione c’è una bella visuale sulla gente che passa e, proprio qui, sono appostati gli acchiappa turisti. Ogni volta che arriva qualcuno c’è una voce dietro alle mie spalle che ripete: “Do you need boat”? e quell’altra che dice “Do you want to visit my shop? I have saree, pashmina, every thing. It’s free”! E ci sono anche quelli specializzati nel cogliere le incertezze dei turisti affiancandosi a loro come guide. Una bambina di circa sette-otto anni con gli occhi e le labbra truccatissimi mi si avvicina insieme a due fratellini. Non va a scuola nemmeno lei. E’ già pomeriggio inoltrato; ritorno alla guest house attraverso i soliti vicoletti, ma con qualche nuova diramazione.
Varanasi, 16 marzo 2017. L’esterno di una tea-stall, nel primo pomeriggio, nel quartiere di Sonarpura.
Attraverso il quartiere di Sonarpura con una tea-stall e una rivendita di pan affollatissime e animate da una musica melodica che esce dalle finestre di un edificio.
Varanasi, 16 marzo 2017. Una rivendita di pan nella zona di Sonarpura.
Passo davanti all’ashram dove ho pranzato qualche giorno fa e a quest’ora ormai chiuso e arrivo con facilità alla mia guest house di Bengali Tola.
17 marzo 2017
Varanasi, 17 marzo 2017, Rana Ghat, sera. Giovane madre, senza casa, mentre allatta il figlio minore nel suo giaciglio.
18 marzo 2017
Scendo ai ghat attraverso dei vicoletti che si restringono sempre più per lasciare spazio alle imponenti costruzioni in pietra che li fiancheggiano; arrivo ad un cunicolo buio che poi si apre con un portale alla vista del Gange.
Varanasi, 18 marzo 2017. Il Bijrama Palace.
Mi fermo su un’altana con un lato protetto da un grosso avvolgimento in filo spinato messo lì, mi han raccontato tempo fa, per evitare i numerosi suicidi che avvenivano da questo posto. Lì accanto, si apre una delle porte di un prestigioso palazzo, il Brijrama Palace, ora divenuto un lussuoso hotel.
Varanasi, 18 marzo 2017. Il palazzo trasformato in hotel.
Dalla terrazzetta sopra la scalinata riesco a vedere il personale di servizio dell’albergo, uomini e donne, rigorosamente vestiti con gli abiti tradizionali, mentre stanno spazzando i pavimenti con uno scopino. Una guardia armata mi si avvicina, mi osserva per un attimo e, in silenzio, rientra nell’edificio.
Varanasi, 18 marzo 2017. Panorama dal Brijrama Palace.
Là sotto c’è un’altra porta per accedere all’hotel, dalla quale entrano i turisti che arrivano con il battello dell’albergo stesso. Anche quell’ingresso è piantonato da un usciere che rimane lì, in piedi, per ore e ore sotto il sole, ad attendere i clienti. Davanti alla tea-stall del Rana Ghat passa Jil, il canadese, e si ferma a chiacchierare un po’ con me. Oggi mi mostra i suoi dipinti, che porta sempre con sé nello zainetto, racchiusi in una cartellina. Mi sposto più su, verso il Main Ghat. Su un muretto vedo seduto il sadhu che insegna yoga: sta aspettando il passaggio dei turisti per proporre loro le sue lezioni. Non mi rivolge quasi il saluto. Ieri pomeriggio ci eravamo incontrati mentre passeggiava con un cliente, un ragazzo austriaco; parlando del più e del meno, l’avevo sentito esclamare: “la mia fine sarà nel Gange”. I sadhu, difatti, quando muoiono, non vengono cremati, ma affidati alle acque del Gange. Gli chiedo se lui sia davvero, totalmente un sadhu, dal momento che gestisce una sua scuola di yoga. Lui, come altre volte, mi ribadisce che si guadagna da vivere perché non vuole aver bisogno delle donazioni. Più su, incontro il Baba dei tamburelli che sta facendo una passeggiata per sgranchirsi le gambe. E’ dipinto tutto di bianco ed è vestito soltanto con una striscia di stoffa, avvolta intorno al basso ventre, che lascia fuoriuscire una parte dei genitali. Appoggiata su una spalla, tiene una striscia di tessuto arancione che stringe con una mano.Mi chiede come sto e com’è il mio feeling today…
Varanasi, 18 marzo 2017. Bagni e rituali di donne al Dasaswamedh Ghat.
Mi siedo sotto l’ombrellone di un palchetto semi immerso nel fiume. Accanto a me, in fondo a due lunghe stuoie, ci sono: due ciotole di cocco con all’interno i colori giallo e rosso, quattro coppe d’acqua, delle corolle di fiori gialli, un pettine. Il giovane sacerdote titolare del palco è impegnato su un altro altarino, qui davanti. Più tardi, da lì, con quattro urla, richiamerà un ragazzo per dirgli di togliersi le scarpe, ma il giovane preferirà andarsene. Dall’alto della sporgenza su cui poggia il mio palchetto posso osservare le azioni ed i rituali che si ripetono in continuazione sul Gange: uomini in mutande che nuotano vicino alle imbarcazioni, nell’acqua putrida e piena di rifiuti e donne che entrano nel fiume soltanto con i piedi, guardano verso il sole con le mani giunte e girano più volte intorno a se stesse pregando. Le donne, si lavano con i vestiti addosso, insaponandosi completamente e versandosi l’acqua sul capo con un vasetto. Una donna dai capelli lunghi e bianchi sta nuotando divertita mentre la veste si alza nell’acqua lasciandola totalmente nuda. Terminato il bagno, si rivestono e celebrano tutte insieme una puja dipingendosi l’una con l’altra un segno rosso sulla fronte. Alla fine, sciacquano i loro vestiti e li mettono a stendere sulle gradinate che si riempiono di una moltitudine di colori. Sono quasi le due del pomeriggio: le porticine dei tempietti vengono chiuse e la gente si distende per la siesta o se ne va. Una barca a motore, piena di uomini vestiti di bianco con un turbante rosso in testa e di donne coperte dai saree si avvia da qui verso l’Assi Ghat, mentre dei bambini si tuffano per cercare di raccogliere le monete donate al Gange dai pellegrini.
Varanasi, 18 marzo 2017. La raccolta delle monete donate al Gange.
Un anziano, però, già da un po’, sta pestando il fango dell’acqua con i piedi che poi appoggia, dondolandosi, su un grande piatto di metallo. Quando tira su il piatto seleziona soltanto le monete e ributta le immondizie nel fiume.
Varanasi, 18 marzo 2017. Preghiera solitaria con offerta di doni al Gange.
Il ghat è quasi deserto ora, ma arriva al fiume un giovane uomo vestito di bianco, con i capelli e la barba neri; recita un mantra, mette del riso e una noce di cocco in un pezzo di stoffa, lo annoda, lo getta nel Gange e scappa via. Verso sera mentre me ne sto seduta lungo i ghat incontro l’indiano che possiede un hotel a Mainital. Mi mostra le foto del suo albergo e quelle del panorama sul lago e sulle vicine colline. Mentre stiamo guardando le foto della sua famiglia, passa davanti a noi una giovane donna bionda vestita con un abito lungo e nero, con dei tacchi altissimi e una mascherina bianca davanti alla bocca. L’avevo già notata diverse volte qui sui ghat e lstasera l’indiano me la presenta. “E’ una dottoressa”, mi dice lui, “un neurologo”! “Sono di Toulouse” mi racconta lei abbassando lievemente la mascherina e con un discreto inglese , “ho una casa a Bangkok dove insegno. Insegno anche in Cina…”
20 marzo 2017
Ho incontrato di nuovo il pittore australiano sui ghat, al solito posto, accanto al palazzetto dei barcaioli.
Varanasi, 20 marzo 2017. Il pittore australiano sui ghat.
La tela che stava dipingendo l’altro giorno, o forse un’altra, si è arricchita con la tea-stall del tempietto di fronte e le persone che stanno bevendo il cjai.
Varanasi, 20 marzo 2017. Il dipinto di una tela sui ghat.
Sul dipinto, le barche ormeggiate sulla riva lì vicino sono ancora senza le persone. “They are coming” mi dice lui, sorridendo.
Varanasi, 20 marzo 2017. Il pittore australiano James Stephenson al lavoro lungo i ghat.
Saluto il mio amico venditore di collane che sta seduto proprio nella tea-stall del dipinto. Oggi porta un grande paio di occhiali da sole che gli ricopromono metà viso: deve proteggere gli occhi dalla luce, dopo la caduta con la moto dell’altro giorno. Mi siedo più giù, sulla scalinata del Rojal Palace accanto a tre indiani che si stanno passando la pipa di terracotta con l’ashish. Il gruppetto dopo un po’ si disperde: uno di loro si addormenta, un altro se ne va, il terzo si sposta su un gradino più in parte per chiacchierare con un mendicante vestito con una giacca nera elegante.
Varanasi, 20 marzo 2017. Pellegrini di Kannijakumari sulla riva del Gange.
Da un barcone, all’improvviso, scende un numerosissimo gruppo di pellegrini. Sono carichi di borse, fili di paglia, secchi, bacinelle, boccali: tutto l’occorente per celebrare la puja per gli antenati. Ne ho visti tanti di questi rituali e ogni volta li seguo con grande emozione.
Varanasi, 20 marzo 2017. Il cartellino di riconoscimento.
Il pellegrinaggio proviene dal distretto di Kannijakumari ed è legato al pensiero filosofico del guru Raya. Una donna mi racconta che hanno viaggiato in treno per tre giorni e si fermeranno soltanto a Varanasi, per tre giorni. Di solito a questo rituale partecipano soltanto gli uomini e le donne rimangono escluse.
Varanasi, 20 marzo 2017. Donne del distretto di Kannijakumari in pellegrinaggio a Varanasi.
In questa cerimonia vedo diverse donne coinvolte direttamente, molte di loro con i capelli appena rasati. “Sono le vedove o le donne che hanno perso qualche familiare da poco” mi dice una donna tra quelle sedute in disparte.
Varanasi, 20 marzo 2017. Venditore di cibo.
Da diverse direzioni, insieme ai pellegrini sono arrivati i fotografi ed i venditori di cibo e acqua.
Varanasi, 20 marzo 2017. Manifestazione per il Gange pulito.
Ai mantra della celebrazione si sovrappongono gli slogan di una manifestazione di giovani che munita di cartelli scritti in indi: chiedono che il Gange venga ripulito e mantenuto tale.
Varanasi, 20 marzo 2017. Un momento della celebrazione della puja dei pellegrini del sud.
Mentre i due sacerdoti vestiti di bianco si consultano sull’impostazione della cerimonia, due ragazzi del posto impastano della farina con l’acqua e formano delle palle che distribuiscono a ciascun pellegrino su un piatto di carta rivestito d’alluminio. Tutti i pellegrini portano un anello di paglia annodato all’anulare della mano sinistra e con quella dividono la pallina grande in diciassette più piccole che poi allineano recitando un mantra per ognuna (ogni antenato).
Varanasi, 20 marzo 2017. Pellegrini del sud durante la celebrazione della puja degli antenati.
I preti e i due ragazzi passano, di volta in volta tra la folla, a distribuire: rametti di paglia, semi neri, polvere gialla e rossa, una corona e dei petali di fiori che i partecipanti sistemano con cura nel piatto. Alla fine, i sacerdoti versano sopra ogni offerta l’acqua del Gange, attingendola da un secchio di plastica con un boccale.
Varanasi, 20 marzo 2017. Ai margini della cerimonia.
Tutta la cerimonia è accompagnata da una lunga serie di mantra che si ripetono in continuazione. Il rito si conclude con i sacerdoti che disegnano un segno bianco sulla fronte di ognuno e con la schiera di pellegrini che si avvia verso il barcone tenendo tra le mani il piatto con offerta da portare al Gange.
Varanasi, 20 marzo 2017. La partenza dei pellegrini del sud con le offerte per il Gange.
Verso sera, al Chousati Ghat rivedo la bionda francese dal vestito lungo e nero. Mercoledì, dopo domani, partirà per Bang Kok in quanto sente il bisogno di viaggiare, mi dice. Sia a Bang Kok che a Shangai, Pechino e Chengdu, insegna la tecnica dell’ago puntura. Parla anche la lingua cinese, mi informa. Inizio a sferruzzare mentre gli indiani mi guardano incuriositi. Poco dopo, passa e ripassa davanti a me il sadhu che gestisce una scuola di yoga al Dasaswamedh Ghat e non mi saluta ancora. Guardo una robusta coppia di polacchi che sta salendo su una delle barche di Sonu dopo aver contrattato a lungo il prezzo. Mi si avvicinano dei ragazzi: alcuni li ho già conosciuti ieri quando ho compilato per loro un questionario rivolto ai turisti di Varanasi. Sono già laureati in economia e ora stanno frequentando un master all’università, mi avevano già detto. Approfitto per chiedere loro quando si conosceranno i risultati dei dati raccolti, ma non riusciamo a capirci. Interviene Sonu, il mio amico barcaiolo che non è mai andato a scuola e spiega loro che cosa intendo per la raccolta dei dati. I ragazzi se ne vanno promettendomi che nei prossimi giorni o quando ritornerò a Varanasi mi faranno conoscere i risultati di questa ricerca. E’ ormai sera. Davanti a me si ferma ancora un giovane guru vestito di bianco. Ci siamo già incontrati, qualche tempo fa, nella scuola di sanscrito dipinta di rosa, che sta dopo il Manikarnika Ghat. Mi dice di far riferimento a lui nel caso avessi bisogno di qualunque cosa. Rimango scettica e allora lui mi parla della reincarnazione e degli 85 modi possibili di ritornare a vivere. “Il problema”, mi dice cercando di intimorirmi, “è quello di assicurarsi una reincarnazione positiva, dopo questa vita”. Mi avvio verso il Dasaswamedh Ghat dove si sta svolgendo la cerimonia della puja serale.
Varanasi, 20 marzo 2017, verso sera. Ragazze che passeggiano lungo il Dasaswamedh Ghat.
Davanti a me passeggiano due ragazze, forse msulmane, che camminano con difficoltà sugli altissimi tacchi delle calzature che indossano. Dalla grande folla che sta assistendo alla cerimonia mi arriva un “Ciao, come stai”? E’ la guida di “Avventure nel mondo” che anche stasera ha accompagnato un gruppo di turisti ad assistere alla cerimonia e ora, come al solito, li sta aspettando!
22 marzo 2017
La loggetta disabitata del Chousati Ghat stamattina è vuota. La coppia con la bambina che si è stabilita lì ormai da giorni è uscita ed ha lasciato appese ad un chiodo delle camice, qualche vestito buttato qua e là e una coperta distesa sul pavimento.
Varanasi, 21 marzo 2017, Chousati Ghat. Giaciglio di una coppia di senza casa con bambina.
Cammino fino al Rojal Palace e subito incrocio il guru che mi ha parlato delle reincarnazioni pochi giorni fa. Oggi mi spiega la storia dell’India, un Paese invaso e dominato dai musulmani per ottocento anni, a partire dal VII secolo e fino alla penetrazione degli inglesi, rimasti qui per duecento anni.
Varanasi, 22 marzo 2017. La scalinata del Rojal Palace nel primo pomeriggio.
Durante l’invasione islamica molti edifici religiosi sono stati distrutti, mentre nel corso del dominio inglese il Paese è stato privato delle sue risorse. Mi dice ancora che la maggior parte degli indiani non conosce in profondità la storia del proprio Paese. “Anche i turisti” aggiunge “si soffermano a definire l’India povera senza chiedersi le ragioni di questa situazione”.
Varanasi, 22 marzo 2017. Un’altra manifestazione per il Ganga pulito.
Mentre mi siedo a leggere, sento arrivare le voci con gli slogan della manifestazione per un Gange più pulito già incontrata l’altro giorno. Nella direzione opposta passa un Aghori Baba con una scimmia al guinzaglio che a momenti gli salta sulle spalle e rimane lì aggrappata mentre lui cammina a passi lunghi e veloci.
Varanasi, 22 marzo 2017, Kedar Ghat. Aghori Baba con la scimmia al guinzaglio sulle spalle.
Lungo l’argine del fiume, là sotto, ci sono degli indiani che pescano nell’acqua putrida muniti soltanto di un filo di nylon con attaccato l’amo.
Varanasi, 22 marzo 2017. Pescatori lungo il Gange.
Una barca in mezzo al fiume in secca sta tirando su delle reti che a me paiono vuote, mentre nell’altra sponda due ragazzi vestiti stanno con le gambe immerse nel fiume e cercano di deviare i pesci verso le loro reti. Nel tardo pomeriggio, alla tea-stall del Rana Ghat parlo con un giovane proprietario di una elegante guest house della zona. Tra i clienti che preferisce ci sono gli italiani e gli spagnoli, mentre esprime qualche perplessità sui turisti dell’est europa in quanto non parlano l’inglese, sui coreani che non portano rispetto per le cose non loro, per i francesi che vorrebbero sempre insegnare anzichè conoscere. E’ quasi sera quando vado a sedermi poco prima del tempietto dedicato a Shiva. Arriva un ragazzo di 24 anni desideroso di parlare di sé e dei suoi progetti futuri. E’ un altro tipo di approccio questo, che gli indiani utilizzano con i turisti per la realizzazione dei loro sogni. Il ragazzo mi racconta che è diplomato in ristorazione alberghiera ed è già in possesso del visto lavorativo per l’Italia in quanto diversi ristoranti delle grandi città richiedono del personale indiano. Sarà così, ma ad un certo punto il ragazzo stringe le sue richieste dicendomi che ha bisogno dell’aiuto della mia famiglia per realizzare i suoi progetti. Passano di qui sia Gil che l’indiano di Mainital e si fermano a parlare un po’ con me. Il ragazzo rimane ancora, per lungo tempo, accanto a me. Sento il bisogno di rimanere un po’ sola e mi sposto vicino al tempio a guardare il via vai delle barche che stanno andando alla cerimonia serale del Main Ghat. Ceno sulla scalinata del Chousati Ghat con le melanzane fritte acquistate lungo le stradine di Bengali Tola e rientro in guest house riattraversando il Dasaswamedh Ghat.
Varanasi, 22 marzo 2017. Verso la notte al Rana Ghat.
Al Rana Ghat saluto la bambina che sta accanto alla madre che già dorme, distesa sopra una coperta, appoggiata sulle pietre del lungo fiume.
23 marzo 2017
Incontro tre bambine lungo un viottolo interno di Bengali Tola: stanno giocando con delle racchette e una pallina di plastica. Sono in vacanza questo mese, mi dice un uomo dalla finestra di un edificio e le scuole riprenderanno ad aprile. All’Harishchandra Ghat, sotto il porticato principale, un guru, forse un Aghori Baba, sta celebrando un rituale per un indiano. E’ molto attento ai movimenti dei turisti e se gli scattano delle foto chiede subito loro dei soldi in modo prepotente.
Varanasi, 23 marzo 2017. Celebrazione di un rituale sotto la loggia del Harishchandra Ghat, il piccolo ghat delle cremazioni.
Poco più giù vedo un giovane mendicante vestito di arancione rincorrere due turiste per chiedere loro di essere pagato per le foto che gli hanno scattato.
Varanasi, 23 marzo 2017. Piccola puja accanto ad una raccolta di rifiuti.
Dopo l’Harishchandra Ghat ci sono diverse piccole celebrazioni. Più giù, tra lo Shivali Ghat e il Rojal Palace c’è un gruppo di induisti della Malesya che sta celebrando una puja per gli antenati.
Varanasi, 23 marzo 2017. Piccolo pellegrinaggio nella zona dell’Harishchandra Ghat.
Partecipano soltanto i maschi: sono a dorso nudo e portano delle grosse catene d’oro al collo.
Varanasi,23 marzo 2017. Gruppo di turisti della Malesya mentre celebrano la puja per gli antenati.
In disparte, delle donne mendicanti con dei bambini stanno attendendo con pazienza il momento delle elemosine.
Varanasi, 23 marzo 2017. Donna che allatta lungo i ghat.
All’Assi Ghat mi si avvicina un indiano, ma gli dico che desidero rimanere in silenzio prima che inizi a propormi delle cose. Di lì a poco si affiancherà ad una coppia di turisti e se ne andrà via con loro.
Varanasi, 23 marzo 2017. Mendicanti all’Assi Ghat.
Anche il ragazzo giapponese che stava seduto sulla gradinata accanto a me ha abboccato. Un indiano gli ha proposto la visita guidata ai principali templi di Varanasi senza dirgli che il Golden Temple richiede dei tempi lunghissimi di attesa per entrare e la visita agli stranieri è molto limitata. Osservo per un po’ il gruppetto di donne mendicanti sedute al sole nonostante il grande caldo; soltanto una di loro si è attrezzata con un grande ombrello nero.
Varanasi, 23 marzo 2017. Mendicanti lungo i ghat.
Guardo le barche che vanno e vengono, anche loro sotto un sole cocente; sono cariche di pellegrini che viaggiano con gruppi organizzati e devono visitare i principali templi in brevissimo tempo. Sulla gradinata, dove sono ancora seduta, arriva una coppia di messicani che riesce a rifiutare, con immediatezza, le proposte che degli indiani forniscono loro. A quest’ora c’è poca gente sui ghat e molti uomini si stanno riparando all’ombra delle piante o degli edifici per giocare a carte. Un anziano vestito di bianco viene a sedersi vicino a me con un gran bisogno di chiacchierare: mi ricordo di lui e del suo approccio per chiedere dei soldi. Mi sposto nella direzione della guest house che sta ad almeno mezz’ora da qui. Quando passo davanti al Rojal Palace sento guaire un cagnolino: cerco di individuare la direzione del pianto. Scopro un riparo arrangiato alla belle e meglio con una cucciolata di almeno sei piccoli ed una cagna sfinita, distesa in disparte. Delle spazzine che stan passando di lì mi gridano di non avvicinarmi ai cuccioli per evitare che la cagna li mangi. Poco più su, camminando, mi distraggo a guardare i pescatori che tirano su le reti: metto un piede su un rigagnolo viscido che proviene dagli scarichi scoperti di una lussuosa guest house e faccio un grande scivolone sulle pietre.
24 marzo 2017
Torno al Dasaswamedh Ghat a trovare la bambina senza casa.
Varanasi, 24 marzo 2017. La bambina che vive al Dasaswamedh Ghat.
Appena mi vede, la piccola chiama sua madre: sono contente di vedermi e vanno subito a prendere i libriccini e i quaderni che ho portato loro diversi giorni fa.
Varanasi, 24 marzo 2017. Bambina con il libretto da lei colorato.
Li tengono in una borsa di plastica insieme alle matite ed ai colori. Mi mostrano le immagini stampate da loro dipinte e alcune righe di palline disegnate all’interno di un quaderno a quadretti.
Varanasi, 24 marzo 2017. La bambina con la madre mentre mi mostrano i disegni da loro dipinti.
La madre, forse, sa leggere e scrivere. Una spazzina che sta riposando lì accanto a loro mi indica la testa della piccola: è piena di uova e di pidocchi, visibili anche ad occhio nudo.
Varanasi, 24 marzo 2017, Dasaswamedh Ghat. Libretti già colorati e da colorare ancora.
Mentre guardo i libretti colorati della piccola, ci raggiunge l’altra bambina che vive lì, per mostrarmi i suoi dipinti che tiene in uno zainetto.
Varanasi, 24 marzo 2017. Il pasto offerto da qualcuno.
Una volontaria di Varanasi mi inorma che forse, prossimamente, la bambina più grande, andrà in una scuola gestita da un associazione privata che offre, oltre all’istruzione, vitto e alloggio gratuiti. La struttura si trova, però, al di là del fiume e la bambina dovrebbe rimanere lì per l’intera settimana; su questo punto ci sono molte resistenze da parte dei genitori. Poco distante dalle coperte della bambina più piccola e di sua madre si è sistemato il Baba Shiva con il suo gruppo di seguaci. Accanto a lui sta dormendo un bambino ammalato con il corpo tutto ricoperto di mosche. Un mendicante gli ha appena portato una medicina, comprata a sue spese. Mi sposto più su, verso il Meer Ghat.
Varanasi, 24 marzo 2017. Inglese che offre del cibo ad un gruppo di bambini.
Un inglese sta offrendo del cibo ad una lunga fila di ragazzini con grande soddisfazione dei venditori ambulanti. Lì vicino ci sono dei ragazzi occidentali tutti dipinti di bianco che stanno sperimentando la vita dei baba. Stanno assieme ad un Aghori Baba ed hanno acceso un fuoco per cucinare provocando una gran fumera. “Where do you come from?” chiedo loro. “We are indian” mi rispondono!
Varanasi, zona del Meer Ghat, 24 marzo 2017. Un montone con sullo sfondo un gruppo di giovani occidentali dipinti di bianco.
Mi siedo sotto un ombrellone di cemento. Uno dei due montoni mi si avvicina ansimando per il grande caldo mentre l’altro è impegnato a rincorrere, tutto eccitato, una capretta nera, piccolissima. Si sta avvicinando sempre più un allegro suono dei tamburi con un numeroso corteo nuziale al seguito; attraversa il Meer Ghat e sale sulla scalinata che porta al Golden Temple.
Varanasi, 24 marzo 2017, Meer Ghat. Corteo nuziale.
Un indiano seduto accanto a me mi parla della crisi occupazionale che sta attraversando l’India. “Non c’è lavoro”, mi dice. “Modi è un bravo ministro, ma lui è uno e non può governare da solo, nonostante abbia già preso delle decisioni autonomamente”, aggiunge. Una spazzina si siede vicino a noi e quando arriva il suo principale capisco che vuole lasciare il lavoro. Lui insiste per farla rimanere e lei riprende il suo lavoro per un po’ e poi torna a sedersi qui. Nel frattempo, da un barcone, arriva un numeroso gruppo di pellegrini. “Sono del West Bengala” mi sussurra l’indiano. Lo capisce dal modo con cui indossano i saree le donne e dalla lingua diversa che parlano.
Varanasi, 24 marzo 2017. Sbarco di pellegrini al Meer Ghat.
Anche quando sbarca un altro pellegrinaggio, l’indiano, riesce subito a capire che arrivano dal sud per il modo con cui le donne portano un lembo del sari incrociato tra le gambe in modo da formare una specie di pantalone ed anche dai capelli rasati.
Varanasi, 24 marzo 2017. La fila per entrare alla mensa dell’Annapurna Temple.
Pranzo all’Annapurna Temple insieme a Simone, appena tornato dal Nepal, e ad una biologa portoghese. Apprendo oggi che a questa mensa possono accedere soltanto i pellegrini e non la gente del posto. Per tutti gli altri ci sono i pasti gratuiti offerti sulla Main Road e lungo i ghat, ma nonostante ne abbiano bisogno, non ci vanno in quanto provano vergogna a mostrarsi là.
Varanasi, 24 marzo 2017. Una tea-stall sulla Main Road.
Dopo la fine della puja serale attraverso il Dasaswamedh Ghat e mi fermo a lungo ad ascoltare un piccolo concerto a percussioni tenuto da un adulto e da un piccolo bambino, in un angolo quasi nascosto del piazzale.
Varanasi, 24 marzo 2017. Concertino a percussioni in tarda serata, in un angolo del Dasaswamedh Ghat.
Ciao Antonietta, sono Claudio di Torino, ci eravamo sentiti qualche mese fa, sono quello che dopo una brutta esperienza con un tumore, ha deciso di di fare il viaggio in India. Dopo pushkar, jaisalmer, jodhpur, udaipur, e adesso bundi per altri 4 giorni, terminero’ il mio mese in India a varanasi , dove mi fa piacere sapere che ci sei tornata anche tu. Non invadero’ la tua quotidianità , al limite se ti incontro ti salutero’ e tu mi riconoscerai. Voglio solo dirti che è davvero facile come dici tu, innamorarsi di questo posto. Con stima Claudio
Ciao Claudio! Resterò a Varanasi per circa un mese. Si, possiamo incontrarci per conoscerci.
Ciao Antonietta,
che bello leggere il tuo blog! Mi fa rivivere quotidianamente l’esperienza di Varanasi e le belle giornate che abbiamo passato insieme. Ho già nostalgia dell’India e progetto di tornare appena possibile. Ho letto che Simone è partito per il Nepal. Spero ci darà sue notizie.
Ti mando un abbraccio e grazie ancora per quello che scrivi e per averci ricordate. Ciao a presto
Luigia
Ciao Luigia! Di Simone ancora nessuna notizia, ma ormai sono abituata ai suoi lunghi silenzi. E’ stato bello avervi conosciute e spero di incontrarvi ancora.Mi piace scrivere le esperienze dei viaggi: mi sembra di riviverle in modo più profondo. Un grande abbraccio! Antonietta