Ritorno in India: Omkareshwar, Maheswar, Mandu

28 febbraio 2015
Oggi partenza per Omkareshwar, nel Madhya Pradesh occidentale, cioè nell’India centrale. Ho lasciato nella guest house di Varanasi alcuni abiti pesanti, convinta di trovare caldo dappertutto, invece, già alla stazione di Kandwa, dove devo attendere per un’ora, fino alle 6.30 di mattina, il trenino per Omkareshwar, piove e fa freddo. Mi rifugio in una sala d’aspetto piena di gente che dorme distesa sul pavimento e seduta sulle panche. Anche fuori, nell’atrio ci sono molte persone che dormono distese su un telo e ricoperte dalla testa ai piedi con un pezzo di stoffa o con uno scialle. A volte manca la luce ed è molto suggestivo rimanere al buio totale tra questi personaggi dall’atteggiamento spontaneo e rilassato. Il viaggio nella sleeper class fino a Kadwa è stato un susseguirsi di persone che russavano, bambini che piangevano, uomini che tossivano e sputavano il catarro dal finestrino, una bambina che mi vomitava addosso. Il trenino per Omkareshwar ha i sedili in legno. Guardo continuamente le scritte delle stazioni in quanto non so bene dove sia questo posto. Piove ancora e fa freddo, ma forse è un fatto eccezionale questa brutta giornata in quanto il paesaggio, a tratti pianeggiante a momenti collinare, è colmo di campi coltivati e il grano, ormai maturo, in alcuni casi è già stato tagliato e spesso la paglia sta lì, raccolta in fasci. Chiedo al ragazzo indiano che sta seduto accanto a me, se mi aiuta a individuare la fermata giusta, ma nemmeno lui lo sa. Arrivata in una piccola stazione quasi deserta, mi dicono che la cittadina dista 15 kilometri e devo prendere l’autobus. Seguo la scia delle persone e arrivo ad un autobus malandato e già pieno zeppo di gente. Metto lo zaino grande nel bagagliaio senza avvolgerlo nella solita fodera: mi sembrava pulito, ma lo ritroverò ricoperto di fango. Vabbeh, lo pulirò in guest house. L’autobus che mi sembrava strapieno viene riempito ancora di più, e percorro questo breve tratto proprio come una sardina in scatola. Il bigliettaio scavalca i sedili e s’infila tra la gente in modo acrobatico per ritirare i soldi della corsa. Finito il giro scende e non risale: mancano pochi metri alla stazione degli autobus. Durante il percorso tre anziani vestiti di bianco, comodamente seduti sul retro, mi prendono lo zainetto e mi invitano ad appoggiarmi lungo un ferro orizzontale, che protegge i passeggeri dalla portiera sempre aperta dell’autobus. Arrivati all’ultima fermata, mi comunicano che la cittadina dista ancora due o tre kilometri da lì.

Omkareshwar, il ponte che congiunge l'isola alla terraferma.

Omkareshwar, il ponte che congiunge l’isola alla terraferma.

Tutti s’incamminano a piedi: una signora mi invita ad appoggiare gli zaini su un carretto insieme agli altri, ma non mi va. Contratto il prezzo del risciò: da 100 rupie accetta le 30, ma caricherà poco dopo almeno altre dieci persone. Anche a Varanasi succede così: se ottieni lo sconto sia nei moto risciò sia nei ciclo risciò i guidatori si sentono autorizzati a far salire altra gente e a me questo fa piacere. Anche il tragitto in tuc-tuc per la stazione ferroviaria di Varanasi, ad esempio, l’ho condiviso con un simpatico ragazzo tibetano che, dopo aver trascorso 10 giorni a Sarnath e tre a Varanasi, se ne tornava a Dharamsala dove rimane solitamente per lunghi periodi. A Omkareshwar, il risciò mi lascia all’ingresso dell’isola pedonale, un po’ distante dalla Manu guest house che mi aveva indicato mio figlio. Lì, ci arrivo dopo una faticosa e ripida scalinata, al di là del fiume. Un signore del posto mi fa da guida fin sotto la scalinata, senza chiedermi dei soldi. La salita è ripida e faticosa: arrivata quasi in cima, sto per rinunciare e tornarmene a valle quando si affaccia un ragazzo da un terrazzino e mi dice che sono arrivata. Ne valeva la pena! Il panorama si affaccia sul fiume, sui mercati, sulla cittadina che andrò subito ad esplorare!

Omkareshwar, arrivo di pellegrinaggi al Shri Omkar Mandhata Temple, sull'isola

Omkareshwar, arrivo di pellegrinaggi al Shri Omkar Mandhata Temple, sull’isola.

2 marzo
Ceno in guest house, alla fine, dopo un piccolo giro al mercato e al centro della cittadina. Il costo del thali qui è più alto che altrove, ma oggi sono stanca e ceno insieme al ragazzo della stanza accanto. Si chiama Alkesh Palmar, ha uno studio a Londra di graphic designer nel campo della progettazione e della realizzazione artigianale di lampade. E’ nato a Londra da genitori indiani, del Gujarat. I nonni erano emigrati in Kenia, i genitori sono nati a Nairobi e poi si sono trasferiti tutti a Londra. Alkesh si è preso una pausa di riflessione esistenziale di tre mesi che probabilmente prolungherà. E’ di religione induista e si sente culturalmente indiano.

Omkashwar, pellegrini sulla penisola del fiume Narmara.

Omkashwar, pellegrini sulla penisola del fiume Narmara.

3 marzo
Stamattina, nella terrazza della guest house, si è unita ad Alkesh e a me una giovane coppia di francesi della Normandia che trascorre molto tempo viaggiando in India. Il ragazzo, Mickel, ha 27 anni, è laureato in meteorologica, lei, Jasmine, ha18 anni, si sta preparando per un esame di storia indiana e spera di ottenere un contributo dal governo francese per questa piccola ricerca sul campo. Dopo le presentazioni parto per il giro che si svolge intorno al fiume Narmada e attraversa i numerosi templi induisti collocati sulle colline fino a raggiungere il più importante: il Gaudi Somnnath Temple. Lungo il percorso incontro, in momenti diversi, sia i ragazzi francesi sia il ragazzo di Londra.

Omkareshwar, visita ad un tempietto posto lungo la stradina che porta al Gaudi Somnnath Temple.

Omkareshwar, visita ad un tempietto posto lungo la stradina che porta al Gaudi Somnnath Temple.

Durante la prima parte del tragitto, incrocio diversi sadhu e pellegrini, tutti assorti in meditazioni e preghiere accanto alle divinità dei piccoli templi induisti. Dopo un breve cammino raggiungo una penisola sul fiume dove diversi uomini ed anche qualche donna, rigorosamente avvolta nel suo sari, stanno facendo il bagno e celebrando dei rituali. Un momento importante qui in India è quello dedicato al bagno dei bambini piccolissimi e degli anziani che vengono aiutati ad immergersi nel fiume sacro, come fosse un compito da assolvere. Le donne, in particolare, più che gli uomini, sono sempre impegnate a comporre i piattini con fiori, candele, incensi, monete da affidare al fiume, per chiedere la sua protezione. Lungo la riva ci sono anche degli uomini che spostano grossi massi e scavano con le mani in cerca delle monete che i pellegrini donano al fiume. La penisola è attraversata da una lunga stradina piena, zeppa di bancarelle. Oggi e lunedì e molte di loro sono chiuse: i grossi affari si fanno nel weekend! Sono aperte soltanto alcune rivendite di composizioni di fiori e incenso per i rituali, qualche bancarella con taniche di plastica per portarsi via l’acqua del fiume, bigiotteria, the e poche altre cose. Lì, sulla penisola, gironzolano in cerca di cibo diverse mucche, qualche capra, pochi cani. Ripercorro la stradina fino ad un bivio e scelgo di proseguire il cammino che dovrebbe riportarmi, attraverso le colline, a Omkareshwar. Lungo il percorso ci sono molte catapecchie costruite con stracci, legno e lamiera e altre abitazioni in calcestruzzo, grezze, come se i lavori fossero nella prima fase della costruzione, ma in realtà per loro sono già ultimate. Da una casupola sbuca un uomo di mezza età, vestito in bianco con abiti tradizionali. E’sorridente, e insiste per farmi entrare nella sua dimora per un cjai, ma naturalmente non mi fido e decido di tornare indietro rifacendo la strada dell’andata. Dopo un breve tratto incontro due coppie di pellegrini indiani che mi invitano a proseguire con loro il cammino attraverso la strada alla quale stavo rinunciando. Mi aggrego a loro che si fermano con devozione in ogni tempio fino ad arrivare al principale dedicato a Shiva: il Gaudi Somnnath Temple. Lassù, incontro ancora Alkesh, il mio vicino di camera: lo avevo già incrociato alla penisola, ma avevo preferito starmene per conto mio. Ora, decidiamo di pranzare tutti assieme con il tradizionale thali, nella mensa per pellegrini del Gaudi Somnnath Temple. Terminato il pasto, ogni pellegrino lascia un’offerta, lava il suo piatto e lo ripone su una pila insieme agli altri. Il detersivo è composto da un miscuglio di sabbia e cenere. Alkesh preferisce proseguire il cammino da solo mentre io rimango con i miei nuovi amici indiani. Lo rincontreremo ad un tempio semi diroccato, verso la fine del percorso, dove un gruppo di preti sta eseguendo dei canti e dei riti e contemporaneamente decorando il lingam di Shiva. Il lingam, cioè il pene di Shiva ricorre spesso nei templi induisti: in quelli più semplici collocano soltanto un sasso ovale su un supporto, in posizione verticale. Mentre siamo ancora in alto sulle colline vediamo lo spettacolo orribile della enorme centrale idroelettrica costruita dove confluiscono i due fiumi: il Narmada e il Keveri. Raggiungiamo un picco per osservare meglio l’opera. Si tratta di un grosso disastro sia ambientale sia estetico costruito sul largo letto dell’incrocio tra i due fiumi, ridotti ad un piccolo canale con soltanto delle pozze sparse qua e là.. Nonostante quest’opera monumentale, qui a Omkareshwar manca spesso la corrente elettrica: probabilmente la centrale non fornisce energia agli abitanti di qui.

Omkareshwar, scimmia alla fontana lungo il percorso al tempio sulla collina.

Omkareshwar, scimmia alla fontana lungo il percorso al tempio sulla collina.

Su questa devastante vista panoramica incontriamo di nuovo Alkesh, ma lo perderemo subito di vista. Più tardi, mi racconterà di essersi fermato nella catapecchia di un guru che vive lassù, senza luce né acqua, ma con una enorme riserva di marjuana che han fumato insieme. Alkesh è rimasto affascinato da questo personaggio: vorrebbe tornare da lui per rimanerci insieme almeno un mese, ma non lo farà durante questo viaggio. Arrivati a valle i miei amici indiani ed io concludiamo la nostra giornata con un succo di canna di bambù, ci scambiamo i nostri contatti internet e ci lasciamo. Torno alla guest house e poi, sul tardi, esco con Alkesh per alcune spesette essenziali, per controllare la posta e i messaggi internet, per cenare assieme. Quando rientriamo, nella terrazza della guest house, seduti in cerchio a gambe incrociate, troviamo i due francesi e l’anziano titolare dell’alloggio: stanno fumando marjuana e me la offrono, ma preferisco non iniziare un’esperienza che non ho mai fatto. Anche Alkesh, più tardi, mi inviterà a seguirlo lungo gli scalini che portano al fiume per fumare marjuana. Il giorno dopo apprendo con sorpresa che Manu, il proprietario della guest house che avevo definito anziano è poco più grande di mia figlia: ha soltanto 48 anni, fa il sarto ed ha 5 figli. La più grande si è da poco sposata ed è stato un grosso impegno economico per la famiglia.

Omkareshwar, tempietto con lingam di Shiva posto lungo il percorso per il Gaudi Somnnath Temple, sulla collina

Omkareshwar, tempietto con lingam di Shiva posto lungo il percorso per il Gaudi Somnnath Temple, sulla collina.

3 marzo
Oggi vado a visitare il Sri Omkar Mandhata Temple, un tempio a forma di grotta che ospita l’unico jyothi lingam informe ed è uno dei molti edifici hindu e giainisti dell’isola. Nel tempio si radunano folle brulicanti di pellegrini per la preghiera che si svolge tre volte al giorno. Ci vado con Alkesh, il mio vicino di stanza e, arrivati là, si avvicinano a noi diversi preti induisti che si propongono per la celebrazione della puja, la preghiera a pagamento. All’interno ci sono diversi preti, posizionati in ogni angolo, e, in pratica, ti obbligano a ricevere una puja e a dar loro un’offerta. Uno di questi preti insiste per bagnarmi la testa con un mestolino colmo d’acqua: gli faccio cenno di no e per salutarlo mi confondo e mi sfugge un segno della croce. Lui mi guarda inorridito, non so se per il rifiuto dell’acqua in testa e la mancata offerta o per il gesto inconscio emerso dalla mia lontana educazione cattolica.

Omkareshwar, rituale al lingam di Shiva alle rovine di un vecchio tempio.

Omkareshwar, rituale al lingam di Shiva alle rovine di un vecchio tempio.

La giornata la trascorro tutta con Alkesh: siamo diventati dei veri amici! Scendiamo nella cittadina alla ricerca di un ristorante, ma non troviamo nulla di affidabile. Sono circa le 12.00 e incontriamo dei bambini che ritornano da scuola per il pranzo. Alle 14.00 riprenderanno le lezioni e dureranno fino alle 16.00. Qualche bambino pranza a scuola con il pasto fornito dal governo, altri preferiscono tornare a casa e poi rientrare a scuola per le attività del pomeriggio. Scendendo gli ampi gradini del ghat incrociamo due bambini e una donna seduti per terra che giocano con dei piselli, dei pezzi di plastica e un altro simbolo su una scacchiera disegnata sullo spiazzo di cemento: è il gioco del kania kori, ci dicono.

Omkareshwar, incontri lungo la stradina che porta al tempio sulla collina.

Omkareshwar, incontri lungo la stradina che porta al tempio sulla collina.

Un ragazzo che ha appena aperto un negozietto ci racconta che la scuola pubblica in India è gratuita per ogni grado, ma è di pessima qualità e chi può permetterselo preferisce mandare i figli alla privata. Scendiamo ancora lungo la scalinata che porta al Gomuk Ghat e incontriamo molti bambini che ci dicono che vanno a scuola soltanto ogni tanto. Sono lì per chiedere soldi e cibo ai pellegrini. Oggi è il 3 marzo e ogni tre anni, al terzo mese dell’anno arrivano numerosi pellegrini qui per una particolare puja. Difatti, arrivati al Gomuk Ghat rimaniamo incantati dai coloratissimi gruppi di donne in sari e dai bianchissimi camicioni e teli arrotolati in vita dei loro uomini. Dopo aver fatto il bagno nel fiume si radunano in cerchio come se dovessero pranzare. Invece, dalle loro sporte tirano fuori immagini delle divinità, candele, polveri rosse e gialle, incensi, riso, foglie… Nella bancarella accanto acquistano delle piccole caramelle bianche con tanti aculei e delle noci di cocco. Appoggiano ogni cosa accuratamente nei piattini, aggiungendo anche delle monete e dei soldi di carta. Gli uomini hanno tutti una certa età e sono dei bramini: li riconosco dalla rasatura e dal codino sulla nuca che a volte infiocchettano in modo bizzarro! Portano anche il cordone beige a tracolla. Arrivano due giovani preti e uno dei due recita la preghiera, canta, batte le mani, invita i pellegrini a seguirlo, mette bracciali ai polsi dei pellegrini i quali gli si inginocchiano davanti e gli baciano i piedi. I due sacerdoti ci dicono che hanno frequentato una scuola di formazione ad hoc’ di Jaipur. Alkesh parla hindi e mi fa da interprete: i pellegrini gli raccontano che sono un gruppo di coppie anziane in viaggio per 26 giorni attraverso i luoghi sacri dell’India. Terminata la preghiera, il prete che non recitava il rituale si occupa di raccogliere dai piattini solo le offerte in denaro; poi procede a chiedere i soldi della funzione religiosa. Ci racconterà poi, che le noci di cocco, terminato il rito, le rivenderanno a 10 rupie l’una alla bancarella dove i pellegrini le hanno acquistate a 15 rupie. Il gruppo ci offre il the ordinato alla bancarella delle noci di cocco e un bramino mi lega al polso un codone rosso che i sacerdoti avevano dimenticato sulla panca. Ceniamo in guest house insieme ai ragazzi francesi; la cena si conclude per loro con l’abituale spinello. Il profumo della marjuana mi arriva anche la mattina, mentre bevo il chai che preparo per conto mio, con il fornellino elettrico.

 

Omkareshwar, pellegrine mentre preparano il rituale e animali sulla penisola del fiume Narmara.

Omkareshwar, pellegrine mentre preparano il rituale e animali sulla penisola del fiume Narmara.

4 marzo
Sveglia un po’ prima del solito e passeggiata al Nagar Ghat, un luogo tranquillo, molto carico di energia e, soprattutto, poco popolato. Sulla riva del Narmada, arriva una coppia anziana vestita di bianco con dei grossi bagagli avvolti in teli colorati e trasportati sulla testa. Quando aprono i pacchi e dispongono sulla riva gli oggetti scopro che sono tutti elementi che servono loro per un rituale. I due, si bagnano al fiume, si cambiano gli abiti in modo molto dignitoso anche se laggiù in fondo ci sono dei gabbiotti cabina che qualche donna utilizza per nascondersi. Ora, dopo il bagno purificatore sono pronti per la celebrazione della loro puja. E’ già sera: noi due, andiamo all’unico punto internet presente nella cittadina, ma manca la luce ed anche più tardi non sarà possibile accedere ad internet. Alkesh vuole tagliarsi la barba nel negozietto lì vicino, ma deve attendere il suo turno. Mentre lo aspetto, torno al Gomuk Ghat: anche oggi è affollatissimo di pellegrini e i preti sono indaffaratissimi a celebrare i rituali.

Omkareshwar, Gomuk Ghat. Pellegrini mentre celebrano la puja con un prete.

Omkareshwar, Gomuk Ghat. Pellegrini mentre celebrano la puja con un prete.

Sgrido i numerosi bambini e le bambine che stanno lì in attesa del cibo e dei soldi dei pellegrini. Dico loro di andare a scuola, che devono andare a scuola. Il prete giovane con cui abbiamo molto parlato ieri sentendo la mia voce si gira e mi sorride. Mi fa parlare del problema con un ragazzo seduto lì accanto che mi conferma che tutti quei bambini lì presenti non vanno mai a scuola, ma non sembra dare per nulla importanza al fatto. Più tardi sulla corriera per Maheswar solleverò lo stesso discorso con un’insegnante giovane e desiderosa di comunicare, ma sull’argomento non mi dirà nulla.
Anche Alkesh verrà con me a Maheswar.

Percorso in corriera da Omkareshwar a Mhareshwar.

Percorso in corriera da Omkareshwar a Mhareshwar.

Dopo un veloce snack prendiamo un pullmino per la stazione delle corriere, non molto distante dal centro. Il viaggio in corriera fino alla cittadina di Maheswar è simpatico e movimentato da un continuo alternarsi di donne, uomini, bambini e qualche studente che scendono lasciando il posto o lo spazio in piedi libero ad altri. La guest house che mi ha indicato mio figlio è carina, ma non quanto quella di Omkareshwar. Quando la proprietaria ci porta il libro delle presenze da compilare trovo tra le pagine il nome di mio figlio e mi sembra di essere a casa. E’ rimasto in questo posto ben due settimane il mese scorso e il gestore si ricorda di lui perché parlava indi e viaggiava in moto con un amico, ma, mi racconta che era già stato prima in questa guest house. A Omkasheswar invece, mio figlio non era stato nella stessa guest house che mi aveva indicato, in quanto aveva preferito alloggiare in una più economica. Me lo dirà in seguito, ma è per questo che Manu, il proprietario, non si ricordava di lui.
Con Alkesh, nel tardo pomeriggio raggiungiamo il lunghissimo ghat sul fiume Narmada: ci arriviamo attraverso le porte e le gradinate di un forte che si affaccia proprio sul fiume con una numerosa serie di merlature, bastioni e terrazze che racchiudono numerosi templi. Qui, accanto c’è il Maheshwar Palace, fatto costruire nel XVIII secolo dalla regina Ahilybai, della dinastia degli Oolkar. Ci fermiamo per un chai in una bancarella e un cliente ci spiega che Maheswar è una cittadina di 23.000 abitanti con una prevalenza di circa 5.000 musulmani e poco più di 17.000 induisti. Scendiamo al ghat e rimaniamo incantati dalle intense puja celebrate da piccoli gruppi familiari.

Maheshwar, pulizia alla statua dell'elefante, uno dei simboli hindù.

Maheshwar, pulizia alla statua dell’elefante, uno dei simboli hindù.

C’è un gruppo i donne che decora uno dei numerosi lingam di Shiva che fiancheggiano il lungo fiume; sotto un tendone arancione c’è un grosso pellegrinaggio di soli uomini che ha appena terminato di celebrare un rituale particolare. Camminando lungo il ghat incontriamo un signore anziano che vive in Australia, ma è nato in Olanda. Sta girando per l’India in motocicletta ed è poi diretto a Pushkar dove si reca ogni anno ospite della stessa guest house. Noto che ci sono molti sadhu anche qui a Maheshwar: fanno il bagno appartati rispetto ai gruppi di ragazzi e alle discrete immersioni di uomini e donne. I sadhu trascorrono la notte nel tempio, forse in delle stanze a loro riservate. La gente è molto cordiale qui, molti ci sorridono e salutano e spesso vogliono sapere qual è il nostro Paese d’origine. Laggiù, all’orizzonte, ora è spiccata una grande palla infuocata: è il tramonto del sole e sia io sia il mio amico cerchiamo di fissarlo in numerose foto. Dall’altra parte, ad est si è già levata la luna: è piena ed è splendida!

Maheshwar, pescatori al tramonto vicino al ghat della parte ovest della cittadina.

Maheshwar, pescatori al tramonto vicino al ghat della parte ovest della cittadina.

Qui, in questo ghat l’energia che si percepisce è diversa rispetto a Omkareshwar, quasi più ampia, ma pur sempre molto intensa! Arriva la notte e ci incamminiamo alla ricerca di un internet point; non c’è nessun wi.fi. qui, e l’unico internet coffee ha una connessione molto lenta: non riesco ad aprire la mia mail e mi preoccupo per l’isolamento dal mondo degli affetti, in particolare! Trascorriamo un’ora di tentativi inutili! Ceniamo con un thali al ristorantino accanto alla guest house. Vicino a noi sta seduto un gruppetto composto da una giovane signora e un bambino di circa 7-8 anni francesi, un anziano inglese e un’artista inglese pure lei, vestita con soltanto un piccolo accenno indiano. Le due donne e il bambino li avevamo già incontrati al ghat e li rivedrò con sorpresa lungo le scale della mia stessa guest house. Ci scambiamo solo un cordiale saluto frettoloso.

Maheshwar, le abitazioni ricavate sotto il porticato.

Maheshwar, le abitazioni ricavate sotto il porticato.

5 marzo
La mattinata la trascorro da sola camminando lungo il ghat. Scatto qualche foto ad un lungo porticato trasformato in tante minuscole stanzette e ammiro le tele colorate messe a mo’ di tenda sulle porte, chiuse con dei lacci per evitare che altri vi entrino. Poco più avanti c’è il fiume Narmada: trovo la scritta Samne Ghat su un foglio di carta incollato su un tempietto, ma rimane l’unica traccia con questo nome. Cammino un po’ lungo i ghat, ma oggi c’è poca gente che celebra i rituali. Mi siedo a leggere accanto ad un santone, all’ombra di una delle colonne di un tempietto. Dopo un po’ il guru chiude le sue cose dentro uno straccio annodando i quattro angoli tra loro, lo mette non lontano da me e se ne va. Ripercorro i ghat da ovest fino al forte e mi addentro tra i templi, i porticati, mi siedo sulle gradinate. Nel pomeriggio ritornerò insieme ad Alkesh, il ragazzo di Londra, e visiterò la parte adibita a museo. In realtà, si tratta di pochissime cose esposte: qualche portantina, una mappa dei luoghi sacri indiani, alcuni ritratti tra i quali spicca quello della regina Ahilybai della dinastia degli Holkar, vissuta nel XVIII secolo e ancor oggi venerata come una santa. Ahilyabai rinunciò al suo regno per dedicarsi a Shiva. Questa costruzione, adiacente al forte e al Maheshwar Palace, è stata l’abitazione della regina Ahilyabai stessa: sul retro c’è un tempio dove è custodito un lingam d’oro di Shiva e accanto alla costruzione si possono ammirare anche gli oggetti d’oro e d’argento appartenuti ai reali. Qui, in questo cortiletto, ogni mattina, sin dall’epoca della regina Ahilybai, dalle 8.30 alle 9.00 si celebra lo stesso rituale.
Tornati in centro riusciamo a trovare un negozio di computer con l’accesso a internet: il proprietario ci concede di usare gratuitamente il suo wi.fi. Riesco finalmente a leggere gli sms, a scambiare qualche chat e a controllare le mie mail e a rassicurarmi riguardo agli affetti e alle informazioni che mi arrivano dal mio mondo.

Maheshwar, il rituale dell'Holi che festeggia i colori della primavera intorno al falò.

Maheshwar, il rituale dell’Holi che festeggia i colori della primavera intorno al falò.

Oggi e domani qui a Maheshwar si celebra il festival dedicato ad una dea e quasi tutti i negozi rimangono chiusi. Nei vari quartieri bambini e adulti stanno preparando delle cataste di legna addossate ad un albero infilato nel terreno e addobbato con cerchi piccoli e gradi di sterco di mucca alcuni infilati a mo’ di collana altri posti alla base della catasta, il tutto completato con fiori, paglia, noci di cocco e piattini con del cibo. In una catasta spicca la scultura in cartapesta della dea con un bambino in braccio, come fosse una nostra madonna. Ogni falò verrà acceso in orari diversi, durante tutta la notte. Noi due, assistiamo a quello che si accende tra il ghat e la nostra guest house e che arde tra canti, girotondi intorno al fuoco, preghiere recitate insieme al prete, distribuzione di cibo. E’ una cerimonia molto coinvolgente e la gente è molto cordiale ed è ben felice di rendermi partecipe. Poco fa, lungo i ghat, abbiamo visto uscire del fumo da un tempietto pieno di gente: ci siamo affacciati e all’interno c’era un prete in meditazione e dei fedeli che preparavano delle offerte. Usciti i fedeli, il prete è rimasto solo e noi ci siamo seduti in terra a condividere il suo silenzio. Poi, camminando lungo la riva del fiume abbiamo incontrato un’altra celebrazione di puja e vi abbiamo partecipato cantando e battendo le mani insieme alla numerosa gente raccolta intorno al prete. Ho anche affidato al fiume le tre candele che la gente mi aveva messo tra le mani. Queste cerimonie sono state molto coinvolgenti e intense. Sul tardi, abbiamo cenato allo stesso ristorantino dove c’erano gli inglesi, le francesi ed anche il signore australiano della nostra guest house. Il falò lì accanto verrà acceso più tardi, a mezzanotte.

Maheshwar, rituale al lingam di Shiva.

Maheshwar, rituale al lingam di Shiva.

6 marzo
E’ una giornata di grande festa per l’Holi. Sia nella mattinata sia nel pomeriggio mi lascio dipingere la faccia di giallo e poi, più tardi, di un verde intenso. Al ghat ci sono numerosi ragazzi in festa, coloratissimi: tanti desiderano farsi fotografare insieme a me e mi invitano a danzare con loro al suono del tamburo. C’è un’intensa energia, più forte del solito. A cena, con Alkesh, siamo invitati in gran segreto a casa dei proprietari della guest house. Non possiamo farlo sapere in giro perché ci tengono a mantenere dei rapporti di buon vicinato con il ristorantino accanto. Ci fermiamo a lungo a parlare con la signora e con i suoi due figli. La signora ha 43 anni, il figlio più grande ne ha 22 anni ed è ingegnere elettronico, il più piccolo ne ha 19 e sta studiando canto al college. Mentre l’ingegnere si sta preparando ad un concorso per un posto in banca e desidera diventare un ricco manager, il più giovane aspira a diventare un cantante di successo. Al termine della cena, il ragazzo più giovane ci canta alcune canzoni melodiche molto carine. Al nostro gruppo si aggiunge più tardi un ragazzino di 17 anni e una cugina dei due fratelli. La ragazza ha 16 anni e sta frequentando il dodicesimo anno di scuola ed ha scelto un indirizzo di studi commerciale. Il ragazzo, pur avendo la stessa età della ragazza è ancora fermo all’ottavo anno. Mi spiegano che tra l’undicesimo e il dodicesimo anno di scuola gli allievi sono chiamati a scegliere un indirizzo professionale specifico.Maheshwar, studenti dell'università di Hospet festeggiano l'Holi, il Festival di primavera.

Maheshwar, studenti dell’università di Hospet festeggiano l’Holi, il Festival di primavera.

7 marzo
Lungo la strada per Mandu diverse volte la corriera si deve fermare a causa dei blocchi stradali che i festeggiamenti dell’Holi comportano: gruppi di persone di ogni età, dipinte dei più svariati colori bloccano il traffico con danze e canti fino a che non viene data loro una mancia. Più tardi incontreremo diversi di questi gruppi e li vedremo affacciarsi alle botteghe aperte per chiedere denaro. Canteranno sempre più forte fino a che non verrà data loro una mancia. A Mandu visitiamo la Jama Masjid, l’enorme moschea con un porticato alto diciassette metri. Questo edificio religioso domina il villaggio di Mandu. Visitiamo poi il tempio induista con annesso ashram che sta accanto ai resti archeologici dell’Asrafi Mahal, una scuola islamica trasformata in tomba dal suo committente e crollata poco dopo la sua costruzione. E’ già sera e riusciamo a fare un giro al mercato settimanale ormai in chiusura, con i numerosi carri di legno trainati dai bufali in partenza per i villaggi vicini.Ceniamo alla guest house con un discreto thali.

Tra Marheshwar e Mandu. Gruppi in festa per l'Holi.

Da Mahereshwar a Mandu. Incontro di festeggiamenti per l’Holi festival.

8 marzo
Oggi sveglia verso le 7.30, prima del solito: stiamo andando in bici a visitare il Baz Bahadur’s Palace costruito nel 1509, prima che il sovrano Baz Bahadur prendesse il potere. L’edificio si trova a 8 kilometri da Mandu e presenta le caratteristiche degli stili rajasthani e moghul accostati insieme.

Mandu, sadhu in viaggio.

Mandu, sadhu in viaggio.

A pochi passi dal palazzo, lassù in alto sulla collina, con uno splendido panorama sulla pianura che arriva fino al fiume sacro Narmada, sorge il Padiglione di Rupmati. Secondo la leggenda pare che Baz Bahadur lo avesse fatto costruire per convincere la bellissima cantante hindu Rupmati a trasferirsi con lui sulle colline. Affascinato dalla bellezza di Rupmati, Akbar imperatore moghul (XVI-XVII sec.) con le sue truppe marciò verso la fortezza e Baz Bahadur non lo affrontò, ma fuggì abbandonando l’amata, la quale poco dopo si avvelenò.

Mandu, dintorni. La vita nei villaggi.

Mandu, dintorni. La vita nei villaggi.

Il percorso in bicicletta è affascinante. Lungo la strada incontriamo dei gruppi di case animati da animali, donne e bambini. Nei campi famiglie intere stanno mietendo il frumento. Al ritorno, trovo la mia bici con una gomma a terra: dopo un breve tratto fortunatamente troviamo una baracca con un uomo che ce l’aggiusta.

Mandu, dintorni. Riparazione della bicicletta bucata.

Mandu, dintorni. Riparazione della bicicletta bucata.

Pranziamo in un ristorantino di strada che ci serve un buonissimo thali. Subito dopo partiamo in pullman per Indore; poi viaggiamo su uno sleeping bus per Kotah, nella parte meridionale del Rajasthan e dopo un breve tragitto su un altro autobus arriviamo a Bundi.

Ritorno in India: Varanasi

Sono rientrata da quattro mesi ormai dall’affascinante viaggio in giro per l’Asia, terminato con un lungo soggiorno nella fantastica India. E’ iniziato un nuovo anno ed è già febbraio!  Sto ripartendo per l’ India, la mia India! Può darsi che poi mi sposti anche in altri paesi ma è probabile che rimanga soltanto lì.

Sono le due di notte e sono appena arrivata a Delhi. Ritiro il bagaglio e mi sposto nella sala d’aspetto dei voli nazionali per attendere l’aereo diretto a Varanasi che partirà alle 10.30 di domani mattina, anzi, di stamattina. In pratica trascorrerò la notte qui, con la testa appoggiata sullo zaino e con il giaccone buttato sulla schiena a mo’di coperta. L’atmosfera che già si percepisce nell’aria dell’aeroporto è serena, tranquilla. Alcuni poliziotti, tra cui una donna, mi osservano mentre mi sto caricando lo zaino sulle spalle. Non è pesantissimo in questo viaggio! Non ho portato con me i numerosi libri: mi son comprata un praticissimo e-book! Il gruppetto di poliziotti mi fornisce un carrello e mi dà tutte le informazioni necessarie per raggiungere la sala d’aspetto e attendere il volo per la mia Varanasi.

Varanasi, veduta sulla Main road dal Shri Brihaspati Temple.

Varanasi, veduta sulla Main road dal Shri Brihaspati Temple.

19 febbraio 2015, pomeriggio.
Ritornare a Varanasi dopo cinque mesi di assenza è un incanto. All’aeroporto prendo un taxi assieme ad un ragazzo di 25 anni che lavora a Delhi come impiegato in un ufficio governativo. E’ laureato in geografia economica ed è sposato da un anno con una docente universitaria più grande di lui. Mi sento di casa qui: scendo nel quartiere di Bengali Tola e raggiungo a piedi la Brahamedev guest house. Incontro Raul, uno dei figli del bramino sul vialetto: mi stava aspettando e con tutta la famiglia dei bramini mi accolgono con molto affetto. Raul mi accompagna nella mia stanza e, all’espandersi delle voci, arriva Simone, mio figlio che non vedevo da almeno sei mesi. C’è una sorpresa, mi annuncia: in camera con lui c’è Alina, una ragazza kazaka conosciuta diversi mesi fa e ritrovata durante questo suo viaggio. Lei è una scrittrice, sta viaggiando da sei mesi ed è prossima al rientro in patria. Sta scrivendo il diario di questo suo viaggio e lo pubblicherà, in inglese, nei prossimi mesi. Nel pomeriggio raggiungo la riva del Gange al Chausatti Ghat, che sta qui accanto. Ci vado insieme a Simone, mio figlio. Ci sediamo sulle gradinate: l’atmosfera è surreale e il paesaggio ha un fascino diverso rispetto all’estate scorsa. Il clima è primaverile ed è alta stagione qui. Ci sono moltissimi turisti occidentali e il clima mite favorisce un’atmosfera di pace e serenità più intensi rispetto a quella condizionata dalla calura estiva.

Varanasi, panorama, sempre affascinante, lungo i ghat.

Varanasi, panorama lungo i ghat.

Torniamo in guest house e Simone mi fa conoscere Alina, la sua ragazza e usciamo tutti tre assieme per la cena. Camminando per i viottoli della città vecchia i bottegai mi riconoscono e mi salutano con il loro Namaste e congiungendo le mani come fanno i nostri cattolici quando pregano. Rispondo loro allo stesso modo e sono felice di questa calorosa accoglienza.

Varanasi, mendicanti e venditori lungo la scalinata del Dashashumedh Ghat

Varanasi, mendicanti e venditori lungo la scalinata del Dashashumedh Ghat.

Varanasi 20 febbraio, verso le 11.00
Cammino lungo le stradine e raggiungo il Dashashwamedh Ghat, il ghat principale; mi sposto poi al dr. Rajendraprasad Ghat che sta lì accanto e mi siedo sulle sue immense gradinate. Tutti i ghat sono affollatissimi di turisti occidentali e pellegrini indiani che attirano un gran mercato di venditori di ogni genere. C’è chi vende cibi, chi bevande, chi propone giri in barca, chi offre collane e bracciali, chi piattini con le composizioni di fiori per i rituali da offrire agli dei.
Preti, santoni e guru con delle righe bianche dipinte sulla fronte, seduti a gambe incrociate sopra delle panche in legno sono in attesa dei fedeli per celebrare la puja. Alcuni mi chiamano accanto a loro con degli ampi cenni della mano, ma ormai conosco la strategia che utilizzano per agganciare i clienti e riesco a mantenere le distanze.

Varanasi, incontro lungo i ghat.

Varanasi, incontro lungo i ghat.

20 febbraio, pomeriggio
La terrazza della guest house offre un panorama splendido sul Gange. Quando ero qui lo scorso settembre c’erano numerosissime famiglie di scimmie che s’aggiravano sui tetti e arrivavano fino alle terrazze degli alloggi. Ora non ci sono più e non ne conosco ancora la ragione. Probabilmente si sono spostate.
Sera
Esco con Simone e Alina per cenare: abbiamo scelto un ristorantino del quartiere di Godonia, nella old town. Poi la ragazza se n’è tornata in camera mentre Simone ed io siamo andati a camminare lungo i ghat. L’acqua del Gange è molto bassa in questo periodo e ha lasciato emergere gli argini in pietra che ultimamente sono stati ripuliti. Camminando nella sera superiamo il piccolo ghat delle cremazioni: c’è qualche pira accesa e mentre lì il fuoco si sta quasi spegnendo un gruppo di uomini sta preparando una catasta di legna per una salma che attende di essere cremata. Alcuni parenti, solo uomini, stanno seduti poco più in là in attesa che si compia o si completi il rito funebre. Poco distante, accanto al fiume c’è un gruppo di parenti che celebra il momento dell’immersione della salma nell’acqua, rituale che avviene prima della cremazione.
Superato questo luogo sacro ci sediamo a chiacchierare: passiamo in rassegna le persone che conosciamo, discutiamo sulle scelte di vita dei coetanei di mio figlio, con molta attenzione alle loro diversità.

Varanasi, panorama primaverile dalla Brahamdev guesthouse.

Varanasi, panorama primaverile dalla Brahamdev guesthouse.

21 febbraio
Lungo le scale della guest house incontro una signora francese all’incirca della mia età. Sta qui a Varanasi da due settimane e si fermerà per due mesi. Conosce mio figlio e mi racconta di averlo già invitato a cena, una sera, nella sua stanza. La signora vorrebbe chiacchierare a lungo, ma non ho, in questo momento, la voglia di parlare con altri europei. Sarà diverso, forse, nei prossimi giorni, quando Simone se ne andrà in Nepal per rinnovare il visto indiano. Io, rimarrò qui a Varanasi ancora una settimana, poi, mi sposterò a Khadwa, nel Mhandia Pradesh.
Sto aspettando Simone che non arriva! Ritorno su a chiamarlo ancora e vedo la signora francese sulla sua porta con in mano il vasetto d’olio d’oliva che avevo portato a mio figlio. Poi, verrò a sapere che siamo stati invitati a pranzo nella stanza della signora.
La ragazza di Simone rimane in camera perché indisposta. La signora ha una stanza sopra, che dà sulla terrazza. E’ attrezzatissima: si è comprata tutto il necessario per cucinare e, nei periodi in cui ritorna a Parigi o viaggia all’interno dell’India lascia fornello, piatti e pentole sparpagliati in diverse guest house; usa questo metodo per non rimanere vincolata ad un posto soltanto.
Ci sediamo sul pavimento ricoperto da qualche stuoino con sopra appoggiati i piatti d’acciaio. Ha cucinato della zucca e delle lenticchie nella pentola a pressione d’alluminio e ha affettato, a parte, delle verdure crude: carote, peperoni, cipolla, cetrioli e prezzemolo. A completare il pranzo, la signora arriva con una pentola fumante di riso basmati che mescoliamo insieme al dhal, cioè alla zuppa di lenticchie e zucca. Il pranzo è cordiale: la signora parla molto bene l’inglese e comunica quasi esclusivamente rivolgendosi a mio figlio. Durante il pranzo, sulla porta si affaccia una bambinetta di circa sei anni: è intimidita dalla mia presenza. La signora le porge una scodellina con i vegetali e dopo un po’ di tempo la bimba la prende e viene a sedersi insieme a noi. La signora conosce da tempo questa bimba e le sta inviando del denaro per consentirle di studiare. La signora ci parla dei suoi due figli, docenti universitari entrambi. Lei, ora è in pensione: lavorava in un istituto di ricerca governativo e si occupava di verificare il processo dell’insegnamento-apprendimento tra gli allievi delle scuole francesi.
Terminato il pranzo vado a ritirare le mie scarpe Prada dal calzolaio di strada: erano scollate ormai lungo tutto il bordo della tomaia e lui è riuscito a mettere quattro toppe quasi artistiche e a renderle ancora utilizzabili. Costo: 200 rupie, circa 2,80 euro. Sono stanchissima oggi!

Varanasi, preparazione del rituale per gli sposi che verrà celebrato dalle parenti, lungo il Gange.

Varanasi, preparazione del rituale per gli sposi che verrà celebrato dalle parenti, lungo il Gange.

Ho dormito fino a tardi ed ho ancora sonno. Vado un attimo al ghat e me ne torno in guest house a riposare. Lungo la strada mi ferma una specie di guru, un personaggio che mi ha già chiesto del denaro l’altra estate. Vorrebbe portarmi nel suo ashram e leggermi la mano. Forse per la stanchezza, forse per la passata esperienza gli rispondo che la cosa non mi interessa! Non mi rivolgerà il saluto per diverso tempo.

Varanasi, pellegrine in fila per portare l'offerta al bramino del Shri Brihaspati Temple.

Varanasi, pellegrine in fila per portare l’offerta al bramino del Shri Brihaspati Temple.

Dopo una lungo dormita ritorno al Dashashwamedh Ghat: è affollato di turisti stranieri e indiani, di venditori e barcaioli e gli addetti all’allestimento del palco per i rituali stanno preparando i bracieri che utilizzeranno per la cerimonia serale. Scendendo le gradinate che portano al Gange si scorge il tempio dedicato a Shiva illuminato e pullulante di pellegrini che cantano, pregano e offrono denaro e fiori alla divinità. Osservo per un po’ l’affascinante scenario del calar della sera sui ghat, poi me ne torno in guest house per recuperare la coppietta e andare a cena insieme. Dopo cena, mi piace molto camminare con mio figlio lungo i ghat. Lui ha il passo veloce e faccio fatica a stargli dietro, ma mi compensa la gioia che provo nell’esplorare i nuovi ghat con lui.

Varanasi, pranzo di nozze sul Gange.

Varanasi, pranzo di nozze sul Gange.

22 febbraio
Mi siedo all’esterno di una delle mie abituali tea stall, tra indiani senza età, cani addormentati, mucche che scavano con il muso nel mucchio di immondizie, lì sulla strada, alla ricerca di cibo, bambini che camminano veloci portando il secchiello del latte comprato chissà dove. Proseguo verso la Main road e raggiungo l’animato quartiere di Godonia dove vengo assalita da un’infinità di ragazzi che mi propongono giri in risciò per 200 rupie, meno di 3 euro. Godonia è un quartiere invaso dal traffico caotico di ciclo e moto risciò, auto, autobus, furgoni, motociclette che rendono problematico attraversare la strada. E’ un quartiere moderno: c’è lo sportello bancomat A.T.M., numerosi ristoranti e alberghi e un’infinità di negozi che vendono prodotti di marche internazionali. Il mese di febbraio in India è considerato alta stagione e Varanasi è animatissima di bancarelle con cibi e mercanzie di ogni tipo, molto più numerose del periodo estivo.
Camminando, incontro numerosissimi santoni con la faccia dipinta di bianco e rosso: alcuni di loro chiedono l’elemosina, altri sono molto dignitosi e non lo fanno. Incrocio anche diversi sadhu: da quello che mi raccontano gli indiani, tra queste persone che portano gli abiti arancione, si nascondono diverse categorie di gente: quelli che appartengono a delle caste alte, con un buon livello culturale, che hanno lasciato tutto per scelta e i poveracci e i furbi che chiedono con insistenza l’elemosina. Tra le persone che stazionano o percorrono la Main road, oltre ai gruppi di pellegrini e ai turisti europei e americani, s’interseca moltissima gente indiana indaffaratissima: c’è chi trasporta cassette di frutta sulla testa, chi spinge i carretti con le mercanzie, chi cucina, chi chiede l’elemosina, chi ti si avvicina per proporti di acquistare qualcosa. Sono le 11.30 e non è ancora l’ora del pranzo. Il pentolone della mensa dei poveri sta lì, al suo posto, di fronte al tempio induista della Main road. Lo stanno ripulendo dal cibo rimasto ieri: lo mettono in un sacchetto di plastica per darlo alle persone che lo attendono. Poi, lavano il pentolone grattando via con l’acqua e una paglietta le incrostazioni rimaste. Lì, di fronte, affacciato ad un ristorantino di strada noto l’immancabile gruppo di turisti con la guida e i cappellini tutti uguali: in questo caso sono gialli e il gruppo è composto da indiani. A Varanasi arrivano continuamente gruppi di pellegrini dal sud: a volte si fermano solo un giorno, spesso stanno qualche giorno e soggiornano nelle dharamsala, cioè nelle economiche guest house, riservate solo agli indiani. .
Lungo la Main road, ma anche negli stretti viottoli, moto, motorette e biciclette sfrecciano velocissime e strombazzano di continuo per farsi liberare il percorso. Qui in India i mezzi di trasporto, dalla bicicletta all’auto hanno la priorità assoluta sui pedoni che vengono messi continuamente in difficoltà.

Varanasi, pellegrine allo spettacolo serale del Dasaswamedh Ghat.

Varanasi, pellegrine allo spettacolo serale del Dasaswamedh Ghat.

23 febbraio
Simone è partito stamattina per il Nepal. Rimarrà là circa un mese: andrà ad un corso di meditazione Vipassana di 10 giorni, farà dei trekking e tornerà a Varanasi con un nuovo visto.
Mi dirigo verso Godonia o Godaulia per prendere un motorisciò e andare a visitare il sito archeologico di Sarnath. Dopo varie contrattazioni concordo il prezzo: 400 rupie per il viaggio di andata e ritorno. Il percorso è lungo e faticoso a causa dell’intenso traffico e delle strade dissestate. L’autista al ritorno cerca di evitare gli intasamenti infilandosi negli strettissimi vicoletti, pieni di buche e affollati di mucche, cani, risciò, motociclette e pedoni. Sono dieci kilometri interminabili, ma il sito è molto interessante. Sarei rimasta molto di più dell’ora concessami dal ragazzo del risciò, ma ho rimandato una visita più approfondita ai prossimi mesi. Percorro il cammino lungo i resti dei monasteri e delle colonne raggiungendo il Dhamekh Stupa che ancora intatto domina lo sfondo di Sarnath. E’ alto 34 metri e indica il luogo dove il Buddha pronunciò il suo primo sermone dopo aver raggiunto l’illuminazione. Gli intagli geometrici e floreali risalgono al V secolo d. C., ma alcune decorazioni in mattoni potrebbero essere ancora più antiche e risalire al 200 a. C. circa. Visito anche il Museo archeologico dove non è consentito accedere con cellulari e macchine fotografiche: è molto ricco di sculture e resti archeologici rinvenuti nella zona di Sarnath. Tra gli antichi tesori c’è uno splendido capitello con leone risalente al III secolo a. C. un simbolo adottato come emblema nazionale dell’India. Durante il viaggio di ritorno, il ragazzo mi parla un po’ di sé. Mi racconta che ha 26 anni ed ha frequentato solo la scuola media in quanto doveva lavorare per aiutare la famiglia. Parla un buon inglese e mi dice che l’ha imparato in strada, contrattando con i turisti. Il risciò che guida non è suo, ma di un proprietario che glielo affitta per 300 rupie al giorno (4.50 euro, circa). Vorrebbe acquistare un suo risciò, ma per ora ha messo da parte soltanto metà dei soldi necessari: l’equivalente di circa 500 euro. Poco dopo la zona archeologica il ragazzo si ferma in tutta fretta accanto ad un antico stupa: “You can take one photo”! mi dice. Ha fretta, deve tornare nell’affollato quartiere di Godonia o Godaulia per cercare altri clienti. Gli viene qualche senso di colpa per l’eccessiva fretta che mi mette e vorrebbe sostare un attimo in un recentissimo tempio con un’enorme statua di Buddha, ma mi basta vedere questa novità dal risciò! Ho già constatato che per gli indiani, ma anche per i cinesi, ha più valore il nuovo dell’antico! Il ragazzo poi, ad un certo punto, non ha più fretta e vorrebbe portarmi a visitare un laboratorio di tessuti lavorati a mano: la sosta è compresa nel prezzo, ma io rifiuto fermamente la proposta. Conosco ormai questi metodi! Tornata a Varanasi, con un po’ di fortuna riesco a trovare il ristorantino dove venivo a volte con mio figlio e la sua ragazza. Qui, cucinano il thali senza spezie ed è l’unico piatto che mangio volentieri. Rientrata in guest house trovo sulla porta una card di Alina, la ragazza di Simone. C’è un messaggio con un invito a pranzo per le 14.00, ma ormai sono le 15.30. Salgo nella sua stanza e concordiamo di vederci per la cena.

Varanasi,dintorni. Mani di mendicanti che sporgono dalla recinzione nella zona archeologica di Sarnath.

Varanasi, dintorni. Mani di mendicanti che sporgono dalla recinzione nella zona archeologica di Sarnath.

24 febbraio 2015
Stamattina è partita anche Alina, la ragazza di Simone. Si è spostata a Rishikes, in un luogo di montagna dove stazionano diversi sadhu e sono presenti diversi centri di meditazione e yoga. Ieri sera abbiamo cenato insieme con un picnik sulle rive del Gange: polpette e frittelle vegetariane bagnate con una Pepsi a testa. Ci siamo, poi, fermate lungo i viottoli a berci uno yoghurt dalla ciotola in terracotta che utilizzano qui come usa e getta. Ci siamo spostate, quindi, al Chausatti Ghat: io mi sono seduta sulla gradinata mentre lei ha noleggiato una barca per portare al largo la composizione di fiori e la candela accesa da offrire a Madre Ganga. C’è un gran silenzio qui, sul ghat: per un attimo mi prende una forte suggestione. Mi sembra di sentire la voce di mia madre che mi chiama in un modo che solo lei sapeva fare: è soltanto un attimo, poi tutto fugge via insieme allo scorrere delle acque del Gange.

Varanasi, banchetti nuziali sulle rive del Gange.

Varanasi, banchetti nuziali sulle rive del Gange.

25 febbraio
Oggi, nella tarda mattinata sono andata a camminare lungo i ghat. Ho raggiunto il Manikarnika Ghat, il grande ghat delle cremazioni che sta a nord della città. A Varanasi arrivano continuamente funerali e nei due ghat, nel piccolo Harishchandra e nel grande e antico Manikarnika bruciano le salme senza sosta. E’ una procedura vissuta con naturalezza qui, il passaggio dalla vita alla morte: si svolge assieme a canti, rituali, vendita di cibi e oggetti ricordo, commercio di legname per le pire, finte guide a caccia di turisti da truffare. Mentre camminavo poco fa, tra guru seduti sui tavoloni appoggiati sulla riva del Gange che mi facevano cenno di avvicinarmi a loro e sedermi accanto per ricevere il segno rosso in fronte del good karma, pensavo alla dimensione elastica che prendono i rapporti durante il periodo in cui viaggio. Sono relazioni amicali spontanee e anche intense nel momento in cui le vivo, ma poi, ognuno segue la sua via, in libertà, a volte senza vedersi più. Non c’è nulla di stabile e ti devi ricomporre e ridefinire in continuazione. Mentre me ne sto seduta a scrivere su una specie di panchina, all’esterno di un tempietto, non lontano dal Manikarnika Ghat passa veloce un funerale. La salma, avvolta in un telo coloratissimo, viene trasportata su una portantina di bambù ricoperta di fiori. Il funerale è accompagnato dalle voci dei parenti che cantano e recitano dei charma induisti. Riprendo il cammino, esco dal viottolo, mi immetto sulla strada principale e incrocio un altro veloce e sereno funerale. Torno a Godaulia, pranzo al solito ristorantino dove cucinano il dhal senza spezie e torno verso la guest house. Mi fermo dal calzolaio di strada per farmi cucire uno strappo alle ciabatte. Lì accanto c’è Raul, uno dei bramini della mia guest house. Mi parla del clima di Varanasi: qui fa molto freddo soltanto dalla fine di novembre a gennaio, la primavera dura soltanto un mese, febbraio, ed è il periodo dell’alta stagione, poi arriva il caldo torrido che raggiunge delle temperature che s’aggirano intorno ai 45 gradi ed anche più.

Varanasi, pranzo nuziale sul Gange.

Varanasi, pranzo nuziale sul Gange.

25 febbraio
Mi sono svegliata più presto del solito e sto tornando a camminare sui ghat. Mi siedo tra gli ombrelloni composti da svariati pezzi di stoffe logore, ma ancora coloratissime che animano il Dashashwamedh Ghat. Rimango su un tavolone assieme a un guru, ma di spalle per evitarne l’approccio e la richiesta di denaro. Con la coda dell’occhio lo osservo mentre esegue un rituale, la puja, per una coppia e poi si prende l’offerta. Vuole parlarmi: mi chiede la nazionalità e mi dice che è un bramino. Gli chiedo come mai non è rasato e non ha il codino, ma non mi risponde. Ho appena terminato di leggere l’ultimo libro di Elena Ferrante sul mio e-book e mi dirigo verso la parte nord dei ghat, oltrepassando il Manikarnika Ghat delle cremazioni. Lungo il percorso ritrovo il tempietto Nepalese, e dopo il Manikarnika finalmente riesco ad individuare la piscina che secondo la leggenda, Shiva ha scavato con le mani per cercare l’orecchino che Parvati, sua moglie, aveva perso. Tutto il lungo fiume è percorso da palazzi sfarzosi, molto affascinanti, un po’ baroccheggianti. Ci sono anche degli alti edifici poveri che paiono costruiti di mattoni fatti con la terra che trasporta il fiume. Sulla riva ci sono gruppi di donne che si bagnano il viso con l’acqua del Gange, altre che si rivestono dopo il bagno, uomini che riempiono le loro taniche con l’acqua del fiume sacro per portarsela a casa. Osservo incuriosita un ragazzo e una donna che calano delle corde nel fiume come se pescassero. Invece stanno soltanto raccogliendo, con delle grosse calamite legate alla corda, le monete che i pellegrini offrono al Gange. Vado molto oltre il Manikarnita Ghat e poi esco imboccando le minuscole stradine della città vecchia. In genere, come ho già fatto altre volte, seguo il percorso delle persone, ma un anziano indiano mi si affianca e mi chiede dove stia andando. “Nella Main road” gli rispondo! E lui mi dice che non è corretto seguire la gente, che questa va dove vuole e si offre di accompagnarmi in quanto sta andando anche lui lì. Arrivati alla strada principale, che riconosco subito, naturalmente mi chiede con insistenza dei soldi. “10 rupie, non hai 10 rupie”? Sono pochi soldi per noi occidentali, ma io provo un senso di fastidio per questa strategia di chiederti soldi.

Varanasi, l'ingresso al Dasaswamedh Ghat.

Varanasi, l’ingresso al Dasaswamedh Ghat.

26 febbraio
Sono al Dr. Rajendraprasad Ghat, poco più su del Dashashwamedh Ghat seduta su un tavolone tra il brusio delle voci dei pellegrini, i sadhu che gironzolano da un ghat all’altro, i guru che attendono fedeli per i rituali all’ombra dei coloratissimi ombrelloni di bambù, rivestiti di stracci. Sono immersa tra i poveri che ogni tanto si avvicinano con le loro ciotole d’acciaio per chiedere insistentemente l’elemosina e tra i bagnanti maschi quasi nudi che si insaponano dalla testa ai piedi per poi immergersi nell’acqua del Gange. Le donne che fanno il bagno nel Gange sono rare e s’immergono sempre vestite. A sovrastare i mormorii e i piccoli rumori arriva la voce di un altoparlante posto là in alto, che trasmette discorsi e musiche della religione indù. Oggi ho comprato un quotidiano locale, “The Times of India” che parla della scarsità d’acqua a Delhi durante il periodo estivo, degli incontri dei politici con i governatori pakistani e con un percussionista giapponese; in terza pagina c’è la descrizione di una disputa tra famiglie di religione induista e musulmana per delle terre situate nella città di Kushinagar. La questione si conclude con l’intervento della polizia e con l’arresto di alcuni musulmani. Il quotidiano contiene molta pubblicità di auto, moto Honda, dentifricio Pepsodent, abiti femminili tradizionali, calzature e borse da viaggio, proposte di viaggi e vacanze in hotel di lusso, immagini di arredi e tipologie abitative rivolte a persone benestanti. Tra gli annunci pubblicitari c’è la recensione di un libro su madre Teresa di Calcutta. Se ho ben compreso, l’autore afferma che madre Teresa non si definiva un’operatrice sociale, ma riteneva che il suo ruolo fosse quello di salvare le anime dall’odio. Poi, l’articolo si sofferma su un quesito che si chiede se madre Teresa prendeva le vittime della povertà per convertirle al Cristianesimo oppure se sia stata davvero la “santa degli slums” dove migliaia di credenti e non credenti trovavano assistenza e protezione. L’ultima pagina del quotidiano si occupa dello sport: in particolare del cricket, del calcio e del tennis e si sofferma su un articolo che rimane l’unica notizia internazionale: riguarda il ritorno all’England di un certo Luis Suarez che arriva lì dopo esser passato dal Liverpool al Barcellona (sempre se ho ben compreso). Il giornale si chiude con i programmi televisivi del giorno, la pubblicità di un computer portatile, le foto di stelle e divi del momento. Regalo il giornale ad un negoziante di strada che difficilmente lo leggerà, ma certamente lo utilizzerà per avvolgere la sua merce. Arrivata all’altezza del Sri Brihaspati temple, sulla Main road, solitamente deserto, inaspettatamente c’è un gran affollamento di pellegrini proprio fin lassù, sopra le scale. Mi tolgo le scarpe e i calzini e salgo anch’io. Ci sono due file distinte, una per gli uomini e l’altra per le donne, ma entrambe arrivano al sacerdote, che dà la benedizione e riceve l’offerta dai pellegrini che arrivano da direzioni diverse. Un gruppo di donne se ne sta accovacciata per conto proprio a preparare una puja, un rituale. Scatto qualche foto anche se un ragazzino mi dice che è vietato e scappo verso il solito mio ristorantino di Godaulia o Godonia. Il cameriere dalla faccia truce oggi non ha la bandana in testa. Mi porta una nuova salsa e poi della cipolla da aggiungere al dhal. Rifiuto la cipolla e lui scompare: spero non si sia offeso!. Mentre spezzo il chapati, il pane indiano, entra una coppia di francesi assieme ad una guida indiana. L’uomo scatta una foto dietro l’altra alla sua donna; li saluto con un sorriso, ma non incoraggio il dialogo. Ho incontrato diversi turisti francesi ed anche molti spagnoli in questi giorni, ma non mi va ancora di parlare con gli europei. Preferisco passeggiare, salutare gli indiani con il loro namaste, leggere, guardare le mail e gli sms, chattare e scrivere. Sto anche molto tempo nella terrazza della mia Brahamdev guest house, a leggere e a scrivere, ma anche a guardare il panorama che si affaccia sui tetti e lungo il grande Gange.

Varanasi, camminando lungo i ghat.

Varanasi, camminando lungo i ghat.

27 febbraio
Oggi al Dashashwamedh Ghat c’è un via vai di matrimoni. Un bramino con il cordone beige a tracolla, ma senza codino, mi spiega che è iniziata la stagione estiva con il suo periodo delle nozze che proseguirà fino ad aprile. Nei mesi invernali e nel periodo delle piogge non ci sono matrimoni, aggiunge. Secondo quanto mi racconta questo bramino, gli sposi prima vanno al Tempio della Madre, l’edificio che si affaccia proprio qui sul ghat e poi scendono al Gange per il rituale del matrimonio. Le informazioni che raccolgo riguardo alle tradizioni a volte sono contraddittorie tra di loro, ma le riporto sempre come mi vengono riferite dalle persone che incontro. I matrimoni qui in India rappresentano un momento importante nella vita sia per famiglie degli sposi sia per la nuova coppia. Il matrimonio avviene con la celebrazione di uno o più rituali di buon auspicio, preceduti da una serie di incontri tra i maschi delle due famiglie. Qui a Varanasi, qualcuno mi dice che il giorno dopo che la sposa ha dormito a casa del marito c’è la visita alla Madre Ganga, cioè al fiume sacro, con la celebrazione della puja. Le spose arrivano con il capo ricoperto da un pesante velo rosso con dei ricami dorati e indossano un mantello rosso anch’esso ricco di decorazioni. Paiono intimidite e si nascondono completamente all’interno del velo. Hanno le braccia e le mani dipinte con composizioni floreali fatte con l’hennè: i piedi, sono decorati con un reticolo geometrico sopra e sulla pianta in tinta unita. Sulle braccia portano numerosi bracciali ed anche il viso, il naso, le orecchie, le caviglie e le dita dei piedi sono ricolme di gioielli. Gli sposi portano un turbante rosso sul capo, a volte indossano un abito tradizionale con casacca lunga, spacchi laterali e scarpe a punta rivolta all’insù, ma spesso vestono all’occidentale, portando solo il turbante rosso in testa. Anche lo sposo ha i piedi decorati con l’henna, a volte con lo stesso motivo a reticolo della sposa, a volte con soltanto il fondo rosso della pianta dei piedi. Il marito sembra tenere la sposa al guinzaglio e pare tirarla attraverso una lunga sciarpa colorata, a volte gialla, o bianca e anche rosa, con la quale la tiene legata attraverso un nodo stretto sul mantello rosso di lei. Chiedo ad alcune coppie la loro età: s’aggira tra i 22 anni di lei e tra i 26 – 28 per lui, anche se di sera, mentre sto seduta sulla scalinata del Chausatti Ghat a cenare con le melanzane impanate e le polpette di verdura, un ragazzo di 21 anni che sta facendo volantinaggio per un concerto mi racconta che è sposato da tre mesi. Durante questo viaggio di quattro mesi in India, incontrerò altre situazioni di matrimoni combinati tra sposi giovanissimi. Qui a Varanasi, in questo periodo c’è un continuo via, vai di sposi che scendono al Gange insieme ai parenti: le donne di famiglia hanno il ruolo di preparare e poi celebrare un rituale specifico, composto da disegni che tracciano sul selciato, da fiori, candele, incenso, riso e mantra recitati. Qualcuno, spesso, mette una collana di fiori gialli attorno al collo degli sposi e a volte anche di qualche invitato. Alcuni gruppi nuziali consumano una specie di pic-nick sulle rive della Madre Ganga: le donne aprono sporte con vivande, scoperchiano pentole, distribuiscono piattini di carta e cibi: è il pranzo nuziale che precede o segue a volte un breve giro in barca da una riva all’altra del Gange, trascinando sull’acqua delle corde con tanti fiori freschi attaccati sopra. Secondo il racconto raccolto oggi, il corteo nuziale si sposta fino alla casa del marito e tutto finisce lì.

Varanasi, coppia di sposi alla preghiera al Gange.

Varanasi, coppia di sposi alla preghiera al Gange.