Sono rientrata da quattro mesi ormai dall’affascinante viaggio in giro per l’Asia, terminato con un lungo soggiorno nella fantastica India. E’ iniziato un nuovo anno ed è già febbraio! Sto ripartendo per l’ India, la mia India! Può darsi che poi mi sposti anche in altri paesi ma è probabile che rimanga soltanto lì.
Sono le due di notte e sono appena arrivata a Delhi. Ritiro il bagaglio e mi sposto nella sala d’aspetto dei voli nazionali per attendere l’aereo diretto a Varanasi che partirà alle 10.30 di domani mattina, anzi, di stamattina. In pratica trascorrerò la notte qui, con la testa appoggiata sullo zaino e con il giaccone buttato sulla schiena a mo’di coperta. L’atmosfera che già si percepisce nell’aria dell’aeroporto è serena, tranquilla. Alcuni poliziotti, tra cui una donna, mi osservano mentre mi sto caricando lo zaino sulle spalle. Non è pesantissimo in questo viaggio! Non ho portato con me i numerosi libri: mi son comprata un praticissimo e-book! Il gruppetto di poliziotti mi fornisce un carrello e mi dà tutte le informazioni necessarie per raggiungere la sala d’aspetto e attendere il volo per la mia Varanasi.
Varanasi, veduta sulla Main road dal Shri Brihaspati Temple.
19 febbraio 2015, pomeriggio.
Ritornare a Varanasi dopo cinque mesi di assenza è un incanto. All’aeroporto prendo un taxi assieme ad un ragazzo di 25 anni che lavora a Delhi come impiegato in un ufficio governativo. E’ laureato in geografia economica ed è sposato da un anno con una docente universitaria più grande di lui. Mi sento di casa qui: scendo nel quartiere di Bengali Tola e raggiungo a piedi la Brahamedev guest house. Incontro Raul, uno dei figli del bramino sul vialetto: mi stava aspettando e con tutta la famiglia dei bramini mi accolgono con molto affetto. Raul mi accompagna nella mia stanza e, all’espandersi delle voci, arriva Simone, mio figlio che non vedevo da almeno sei mesi. C’è una sorpresa, mi annuncia: in camera con lui c’è Alina, una ragazza kazaka conosciuta diversi mesi fa e ritrovata durante questo suo viaggio. Lei è una scrittrice, sta viaggiando da sei mesi ed è prossima al rientro in patria. Sta scrivendo il diario di questo suo viaggio e lo pubblicherà, in inglese, nei prossimi mesi. Nel pomeriggio raggiungo la riva del Gange al Chausatti Ghat, che sta qui accanto. Ci vado insieme a Simone, mio figlio. Ci sediamo sulle gradinate: l’atmosfera è surreale e il paesaggio ha un fascino diverso rispetto all’estate scorsa. Il clima è primaverile ed è alta stagione qui. Ci sono moltissimi turisti occidentali e il clima mite favorisce un’atmosfera di pace e serenità più intensi rispetto a quella condizionata dalla calura estiva.
Varanasi, panorama lungo i ghat.
Torniamo in guest house e Simone mi fa conoscere Alina, la sua ragazza e usciamo tutti tre assieme per la cena. Camminando per i viottoli della città vecchia i bottegai mi riconoscono e mi salutano con il loro Namaste e congiungendo le mani come fanno i nostri cattolici quando pregano. Rispondo loro allo stesso modo e sono felice di questa calorosa accoglienza.
Varanasi, mendicanti e venditori lungo la scalinata del Dashashumedh Ghat.
Varanasi 20 febbraio, verso le 11.00
Cammino lungo le stradine e raggiungo il Dashashwamedh Ghat, il ghat principale; mi sposto poi al dr. Rajendraprasad Ghat che sta lì accanto e mi siedo sulle sue immense gradinate. Tutti i ghat sono affollatissimi di turisti occidentali e pellegrini indiani che attirano un gran mercato di venditori di ogni genere. C’è chi vende cibi, chi bevande, chi propone giri in barca, chi offre collane e bracciali, chi piattini con le composizioni di fiori per i rituali da offrire agli dei.
Preti, santoni e guru con delle righe bianche dipinte sulla fronte, seduti a gambe incrociate sopra delle panche in legno sono in attesa dei fedeli per celebrare la puja. Alcuni mi chiamano accanto a loro con degli ampi cenni della mano, ma ormai conosco la strategia che utilizzano per agganciare i clienti e riesco a mantenere le distanze.
Varanasi, incontro lungo i ghat.
20 febbraio, pomeriggio
La terrazza della guest house offre un panorama splendido sul Gange. Quando ero qui lo scorso settembre c’erano numerosissime famiglie di scimmie che s’aggiravano sui tetti e arrivavano fino alle terrazze degli alloggi. Ora non ci sono più e non ne conosco ancora la ragione. Probabilmente si sono spostate.
Sera
Esco con Simone e Alina per cenare: abbiamo scelto un ristorantino del quartiere di Godonia, nella old town. Poi la ragazza se n’è tornata in camera mentre Simone ed io siamo andati a camminare lungo i ghat. L’acqua del Gange è molto bassa in questo periodo e ha lasciato emergere gli argini in pietra che ultimamente sono stati ripuliti. Camminando nella sera superiamo il piccolo ghat delle cremazioni: c’è qualche pira accesa e mentre lì il fuoco si sta quasi spegnendo un gruppo di uomini sta preparando una catasta di legna per una salma che attende di essere cremata. Alcuni parenti, solo uomini, stanno seduti poco più in là in attesa che si compia o si completi il rito funebre. Poco distante, accanto al fiume c’è un gruppo di parenti che celebra il momento dell’immersione della salma nell’acqua, rituale che avviene prima della cremazione.
Superato questo luogo sacro ci sediamo a chiacchierare: passiamo in rassegna le persone che conosciamo, discutiamo sulle scelte di vita dei coetanei di mio figlio, con molta attenzione alle loro diversità.
Varanasi, panorama primaverile dalla Brahamdev guesthouse.
21 febbraio
Lungo le scale della guest house incontro una signora francese all’incirca della mia età. Sta qui a Varanasi da due settimane e si fermerà per due mesi. Conosce mio figlio e mi racconta di averlo già invitato a cena, una sera, nella sua stanza. La signora vorrebbe chiacchierare a lungo, ma non ho, in questo momento, la voglia di parlare con altri europei. Sarà diverso, forse, nei prossimi giorni, quando Simone se ne andrà in Nepal per rinnovare il visto indiano. Io, rimarrò qui a Varanasi ancora una settimana, poi, mi sposterò a Khadwa, nel Mhandia Pradesh.
Sto aspettando Simone che non arriva! Ritorno su a chiamarlo ancora e vedo la signora francese sulla sua porta con in mano il vasetto d’olio d’oliva che avevo portato a mio figlio. Poi, verrò a sapere che siamo stati invitati a pranzo nella stanza della signora.
La ragazza di Simone rimane in camera perché indisposta. La signora ha una stanza sopra, che dà sulla terrazza. E’ attrezzatissima: si è comprata tutto il necessario per cucinare e, nei periodi in cui ritorna a Parigi o viaggia all’interno dell’India lascia fornello, piatti e pentole sparpagliati in diverse guest house; usa questo metodo per non rimanere vincolata ad un posto soltanto.
Ci sediamo sul pavimento ricoperto da qualche stuoino con sopra appoggiati i piatti d’acciaio. Ha cucinato della zucca e delle lenticchie nella pentola a pressione d’alluminio e ha affettato, a parte, delle verdure crude: carote, peperoni, cipolla, cetrioli e prezzemolo. A completare il pranzo, la signora arriva con una pentola fumante di riso basmati che mescoliamo insieme al dhal, cioè alla zuppa di lenticchie e zucca. Il pranzo è cordiale: la signora parla molto bene l’inglese e comunica quasi esclusivamente rivolgendosi a mio figlio. Durante il pranzo, sulla porta si affaccia una bambinetta di circa sei anni: è intimidita dalla mia presenza. La signora le porge una scodellina con i vegetali e dopo un po’ di tempo la bimba la prende e viene a sedersi insieme a noi. La signora conosce da tempo questa bimba e le sta inviando del denaro per consentirle di studiare. La signora ci parla dei suoi due figli, docenti universitari entrambi. Lei, ora è in pensione: lavorava in un istituto di ricerca governativo e si occupava di verificare il processo dell’insegnamento-apprendimento tra gli allievi delle scuole francesi.
Terminato il pranzo vado a ritirare le mie scarpe Prada dal calzolaio di strada: erano scollate ormai lungo tutto il bordo della tomaia e lui è riuscito a mettere quattro toppe quasi artistiche e a renderle ancora utilizzabili. Costo: 200 rupie, circa 2,80 euro. Sono stanchissima oggi!
Varanasi, preparazione del rituale per gli sposi che verrà celebrato dalle parenti, lungo il Gange.
Ho dormito fino a tardi ed ho ancora sonno. Vado un attimo al ghat e me ne torno in guest house a riposare. Lungo la strada mi ferma una specie di guru, un personaggio che mi ha già chiesto del denaro l’altra estate. Vorrebbe portarmi nel suo ashram e leggermi la mano. Forse per la stanchezza, forse per la passata esperienza gli rispondo che la cosa non mi interessa! Non mi rivolgerà il saluto per diverso tempo.
Varanasi, pellegrine in fila per portare l’offerta al bramino del Shri Brihaspati Temple.
Dopo una lungo dormita ritorno al Dashashwamedh Ghat: è affollato di turisti stranieri e indiani, di venditori e barcaioli e gli addetti all’allestimento del palco per i rituali stanno preparando i bracieri che utilizzeranno per la cerimonia serale. Scendendo le gradinate che portano al Gange si scorge il tempio dedicato a Shiva illuminato e pullulante di pellegrini che cantano, pregano e offrono denaro e fiori alla divinità. Osservo per un po’ l’affascinante scenario del calar della sera sui ghat, poi me ne torno in guest house per recuperare la coppietta e andare a cena insieme. Dopo cena, mi piace molto camminare con mio figlio lungo i ghat. Lui ha il passo veloce e faccio fatica a stargli dietro, ma mi compensa la gioia che provo nell’esplorare i nuovi ghat con lui.
Varanasi, pranzo di nozze sul Gange.
22 febbraio
Mi siedo all’esterno di una delle mie abituali tea stall, tra indiani senza età, cani addormentati, mucche che scavano con il muso nel mucchio di immondizie, lì sulla strada, alla ricerca di cibo, bambini che camminano veloci portando il secchiello del latte comprato chissà dove. Proseguo verso la Main road e raggiungo l’animato quartiere di Godonia dove vengo assalita da un’infinità di ragazzi che mi propongono giri in risciò per 200 rupie, meno di 3 euro. Godonia è un quartiere invaso dal traffico caotico di ciclo e moto risciò, auto, autobus, furgoni, motociclette che rendono problematico attraversare la strada. E’ un quartiere moderno: c’è lo sportello bancomat A.T.M., numerosi ristoranti e alberghi e un’infinità di negozi che vendono prodotti di marche internazionali. Il mese di febbraio in India è considerato alta stagione e Varanasi è animatissima di bancarelle con cibi e mercanzie di ogni tipo, molto più numerose del periodo estivo.
Camminando, incontro numerosissimi santoni con la faccia dipinta di bianco e rosso: alcuni di loro chiedono l’elemosina, altri sono molto dignitosi e non lo fanno. Incrocio anche diversi sadhu: da quello che mi raccontano gli indiani, tra queste persone che portano gli abiti arancione, si nascondono diverse categorie di gente: quelli che appartengono a delle caste alte, con un buon livello culturale, che hanno lasciato tutto per scelta e i poveracci e i furbi che chiedono con insistenza l’elemosina. Tra le persone che stazionano o percorrono la Main road, oltre ai gruppi di pellegrini e ai turisti europei e americani, s’interseca moltissima gente indiana indaffaratissima: c’è chi trasporta cassette di frutta sulla testa, chi spinge i carretti con le mercanzie, chi cucina, chi chiede l’elemosina, chi ti si avvicina per proporti di acquistare qualcosa. Sono le 11.30 e non è ancora l’ora del pranzo. Il pentolone della mensa dei poveri sta lì, al suo posto, di fronte al tempio induista della Main road. Lo stanno ripulendo dal cibo rimasto ieri: lo mettono in un sacchetto di plastica per darlo alle persone che lo attendono. Poi, lavano il pentolone grattando via con l’acqua e una paglietta le incrostazioni rimaste. Lì, di fronte, affacciato ad un ristorantino di strada noto l’immancabile gruppo di turisti con la guida e i cappellini tutti uguali: in questo caso sono gialli e il gruppo è composto da indiani. A Varanasi arrivano continuamente gruppi di pellegrini dal sud: a volte si fermano solo un giorno, spesso stanno qualche giorno e soggiornano nelle dharamsala, cioè nelle economiche guest house, riservate solo agli indiani. .
Lungo la Main road, ma anche negli stretti viottoli, moto, motorette e biciclette sfrecciano velocissime e strombazzano di continuo per farsi liberare il percorso. Qui in India i mezzi di trasporto, dalla bicicletta all’auto hanno la priorità assoluta sui pedoni che vengono messi continuamente in difficoltà.
Varanasi, pellegrine allo spettacolo serale del Dasaswamedh Ghat.
23 febbraio
Simone è partito stamattina per il Nepal. Rimarrà là circa un mese: andrà ad un corso di meditazione Vipassana di 10 giorni, farà dei trekking e tornerà a Varanasi con un nuovo visto.
Mi dirigo verso Godonia o Godaulia per prendere un motorisciò e andare a visitare il sito archeologico di Sarnath. Dopo varie contrattazioni concordo il prezzo: 400 rupie per il viaggio di andata e ritorno. Il percorso è lungo e faticoso a causa dell’intenso traffico e delle strade dissestate. L’autista al ritorno cerca di evitare gli intasamenti infilandosi negli strettissimi vicoletti, pieni di buche e affollati di mucche, cani, risciò, motociclette e pedoni. Sono dieci kilometri interminabili, ma il sito è molto interessante. Sarei rimasta molto di più dell’ora concessami dal ragazzo del risciò, ma ho rimandato una visita più approfondita ai prossimi mesi. Percorro il cammino lungo i resti dei monasteri e delle colonne raggiungendo il Dhamekh Stupa che ancora intatto domina lo sfondo di Sarnath. E’ alto 34 metri e indica il luogo dove il Buddha pronunciò il suo primo sermone dopo aver raggiunto l’illuminazione. Gli intagli geometrici e floreali risalgono al V secolo d. C., ma alcune decorazioni in mattoni potrebbero essere ancora più antiche e risalire al 200 a. C. circa. Visito anche il Museo archeologico dove non è consentito accedere con cellulari e macchine fotografiche: è molto ricco di sculture e resti archeologici rinvenuti nella zona di Sarnath. Tra gli antichi tesori c’è uno splendido capitello con leone risalente al III secolo a. C. un simbolo adottato come emblema nazionale dell’India. Durante il viaggio di ritorno, il ragazzo mi parla un po’ di sé. Mi racconta che ha 26 anni ed ha frequentato solo la scuola media in quanto doveva lavorare per aiutare la famiglia. Parla un buon inglese e mi dice che l’ha imparato in strada, contrattando con i turisti. Il risciò che guida non è suo, ma di un proprietario che glielo affitta per 300 rupie al giorno (4.50 euro, circa). Vorrebbe acquistare un suo risciò, ma per ora ha messo da parte soltanto metà dei soldi necessari: l’equivalente di circa 500 euro. Poco dopo la zona archeologica il ragazzo si ferma in tutta fretta accanto ad un antico stupa: “You can take one photo”! mi dice. Ha fretta, deve tornare nell’affollato quartiere di Godonia o Godaulia per cercare altri clienti. Gli viene qualche senso di colpa per l’eccessiva fretta che mi mette e vorrebbe sostare un attimo in un recentissimo tempio con un’enorme statua di Buddha, ma mi basta vedere questa novità dal risciò! Ho già constatato che per gli indiani, ma anche per i cinesi, ha più valore il nuovo dell’antico! Il ragazzo poi, ad un certo punto, non ha più fretta e vorrebbe portarmi a visitare un laboratorio di tessuti lavorati a mano: la sosta è compresa nel prezzo, ma io rifiuto fermamente la proposta. Conosco ormai questi metodi! Tornata a Varanasi, con un po’ di fortuna riesco a trovare il ristorantino dove venivo a volte con mio figlio e la sua ragazza. Qui, cucinano il thali senza spezie ed è l’unico piatto che mangio volentieri. Rientrata in guest house trovo sulla porta una card di Alina, la ragazza di Simone. C’è un messaggio con un invito a pranzo per le 14.00, ma ormai sono le 15.30. Salgo nella sua stanza e concordiamo di vederci per la cena.
Varanasi, dintorni. Mani di mendicanti che sporgono dalla recinzione nella zona archeologica di Sarnath.
24 febbraio 2015
Stamattina è partita anche Alina, la ragazza di Simone. Si è spostata a Rishikes, in un luogo di montagna dove stazionano diversi sadhu e sono presenti diversi centri di meditazione e yoga. Ieri sera abbiamo cenato insieme con un picnik sulle rive del Gange: polpette e frittelle vegetariane bagnate con una Pepsi a testa. Ci siamo, poi, fermate lungo i viottoli a berci uno yoghurt dalla ciotola in terracotta che utilizzano qui come usa e getta. Ci siamo spostate, quindi, al Chausatti Ghat: io mi sono seduta sulla gradinata mentre lei ha noleggiato una barca per portare al largo la composizione di fiori e la candela accesa da offrire a Madre Ganga. C’è un gran silenzio qui, sul ghat: per un attimo mi prende una forte suggestione. Mi sembra di sentire la voce di mia madre che mi chiama in un modo che solo lei sapeva fare: è soltanto un attimo, poi tutto fugge via insieme allo scorrere delle acque del Gange.
Varanasi, banchetti nuziali sulle rive del Gange.
25 febbraio
Oggi, nella tarda mattinata sono andata a camminare lungo i ghat. Ho raggiunto il Manikarnika Ghat, il grande ghat delle cremazioni che sta a nord della città. A Varanasi arrivano continuamente funerali e nei due ghat, nel piccolo Harishchandra e nel grande e antico Manikarnika bruciano le salme senza sosta. E’ una procedura vissuta con naturalezza qui, il passaggio dalla vita alla morte: si svolge assieme a canti, rituali, vendita di cibi e oggetti ricordo, commercio di legname per le pire, finte guide a caccia di turisti da truffare. Mentre camminavo poco fa, tra guru seduti sui tavoloni appoggiati sulla riva del Gange che mi facevano cenno di avvicinarmi a loro e sedermi accanto per ricevere il segno rosso in fronte del good karma, pensavo alla dimensione elastica che prendono i rapporti durante il periodo in cui viaggio. Sono relazioni amicali spontanee e anche intense nel momento in cui le vivo, ma poi, ognuno segue la sua via, in libertà, a volte senza vedersi più. Non c’è nulla di stabile e ti devi ricomporre e ridefinire in continuazione. Mentre me ne sto seduta a scrivere su una specie di panchina, all’esterno di un tempietto, non lontano dal Manikarnika Ghat passa veloce un funerale. La salma, avvolta in un telo coloratissimo, viene trasportata su una portantina di bambù ricoperta di fiori. Il funerale è accompagnato dalle voci dei parenti che cantano e recitano dei charma induisti. Riprendo il cammino, esco dal viottolo, mi immetto sulla strada principale e incrocio un altro veloce e sereno funerale. Torno a Godaulia, pranzo al solito ristorantino dove cucinano il dhal senza spezie e torno verso la guest house. Mi fermo dal calzolaio di strada per farmi cucire uno strappo alle ciabatte. Lì accanto c’è Raul, uno dei bramini della mia guest house. Mi parla del clima di Varanasi: qui fa molto freddo soltanto dalla fine di novembre a gennaio, la primavera dura soltanto un mese, febbraio, ed è il periodo dell’alta stagione, poi arriva il caldo torrido che raggiunge delle temperature che s’aggirano intorno ai 45 gradi ed anche più.
Varanasi, pranzo nuziale sul Gange.
25 febbraio
Mi sono svegliata più presto del solito e sto tornando a camminare sui ghat. Mi siedo tra gli ombrelloni composti da svariati pezzi di stoffe logore, ma ancora coloratissime che animano il Dashashwamedh Ghat. Rimango su un tavolone assieme a un guru, ma di spalle per evitarne l’approccio e la richiesta di denaro. Con la coda dell’occhio lo osservo mentre esegue un rituale, la puja, per una coppia e poi si prende l’offerta. Vuole parlarmi: mi chiede la nazionalità e mi dice che è un bramino. Gli chiedo come mai non è rasato e non ha il codino, ma non mi risponde. Ho appena terminato di leggere l’ultimo libro di Elena Ferrante sul mio e-book e mi dirigo verso la parte nord dei ghat, oltrepassando il Manikarnika Ghat delle cremazioni. Lungo il percorso ritrovo il tempietto Nepalese, e dopo il Manikarnika finalmente riesco ad individuare la piscina che secondo la leggenda, Shiva ha scavato con le mani per cercare l’orecchino che Parvati, sua moglie, aveva perso. Tutto il lungo fiume è percorso da palazzi sfarzosi, molto affascinanti, un po’ baroccheggianti. Ci sono anche degli alti edifici poveri che paiono costruiti di mattoni fatti con la terra che trasporta il fiume. Sulla riva ci sono gruppi di donne che si bagnano il viso con l’acqua del Gange, altre che si rivestono dopo il bagno, uomini che riempiono le loro taniche con l’acqua del fiume sacro per portarsela a casa. Osservo incuriosita un ragazzo e una donna che calano delle corde nel fiume come se pescassero. Invece stanno soltanto raccogliendo, con delle grosse calamite legate alla corda, le monete che i pellegrini offrono al Gange. Vado molto oltre il Manikarnita Ghat e poi esco imboccando le minuscole stradine della città vecchia. In genere, come ho già fatto altre volte, seguo il percorso delle persone, ma un anziano indiano mi si affianca e mi chiede dove stia andando. “Nella Main road” gli rispondo! E lui mi dice che non è corretto seguire la gente, che questa va dove vuole e si offre di accompagnarmi in quanto sta andando anche lui lì. Arrivati alla strada principale, che riconosco subito, naturalmente mi chiede con insistenza dei soldi. “10 rupie, non hai 10 rupie”? Sono pochi soldi per noi occidentali, ma io provo un senso di fastidio per questa strategia di chiederti soldi.
Varanasi, l’ingresso al Dasaswamedh Ghat.
26 febbraio
Sono al Dr. Rajendraprasad Ghat, poco più su del Dashashwamedh Ghat seduta su un tavolone tra il brusio delle voci dei pellegrini, i sadhu che gironzolano da un ghat all’altro, i guru che attendono fedeli per i rituali all’ombra dei coloratissimi ombrelloni di bambù, rivestiti di stracci. Sono immersa tra i poveri che ogni tanto si avvicinano con le loro ciotole d’acciaio per chiedere insistentemente l’elemosina e tra i bagnanti maschi quasi nudi che si insaponano dalla testa ai piedi per poi immergersi nell’acqua del Gange. Le donne che fanno il bagno nel Gange sono rare e s’immergono sempre vestite. A sovrastare i mormorii e i piccoli rumori arriva la voce di un altoparlante posto là in alto, che trasmette discorsi e musiche della religione indù. Oggi ho comprato un quotidiano locale, “The Times of India” che parla della scarsità d’acqua a Delhi durante il periodo estivo, degli incontri dei politici con i governatori pakistani e con un percussionista giapponese; in terza pagina c’è la descrizione di una disputa tra famiglie di religione induista e musulmana per delle terre situate nella città di Kushinagar. La questione si conclude con l’intervento della polizia e con l’arresto di alcuni musulmani. Il quotidiano contiene molta pubblicità di auto, moto Honda, dentifricio Pepsodent, abiti femminili tradizionali, calzature e borse da viaggio, proposte di viaggi e vacanze in hotel di lusso, immagini di arredi e tipologie abitative rivolte a persone benestanti. Tra gli annunci pubblicitari c’è la recensione di un libro su madre Teresa di Calcutta. Se ho ben compreso, l’autore afferma che madre Teresa non si definiva un’operatrice sociale, ma riteneva che il suo ruolo fosse quello di salvare le anime dall’odio. Poi, l’articolo si sofferma su un quesito che si chiede se madre Teresa prendeva le vittime della povertà per convertirle al Cristianesimo oppure se sia stata davvero la “santa degli slums” dove migliaia di credenti e non credenti trovavano assistenza e protezione. L’ultima pagina del quotidiano si occupa dello sport: in particolare del cricket, del calcio e del tennis e si sofferma su un articolo che rimane l’unica notizia internazionale: riguarda il ritorno all’England di un certo Luis Suarez che arriva lì dopo esser passato dal Liverpool al Barcellona (sempre se ho ben compreso). Il giornale si chiude con i programmi televisivi del giorno, la pubblicità di un computer portatile, le foto di stelle e divi del momento. Regalo il giornale ad un negoziante di strada che difficilmente lo leggerà, ma certamente lo utilizzerà per avvolgere la sua merce. Arrivata all’altezza del Sri Brihaspati temple, sulla Main road, solitamente deserto, inaspettatamente c’è un gran affollamento di pellegrini proprio fin lassù, sopra le scale. Mi tolgo le scarpe e i calzini e salgo anch’io. Ci sono due file distinte, una per gli uomini e l’altra per le donne, ma entrambe arrivano al sacerdote, che dà la benedizione e riceve l’offerta dai pellegrini che arrivano da direzioni diverse. Un gruppo di donne se ne sta accovacciata per conto proprio a preparare una puja, un rituale. Scatto qualche foto anche se un ragazzino mi dice che è vietato e scappo verso il solito mio ristorantino di Godaulia o Godonia. Il cameriere dalla faccia truce oggi non ha la bandana in testa. Mi porta una nuova salsa e poi della cipolla da aggiungere al dhal. Rifiuto la cipolla e lui scompare: spero non si sia offeso!. Mentre spezzo il chapati, il pane indiano, entra una coppia di francesi assieme ad una guida indiana. L’uomo scatta una foto dietro l’altra alla sua donna; li saluto con un sorriso, ma non incoraggio il dialogo. Ho incontrato diversi turisti francesi ed anche molti spagnoli in questi giorni, ma non mi va ancora di parlare con gli europei. Preferisco passeggiare, salutare gli indiani con il loro namaste, leggere, guardare le mail e gli sms, chattare e scrivere. Sto anche molto tempo nella terrazza della mia Brahamdev guest house, a leggere e a scrivere, ma anche a guardare il panorama che si affaccia sui tetti e lungo il grande Gange.
Varanasi, camminando lungo i ghat.
27 febbraio
Oggi al Dashashwamedh Ghat c’è un via vai di matrimoni. Un bramino con il cordone beige a tracolla, ma senza codino, mi spiega che è iniziata la stagione estiva con il suo periodo delle nozze che proseguirà fino ad aprile. Nei mesi invernali e nel periodo delle piogge non ci sono matrimoni, aggiunge. Secondo quanto mi racconta questo bramino, gli sposi prima vanno al Tempio della Madre, l’edificio che si affaccia proprio qui sul ghat e poi scendono al Gange per il rituale del matrimonio. Le informazioni che raccolgo riguardo alle tradizioni a volte sono contraddittorie tra di loro, ma le riporto sempre come mi vengono riferite dalle persone che incontro. I matrimoni qui in India rappresentano un momento importante nella vita sia per famiglie degli sposi sia per la nuova coppia. Il matrimonio avviene con la celebrazione di uno o più rituali di buon auspicio, preceduti da una serie di incontri tra i maschi delle due famiglie. Qui a Varanasi, qualcuno mi dice che il giorno dopo che la sposa ha dormito a casa del marito c’è la visita alla Madre Ganga, cioè al fiume sacro, con la celebrazione della puja. Le spose arrivano con il capo ricoperto da un pesante velo rosso con dei ricami dorati e indossano un mantello rosso anch’esso ricco di decorazioni. Paiono intimidite e si nascondono completamente all’interno del velo. Hanno le braccia e le mani dipinte con composizioni floreali fatte con l’hennè: i piedi, sono decorati con un reticolo geometrico sopra e sulla pianta in tinta unita. Sulle braccia portano numerosi bracciali ed anche il viso, il naso, le orecchie, le caviglie e le dita dei piedi sono ricolme di gioielli. Gli sposi portano un turbante rosso sul capo, a volte indossano un abito tradizionale con casacca lunga, spacchi laterali e scarpe a punta rivolta all’insù, ma spesso vestono all’occidentale, portando solo il turbante rosso in testa. Anche lo sposo ha i piedi decorati con l’henna, a volte con lo stesso motivo a reticolo della sposa, a volte con soltanto il fondo rosso della pianta dei piedi. Il marito sembra tenere la sposa al guinzaglio e pare tirarla attraverso una lunga sciarpa colorata, a volte gialla, o bianca e anche rosa, con la quale la tiene legata attraverso un nodo stretto sul mantello rosso di lei. Chiedo ad alcune coppie la loro età: s’aggira tra i 22 anni di lei e tra i 26 – 28 per lui, anche se di sera, mentre sto seduta sulla scalinata del Chausatti Ghat a cenare con le melanzane impanate e le polpette di verdura, un ragazzo di 21 anni che sta facendo volantinaggio per un concerto mi racconta che è sposato da tre mesi. Durante questo viaggio di quattro mesi in India, incontrerò altre situazioni di matrimoni combinati tra sposi giovanissimi. Qui a Varanasi, in questo periodo c’è un continuo via, vai di sposi che scendono al Gange insieme ai parenti: le donne di famiglia hanno il ruolo di preparare e poi celebrare un rituale specifico, composto da disegni che tracciano sul selciato, da fiori, candele, incenso, riso e mantra recitati. Qualcuno, spesso, mette una collana di fiori gialli attorno al collo degli sposi e a volte anche di qualche invitato. Alcuni gruppi nuziali consumano una specie di pic-nick sulle rive della Madre Ganga: le donne aprono sporte con vivande, scoperchiano pentole, distribuiscono piattini di carta e cibi: è il pranzo nuziale che precede o segue a volte un breve giro in barca da una riva all’altra del Gange, trascinando sull’acqua delle corde con tanti fiori freschi attaccati sopra. Secondo il racconto raccolto oggi, il corteo nuziale si sposta fino alla casa del marito e tutto finisce lì.
Varanasi, coppia di sposi alla preghiera al Gange.