Varanasi, 2 marzo 2019

Mattinata tranquilla, seduta al tepore del Chausati ghat, alle prese con l’aggiustamento del top, un lavoro inutile, che sta arrivando alla fine. C’è Sonu là sotto: sta disteso sulla sua barca più grande, all’ombra del nuovo tettuccio, formato da due sarees coloratissimi, tenuti su con quattro pali. Alle 14:00 incontrerò Edoardo, l’amico di mio figlio, al Kedar ghat e andremo a pranzo insieme da quelle parti. Poco prima di di arrivare là, c’è un indiano che sta addestrando un grosso gallo facendolo andare su e giù per una scalinata. Più avanti, due sadhu stanno beatamente distesi nella loro tenda, a fumare chissà che cosa e ad ascoltare musica.

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Sadhu sul dondolo.

Altri due si stanno dondolando sulla grande tavola appoggiata alle corde legate ai pali. E’ l’ora del pranzo e due baba qui al Kedar ghat stanno pranzando sotto una tenda sventolante montata su un’altura. Edoardo non è ancora arrivato. Vedo sul cellulare che mi ha chiamata, ma qui c’è un tal frastuono che copre qualsiasi altro suono.

pranzo tenda Kadar

Pranzo in una tenda del Kedar ghat.

Mi siedo su una panca ad aspettarlo: arriva una famiglia del Rajasthan a chiedermi di fare un selfie, poi, si ferma un indiano e mi tocca i piedi come fossi una dea. Mi guardo intorno: non c’è la solita ressa di gente né a fare i bagno nè per le puja. Sembra siano quasi tutti appena andati via. Ci sono sempre i cani che corrono avanti e indietro, qualche bufalo di passaggio, diversi montoni e molte caprette che vivono stabilmente qui. Questi ultimi, girano per le scale e sulle alture, sempre in cerca di cibo.

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Montoni e caprette del Kedar ghat.

In parte, legata ad una gabbia di metallo, c’è la solita scimmietta: vorrei tanto tagliare quella corda per liberarla. Tutto è tranquillo, a parte la voce rindondante dell’altoparlante appeso in alto, ad un palo. In un attimo l’atmosfera si anima! “Che succede!” penso tra me e me. Oh, sta passando un sadhu del gruppo che si veste soltanto di bacche. Questo porta anche un grosso turbante, sempre di bacche, sul capo ed ha al seguito una specie di servitore vestito di arancione. Ce ne sono diversi, di sadhu, vestiti in questo modo, e fanno riferimento ad un guru e al suo pensiero. Ogni bacca, mi dice qualcuno, rappresenta una lacrima di Shiva. Intorno a questo divo si forma subito un gruppo di ammiratori. Lui, distribuisce carezze, benedizioni, porge la mano e posa sorridente per i selfie.

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Un sadhu vestito di bacche.

Dopo il pranzo al Kedar ghat, Edoardo e io, incontriamo Maria Tavernini, la ragazza di Napoli che lavora come giornalista per diverse testate. Lei, scrive, in particolare, degli articoli sull’India e trascorre diversi mesi qui, insieme al suo compagno fotografo. D’estate gestiscono un ristorante a Napoli, sulla riva del mare. Lungo i ghat, Edoardo ci mostra un altro ashram, dove, ogni giorno, alle 14:00 offono il pranzo a tutti quelli che si presentano. Ci sono così tanti posti a Varanasi, ma in tutta l’India, dove si può mangiare gratuitamente e con dignità.  Io, non riesco a capire come mai ci sia ancora tutta quella gente per le strade che chiede l’elemosina, portandosi la mano alla bocca per indicare che ha fame.

sadhu bacche

Il sadhu vestito di bacche mentre distribuisce benedizioni.

Maria ci racconta delle tematiche dei suoi ultimi articoli che riguardano la situazione critica dei rapporti tra India e Pakistan, e sulla zona devastata dalle demolizioni intorno al Manikarnika ghat e al Wishwanath Temple. Ci parla anche di un reportage che sta ultimando, insieme al suo compagno Andrea de Franciscis, fotografo, sulla terribile siccità che ha colpito il Panjab in questi ultimi anni. Il Panjab è una regione vicinissima al confine con il Pakistan, con una lunga storia ricca di avvenimenti e tradizioni culturali. Mi stupisce il fatto che, nel 326 a.C., Alessandro Magno sia penetrato, con il suo esercito, nella parte Nord di questa regione. Edoardo, invece, ci racconta della sua ricerca di dottorato sulle prostitute di Varanasi e, nei prossimi giorni andremo insieme a visitare quel quartiere.

Varanasi, 1 marzo 2019

Al Chousati ghat stamattina c’è un gruppo di pellegrini del Bihar. Sono da poco passate le 10:00 e loro, dopo il bagno, stanno facendo colazione.

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Colazione del mattino al Chousati ghat.

Li guardo perchè stanno usando una mano per contenere il riso bollito e le dita dell’altra per portarlo alla bocca. Qui, in India, tutti mangiano con la mano destra, anche nei ristoranti. Per prima cosa, mescolano il dhal e le altre salse con la mano destra , muovendola in senso rotatorio finchè ne formano un miscuglio. Poi, a mucchietti se lo mettono in bocca. Mangiano in modo velocissimo, lasciando il piatto pulito. Mentre me ne sto seduta a scrivere degli appunti, si ferma un gruppo di indiani di Jind, una cittadina dello Stato dell’Haryana. Non parlano l’inglese, ma vogliono sapere che cosa sto scrivendo. Dico loro, a gesti, che scrivo quello che vedo indicando i miei occhi, la gente e il quaderno. Poi, si ferma, davanti a me, un ragazzo di Chhatarpur, nel Madhia Pradesh. “Taxi” mi dice mostrandomi le chiavi della macchina che tiene in mano per farmi capire che è un taxista. Tutti gli indiani hanno sempre tanta voglia di comunicare, e, in un modo o nell’altro, ci riescono. Certo, con quelli che parlano l’inglese riesco a ricevere più informazioni, ma dovrei fare io lo sforzo di prendere qualche lezione di hindi per capire di più questo popolo. Mi metto a sferruzzare per sistemare il top che ho in parte disfatto. Le donne straniere, in genere, mi guardano sorridendo. Le indiane rimangono per lo più indifferenti per il lavoro a maglia che qui, in generale, non è molto praticato. Soltanto qualche indiano mi guarda un po’ incuriosito.

canti e danze sotto un tendone

Canti e danze di donne sotto una tenda.

Tra questi, si ferma ad osservarmi un medico di Coibatore, una città che sta nei pressi di Chennai. Lui, alterna il suo lavoro di medico nella sua città con lunghi soggiorni qui, a Varanasi e non sa per quanto tempo ancora rimarrà quassù. Sulla scalinata si ferma poi un sadhu che lavora all’ashram del Shiva ghat. Mi riconosce per avermi vista a pranzo là qualche giorno fa. Approfitto della mediazione di Sonu, il mio amico barcaiolo, per capire come funziona quell’ashram.

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Con le donne dell’Andra Pradesh, mentre tendono i sarees perchè si asciughino.

All’interno vi possono soggiornare soltanto i sadhu e gli indiani, ma la mensa è aperta e gratuita per tutti. Ci sono però degli orari da osservare sia per i pasti: dalle 12:00 alle 13:00 e dalle 20:00 alle 21:00. Ecco il motivo per cui ieri, alle 14:00 non c’era più la possibilità di pranzare! E anche il giorno prima ero arrivata circa a quell’ora ed era stata una cortesia farmi pranzare.

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La mensa dell’ashram al Shivala ghat.

Decido di andare anche oggi verso la direzione dell’ashram: voglio vedere ancora quel che succede. Al Mansarowar ghat, c’è una grande famiglia di Hilderabad, nell’Andra Pradesh, che sta tenendo tesi dei bellissimi sarees gialli per farli asciugare. Tutti i componenti del gruppo sono dei negozianti di tessuti. Hanno viaggiato due giorni in treno per arrivare a Varanasi e ora alloggiano in una guest house, qui vicino.

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La mensa al Shivala ghat.

Mi chiedono delle informazioni su di me: sull’età, sul lavoro che svolgevo, sul marito, sui figli e sui nipoti. Le loro curiosità sono sempre molto concentrate sulla famiglia. Proseguo il mio cammino quotidiano e vado a sedermi sulla scalinata del Shivala ghat.

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Distribuzione del cibo alla mensa dell’ashram.

Quando la porta si apre per far uscire qualcuno, verso le 13:00, entro insieme a due o tre sadhu. L’atmosfera è festosa, piena di bambini, di gente comune e di sadhu. Dei personaggi vestiti di bianco e altri di giallo, molto eleganti osservano la situazione. Mi preoccupo di scattare qualche foto e la gente già accovacciata, si meraviglia del fatto che non mi stia preoccupando del pranzo.

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La mensa al Shivala ghat.

Mi chino su una specie di stoia, sistemata a lato del porticato, accanto a un indiano. Oltre la stuoia, sulle pietre, ci sono i segni di pasti già consumati. Faccio fatica a stare seduta con le gambe incrociate e quando non ne posso più mi metto in ginocchio. Il cibo è buonissimo e abbondante. Ragazzi e adulti, tutti maschi, passano continuamente con i secchi di riso, dhal, yoghurt salato e acqua da dare a chi ne vuole ancora.

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Aspetti della mensa all’ashram del Shiva ghat.

Passa un sadhu elegante a distribuire dei soldi e porge anche a me una banconota da 50 rupje, circa 0,60 centesimi di euro. In un attimo tutto si svuota e iniziano le pulizie di pavimenti e pentole, la raccolta dei piatti, il riavvolgimento delle stuoie. Verso le 14:00, mentre sto uscendo dall’ashram, entra una coppia di giovani spagnoli, ma la mensa, ormai, è chiusa.

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Mendicante di passaggio.

Torno a sedermi sulla gradinata esterna al palazzo. Arriva la coppia di Parma che avevo incontrato ieri al Chousati ghat. La signora mi saluta chiamandomi per nome. Si ricordava di me per il fatto che viaggio da sola, un’esperienza che vorrebbe tentare anche lei, insieme al marito.

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Incontri tra le tende nei pressi dell’Harishchandra ghat.

Tornando verso la guest house mi fermo alla tenda dell’artista croata. Lì, in disparte, sta seduta un’anziana mendicante che si mette in posa per farsi fotografare e poi mi chiede dei soldi. La croata mi spiega la ragione per cui i sadhu portano una bacca infilata ad uno spago e appesa al collo. Questa bacca rappresenta una lacrima di Shiva. Ricordo che il mio amico baba del tamburello me ne aveva regalata una, proprio così, tempo fa, ma io ne conosco soltanto ora il significato. La sadhu mi parla della sua scelta, avvenuta dopo la morte del marito nel 2003.

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La terrazza dell’ashram.

Ora ha 49 anni e dice di aver trovato il “Dharma”, la giusta via, grazie alla meditazione e agli insegnamenti del suo guru, un sadhu che ora sta riposando su una brandina, lì accanto. Lei si chiama Vanesa Milosic, è un’artista e dipinge in particolare i volti delle persone. Dal mio cellulare riesce a recuperare qualche immagine dei dipinti che ha esposto in una mostra nell’estate del 1999, in Croazia. Questi sono volti di donne indiane, tutte con il capo coperto da coloratissimi veli. Vanesa, dopo Varanasi, dovrebbe andare con il guru e  conquelli che chiama i suoi fratelli nei pressi di Jawali, in un ashram di un villaggio agricolo.

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La terrazza dell’ashram vista dal Shivala ghat

Jawali sta nel Kangra district, nell’Himachal, ed è conosciuto per i suoi edifici storici . Lì c’è anche un tempio, molto frequentato dalla gente dei dintorni che va e viene in giornata.