Mattinata tranquilla, seduta al tepore del Chausati ghat, alle prese con l’aggiustamento del top, un lavoro inutile, che sta arrivando alla fine. C’è Sonu là sotto: sta disteso sulla sua barca più grande, all’ombra del nuovo tettuccio, formato da due sarees coloratissimi, tenuti su con quattro pali. Alle 14:00 incontrerò Edoardo, l’amico di mio figlio, al Kedar ghat e andremo a pranzo insieme da quelle parti. Poco prima di di arrivare là, c’è un indiano che sta addestrando un grosso gallo facendolo andare su e giù per una scalinata. Più avanti, due sadhu stanno beatamente distesi nella loro tenda, a fumare chissà che cosa e ad ascoltare musica.
Sadhu sul dondolo.
Altri due si stanno dondolando sulla grande tavola appoggiata alle corde legate ai pali. E’ l’ora del pranzo e due baba qui al Kedar ghat stanno pranzando sotto una tenda sventolante montata su un’altura. Edoardo non è ancora arrivato. Vedo sul cellulare che mi ha chiamata, ma qui c’è un tal frastuono che copre qualsiasi altro suono.
Pranzo in una tenda del Kedar ghat.
Mi siedo su una panca ad aspettarlo: arriva una famiglia del Rajasthan a chiedermi di fare un selfie, poi, si ferma un indiano e mi tocca i piedi come fossi una dea. Mi guardo intorno: non c’è la solita ressa di gente né a fare i bagno nè per le puja. Sembra siano quasi tutti appena andati via. Ci sono sempre i cani che corrono avanti e indietro, qualche bufalo di passaggio, diversi montoni e molte caprette che vivono stabilmente qui. Questi ultimi, girano per le scale e sulle alture, sempre in cerca di cibo.
Montoni e caprette del Kedar ghat.
In parte, legata ad una gabbia di metallo, c’è la solita scimmietta: vorrei tanto tagliare quella corda per liberarla. Tutto è tranquillo, a parte la voce rindondante dell’altoparlante appeso in alto, ad un palo. In un attimo l’atmosfera si anima! “Che succede!” penso tra me e me. Oh, sta passando un sadhu del gruppo che si veste soltanto di bacche. Questo porta anche un grosso turbante, sempre di bacche, sul capo ed ha al seguito una specie di servitore vestito di arancione. Ce ne sono diversi, di sadhu, vestiti in questo modo, e fanno riferimento ad un guru e al suo pensiero. Ogni bacca, mi dice qualcuno, rappresenta una lacrima di Shiva. Intorno a questo divo si forma subito un gruppo di ammiratori. Lui, distribuisce carezze, benedizioni, porge la mano e posa sorridente per i selfie.
Un sadhu vestito di bacche.
Dopo il pranzo al Kedar ghat, Edoardo e io, incontriamo Maria Tavernini, la ragazza di Napoli che lavora come giornalista per diverse testate. Lei, scrive, in particolare, degli articoli sull’India e trascorre diversi mesi qui, insieme al suo compagno fotografo. D’estate gestiscono un ristorante a Napoli, sulla riva del mare. Lungo i ghat, Edoardo ci mostra un altro ashram, dove, ogni giorno, alle 14:00 offono il pranzo a tutti quelli che si presentano. Ci sono così tanti posti a Varanasi, ma in tutta l’India, dove si può mangiare gratuitamente e con dignità. Io, non riesco a capire come mai ci sia ancora tutta quella gente per le strade che chiede l’elemosina, portandosi la mano alla bocca per indicare che ha fame.
Il sadhu vestito di bacche mentre distribuisce benedizioni.
Maria ci racconta delle tematiche dei suoi ultimi articoli che riguardano la situazione critica dei rapporti tra India e Pakistan, e sulla zona devastata dalle demolizioni intorno al Manikarnika ghat e al Wishwanath Temple. Ci parla anche di un reportage che sta ultimando, insieme al suo compagno Andrea de Franciscis, fotografo, sulla terribile siccità che ha colpito il Panjab in questi ultimi anni. Il Panjab è una regione vicinissima al confine con il Pakistan, con una lunga storia ricca di avvenimenti e tradizioni culturali. Mi stupisce il fatto che, nel 326 a.C., Alessandro Magno sia penetrato, con il suo esercito, nella parte Nord di questa regione. Edoardo, invece, ci racconta della sua ricerca di dottorato sulle prostitute di Varanasi e, nei prossimi giorni andremo insieme a visitare quel quartiere.