Varanasi, 8 marzo 2019

Stamattina, camminando sul lungo fiume e andando nella direzione dell’Assi ghat incontro Jil, il canadese conosciuto qualche anno fa qui in India. Quando ci siamo salutati l’ultima volta, lui stava tornando in Canada per un lavoro di scenografo. Invece, è andato là soltanto per una decina di giorni, il tempo di curarsi un’epatite, e poi è tornato in India, lasciando perdere la proposta di lavoro. Il suo visto è valido per un anno e scade alla fine di maggio. Jil ha 60 anni e dovrà attenderne ancora cinque per avere diritto alla pensione sociale che in Canada s’aggira sui 1200 dollari al mese.

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Donna con il suo gallo davanti alla loro abitazione. Interni del Shivala ghat.

Poco prima del Kedar ghat ci separiamo: Jil sale la scalinata e entra nella città vecchia per andare a prendersi un cjai, mentre io proseguo nella stessa direzione di prima. Al Kedar ghat c’è il solito baba appollaiato su un’altura, con l’ombrello aperto per ripararsi dal sole. Con una mano suona il tamburello e con l’altra tiene l’ombrello e distribuisce benedizioni, in cambio di un’offerta. Seduta sui gradini, di fronte a lui, sta una mendicante, annoiata, con un bambino, di circa due anni, in braccio. Il bambino, pur così piccolo, si accorge che sto scattando loro una foto e avverte la madre che subito rientra nel suo ruolo di chiedere soldi. Mi siedo al Shivala ghat. Il sadhu, quello con cui parlo di più, che vive qui sopra, nell’ashram , mi racconta che è di Haridwar, ha 69 anni ed ha una buona salute. Però, ravvisa i segnali della decadenza nel calo dell’udito e della vista e mi dice che la bella stagione della vita è ormai passata. Riprendo il cammino e all’altezza del Bhadaini ghat incontro l’indiano vestito di blu che gira con un enorme catafalco sulla testa. Mi abbraccia , vorrebbe che scattassi un selfie con lui, ma sono tutte strategie per chiedere dei soldi. Gli dico che l’ho già fotografato altre volte, mi libero dal suo abbraccio e mi allontano dalla puzza di sudore che emana. Una spazzina seduta su un rialzo guarda la scena e ride divertita.

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Janki ghat, 8 marzo 2019. Il riposo della spazzina.

Arrivo all’Assi ghat: qui c’è poca gente! C’è soltanto qualche gruppetto, seduto all’ombra degli alberi sacri e sotto le logge che sta chiacchierando e oziando. Diverse donne e dei bambini mi chiedono l’elemosina portando la mano alla bocca con il gesto disperato della fame. “E’ assurdo” penso” con tutti i posti dove offrono il cibo gratuitamente!” Sotto uno degli alberi sacri c’è un giovane australiano vestito da sadhu che sta parlando con un anziano guru.

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Il guru dell’Assi ghat.

Io sono seduta nella loggia accanto, appoggiata con la schiena ad una colonna. Passa una mandria di bufali che se ne va tranquilla sulla spiaggia più su. Due uomini stanno appendendo delle bandiere dell’India a dei pali. Mi dicono che ci sarà un evento sulla qualità della vita, alle 14:00. Mi avvicino all’albero sotto il quale sta seduto il guru. Scopro che il ragazzo australiano ha 27 anni, è carpentiere e sta valutando la scelta di diventare sadhu. Il guru si chiama Amrit Netra, ha 77 anni ed è nato il 29 aprile 1942, a Pondicherry, da una famiglia benestante. Si capisce subito che è una persona molto colta. Parla un inglese con un perfetto accento britannico: lo ha appreso dal suo educatore, quando era piccolo. Ha lavorato per i governi del Canada, Algeria, Arabia del Sud, Australia ed è diventato sadhu a 50 anni. Non ha figli e non si è mai sposato.

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Il guru Amrit Netra.

Ha viaggiato anche in Iran, Iraq, Pakistan, Nord Africa. In Italia ha visitato: Firenze, Roma, Palermo, Messina. Trascorre diversi mesi a Mysore e a Gokarna, nelle grotte. Mi mostra il libro che sta leggendo: “Griminus” di Salman Rushdie. Ci lasciamo scambiandoci subito l’amicizia su Facebook.  Da lì, meno di un mese più tardi, apprenderò la notizia della sua morte. Attraverso il nucleo abitato che ruota intorno all’Assi ghat dove incontro un ragazzo indiano che conosco da tempo. Si chiama Sadhu e lavora come dipendente in una fabbrica di sarees. Qualche anno fa aveva un negozio, ma con la crisi sopravvenuta in seguito alle demolizioni, nella zona adiacente al Vishwanath Temple, sono calate le vendite e ha dovuto chiudere. Sadhu mi accompagna nel quartiere islamico, dove sta la sua fabbrica: ma è ancora l’ora della preghiera e molti dei 71 dipendenti sono musulmani. Quindi, la fabbrica, non si può visitare in questo momento. Sempre in quella zona incontro un’altra vecchia conoscenza. Un giovane indiano che qualche anno fa aveva aperto una guest house. Lo ricordo pieno di entusiarmo e vestito elegantissimo, ma ora la guest house è chiusa e lui è rimasto senza lavoro.

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Shivala ghat, 8 marzo 2019. Il porticato abitato dell’ashram.

Dalle gali dell’Assi ghat , restando nella città vecchia, raggiungo, dal retro, l’ashram del Shiva ghat. E’ affollatissimo di bambini e adulti e il cibo è buonissimo.

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L’ora del pranzo alla mensa dell’ashram.

Rientro in guest house attraversando l’abitato di Kedar. C’è il solito bambino che vende la verdura esposta a ridosso di una parete. Avrà forse dieci anni e sta seduto con le gambe incrociate. Mi dice che non è mai andato a scuola e il venditore di fronte me lo conferma.

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Bambino verduraio di Kedar.

Più su, a Bangali Tola, sempre sulla gali, incontro un gruppo di ragazzini musulmani che stanno trascorrendo la pausa pranzo sul viottolo.

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Gruppo di studenti islamici nei pressi di Bangali Tola.

La loro scuola sta lì accanto.

Varanasi, 7 marzo 2019

Andando verso l’Harishchandra ghat, in una tenda, c’è un venditore di miele. Lui vive al di là del fiume, nella parte dove ci sono i boschi: là alleva le api e produce il miele. Me ne mette un po’ sul palmo della mano per farmelo assaggiare, ed è squisito. Non ho con me un contenitore dove metterlo e nemmeno lui ne è provvisto. E’ un incontro talmente extemporaneo che difficilmente avrò modo di ritrovare ancora. Mentre anche gli altri sadhu porgono la mano per l’assaggio, io guardo la disposizione degli arredi e dei cibi nella tenda.

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Apicoltore mentre cerca di vendere il suo miele in una tenda di sadhu.

La dispensa, gli utensili che riguardano la cucina, le immagini appese, i tappeti e le coperte distese sulle pietre. E ammiro anche la spontanea accoglienza di questa gente. Alla scalinata del palazzetto dei barcaioli c’è il mio amico venditore di collane. Ha promesso che mi riparerà una serie di bracciali e collane che ho portato dall’Italia. E’ passato oltre un mese, ma c’è sempre un motivo per rimandare. E nemmeno oggi si sente in forma! Alla fine, riporterò il tutto in Italia, così com’è. Quando attraverso l’Hanuman ghat sono da poco passate le 11:00 e la mensa è già in funzione. Anzi, un turno di sadhu, forse il primo, ha già terminato il pasto e sta portando il piatto a lavare nelle bacinelle. Oggi non mi fermo a questa mensa, il riso scotto e freddo di ieri mi è bastato! Vado fino al Shivala ghat. Lì, c’è un sadhu che sta dipingendo di rosso il pavimento della sua tenda e, sull’uscio sta scrivendo il suo nome: Harishad.

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La tenda con il nome sulla soglia.

Molte persone si fermano ad ammirare il suo lavoro e lui ne è molto fiero. Più in là, sotto la scalinata, c’è un gruppo di tre mendicanti donne con diversi bambini piccolissimi in braccio e intorno. Due di loro stanno togliendo i pidocchi dal capo delle bambine più grandicelle.

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Shivala ghat, 7 marzo 2019. In lontananza gruppo di donne mendicanti impegnate nella pulizia dei pidocchi dei figli.

Salgo all’ashram verso le 13:00, ma quando vedo i pavimenti bagnati, capisco che è tardi e non chiedo nemmeno se c’è la “cana”. Esco dalla parte opposta al Gange, e m’incammino lungo una gali che ho percorso già diverse altre volte. Attraverso il delizioso mercato di Kedar sempre ben fornito e animato e mi dirigo verso il “Monalisa restaurant” di Bangali Tola.

Attraversando il Kedar

Kedar, 7 marzo 2019.

Qui, al mio tavolo si siedono due fratelli del Panama, un giovane di New York e la loro guida. Si fermeranno a Varanasi soltanto tre giorni e poi visiteranno, velocemente, il Rajashan. La mia ordinazione va un po’ per le lunghe, forse han fatto un po’ di confusione con i nuovi arrivati. Quando il gruppetto con guida se ne va, arrivano tre donne e una ragazzina di Delhi. Sono: una giovane madre con la figlia e due amiche piuttosto anziane. Si fanno portare tre bibite e poi tirano fuori dalle borse un’infinità di cibi: cjapati, yogurt, salse di vario tipo e le versano, forse involontariamente, sul tavolo. L’anziano proprietario del locale, quando vede questa specie di pick-nick sul tavolo, si mette a gridare e loro sono costrette ad andarsene.

pic nic al ristor

Pick-nick al ristorante.

Nel tardo pomeriggio entro nella gali che porta all’Annapurna Temple. E’ una zona ricca di negozi, ma percorso il primo tratto mi riesce troppo difficile proseguire a causa della grande calca di gente e torno indietro. Mi fermo in un negozietto a comprare del the per la colazione, che preparo sempre in camera, con il mio fornellino elettrico.

Vitellino coccole

Vitellino che si coccola lungo i ghat.

Torno sui ghat svicolando tra le gali. Sulle scalinate incrocio diversi sadhu, in partenza, con la borsa sulle spalle. Credo siano partiti anche il mio amico baba dei tamburelli e il divo con gli occhiali da sole perchè non li vedo più da nessuna parte. Poco prima del Manikarnika, verso il Lalita ghat, ci sono i soliti barconi pieni di gente che arriva e che parte. Dalle barche che si allontanano si sentono dei cori che gridano degli slogan con molta allegria.

gruppo donne Maharashtra

Gruppo di donne del Maharashtra.

Sulla scalinata accanto a me si siede un numeroso gruppo di pellegrini di Bombay, nel Maharashtra. Molti di loro portano un cappellino rosso sul capo. Immediatamente piombano sul posto i venditori di cjai e lemon the, collane, immagini sacre, libretti, cartoline, vasetti di rame, marmellate, piattini di fiori, borse e borsette.

gruppo Bihar al Dashashw

Pellegrini del Bihar nei pressi del Dashashwamedh ghat.

Con la frenesia della partenza quasi tutti i pellegrini si affrettano a non perdere gli ultimi acquisti. Ora stanno salendo sul barcone e, prima di partire, alcuni di loro tornano indietro per scattare altre foto e selfie insieme a me. Arriva una barca con un nuovo gruppo, da Napu, nel Maharashtra, che sale la scalinata e si avvia verso il Vishwanath Temple anche se è già sera. Mi avvio verso il Dashashwamedh ghat.

Montoni

La lotta a testate tra due montoni sulla riva del Gange.

All’altezza del Manamandir ghat ci sono due montoni che si stanno dando delle testate fortissime. C’è molta gente che li sta osservando e anche fotografando. Loro, sembrano accarezzarsi, poi, si allontanano e prendono la rincorsa per andare a sbattere testa contro testa.

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La scultura della madre Ganga al Dashashwamedh ghat.

Al Dashashwamedh ghat è esposta, già da ieri, la bellissima statua della”Madre Ganga” con un bambino in braccio, una specie di Madonna. Seduta su una panchina c’è la coppia incontrata ieri al Shivala ghat. Non riusciamo a comunicare, ma la donna mi canta più pezzi delle sue canzoni. Più giù, incrocio i due fratelli di Panama e il ragazzo di New York che stanno andando alla cerimonia della puja serale. Questi, li rivedrò più tardi, da lontano, mentre stanno per entrare in un lussuosissimo ristorante. Al Chousati ghat, Sonu mi racconta di un flirt nato tra un sadhu quarantenne e una turista australiana. E’ strano questo fatto, in quanto la vita dei sadhu dovrebbe essere soltanto spirituale!

Suonatori e traffico nella gali di Bangali Tola

Suonatori e traffico a Bangali Tola.

Mentre sto ascoltando questo strano racconto, si siedono accanto a me due indiani, padre e figlio. Sono di Seoni, nel Madhia Pradesh e rimarranno a Varanasi per due giorni. Il padre ha 49 anni e fa l’agricoltore. Coltiva in particolare il riso e il grano. Il figlio ne ha 20 e studia medicina omeopatica. Ha un fratello, più grande, che studia commercio e in futuro si occuperà della vendita dei prodotti agricoli del padre.

Varanasi, 6 marzo 2019

La mattina, le puje, per gli antenati di famiglia, si susseguono lungo tutti i ghat. Sono le “Pinda puja”, mi dirà fra poco uno dei miei amici sacerdoti, che sta lì su un palchetto.

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Puja per gli antenati al Dashashwamedh ghat.

Al Dashashwamedh ghat c’è un gruppo di bramini del Maharashtra che, con molta cura, sta appallottolando le palline di farina e acqua con le mani. Le palline rappresentano i propri avi. Poi, lentamente, ci mettono, sopra ognuna, dei semini neri, seguiti dai petali di rosa e dai rametti con le foglioline verdi. Le palline sembrano proprio delle persone! Da una grande pentola, il sacerdote, prende il riso cotto e lo sparge sopra le palline insieme allo zafferano. Alla fine, ogni piatto, quasi sempre di foglie, viene contornato da una corona di fiori. Tutto il rituale è accompagnato dai mantra recitati cantilenando dal sacerdote.

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Puja per gli avi della famiglia.

Tutti i familiari maschi degli antenati portano una anello di paglia all’anulare destro e a volte anche a quello sinistro.

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La puja per gli avi di famiglia al Dashaswamedh ghat.

Ci sono due tipi fondamentali di puja, mi spiegherà più tardi il sacerdote: quella che comprende il lingam di Shiva e questa, con le palline, che stanno celebrando ora per i defunti. Durante il festival del Shivaratri ed anche per i matrimoni, le puje riguardano soltanto il lingam.

Primo pomeriggio tenda sadhu

Interno di una tenda di sadhu sul lungo fiume.

Lascio questa zona e mi sposto verso il Kedar ghat. Sul lungo fiume c’è una giovane donna seduta sulle pietre che sta togliendo i pidocchi dalla testa delle sue bambine. Probabilmente sono delle mendicanti locali. Poco prima del Kedar ghat, una coppia matura è arrivata con delle borse piene di banane, altra frutta e diverse verdure. Penso fra me e me: “saranno per una puja!” Invece no, sono degli alimenti che la coppia sta andando a distribuire nelle tende dei sadhu, in quelle allestite nei paraggi.

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Una puja per gli antenati lungo i ghat.

Al Kedar ghat si sta celebrando un’altra puja per i familiari defunti. Questa cerimonia è ancora alla fase della preparazione dell’impasto che va a formare una grossa palla dalla quale poi si otteranno le palline degli antenati. Il sacerdote, qui, è molto giovane e sta usando il microfono per farsi sentire. In questo gruppo solo alcuni portano la corda a tracolla, quella dei bramini. Difatti, tempo fa, mi avevano raccontato che, per questa cerimonia, spesso, più famiglie si riuniscono per dividere la spesa. All’Harishchandra ghat ci sono delle pire che ardono, ma lontane dal passaggio, oggi. Appena dopo il ghat c’è un caprettino nero che bela disperato. Deve essersi smarrito perchè le altre capre stanno più su, sempre sulla stessa scalinata del ghat.

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Animali che vivono all’Harishchandra ghat, vicino alle cremazioni.

Uscendo dall’Harishchandra, proprio sulla riva del fiume c’è un numeroso gruppo di anatre che gira di qua e di là senza sapere dove andare. Lì accanto, due grosse bufale stanno distese, stravvacate.

fine pasto sadhu

La mensa dell’Hanuman ghat.

E’ da poco passato mezzogiorno e all’Hanuman ghat c’è una moltitudine di teste di sadhu che spuntano da sopra la scalinata. Uno di loro mi fa cenno di salire, così, vado a vedere cosa succede lassù. Ci sono diverse file di sadhu e qualche ragazzo, tutti seduti sulle strisce di tela srotolate. Stanno aspettando il pranzo.

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Il pranzo all’Hanuman ghat.

Mi dicono di attendere il prossimo turno per il mio pasto, quando questo gruppo avrà terminato e si libereranno dei posti. Sono molto accoglienti e mi includono subito, con naturalezza, nella loro mensa. In fondo, c’è un anziano indiano, semidisteso su un tavolo e vestito di bianco: probabilmente è il sacerdote del tempio che sta lì accanto.

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Sadhu all’Hanuman ghat.

Mi siedo vicino a due donne sadhu che stanno impastando il cjapati. Formano delle palle che un altro indiano spiana con un mattarellino e poi lo passa al ragazzo della stufa che ne butta alcuni sulle braci e altri sulla piastra. Il cjapati sulle braci si gonfia come una sfera e poi ricade piatto, nella forma che viene servita. La stufa è fatta di vecchi mattoni, ha una specie di finestrella sul retro ed è aperta sul davanti. Dei ragazzi, distribuiscono il riso lesso, il dhal e un’altra salsa. Qui i piatti e le coppette sono d’acciaio. I ragazzi della mensa prendono dell’acqua dalle bacinelle e riempiono delle brocche con le quali vanno a colmare i bicchieri di plastica dei commensali.

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La cucina e la mensa dell’Hanuman ghat.

Ad un certo punto tutti si mettono a cantare: “Hare hare!” Terminato il pasto, ognuno si alza e va a depositare piatto e ciotola in una grossa bacinella, più sotto. Lì, ci sono due ragazzi, addetti al loro lavaggio. Quando qualcuno tra gli organizzatori mi chiede se il pasto era buono rispondo: “Yes, very good!” In realtà, il riso di oggi era molto, molto scotto e freddo. Scendendo la scalinata incontro una mendicante con una bambina che sta pranzando con lo stesso cibo della mensa. Sono i vari templi, quasi tutti dedicati a Shiva, che in ore, giorni o ricorrenze stabilite forniscono il pranzo gratuito a tutti quelli che lo desiderano. Mi sposto e vado a sedermi un po’ sulla scalinata del Shivala ghat. C’è un particolare silenzio qui, in questo momento. Sto leggendo ancora “Guerra e pace” e sono concentrata su un incontro tra Pierre, il principe Andrey e Boris che parlano delle strategie da adottare contro l’invasione dei francesi di Napoleone. Ad un certo punto sento elevarsi una voce di donna che canta una intensa melodia. Mi giro e vedo una coppia, avanti negli anni, seduta poco lontana da me.

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La donna di Jaipur.

La donna non indossa il sari, ma porta soltanto un velo sul capo. Lei, mi sorride, forse imbarazzata, e smette di cantare. Cerco di dirle che è stata bravissima, ma lei continua soltanto a sorridermi. Sono di Jaipur, nel Rajastan, mi informa un altro indiano, da sopra la scalinata.