22 maggio 2015
Arrivo a Dharamsala alle prime luci del giorno, assonnata e stanchissima. Riposo un’oretta nella guest house di LcLeod Gani, il villaggio che dista 4 km dalla città ed è la residenza ufficiale del Dalai Lama e la sede del governo tibetano in esilio. McLeod Gani, verso il 1850 è divenuto un presidio britannico e fino al disastroso terremoto del 1905 è stato la sede del governo coloniale. La cittadina è rimasta abbandonata fino al 1960, quando, in seguito all’invasione cinese del Tibet, il Dalai Lama e il suo seguito ne hanno chiesto asilo politico. Attraverso delle strade in salita e in discesa raggiungo il Tsuglagkhang Complex dove si trova la residenza ufficiale del Dalai Lama: è composto dal Namgyal Gompa, dal Museo Tibetano e dalla Tsuglagkhang, la Cappella Centrale. Nel Museo sono esposte le immagini della invasione cinese nel territorio tibetano ed anche dei cartelloni con la ricostruzione dell’antica storia del governo di questo popolo che risale ai primi secoli A.C. Dharamsala e i suoi villaggi, in particolare quello di McLeod Gani sono divenuti un centro importante per gli studi sulla religione buddhista, per la presenza sia della struttura politica e religiosa sia per il numeroso nucleo di esuli tibetani che vi abitano. Tornando in guest house incontro una ragazza australiana che sta qui a Dharamsala da un anno per studiare la filosofia naturale e spontanea del popolo tibetano. Lei studia filosofia e sta svolgendo questa ricerca soltanto per un suo interesse personale, non rivolto alla tesi di laurea.
Dharamsala, ore 11.00 di una domenica di maggio 2015. Pranzo al Namgyal Gompa del Tsuglagkhang Complex.
Tutti gli spazi del complesso sono affollatissimi per l’ora della preghiera che monaci, profughi tibetani e qualche turista recitano assieme. I tibetani fanno girare continuamente le piccole ruote del mandala che tengono in una delle mani mentre con l’altra sgranano la corona dei mantra.
Lungo la salita che porta allo svicolo dove si diramano le strade che attraversano il villaggio vengo assalita da una signora insistente che fornendomi una lista di nomi mi chiede dei soldi per i profughi tibetani. Le dò 10 rupie e se ne va via indignata, in malo modo, senza nemmeno aggiungere il nome all’elenco di donatori che poco prima mi aveva mostrato. Non avrei dovuto darle niente! Avevo già notato sia sul treno che da Varanasi mi portava a Delhi sia sul pullman per Dharamsala questo modo sfacciato di chiedere l’elemosina. La pretendono come fosse un diritto loro dovuto, con molta abilità. Lo fanno, in genere, delle donne indiane, sorridenti e loquaci, ben vestite nei loro sari colorati.
23 maggio
Dharamsala,artigianato di stampi per henna lungo la strada tra McLeod e Bhagsu.
Raggiungo a piedi Bhansu, il villaggio che sta a 2 km da McLeod Gani. Visito il tempio indù e poi raggiungo la cascata che sta sulla montagna, a circa 2 km dal villaggio. Bhansu, come McLeod Gani sono degli insediamenti turistici nuovi e in espansione, ricchi di negozi, alberghi, agenzie di viaggio. Le stradine sono quasi impossibili da percorrere a piedi per le numerose auto che le attraversano alternandosi nel senso di marcia per poter passare. A Bhansu c’è un tempio induista dedicato a Shiva che risale al XVI secolo; accanto hanno costruito una piscina che utilizza una sorgente di acqua termale. La piscina pare essere frequentata esclusivamente da uomini. I due villaggi, sia quello di McLeod Gani sia quello di Bhansu sono in evidente espansione: si vedono nuovi edifici in costruzione ovunque. Anche le immondizie sono di grande mole, accatastate negli spazi accanto ai villaggi. Probabilmente non esiste un sistema di smaltimento adeguato, nonostante ci siano qua e là dei cestini con delle scritte che invitano a tener pulito l’ambiente. Lungo la stradina costruita recentemente sulla montagna per facilitare il percorso a piedi fino alla cascata spuntano continue capanne dove vendono bevande dissetanti di ogni marca, nazionale e internazionale.
Dharamsala, turisti alla cascata del villaggio di Bhagsu.
Tutto il torrente sotto la cascata è affollato da numerosi giovani, anche monaci, che fanno il bagno e prendono il sole. Lavano anche i loro abiti e li mettono a stendere sulle lastre di ardesia del torrente. Lassù, sotto la cascata diverse decine di giovani stanno facendo il bagno nell’acqua freschissima, cantano e parlano ad alta voce facendo un grande chiasso.
Dharamsala, villaggio di Bhagsu. Offerta nel tempio induista dedicato a Shiva.
Il posto è molto bello, ma forse per il fatto che oggi è sabato, è estremamente affollato e rumoroso. La temperatura quassù è freschissima e all’ombra addirittura ci si congela. Se penso ai 49 gradi raggiunti i giorni scorsi a Varanasi, comprendo la felicità di questi giovani e delle famiglie arrivate fin quassù per il week end.
Dharamsala, Bhansu. Foto ricordo con suonatore lungo la strada che porta alla cascata.
Torno a McLeod Gani e lungo la strada incontro una signora russa che vive qui e lavora come guida turistica. Le chiedo informazioni sui mezzi per raggiungere Chamba e lei mi accompagna in un’agenzia di viaggi e poi all’ufficio governativo per acquistare il biglietto senza alcun sovraprezzo. Partirò dopodomani pomeriggio, sul tardi. Dopo aver pranzato con il solito thali nel ristorantino di ieri, entro nel tempio dedicato a Buddha che sta lì accanto. Su indicazione di un anziano tibetano che sta lavorando all’interno, salgo tutti i piani e incontro, oltre ad un bellissimo panorama sulle montagne innevate, una statua enorme del Buddha.
Dharamsala, villaggio di McLeod. Veduta dal tempio di Buddha.
Nel pomeriggio, sul tardi torno al Tsuglagkhang Complex. Osservo un po’ la gente e noto che oltre a tanti tibetani ci sono moltissimi monaci e monache che si parlano amichevolmente in attesa della preghiera. Un finestrone che dà sulla Cappella Centrale è aperto e all’interno ci sono alcune persone che la stanno riordinando. Scatto di nascosto due, tre foto, anche se la cosa è proibita. Poi, mi siedo nel parco a leggere. Noto che sia i templi buddhisti sia quelli induisti accolgono le persone al loro interno come se fosse una grande casa comune, dove le famiglie in alcuni momenti si raccolgono in preghiera e in altri consumano i pasti e si relazionano tra di loro. Percorrendo la stradina principale incontro la ragazza australiana che sta studiando qui: ci salutiamo lunga la ripida riva dissestata che porta alle nostre vicine guest house.
24 maggio
Dharamsala, McLeod Ganj. Aspetti del Tsuglagkhang Complex nella zona intorno al Namgyal Gompa.
Oggi mi prendo una giornata di relax e mi avvio verso il tempio della residenza ufficiale del Dalai Lama. Lungo la strada mi fermo in una tea stall con wi.fi. per aggiornarmi sulle novità di figli, nipoti, amici. E’ molto interessante osservare la vita che si svolge nel tempio e intorno al parco dove hanno sede gli uffici del Governo tibetano. Oggi è domenica e probabilmente per questo il complesso è più affollato del solito. Alle 11.00 viene servito il pranzo a migliaia di persone. Le donne indossano l’abito tradizionale tibetano, una specie di scamiciato con una camicetta sotto e il grembiulino a righe sul davanti. Gli uomini portano sul capo un cappellino di tela con una fascia multicolore sul davanti. Se fa freddo le donne si coprono con uno scialle, gli uomini indossano una specie di gilet, più simile ad una giacca senza maniche. Uomini e donne pregano facendo girare le loro piccole ruote della vita e contemporaneamente continuano a sgranare le loro corone. Ci sono monaci di tutte le età, monache, pellegrini, alcune famiglie della religione sikh, qualche viaggiatore occidentale.
Dharamsala,McLeod Gani. Sadhu che pranzano in uno spazio del Tsuglagkhang Complex.
Da grossi pentoloni a base di riso con colorate verdure all’interno viene distribuito il pranzo a qualsiasi persona lo richieda e oltre al piatto di riso viene data una tazza di yoghurt. Per chi ne volesse ancora ci sono dei volontari che girano tra la gente con dei secchi di riso e dei mestoli per riempire i loro piatti. Per bere, vedo girare delle grosse teiere di alluminio con il becco avvolto in un panno per evitare gocciolamenti. La gente tutta si è portata da casa il piatto, la scodella e il bicchiere: alla fine del pasto, se qualcosa è loro avanzato, lo mettono in un sacchetto di plastica e se lo portano a casa. Dopo terminato il pasto, ognuno provvede a lavare le proprie stoviglie e a riporle nella borsa che portano sempre con loro assieme al cuscino per sedersi e alle coperte da stendere sul pavimento per pregare ed anche per coprirsi quando dormono.
Dharamsala, McLeod Gani. Preghiera di tibetani profughi al Namgyal Gompa del Tsuglagkhang Complex.
In questo spazio, oltre a pregare e a consumare i pasti, la gente trascorre in armonia molto tempo: tutti parlano tra loro, dai monaci alle famiglie, agli anziani. I bambini giocano felici nella zona del giardino, rincorrono palloncini e palline rimbalzanti, si arrampicano sugli alberi in libertà e qualche giovane monaco si unisce a loro.
25 maggio
Dharamsala, il Buddha della Cappella Centrale, la Tsuglagkhang, parte del Tsuglagkhang Complex, sede del governo tibetano in esilio.
Mattinata trascorsa in una tea stall a rispondere ai messaggi che mi arrivano, poi un giro a salutare l’accogliente complesso del Governo tibetano in esilio e i fedeli raccolti in preghiera al tempio e via verso l’autostazione di Dharamsala con una lunga attesa per l’autobus diretto a Chamba. In corriera e durante le fermate chiacchiero un po’ con un giovane medico che lavora in un ospedale governativo a 80 km da Chamba. E’ un ragazzo molto gentile e mi dà alcune informazioni sulle zone che stiamo visitando e sui luoghi interessanti dei dintorni. Subito dopo Dharamsala si vedono dei bellissimi terrazzamenti: l’agricoltura qui è rivolta prevalentemente alla coltivazione di grano e riso. Attraversando la città di Palampok si notano diverse strutture turistiche. La cittadina, difatti, è meta di villeggiatura grazie alle coltivazioni delle piante di uno speciale tè molto benefico per la salute. Palampok però è frequentata anche per il suo clima fresco, un’alternativa alla calura delle città che stanno più a sud.
Il viaggio in corriera è simpatico, ma a oltre metà percorso circa diventa faticoso per un gigantesco indiano che viene a piazzarsi proprio accanto a me. Ogni tanto si addormenta e si posiziona comodamente con braccia e gambe su di me e ogni tanto devo allontanarlo con cautela, temendo una sua reazione aggressiva. Arrivo a Chamba dopo l’una di notte, e mi fermo a dormire in corriera con i viaggiatori che proseguiranno il loro viaggio: la corriera ripartirà alle cinque di mattina. A quell’ora arrivano sia l’autista sia il bigliettaio e mi svegliano per avvertirmi che devo scendere.
Chamba, il centro. Sullo sfondo si vede il Chaugan, il parco dove si svolge gran parte della vita sociale e culturale della città.
Aspetto le sei nella sala d’attesa della stazione degli autobus per poi andare a cercare una guest house: tutto pieno per l’alta stagione! Mi fermo al Jimmi ill hotel dove hanno delle camere libere, ma molto più costose rispetto agli altri posti da me visitati. Inoltre il bagno della stanza è sporchissimo e riesco a malapena a trattenere il vomito. Getto diversi secchi d’acqua nel water per ripulirlo dei resti lasciati da altri turisti, mi lavo e mi cambio i vestiti e inizio il mio pellegrinaggio alla ricerca di un’altra guesthouse per i giorni successivi. Una guida turistica mi informa sui prezzi ancora più elevati degli altri alberghi, ma non demordo. Lo studente di economia che lavora nella tea stall dove bevo il cjai mi indica qualche nome di lodge e girando e rigirando, chiedendo informazioni alle persone e visitandone i luoghi, con l’aiuto di un bambino di circa dieci anni che mi rassicura sul fatto che lavora in quella guest house soltanto quando non c’è scuola, forse ho trovato un alloggio, a quasi metà prezzo.
Non sarà quella la mia nuova sistemazione: all’una, quando mi presento all’appuntamento, il bambino della guesthouse mi passa davanti senza fermarsi e con il muso imbronciato. Si presenta invece un giovane dicendomi a gesti che lo ha incaricato il proprietario di ricevermi. In realtà, nella mattinata avevo parlato con un signore che pensavo fosse il proprietario della guesthouse. Con lui avevo concordato il prezzo e preso appuntamento per quest’ora per visitare la camera. Insomma, questo ragazzo mi fa salire nella camera disponibile, a dir il vero molto trascurata e polverosa. Vabbeh, penso, è in centro, ha una bella vista sulla città, la pulirò! Il ragazzo si siede sul bordo del letto e chiede, sempre gesticolando, anche a me di farlo. Penso: “Sarà per provare il materasso”! Mi alzo, dico che la camera la prendo e scendo lungo le scale. Lui vuole darmi la mano e io penso sia per concludere l’accordo. Invece, vuole anche un bacio sulla guancia e poi, velocissimo cerca di toccarmi i seni. Gli urlo la mia disapprovazione e lui fugge scomparendo non so dove. Non ho mai compreso il comportamento del bambino e nemmeno quello del signore della mattina e tantomeno l’atteggiamento equivoco di questo ultimo giovane. Il caso vuole che stia passando proprio in quel momento una signora a cui avevo chiesto qualche ora prima dove fosse un’altra lodge che mi avevano indicato come economica.
Chamba, incontro al Nehru Park.
Lei, nel frattempo, molto gentilmente aveva chiesto informazioni e l’aveva trovata e ora me la stava indicando proprio lì vicino. Vedendola così umana le confido quanto successo e lei lo spiega perfettamente ai ragazzi del ristorantino di fronte. Devo dire che tutti si sono indignati, e soltanto più tardi ho avuto modo di rimproverare il bambino, quando l’ho rivisto al suo posto di lavoro della reception. In realtà lui cercava di nascondersi sotto il bancone, ma io gli ho detto comunque che disapprovavo la sua ambiguità.
Chamba, il Chaugan, con la sua vita sociale e culturale, di sera.
Uno dei ragazzi del ristorantino accanto, un ragazzo di 18 anni, mi accompagna in cerca di una guesthouse economica e la trova proprio nel momento in cui mi stavo rassegnando a rimanere nel mio costoso e lurido hotel. Quindi, domani mi trasferirò alla governativa M.C. guest house, al prezzo di meno di tre euro per notte. Sono molto curiosa di conoscere questa struttura che ho visitato velocemente fermandomi soltanto in un ufficio polveroso e per scegliere la mia camera tra le due rimaste libere. E’ veramente minima la negatività di questo popolo ed è compensata dall’enorme umanità della maggior parte delle persone che vi appartengono.
27 maggio
Chamba, scultura simbolica al Chmunda Devi Temple.
Nella mattinata salgo lungo una ripida scalinata e poi percorro il tratto di strada fino ad arrivare al Chamunda Devi Temple. Costruito in pietra e legno, restaurato nel XVII secolo contiene diverse importanti sculture in bassorilievo degli stessi materiali. Ai due lati di una porta, sotto il portico ci sono due dipinti di donne, quello a destra rappresenta la dea Kali che calpesta Shiva, quella di sinistra raffigura il dipinto di Chamunda Mata. Kali rappresenta l’energia e la forza femminile, sempre attiva e dirompente, che scaturisce senza limiti e con una potenza inarrestabile. Chamunda Mata alla quale è dedicato il tempio, è una dea che libera dal dolore gli esseri umani portandoli al superamento del male. Quassù, al tempio, c’è un prete che lava gli altarini, brucia gli incensi e prega girando intorno ai luoghi sacri. Ci sono anche due fratelli di 11 e 12 anni che frequentano la scuola governativa e ora sono in vacanza per due mesi, mi dicono. Dal tempio si gode un bellissimo panorama su Chamba e sulle montagne intorno ancora ricoperte di neve, nonostante il grande caldo.
Chamba, Bansi Gopal Temple, costruto nel XVI secolo, quando il culto di Krishna divenne popolare sulle colline.
Al ritorno mi fermo a visitare un tempio colorato di rosa: è il Bansi Gopal Temple, dedicato a Krishna, costruito con uno stile sikhikara nel XVI secolo, quando il mito del dio divenne popolare sulle colline. Prima di arrivare al gruppo di templi denominato The Laxmi Narayan Group of Temples ed in altri spazi intorno, sparse qua e là, ci sono delle altre costruzioni a capanna molto simili, costruite nello stesso stile sikhara.
Chamba, il Laxmi Narayan Group, un complesso di templi in pietra, risalenti al X-XI secolo, costruiti in stile sikhara tipico dell’Himachal.
Il gruppo di templi del Laxmi Narayan Group più antichi risalgono al VI secolo, mentre i più recenti sono stati costruiti tra il IX e l’XI secolo e rappresentano una testimonianza antica dello stile sikhara. I templi sono stati costruiti in marmo bianco: tre dei sei principali templi sono dedicati a Shiva e tre a Vishnu. Una caratteristica di questo complesso sono le stratificazioni ad ombrello con supporti in legno collocate sulla cima per proteggere le costruzioni dagli agenti atmosferici e fungere anche da ornamento.
Chamba, tempietto accanto ad uno dei sei templi a capanna del Lakshmi Narayan Complex, secoli X-XI.
Oltre a questi ci sono diversi piccoli templi sparsi all’interno dell’area, alla quale si accede attraverso un portale. C’è anche un piccolo museo nel porticato che contiene diverse stampe che rappresentano aspetti della vita di corte durante il regno di Rani Sharda Varman e delle fotografie con i personaggi che hanno governato l’India in questi ultimi secoli. Tornando verso la città per andare a prendere gli zaini nell’hotel ed effettuare il cambio di alloggio, attraverso un lunghissimo e affollato mercato di vegetali, ma anche di altri generi. Con l’aiuto del ragazzo che mi ha fatto trovare questa praticissima guest house trasporto gli zaini e allestisco il mio habitat: è una stanza veramente molto comoda. Pago tre notti a quello che io penso sia l’impiegato della guesthouse che, naturalmente non mi rilascia nessuna ricevuta.
Chamba, sculture al Laxmi Narayan gruppo di templi, secoli X-XI.
Verso sera, mentre me ne sto seduta su un ripiano in pietra di forma circolare, davanti ad un tempietto dedicato a Vishnu, arriva il medico di 25 anni che avevo incontrato in pullman due giorni fa. E’ di passaggio a Chamba e sta tornando a Kangra dove abita e studia per una specializzazione. A Bharmour era andato per un convegno, ma là ha anche il suo lavoro in un piccolo ambulatorio. Sono molto contenta di averlo rivisto e di aver scambiato con lui i nostri indirizzi facebook.
28 maggio
Oggi, vado a visitare il museo di storia di Chamba, il Bhuri Singh Museum. Lungo la strada mi fermo al parco che sta accanto all’ospedale e scatto delle foto ad alcuni tipi caratteristici.
Chamba, una coppia in preghiera in un tempietto lungo la strada per il Sui Mata Temple.
Poi, lasciato il parco, incontro, per caso, una piccola moschea dipinta di verde, che pochi conoscono e a quest’ora è chiusa. Pensavo fosse quella la chiesa protestante di Sant’Andrea che invece sta sulla riva di fronte. I cristiani di Chamba sono soltanto 200-300, mentre i musulmani rappresentano il 25% circa della popolazione e il rimanente, intorno al 74% è di religione induista. In questa zona non ci sono buddhisti e nemmeno templi dedicati a questa religione. Il Bhuri Singh Museum contiene numerosi dipinti in miniatura risalenti al XVIII e XIX secolo, appartenenti alle scuole di pittura di Chamba, Kangra e Basohli.
Chamba Museum, miniatura del XVIII secolo.
All’interno del museo si possono ammirare diverse testimonianze etnografiche provenienti dalla valle di Chamba e appartenute ai raja: porte e portali di legno accuratamente incisi, lastre di fontane finemente intagliate, documenti incisi su lastre di rame anche risalenti al XVI secolo. Non resisto alla tentazione di acquistare una serie di poster con le copie di alcune delle miniature esposte al museo. Spero che arrivino intere in Italia!
Chamba, pulizia mattutina del tempietto accanto alla mia guesthouse.
Nel pomeriggio ricevo nella mia stanza la visita dell’indiano che ha un laboratorio video al piano terra della guest house. Pensavo fosse un dipendente dello Stato e che il suo laboratorio fosse l’ufficio della guest house. Invece anche lui paga l’affitto allo Stato per la stanza che occupa. E’ venuto ad informarmi che il responsabile delle guesthouse governative gli ha telefonato per dirgli che non è possibile ospitare stranieri in questa struttura in quanto è riservata soltanto ai cittadini indiani. Gli dico che vorrei fermarmi ancora qualche giorno: sto molto bene qui, sia nella guest house sia nella città. Non credo ci sia un capo che abbia sollevato dei problemi! Comunque, voleva poi bere della birra nella mia stanza e quando gli propongo di uscire mi risponde che qui in India non è considerata una buona azione uscire a bere. Così, gli chiedo di scendere nel suo studio dove ci sono delle altre persone che lavorano per lui. Arrivati lì, incarica subito uno dei lavoranti di andare a comprare delle birre che beviamo poi in compagnia. Mi racconta che ha 39 anni ed è sposato: sua moglie e i suoi due figli di 14 e 15 anni vivono in un villaggio a 350 Km da qui, dalle parti di Chandigarth. Lui, li raggiunge una volta al mese o ogni 15 giorni in motocicletta. Il suo lavoro si svolge in particolare sul montaggio dei video di matrimoni che le famiglie di ogni ceto sociale, indistintamente gli commissionano. Le riprese video originali le realizzano i suoi collaboratori, mentre la fase di montaggio e sonorizzazione la cura lui stesso. Riguardo ai matrimoni, la sua versione conferma che persiste l’usanza delle decisioni prese dalle famiglie, ma precisa che la registrazione successiva si è diffusa in quanto tutela il coniuge per l’eredità e perché offre delle facilitazioni considerevoli per l’acquisto del cibo.
29 maggio
Chamba, il tempio dedicato alla principessa Sui Mata che sacrificò la sua vita per placare il dio dell’acqua.
Salgo sulla collina a visitare il Sui Mata Temple. Si racconta che quando fu costruito l’acquedotto l’acqua non riusciva ad arrivare alla città di Chamba. Sui Mata, una principessa locale, secondo la leggenda, sacrificò la sua vita per placare lo spirito dell’acqua e porre termine alla grave siccità abbattutasi sulla città. Prima di iniziare la gradinata verso la collina incontro un’insegnante di informatica che mi accompagna a visitare la sua aula computer. Si tratta di una scuola privata e i computer sono simili ai nostri di almeno 30 anni fa. Lei, 47 anni, sposata con un matrimonio di famiglia ad un marito appartenente alla sua stessa casta, la prima, sin dall’infanzia è innamorata di un compagno di scuola. Lui vive a Delhi, è un ingegnere ancora scapolo, che corrisponde all’amore della signora, ma limitandosi a dialoghi telefonici e a rari abbracci. La signora mi chiede di pregare una divinità per lei, perché possa realizzare totalmente il suo amore.
Chamba, preghiera del mattino all’Hari Rai Temple, costruito nell’XI secolo.
Lungo la stradina per il Sui Mata Temple, sia all’andata che al ritorno per un percorso alternativo, ci sono diversi templi: è mattina e le persone prima di andare al lavoro e gli studenti a scuola, si fermano a recitare la loro preghiera alla divinità preferita. Torno al Bansi Gopal Temple, già visitato qualche giorno fa, ma sempre affascinante, molto frequentato e adorato dalla popolazione. Mentre sto ammirando l’esterno di questo tempio dipinto di rosa, mi si avvicina un signore per darmi ulteriori informazioni su Chamba. Lui, un pensionato, ora svolge un lavoro di volontariato per aiutare alcolisti e drogati. Rivisito il tempio con calma, soffermandomi ad osservare la signora che lava le sculture, prega e accende incensi, con grande devozione.
Chamba, la signora che lava le sculture sacre del Bansi Gopal Temple e poi accende gli incensi.
Ritorno anche al Lakshmi Narayan Temple Complex, per osservare di nuovo le splendide sculture su pietra dei templi a capanna, le immagini delle divinità racchiuse all’interno dei recinti di protezione, la serie di tempietti che ci stanno intorno.
Chamba,Akhand Chandi Palace, la residenza del raja ora sede dell’università. Giardino interno.
Al ritorno mi fermo davanti al maestoso Akhand Chandi Palace, ex residenza del raja di Chamba. Il palazzo, costruito nel 1764 ora è divenuto la sede dell’università di Chamba.
30 maggio
Ieri, l’incaricato della guest house, un personaggio fantasma che mi dicono sia stato assunto a contratto dal Governo, non si è presentato ai diversi appuntamenti che mi aveva fissato attraverso l’operatore video. Ieri sera, al mio rientro, ho trovato il laboratorio video trasformato in una frenetica cucina con l’aiutante che spianava i chapati con il mattarello e il suo capo che li cuoceva ad uno ad uno, con grande abilità. Già nel pomeriggio, su un fornello elettrico collocato sotto il letto, c’era una pentola a pressione che sbordava di dhal, il contorno per il piatto di riso chiamato thali. Vabbeh, il boss che doveva decidere se lasciarmi rimanere fino a lunedì nemmeno durante la mia assenza si è presentato. Ha telefonato solo questa mattina al video-maker per comunicargli che posso rimanere. Ora vado a cercare il tempio Hari Rai che sta proprio accanto al parco Chaugan, vicinissimo alla mia guest house. E’ stato costruito nell’XI secolo, con la forma a capanna, ed è composto da pietre incise e immagini sacre scolpite con pregevole raffinatezza. Anche qui, in questo bellissimo tempio, persone di ogni età, si fermano a pregare con grande devozione. Mi sposto poi verso la moschea dipinta di verde e entro nel cortiletto dove ci sono le fontanelle per lavarsi i piedi. Ritorno poi alla chiesa protestante di Sant’Andrea e, nel pomeriggio attraverso l’affollatissimo parco di Chaugan. Qui, ragazzi, donne, uomini, bambini trascorrono molto del loro tempo a chiacchierare e a godersi l’aria fresca all’ombra dei giganteschi alberi.
Chamba, Chaugan in un primo pomeriggio di sabato.
Il parco Chaugan rappresenta il centro della vita culturale e sociale della città ed è animato in tutti i vari momenti della giornata. Nella zona del mercato, verso sera c’è una rissa tra due venditori: entrambi vengono trattenuti dai militari che cercano di allontanare l’uno dall’altro. Sembra di assistere ad uno spettacolo teatrale per la folla numerosa che osserva l’evolversi della rissa. Separati i due nemici il grosso gruppo di spettatori si suddivide in due parti dove i due protagonisti, separatamente, raccontano ai loro fan le loro ragioni.
31 maggio, domenica
Chamba, preghiera domenicale di quasi solo donne al Hari Rai Temple costruito nell’XI secolo.
Oggi a tratti piove a momenti sembra che il cielo stia schiarendo; ora si sta alzando un forte vento che spazza via gran parte delle nuvole. Mi siedo su una panchina al parco Chaugan, di fronte alla vista sul fiume che taglia in due la città di Chamba. Sento delle voci che cantano all’Hari Rai Temple, il tempio dell’XI secolo, e vado ad inserirmi nel gruppo di donne che pregano lì ogni domenica, con grande devozione. Mi accolgono con molta cordialità e quanto mi alzo per andarmene mi donano due piccoli, tondi dolci gialli, in segno di fraternità.
Chamba, Hari Rai Temple, secolo XI.
Nel pomeriggio tira ancora un gran vento, ma il Chaugan è ugualmente affollato. Mi siedo su una panchina a leggere: mi si avvicinano due calzolai di strada. Mi dicono che di domenica non ci sono i soliti turisti indiani qui in quanto preferiscono andare nella cittadina di Khajjar, dietro la montagna, ad una altitudine maggiore. Entrambi i ragazzi sono sposati con un matrimonio deciso dalle famiglie: quello di 26 anni ha la moglie e la figlia di 6 mesi in una cittadina del Panjab, mentre, il ragazzo di 22 anni non ha figli e abita a Chamba, in una casa d’affitto. Mi raccontano che non hanno provveduto a registrare il matrimonio per seguire la tradizione delle loro famiglie. Il ragazzo più giovane parla l’inglese, ma non è mai andato a scuola e non sa leggere e scrivere. L’altro ha frequentato la scuola fino alla 5 classe. I due calzolai mi raccontano ancora che qui a Chamba non c’è la possibilità di avere i pasti gratuitamente presso i templi come a Dharamsala e a Varanasi e molto spesso entrambi si trovano senza lavoro e senza soldi. Gli uffici del Governo a volte li aiutano, a volte no. Quando cala la sera mi sposto al centro della cittadina, mi appoggio al muretto del tempio che sta in mezzo alla piazzetta dove stanno sedute anche delle altre persone; a tutte piace scambiare qualche chiacchiera con me.
Chamba, personaggi e souvenir nei pressi del Laxmi Narayan Group of Temples.
Un negoziante mi offre con grande cortesia un cjai e una banana. Veramente vorrebbe offrirmi qualcosa da mangiare al ristorantino che sta accanto ad uno dei suoi negozi, ma non mi sento di affrontare più di un pasto al giorno e ho già mangiato il thali a pranzo.
1 giugno, lunedì.
Sono in corriera e sto andando a Bharmour, a circa 69 km da Chamba, attraverso una strada costruita intorno alle montagne che pare sospesa sopra degli strapiombi spaventosi. Là sotto c’è un fiume che scorre irruento tra grossi massi, allargandosi poi in un pianoro fino a formare un lago per poi riprendere il suo scorrere più lineare e tranquillo. Qua e là ci sono delle case, addossate alle montagne e circondate da numerosi terrazzamenti, con i muretti che a volte s’incurvano per allargare lo spazio dei terreni coltivati. Lungo la strada, alle fermate della corriera, s’incontrano dei filari di bancarelle che vendono il cjai, qualche cibo veloce e poche cianfrusaglie. Sono allestite per i passeggeri che attendono la corriera per raggiungere i centri abitati che stanno in entrambe le due direzioni. Bharmour sta a 2195 metri di altitudine e d’estate è popolata dai pastori nomadi Gaddis che qui stazionano con le loro greggi e da qualche turista indiano.
Bharmour, panorama sulla piazza degli 84 templi.
E’ una cittadina ricca di storia e di templi rimasti a testimoniare un importante passato. Bharmour è stata la capitale del principato di Chamba dal VI al X secolo, fino al 920 d.C. Raggiungo la piazza degli 84 templi Chaurasi costruiti tra il VI o VII e il X secolo. La leggenda vuole che nel X secolo 84 uomini visitassero Bhaumour e nominassero un loro governatore nella persona di Sahil Verman, il quale aveva 10 figli e una figlia, Champavati, dalla quale derivò poi il nome di Chamba. Alcuni templi già esistevano, altri li ha fatti costruire Sahil Verman durante il suo governo. Salendo la stradina che porta ai templi, distratta da uno splendido panorama di montagne innevate mi si presenta davanti quasi a sorpresa il gruppo di templi Chaurasi.
Bharmour, il tempio Manimahesh affollato da gruppi familiari in contrattazione per i matrimoni.
Fra le costruzioni del complesso spicca la forma a torre del Manimahesh Temple costruito nel VII secolo. Forse il più antico è il Lakshna Devi Temple, a pianta quadrata, con la sua importante porta intagliata, ancora ben conservata nonostante le intemperie a cui è stata esposta per secoli, ed i suoi pilastri in legno, anch’essi intagliati e originali, risalenti al VII secolo.
Bharmour, puja al tempio Narasingha, X-XI secolo.
Sono davvero numerosi i templi qui, anche molto piccoli, sparsi intorno alla piazza. A parte il Lakshna Devi Temple, sono tutti dei santuari shivaiti, costruiti in pietra in stile sikhara, con ampi tetti ad ombrello, ricoperti da lastre di ardesia. Gli altri due, dei quattro grandi templi, hanno la forma di tozze torri e sono: il Ganesha Temple e il Narasingha Temple eretti tra il X e l’XI secolo.
Bharmour, il portale in legno del Lakshna Devi Temple, VII secolo, costruito durante il regno del raja Meru Verma .
Fa freddo quassù e la gente del posto è ancora vestita con abiti pesanti. Molti ragazzi indossano dei giubbini in stoffa o pelle e ricordano molto l’abbigliamento che portavano i nostri playboys negli anni 50-60. Mentre me ne sto seduta accanto alla scultura dorata del toro simbolo di Shiva e sto provando delle inquadrature, un indiano si stacca dal suo gruppo per scattarmi alcune foto sullo sfondo dei templi. Sono tre coppie della mia età, sposate da oltre quarant’anni con un matrimonio di famiglia. Due di loro sono fratelli e abitano uno a Jaipur e l’altro a Mombay: uno è ingegnere elettronico, l’altro è un commerciante di prodotti chimici. Entrambi ora sono in pensione. L’altro, un amico, fa il medico in un ospedale di Jaipur. Le mogli lavorano soltanto in casa. E’ molto piacevole dialogare con loro, in particolare con i maschi in quanto le donne non parlano inglese. Una di loro è decoratissima ed ha sia le mani sia i piedi disegnati con l’henné. Con l’ingegnere e sua moglie condivido l’esperienza che anche loro hanno vissuto a ben due corsi di meditazione Vipassana e ne parliamo con entusiasmo. Con questa coppia ci scambiamo i contatti su facebook.
2 giugno Bharmour
Bharmour, Manimahesh Temple, VII secolo. Le contrattazioni per concordare il futuro matrimonio. Sono presenti solo i maschi delle due famiglie.
Mattinata intensissima a Chaurasi, la piazza degli 84 templi. Ci sono ben tre gruppi di famiglie intorno al Mani Mahesh Temple: sono composti da soli uomini, che sono in attesa di stipulare l’accordo economico di matrimonio tra le parti. Alla fine un gruppo mi invita a partecipare al piccolo party composto da un cjai e un biscotto senza zucchero. Gli incontri tra le due famiglie dei futuri sposi contemplano anche la presenza di una persona che sappia mettere per iscritto al momento quanto concordato a voce. In un altro tempio, al Narasingha Temple c’è un’affollatissima puja celebrata da un prete.
Bharmour, parte finale della puja con canti al Narasingha Temple, X -XI secolo.
Le decorazioni al centro sono formate da grano, riso, noci, banane e altri prodotti della terra. Dopo la preghiera, i fedeli, composti in maggior parte da donne, si alzano per eseguire dei canti melodiosi e poi, si siedono di nuovo per consumare il pasto composto dagli stessi prodotti della terra che hanno adorato. Il prete, dopo aver ricevuto diverse mance, ridistribuisce qualche soldo ai bambini e alle bambine che si sono allineati sul gradino del tempio.
Bharmour,dopo la puja, il prete regala dei soldi spiccioli ad ogni bambino dopo aver ricoperto il capo delle bambine.
Il sacerdote diversifica il dono sulla base dell’età e del sesso. Alle bambine, un attimo prima aveva posto sul capo un velo rosso. Verso sera, al suono di un orchestrina, arriva ai templi Chaurasi un corteo nuziale che fa una visita veloce ai templi principali e poi se ne va verso casa. Nella piazza c’è un dolcissimo anziano guru con la lunga barba bianca.
Bharmour, un guru delle montagne sceso a pregare ai templi.
E’ appena sceso dalla montagna dove abita e sta donando delle monete ai bambini che gli stanno intorno. Mi avvicino a lui per scattargli qualche foto: lui mi sorride e non mi chiede nulla.
3 giugno
Bharmour, pastore sul sentiero per il Bharmani Temple, la dea patrona della città.
Oggi mi incammino verso il Bharmani Devi Temple, la dea patrona di Bharmour. Dista 4 km dalla cittadina e si raggiunge scalando una montagna che offre una splendida vista sulla Budhal Valley. La leggenda narra che la dea abitava nella Bharmour Chaurasi prima che iniziassero i pellegrinaggi. Quando Shiva arrivò in Bharmour, la dea si trasferì sulla cima di una collina conosciuta come Bharmani. La dea però ordinò a Shiva di stabilire il vincolo che le giornate della consacrazione della pace al Manimahesh rimanevano incomplete senza che i devoti visitassero il suo tempio. Da allora è rituale visitare il Bharmani Devi Temple prima del rituale al Manimahesh.
Bharmour, il percorso per raggiungere il tempio della dea Bharmani Devi, la patrona della città.
Per arrivare lassù, salgo attraverso il sentiero che sta all’inizio della cittadina e ritorno per la stradina che arriva alla piazza degli 84 templi Chaurasi. Lungo il percorso in salita incontro molte donne che stanno conducendo al pascolo le mucche e altre che sorvegliano sia le mucche che i cavalli. La prima donna che incontro cammina con me per un tratto, fino a una distanza di una mezz’ora dal tempio. Mi procura un bastone per alleviarmi la fatica della salita.
Bharmour, incontro di pastore lungo il sentiro che porta al tempio della dea Bharmani Devi, patrona della città.Sullo sfondo la Budhal Valley.
Per queste donne, sorvegliare i pascoli, sferruzzare e dialogare è un insieme di attività che svolgono con molta serenità. Anche il modo con cui danno degli ordini alle mucche e ai tori è interessante perché nella maggior parte dei casi gli animali le obbediscono. Li chiamano se si allontanano in una direzione o nell’altra e se necessario le donne si alzano per andare a dirigere gli enormi corpi nella direzione più opportuna. Proseguendo il cammino incontro altri gruppi, sempre di donne che mi offrono l’acqua da bere e mi chiedono alcune informazioni su marito e figli. La vita delle donne indiane è imperniata sulla famiglia e il loro interesse sociale è rivolto soltanto alle dinamiche di questi nuclei. A volte scorgo qualche raro pastore, ma se ne sta per conto proprio e le donne non li incoraggiano ad inserirsi nei loro gruppi. Tutto intorno, fino ad alta quota sono stati spianati i terrazzamenti sostenuti dagli splendidi muretti. Sono coltivati per lo più a patate e ortaggi, ma anche i frutteti di mele riempiono un grande spazio dell’altura. Qua e là non mancano le rigogliose piante di maryuana che tappezzano i margini dei ruscelli anche quassù. Sul prato, con meraviglia scopro delle piccole macchie di stelle alpine: sono fantastiche e ne raccolgo alcune da conservare tra le pagine della mia agenda.
Bharmour, il tempio della dea Bharmani Devi, la patrona della città.
Arrivata in cima, a poche centinaia di metri dal tempio, c’è una stalla arroccata e una donna affacciata al ballatoio che gentilmente mi offre dell’acqua. Il Bharmani Devi Temple è molto trascurato. Intorno ci sono delle vasche di raccolta dell’acquedotto; l’acqua sgorga dalla sorgente che sta lì accanto. Diversi ragazzi stanno facendo il bagno, nuotando nell’acqua gelida e facendo poi degli esercizi ginnici per scaldarsi.
Pioviggina. Visito il tempio: chiusa in gabbia c’è un’immagine sacra che s’intravede appena. All’esterno, tre dipinti recenti raffiguranti delle divinità induiste. Lassù c’è anche un piccolo negozio di alimentari e una stanza con un letto. In uno spazio esterno ci sono dei grossi rami bruciacchiati; anche vicino al tempio ci sono i resti di un fuoco. Seguendo le indicazioni dei ragazzi che stanno nella piscina prendo la strada che mi porterà a valle. Scendendo, incontro quasi subito una coppia di turisti inglesi che si lamentano per il percorso scivoloso della strada e mi dicono che faranno ritorno attraverso il sentiero che ho percorso all’andata.
Bharmour, tipologie abitative con tetti in ardesia e parti in legno.
Sta piovigginando ancora: mi fermo sotto un portico dove ci sono due turiste indiane con un bambino ciascuna: stanno attendendo i loro mariti. Quando questi arrivano mi invitano a seguirli nella casa che hanno affittato da un amico militare in pensione. Li seguo. Lungo la strada incontriamo un gruppo numeroso di turisti indiani con guida che stanno attendendo al riparo che smetta di piovere per poi proseguire la salita al tempio. Mi sento molto orgogliosa di non far parte di un gruppo e di non aver avuto bisogno della guida per l’escursione. Arrivata a casa del militare in pensione, con grande sorpresa mi trovo di fronte ad un ragazzo di 35 anni, che dopo 16 anni di lavoro alle dipendenze dello Stato indiano ha potuto andare in pensione. Ora si occupa degli affitti delle stanze e dell’organizzazione dei pasti per i turisti che ospita, ma sta cercando un altro lavoro. Il giovane pensionato è sposato ed ha due figli: uno di sei anni e l’altro di otto. In questa casa, familiari e amici, trascorrono molto tempo tutti insieme in una stanza, a volte anche per riposare. Diversi sono fratelli del militare in pensione, altri sono turisti indiani amici, altri, come una coppia di buddhisti che vive lì, semplicemente dei vicini. La signora buddhista proviene da Dharamsala come il marito che insegna qui al college. Lei, molto colta, potrebbe fare l’insegnante, ma il marito non desidera che lavori fuori casa. Hanno una bambina che frequenta la scuola materna. Gli indiani della famiglia mi portano prima il cjai e poi mi chiedono se voglio pranzare. Sono quasi le 16.00 e penso che anche gli altri turisti incontrati sulla strada del tempio debbano pranzare, ma invece viene servito solo a me uno special thali buonissimo. Pian piano la stanza dove mi hanno fatta accomodare si svuota e rimane solo la signora buddhista a tenermi compagnia. Poi, le dà il cambio un simpatico ragazzo che parla un buon inglese. Vado a salutare tutti, e li trovo rintanati al buio a riposare in una stanza, distesi sopra un grande letto; altri due ragazzi sono a leggere in un’altra stanza, distesi anche loro su letto matrimoniale. Ringrazio per il buonissimo thali e uscendo, nel cortile, scorgo degli uomini di varie età indaffarati intorno ad una grandissima serie di enormi recipienti in ottone. Alcuni pentoloni contengono già il cibo pronto altri sono sul fuoco, in preparazione: è la cucina della grande casa.
Bharmour, i parenti maschi, in attesa della stipula dell’accordo di matrimonio.
In serata passeggio nella piazza dei templi Chaurasi. E’ piena di bambini di tutte le età, con i loro maglioncini fatti a mano, che giocano a rincorrersi negli spazi dei templi accessibili. Qui, molti bambini, bambine, ragazzi e ragazze frequentano le scuole private. Rimangono a scuola fino alle 16.00. Li incontro spesso, quando rientrano con le loro divise diversificate a seconda dell’istituto che frequentano e con il loro pentolino per il pranzo vuoto. Qui, le scuole statali in questi due mesi di giugno e luglio rimangono chiuse, mentre continuano a funzionare le private ancora per questo mese. Nella piazza degli 84 templi, mentre me ne sto seduta davanti al toro di Shiva vedo donne e uomini, ma anche molti giovani, fermarsi a baciare il gradino del Mani Mahesh Temple prima di rientrare a casa. Qua e là, all’imbrunire hanno acceso degli incensi e la bancarella con l’uomo che grattugia le patate e le cucina a forma di polpetta sta ancora là. Una stanza, con all’interno un grosso lingam di Shiva e delle altre immagini sacre, è divenuta l’abitazione di un guru che ospita anche i pochi sadhu che vagano intorno. Al calar del buio, ogni sera, all’interno del tempio, il guru accende un grosso fuoco e insieme ai suoi ospiti contempla le fiamme e recita i mantra.
4 giugno
Bharmour, la vita contadina tra le abitazioni tipiche.
Oggi mi prendo una mezza giornata tranquilla di lettura. Nel pomeriggio passeggio fino alla grande curva dov’è collocato un tempietto dedicato alla dea Kali. Una donna con un grande carico trasportato sul capo si ferma ad offrire una preghiera alla dea e poi prosegue lungo la discesa che fiancheggia per un tratto un torrente che fornisce l’acqua ai villaggi che stanno a valle. Lungo la strada ci sono delle guest house, ma quasi deserte, o al limite frequentate da qualche famiglia indiana. Un edificio riporta la scritta “Ospedale Ajurvedico Governativo”: sul terrazzo si affaccia un infermiere dicendomi che l’ospedale è in funzione, ma solo come ambulatorio, in questo periodo. Trascorro la serata in una piazzetta animata da numerosi bambini che giocano intorno al Mani Mahesh Temple, mischiandosi tra le donne che sferruzzano e chiacchierano e gli uomini che parlottano tra di loro. E’ una serata dalla temperatura mite, rispetto alle altre sere, e la gente di ogni età si è riversata qui, nella piazza sacra.