11 giugno 2015
Lascio la guesthouse di Kullu e mi dirigo verso la stazione delle corriere. Attraverso il ponte pedonale sul fiume Sarvari, il fiume che divide la città in due parti e mi fermo a scattare alcune foto alle venditrici di verdure che con le loro gerle e i loro abiti tradizionali abbelliscono il paesaggio.
Il percorso fino a Keylong è lunghissimo, ma con dei paesaggi stupendi.
Rothan Pass, 3978 m. di altitudine, luogo di gite giornaliere da Manali.
La strada attraverso Manali è stata aperta da pochi giorni a causa delle intense nevicate che hanno caratterizzato quest’ultimo inverno e che si sono rivelate più intense degli altri. La neve sul bordo della strada a momenti raggiunge i tre metri di altezza. Il paesaggio presenta dei tratti ricolmi di neve e alcuni nevai, ma anche delle zone esposte al sole con i campi arati e le piantine appena spuntate. Intorno ai casolari e in prossimità dei villaggi il lavoro dei campi si presenta più intenso con ogni piccolo appezzamento di terra utilizzato. I terreni coltivati rispettano la pendenza della montagna e tutt’intorno al perimetro sono disposti dei sassi o dei rami per non lasciar scivolare via la terra con l’acqua delle piogge e dello scioglimento delle nevi.
Verso Keylong, paesaggio.
La terra messa intorno alle piantine, gli appezzamenti di terreno a forma di quadrato, rettangolo e a volte semicerchio, le tracce lasciate dal rastrello sulla terra dopo la semina, i canaletti per far scorrere l’acqua e i muretti costituiscono un insieme di geometrie spontanee che vanno a comporre delle inquadrature di un grande valore estetico. Le strade a tratti sono trasformate in veri e propri torrenti alimentati dallo scioglimento delle nevi, con delle parti di asfalto aperte o corrose dal ghiaccio dei freddissimi inverni. Nel tratto più alto, ai 4000 metri del passo Rohtang ci sono delle piste per le slitte e dei muli a disposizione per il trekking.
Verso Keylong, Rothan Pass, 3978 m.
La strada a disposizione della corriera è molto stretta; a volte si incrociano altri veicoli e ci si deve fermare per dare la precedenza. A volte, dei folti greggi di pecore rallentano il traffico e bisogna attendere che gli animali trovino uno spiazzo per raggrupparsi e lascino passare i mezzi. In un tratto molto innevato e turistico il traffico è bloccato dalle auto, dai fuoristrada e dalle moto parcheggiate lungo il tratto di strada ripulito dagli spazzaneve. Qui, la corriera deve rimanere ferma a lungo ad aspettare che qualche auto si sposti, ma sarà l’autista del mio pullman a dirigere gli spostamenti possibili per poter passare. Dove la neve è molto alta, ogni tanto arriva qualche rapace che vola tra gli alberi vicino alla strada ed anche disinvolto tra la gente.
Rothan Pass, sulla strada da Manali a Keylong.
Il percorso che si avvicina a Keylong appare più soleggiato: la neve rimane solo lassù, sulle vicinissime montagne. Nei tratti dove la neve è già sciolta l’erba è spuntata con un colore verde intenso. Qua e là si notano delle macchie di fiori bianchi e a volte spiccano dei bellissimi fiori viola, simili a dei crocus, ma con il gambo più lungo. Quassù a Keylong, l’altitudine supera i 3000 metri e la differenza di temperatura si sente. Arriviamo ad un posto di controllo e devo esibire il passaporto e subire un interrogatorio sulle motivazioni del mio viaggio in questa zona. Il territorio non è molto distante dal Kashmir e nemmeno dal Tibet, zone che lo Stato indiano controlla capillarmente. Il militare vorrebbe sapere per quanti giorni rimarrò a Keylong, ma non glielo so dire con precisione: decido sempre al momento quando partire da un posto. In corriera faccio amicizia con cinque ragazzi induisti di Jammu: due di loro sono pittori. Sono in vacanza e stanno facendo un giro per i santuari induisti di questa zona. Sono molto gentili e quando arriviamo a Keylong mi aiutano a cercare una guest house economica e accogliente. Loro domani andranno al Pangi Killar, un santuario distante oltre 100 km da qui: rimarranno fuori una notte e poi torneranno, forse, qui a Keylong, per poi proseguire il viaggio per gli altri templi indù della zona.
Rothan Pass, 3978 m. luogo di gite giornaliere da Manali nel periodo estivo.
12 giugno
Keylong è una cittadina racchiusa tra le montagne dell’Himalaya con lassù in alto molte cime ancora ricoperte dalla neve. Gli inverni freddi e interminabili costringono la popolazione a lunghi periodi di isolamento. L’agricoltura e l’allevamento del bestiame sono le risorse della zona che consentono agli abitanti di rimanere autonomi quando le strade rimangono chiuse per la neve. L’altitudine esatta di Keylong è di 3350 metri e durante i mesi estivi, in particolare di luglio e agosto, si riempie di turisti indiani che cercano riparo quassù fuggendo dal caldo afoso delle grandi città sud. Le strade della cittadina sono molto strette e le case, anche di nuova costruzione, sono quasi attaccate le une alle altre, forse per difendersi dal freddo. I campi sono arati e seminati ovunque e protetti ai bordi da muretti e da cataste di legna, che servono anche per proteggere le colture dal vento e dal freddo. Mi dicono che in questo periodo è estate, anche se gli alberi da frutto sono soltanto in fiore e le piantine delle patate e dei legumi sono appena spuntate. Le mucche, le pecore e le capre pascolano tranquille nei prati e solo a volte, quando si allontanano, i proprietari le sgridano come fossero dei bambini disubbidienti. La cittadina è piena di negozietti di alimentari, di frutta e verdura, di abbigliamento, e anche di ristorantini e alberghi.
Keylong, panorama dal Shashur Gompa, XVII secolo.
Di buon mattino salgo al Shashur Gompa che dista tre km da Keylong. Il gompa è dedicato al lama dello Zanskar Deva Gyatsho. La costruzione originaria risale al XVII secolo, ma le opere di restauro gli hanno dato un aspetto prevalentemente moderno. Lungo la salita si ferma un’auto con due novelli sposi di Delhi. Lui vende auto, lei insegna in una scuola privata induista. Mi regalano diversi depliant informativi sulla zona che io non sono riuscita a trovare. Ci scambiamo i nostri numeri di telefono e ci ripromettiamo di tenerci in contatto via facebook. Salendo per il sentiero incontro anche una ragazza molto giovane che sta zappando la terra intorno alle piantine di piselli. Dopo tre, quattro ore, quando ripasserò di lì, sarà ancora china sulle piantine.
Keylong, Shashur Gompa, XVII secolo.
Lassù al tempio, faccio girare un’enorme ruota della preghiera e anche le due file di quelle più piccole. Lì intorno ci sono alcuni frati impegnati a segare un tronco d’albero. Accanto al gompa c’è una piccolissima casa con un’anziana sull’uscio che sta aggiustando un sacco di juta con le mani imbrattate di terra. Il panorama da lassù è favoloso e spazia dalle montagne innevate, ai numerosi nevai, alle cascate che ne fuoriescono, alla moltitudine di alberi di giunco che dalla potatura effettuata ricordano molto i gelsi friulani.
Keylong, ragazza che lavora la terra lungo il sentiero per il Shashur Gompa.
Ci sono dei ginepri pure, carichi di bacche mature, cespugli di rosa canina di un colore rosa intenso, acacie e meli in fiore, campi coltivati a patate, cipolle, piselli, fagioli, aglio, carote che paiono disegnati con una grande precisione geometrica e delineano e colorano il paesaggio lasciato libero dalla neve.
Keylong, panorama dal tratto di sentiero tra il Lama monastery e il Khardong gompa.
13 giugno
Oggi, in corriera, ho raggiunto due città distanti entrambe una cinquantina di km da Keylong: Trilokinath e Udaipur, non lontane l’una dall’altra, entrambe a 2650 metri di altitudine.
Trilokinath, panorama dai campi.
Trilokinath è un villaggio agricolo con un particolare tempio, costruito 250 anni fa, che appartiene sia alla religione buddhista sia a quella induista in quanto entrambe le religioni vedono in Trilokinath un personaggio della propria fede. All’interno del tempio c’è una stanza con una grande ruota della preghiera e un monaco che la fa girare continuamente.
Trilokinath, il tempio dedicato a Trilokinath, adorato da entrambe le religioni: induista e buddhista.
Accanto ci sono due file di ruote piccole e lì vicino un altro monaco che fa passare dei granellini di sabbia dalle mani alla ciotola che tiene in grembo e viceversa. I contadini, per lo più donne, stanno zappando la terra attorno alle piante già cresciute. Qua e là si scorgono alcuni trattori parcheggiati, ma la maggior parte del lavoro agricolo è ancora manuale e aiutato solo da semplici attrezzi. Nel villaggio ci sono due o tre negozietti di abbigliamento, generi alimentari, frutta e verdura e qualche ristorantino.
Trilokinath, bucato alla fontana pubblica.
Le due fontane pubbliche sono affollate di ragazze che fanno il bucato mettendo i panni sotto i piedi e calpestandoli più volte per togliere lo sporco.
Alle 13.00. dopo aver pranzato con i noodles, degli spaghetti in brodo, vado ad attendere la corriera alla fermata degli autobus. Lì ci sono due monache e una ragazza che sono arrivate a Trilokinath insieme a me. Le avevo già notate in giro per il villaggio mentre si scattavano diverse foto ricordo. Una delle due monache parla inglese e mi racconta la sua storia. Appartiene ad una famiglia di profughi tibetani che vive nel Karnataka, nel villaggio di Bylakuppe, tra le città di Mysore e Bangalore. Lei, ha 32 anni, è laureata in economia ed è entrata nel monastero di Sakya Runnery, a Deckiling, Dehradon, solo due mesi fa. Ha lasciato un lavoro in un’azienda commerciale importante ed anche il fidanzato per seguire un percorso di meditazione e preghiera e per cercare la libertà dai mali del mondo. L’altra monaca, è originaria di Shasna, un villaggio a metà strada tra Keylong e Udaipur e vive in monastero da 5 anni. Prima di farsi monaca lavorava nell’azienda agricola di famiglia. La ragazza che è con loro è la cugina della monaca di Shasna, e abita proprio lì, dove svolge la professione di veterinaria. Le due monache sono ospiti da lei, ma domani andranno a Manali a trovare un’amica e rimarranno là alcuni giorni. Le monache, ma anche i monaci hanno 45 giorni di ferie all’anno e possono trascorrerle in libertà.
Udaipur, il tempio Marikuba, in pietra e legno. La struttura originale è molto antica.
Udaipur è una graziosa cittadina, racchiusa tra montagne rocciose con una vasta zona pianeggiante utilizzata per le coltivazioni agricole.
Udaipur, Marikuba Mata Temple.
Nel centro c’è un antichissimo tempio, il Marikula Mata Temple, costruito in pietra e legno. All’interno c’è una piccola statua di Shiva e tutt’intorno delle parti in pietra e in legno con incise delle splendide figure umane e dei simboli induisti. All’interno è vietato scattare delle foto, ma in genere negli altri templi sono tolleranti e mi azzardo a scattarne una tra le urla a non finire del custode.
Udaipur, una casa antica tra nuovi palazzi.
Alle 16.00, insieme alle monache e alla loro cugina prendo la corriera per tornare a Keylong: loro si fermeranno a metà strada. Mentre salgo in corriera incontro il gruppo di ragazzi di Jammu. Stanno andando anche loro a Keylong, ma proseguiranno da lì in taxi, fino a Manali. Ieri hanno visitato un importante tempio induista a Pangi Killar e domani proseguiranno per Sundar Nagar.
Dopo una mezz’ora di strada la corriera si ferma per una foratura alla gomma davanti e dopo un bel po’ di tempo arriva un mezzo sostitutivo e riprendiamo il percorso tra le strade dissestate e gli strapiombi spaventosi, tra i nevai che arrivano fino al fiume e quelli che si trasformano più in alto in voluminose cascate. Lungo la strada incrociamo diversi greggi di pecore e capre e solo qualche mucca legata accanto alle abitazioni. Nei prati vicino alla strada, in diversi punti, sono state collocate numerose arnie per le api.
Dintorni di Trilokinath, un momento di riposo dal lavoro dei campi.
Arrivata in guest house mi fermo a chiacchierare con la titolare dell’alloggio. Ha 36 anni e quattro figlie con un’età che va dai 17 anni ai tre anni. Tutte le ragazze studiano e parlano bene l’inglese. Lei, la signora lavora tutto il giorno nella conduzione della guest house e del ristorante che dirige ed è molto orgogliosa dell’educazione che sta dando alle sue figlie. Il marito, invece, gestisce un negozio di frutta e verdura qui a Keylong, mentre il fratello l’aiuta nella conduzione della guest house e del ristorantino.
Keylong, sul percorso per il Lama monastery.
14 giugno
Intraprendo una grande camminata con l’intenzione di salire al Khardong Gompa con un trekking previsto di due ore per arrivarci. Invece, arrivata in cima ad una gradinata imbocco una stradina diversa e vado molto avanti, sbagliando il percorso. Quando incrocio qualcuno chiedo delle indicazioni per il monastero, ma evidentemente ormai la gente si riferisce a quello successivo e tutti mi rispondono che sono sulla giusta via. Lungo il sentiero, accanto ad uno stupa vedo sull’erba diversi piccoli rami con avvolta e intrecciata della lana di diversi colori. Più tardi delle monache mi diranno che quei rametti colorati fanno parte di un rituale volto a scongiurare una malattia o per chiederne la guarigione. Le persone incrociano due piccoli rami e intorno avvolgono della lana, poi li fanno ruotare e li lanciano nel vuoto.
Keylong, gruppo di donne sulla strada per il Lama monastery.
Accanto alle abitazioni dei piccoli villaggi vedo dei ruticions, dello sclopit, delle ortiche che la gente qui non raccoglie. Nei campi ci sono anche quassù persone che zappano la terra accanto alle piantine di piselli, patate, fagioli, verze, cipolle e aglio. Tra gli ortaggi s’innalzano degli alberi da frutto: sono ciliegi, peri e meli in particolare.
Keylong, panorama dal tratto di sentiero tra il Lama monastery e il Khardong gompa.
Tra l’erba spiccano i non-ti-scordar-di-me, i millefiori, le fragole in fiore ed anche le stelle alpine ancora in bocciolo. Salendo ancora lungo il sentiero raggiungo il monastero, ma non c’è nessuno. Apro una porta e c’è un tempio ricavato da una caverna con una scultura e una fotografia di un guru su un altare e delle candele accese accanto. Il tempio è pulitissimo. Mentre giro per le casette del minuscolo villaggio, una monaca sbuca da un vicoletto e mi chiama facendomi segno di seguirla. Mi accoglie nella sua minuscola abitazione che divide con un’altra monaca. Mi offrono il cjai con dei biscotti preparati in casa da loro. Al piano rialzato si accede attraverso una scaletta in legno che ha accanto una discreta riserva di legna da ardere. La cucina e il soggiorno-camera sono puliti e ordinati e l’atmosfera è di grande serenità.
Keylong, Lama monastery. La cucina delle monache.
Una delle due monache, Angmo, parla un po’ d’inglese: ha 30 anni ed ha frequentato la scuola a Keylong fino alla quarta classe. L’altra, Chhomo, ha 32 anni e ha frequentato le scuole fino alla seconda classe. Entrambe le monache sono originarie di Goazag, un villaggio poco lontano da qui. Quassù vivono altre due monache e un lama che ora sono nei villaggi per delle commissioni.
Keylong, scritte buddhiste su dei sassi lungo il sentiero per il Lama Temple.
Tutte le monache e anche il monaco si occupano dei due templi: quello che ho già visitato che è dedicato al guru raffigurato nelle immagini e un altro, il Lama Temple, arredato con cassapanche di colore rosso, ricco di decorazioni sulle pareti, con diverse campane intorno, tante candele accese in piccole ciotole, tamburi appesi al muro e gong. Le monache mi assicurano che c’è il sentiero che conduce al Khardong Temple, ma che il cammino per raggiungerlo è molto lungo. Mi accompagnano all’imbocco del sentiero passando davanti all’abitazione del Lama, una casetta fornita di parabola e pannelli solari.
Keylong, Lama monastery. Il tempio nella grotta.
Le due monache rimangono molto tempo a guardarmi mentre mi allontano e mi salutano agitando le braccia fino a che riescono a vedermi. Il paesaggio tra le montagne è splendido: dall’alto vedo Keylong, ma mi prende un po’ di panico e non sono tanto sicura di poterci ritornare. Quassù ci sono pini, ginepri carichi di bacche e betulle, mentre più in basso ci sono sempre tanti alberi di giunco, a volte potati a volte ancora con la loro chioma scapigliata. Molti non hanno resistito al freddo dell’inverno e si sono seccati.
Keylong, panorama dallo stupa Khardong.
Il sentiero a volte scompare e a momenti sono tentata di tornare indietro dalle monache, ma poi decido di proseguire. Ad un certo punto il sentiero s’interrompe del tutto: c’è un grosso nevaio da attraversare. Provo a salire lungo il bordo per raggiungere una parte più piana, poi, provo a camminarci sopra e mi accorgo che è solido e posso raggiungere tranquillamente l’altra parte del sentiero. Cammino con la speranza di incontrare qualcuno e finalmente vedo un ragazzo con un sacco sulle spalle: sta cercando pietre. Mi dice che c’è un gompa lì vicino, lo raggiungo ed è proprio il Khardong Temple, il tempio sostenuto da una struttura di pali in legno la cui origine risale a 900 anni fa. Qui non c’è proprio nessuno, ma la stanza della grande ruota della preghiera è aperta e un’infinità di ciotole con dentro il burro sono accese. Faccio girare la ruota per sette giri, ma lei continua a ruotare da sola per diversi altre volte, facendo suonare una campana al completamento di ogni giro.
Keylong, Khardong stupa, struttura originaria del XII secolo.
Le pareti del tempio sono affrescate ed anche ilsoffitto è decorato, ma molte immagini sono state deteriorate dall’umidità e dal tempo. Anche il villaggio si chiama come il tempio, Khardon, e ci vivono una dozzina di monaci e monache, ma altri fedeli raggiungono il monastero per trascorrere qui un periodo di meditazione di tre anni tre mesi e tre giorni.
Keylong, Khardong stupa.
Scendo attraverso la stradina in cemento, ritrovo la strada sterrata, riconosco le case del villaggio che ho già attraversato andando oltre questo incrocio. Ritrovo l’altra parte di sentiero cementato, quello che mi porterà al ponte sul fiume Bhaga e a risalire verso Keylong. Incrocio il giovane fruttivendolo che ho conosciuto ieri, mentre guardavo il Museo etnografico che sta di fronte al suo negozio. Ha 21 anni ed è corrispondente di un giornale induista sui casi giudiziari esaminati dall’Alta Corte. Mi dice che per avere le informazioni è costretto a dare dei soldi agli avvocati che seguono le cause. Oggi è domenica ed eccezionalmente il museo è aperto e approfitto per visitarlo: è molto carino, con diverse fotografie e molti oggetti, attrezzi, costumi e informazioni sulle vallate intorno. Un ampio spazio è dedicato alle erbe medicinali della zona e ai loro benefici. Ci sono informazioni anche sulle risorse agricole oltre alle notizie storiche sui diversi monasteri presenti nelle vallate vicine: la Spiti, la Pattan e la Lahau Valleyl.
Keylong, sterco ad essicare da utilizzare come combustibile.
15 giugno
Sono in viaggio, un percorso lunghissimo in corriera da Keylong a Manali, un tratto di strada che avevo già fatto per arrivare fin qui. La strada con qualche striscia di asfalto in parte erosa dal ghiaccio e dallo scorrere delle acque che scaturiscono dallo scioglimento delle nevi è trasformata a volte in dissestati torrenti, pieni di buche e di smottamenti. A tratti il percorso è quasi sommerso dalla ghiaia, dal fango e dai sassi che scivolano continuamente giù dalla montagna, insieme alla neve sciolta. Gruppi numerosi di stradini imbacuccati spalano con vanghe e picconi le masse di detriti e cercano di coprire le buche della strada riempiendole di sassi e sabbia, ma quel che riescono a fare è ben poca cosa rispetto ai grossi danni da riparare. La corriera avanza lentamente, ondeggia e sussulta di continuo; deve fermarsi ogni volta che incrocia un altro mezzo ed entrambi devono districarsi in difficili manovre per poter proseguire nelle due direzioni opposte. Nei tratti più esposti al sole, la neve ai lati della strada e sui prati in basso, verso il fiume, è già sciolta e guardando dal finestrino si possono scorgere in lontananza i campi lavorati e sul ciglio della strada una miriade di stelle alpine.
Rothan Pass, sulla strada per Manali.
Più avanti, verso il passo Rohtang, 3978 metri di altitudine, a una cinquantina di km da Manali, la neve è ancora talmente alta che non si riesce a vedere oltre i muraglioni di ghiaccio che fiancheggiano la strada. Sulle distese di neve del passo Rohtang ci sono numerosi turisti indiani che raggiungono questa località innevata in piena estate con una gita di un giorno da Manali. La strada per un lungo tratto è sempre invasa da auto, pullmini e motociclette parcheggiate in modo disordinato, che impediscono lo scorrere del traffico che rimane bloccato, nel caos, per ore.
Rothan Pass, località turistica a 3978 m. di altitudine, 5o km da Manali.
La zona offre numerose opportunità di divertimento sulla neve: slitte fatte risalire con lo skilif, percorsi a cavallo o sugli yak, giri su automobili per la neve ed anche dei percorsi di trekking. Molti si divertono a lasciarsi scivolare sulla neve oppure a tirarsi pallonate: lo scenario è molto simile all’animazione di un luna park. Numerose coppie anche avanti con gli anni scorrazzano su delle rombanti motociclette e con spontaneità si districano tra gli ammassi di auto e bus. Ci sono anche diversi gruppi di famiglie con figli piccoli che arrivano con dei fuoristrada, dei pullmini o delle auto messi a disposizione dagli alberghi dove alloggiano o dalle numerose agenzie turistiche presenti nella zona. Nel contesto del Rohtang pass non mancano dei fuochi accesi di venditori che abbrustoliscono pannocchie, pentoloni bollenti che distribuiscono cjai, bancarelle che cucinano cibi e vendono bevande.
Rothan Pass, ingorgo.
Uscendo dal passo, nella direzione di Manali ci sono altri bancali che noleggiano tute e calzature da montagna. Più giù incontriamo un gruppo di turisti che affronta una salita in mountain-bike.
Manali, piccoli artisti di strada.
A Manali faccio un giro per cercare una guest house economica, ma i prezzi sono altissimi ovunque e molte strutture sono al completo per la stagione estiva. Un negoziante mi indica la guesthouse del monastero: ci vado, ma le camere, costose anche qui, sono esaurite e c’è posto solo nel dormitorio.
Manali, sera. Venditrice di palloncini.
Accetto un letto in camerata per un prezzo di 3 euro, ma poi, passeggiando per Manali, cerco ancora una sistemazione adeguata. La trovo sul tardi, non lontana dal monastero e allo stesso prezzo delle camere di quella struttura religiosa: 15 euro. Mi trasferisco all’hotel, anche se ormai mi tocca pagare la notte al monastero.
Manali, sera.
16 giugno
Giornata di relax con mattinata all’internet point, e poi, a gironzolare per il Mall, la strada principale di Manali, entrando e uscendo dalle stradine piene di negozi e zeppe di turisti. Nel pomeriggio vado al parco della città: una riserva naturale con degli alberi giganteschi e un laghetto artificiale fornito di pedalò che i turisti di ogni età usano per girarvi intorno. Pure le altalene e gli scivoli vengono utilizzati a volte dagli adulti, ma la maggior parte dei turisti passeggia nel parco e si siede sulle panchine o per terra a chiacchierare.
Manali, la riserva forestale.
Ci sono diversi gruppi di famiglie che comprendono più generazioni: in genere vengono dalle città più a sud dove il caldo è torrido. C’è un gruppo di turisti che viene dal Panjab e spicca per i coloratissimi abiti tradizionali che hanno affittato lì per farsi fotografare. Mentre sto scattando una foto ad una tranquilla signora che se ne sta seduta tutta sola sul terreno, si avvicina una ragazza che si offre per scattare una foto a me e alla signora. La ragazza è in vacanza qui per 4 giorni. E’ arrivata, insieme al marito commercialista, al suo socio e alla moglie. Sono tutti di Hampi e hanno viaggiato in treno fino a Delhi e da lì in pullman fino a Manali. Qui, hanno acquistato un pacchetto da un’agenzia di viaggi per avere a disposizione un’auto con autista e visitare le zone intorno: domani andranno al passo di Rohtang e dopodomani a Vashisht. Entrambe le coppie appartengono alla terza casta e sono sposate da tre mesi con un matrimonio deciso dalle famiglie. La ragazza con la quale parlo maggiormente ha 27 anni ed è un’insegnante di arte nelle classi che vanno dai 6 ai 17 anni. Per quanto riguarda il matrimonio mi dice che è contenta e che la prassi si è svolta attraverso due incontri tra le famiglie avvenuti a casa di lei. In quei due incontri lei ha potuto conoscere il futuro marito che non aveva mai visto prima. Ci salutiamo con molto affetto scambiandoci i nostri contatti facebook.
Manali, donne in costume e con un coniglio d’angora per farsi fotografare dai turisti, dietro compenso.
17 giugno
Giornata molto intensa. Nella mattinata cammino fino al villaggio di Vashisht che dista 3 km da Manali ed ha un’altitudine di 1982 m. E’ un bel villaggio: nel nucleo s’intrecciano insieme sia attività legate al turismo sia lavori agricoli e allevamento del bestiame.
Vashisht, aspetti di vita contadina.
Camminando lungo le stradine si vedono sia mucche sia pecore e capre legate vicino alle loro stalle, del grano disteso nei cortili ad essiccare, diversi contadini che lavorano negli orti. Le case più antiche sono state costruite in legno e pietra e alcune conservano dei preziosi intagli. Visito l’antico Vashisht Rishi Temple anch’esso costruito in legno e pietra: comprende le terme pubbliche formate dalla sorgenti di acqua bollente solfurea. Le terme hanno delle zone separate per gli uomini e le donne.
Vashisht, il tempio dedicato a Vashisht Rishi, personaggio mitologico.
Di fronte al tempio piramidale dedicato alla figura mitologica di Vashisht Rishi c’è un altro tempio più piccolo, dedicato a Shiva. Più in alto, salendo su una gradinata, c’è un tempio che risale a 500 anni fa e dedicato a Lord Ram Chandra Ji.
Vashisht, vita contadina.
Ritorno verso Manali attraverso una scorciatoia che arriva fin sulla strada principale, a due passi dalla città. Appena imboccato lo stradone, si ferma un motorisciò con un passeggero per propormi un passaggio. Contratto il prezzo, il taxista accetta la mia proposta irrisoria e salgo sul mezzo. Però, ero quasi arrivata a piedi! Dal parcheggio dove mi lascia, cammino fino allo Hadimba Temple che dista 2 km dalla città.
Manali, Hadimba Temple, Costruito nel 1552, il sito è molto più antico.
Questo edificio è stato costruito nel 1553, ma il sito secondo alcune voci pare risalire al secindo secolo d.C. ed è dedicato a Hadimba Devi, la moglie di Bhima La Pandava ed è situato in mezzo alla grande foresta di Dhungri. Il tempio, costruito in legno e pietra, presenta dei rilievi lignei con figure di danzatori sulle pareti. Accanto al tempio c’è un albero sacro che viene venerato in quanto rappresenta la figura di Ghatotkach, il figlio di Hadimba e Bhima.
Manali, parco Dhungri. Scenari per foto ricordo.
Il parco è affollatissimo e la fila per entrare al tempio è lunghissima e diventa interminabile per il numero di parenti che si aggiungono gradualmente a chi ha tenuto il posto anche per loro. Anche qui ci sono le donne in costume tradizionale con il coniglio d’angora in braccio pronte a farsi fotografare in cambio di denaro, ma, a differenza degli altri posti, in più ci sono un uomo con uno yak al guinzaglio e una donna con un agnellino. Si offrono anche loro come scenario per le foto dei turisti. Anche quassù ci sono numerosi gruppi di donne e anche uomini che si fanno fotografare con il costume tradizionale che hanno affittato lì. E’ sempre lo stesso scenario da luna park che si ripete, come nel parco della riserva naturale e sulla neve del Rohtang pass.
18 giugno
Cammino per 3 km nella direzione della Old Manali dove c’è il Manu Rishi Temple. La vecchia Manali ha diversi edifici antichi con la stalla incorporata o adiacente.
Old Manali.
Le mucche e qualche agnello stanno legati all’esterno e muggiscono e belano per farsi ascoltare. I contadini nei cortili all’esterno della loro abitazione, ma anche sulla strada mettono ad asciugare distese di paglia che poi, due persone insieme arrotolano come fossero delle lenzuola da strizzare e poi le torcono ancora piegandole a metà.
Old Manali.
Il giallo tappeto di paglia che ricopre la stradina viene continuamente calpestato dalle persone e dai mezzi che vanno al Manu Rishi Temple, ma i contadini sembrano non farci caso. L’antico Manu Rishi è l’unico tempio in India dedicato a questo personaggio. Anche l’antico nome di Manali era Manu-Alya che solo in seguito è stato pronunciato “Manali”. Manu Rishi è vissuto qui, nella Old Manali, e qui ha scritto la prima costituzione indiana chiamata “Manu Samriti”.
Old Manali, Manu Temple, interno.
Nel pomeriggio prendo il bus per Delhi, ultima tappa prima del ritorno in Italia, dopo oltre 4 mesi.
La nuova stazione dei bus di Manali è abbastanza distante, più di quanto pensassi e m’incammino verso là con i miei due zaini e la borsa con l’attrezzatura per il the. Il percorso è lungo almeno due km: accetto l’offerta di aiuto di un indiano per portare lo zaino piccolo e la borsa con il necessario per il the.
Manali, coniugi.
Trovare il mio pullman non è facile: ce ne sono un’infinità! L’indiano che mi accompagna lavora come cuoco in un hotel della periferia di Manali e quando ci lasciamo mi chiede una piccola ricompensa. Lì, accanto al mio pullman c’è una coppia di Calcutta che sta tornando a Delhi dopo aver trascorso tre notti a Manali, in un hotel vicino al Hadimba Devi Temple. Durante il soggiorno si sono concessi una gita di un giorno al passo di Rohtang organizzata da un’agenzia del posto. Lavorano entrambi: lei è impiegata in una ditta di cosmetici, lui lavora presso la segreteria di una scuola. La ragazza mi racconta che la classe media indiana è notevolmente aumentata negli ultimi anni: è quella che si concede dai 3 ai 5 giorni di vacanza in località del tipo di Manali. Secondo la ragazza poi, la maggior parte della popolazione indiana vive nei villaggi agricoli e non dà importanza alla frequenza della scuola in particolare per quanto riguarda le bambine.
Manali, vecchia stazione degli autobus. Calzolaio di strada.
19 giugno
Sono a Delhi, fa un caldo torrido! Delhi è un po’ la tappa del ritorno a casa. Domani notte ho l’aereo per Zurigo e poi da lì la coincidenza con il volo per Venezia.
Old Delhi. La linea metrò tra Chandni Chowk, vicino al Red Fort e Ramakrisna station, vicino al Main bazar.
20 giugno.
Prendo il metrò dalla stazione di Ramakrisna e vado a Chandni Chowk, verso il Red Fort. Sono meravigliata per la modernità e l’efficienza tecnologica della struttura. Tutti i treni e gli spazi di movimento della metropolitana sono affollati: sembra di essere a Londra o a Berlino. Dalla numerosa gente che incontro lungo questo tragitto in metrò trovo conferma riguardo alla notevole dimensione della classe media indiana. Poco prima di arrivare al Forte, lungo il tratto di strada che lo separa dal metrò, mi trovo di fronte al Digambara Jain Temple, un tempio jainista del ‘500, ma ora è chiuso e aprirà nel pomeriggio.
Old Delhi, Red Fort, costruito tra il 1638 e il 1648, da Shah Jahan, mughal (islamico). Nella foto il Lahore Gate (rivolta verso il Pakistan).
Il Forte rosso è stato costruito tra il 1638 e il 1648, da Shah Jahan, il celebre legislatore Mughul, islamico, che regnò qui per un breve periodo. Il Forte rappresenta la maestosità dell’impero Mughul che è durato in India per ben 200 anni. La struttura è considerata un capolavoro architettonico con la sua impronta persiana, e con alcune tracce dello stile indiano. Le mura esterne hanno un perimetro di due km e la porta principale è rivolta verso Lahore, in Pakistan. Dalla porta Lahore si apre un porticato con delle arcate che ospitano un mercato coperto, come avveniva un tempo. Allora, però, era riservato alla vendita di articoli che servivano alla vita di corte, oggi si possono trovare oggetti e souvenir di ogni tipo.
Old Delhi, Red Fort, Bazar Coperto dove un tempo si vendevano solo gli aticoli necessari alla vita di corte, come gioielli, oro, sete pregiate.
All’interno delle mura si apre un grande parco, molto curato, ma gli edifici del Forte Rosso non sono accessibile e si possono visitare solo all’esterno a parte qualche spazio aperto di alcune logge. Si può accedere al grande loggiato del Diwan-i-Am che era la Sala delle udienze pubbliche, dove l’imperatore seduto su un’alcova di marmo e pietre preziose riceveva i suoi sudditi.
Old Delhi, Red Fort. Hammam.
Il Diwan-i-Khas Palace, in marmo bianco, invece, aveva una sala per le udienze private con all’interno un prezioso trono rivestito d’oro e pietre preziose. Questo trono, denominato Trono del Pavone è stato trasferito in Iran da Nadir Shah, nel 1739. Il Kash Mahal Palace era l’abitazione privata dell’imperatore, suddivisa in diversi ambienti per le varie attività della vita quotidiana di corte. All’interno del parco c’è un edificio adibito a Museo archeologico che contiene: ceramiche, miniature, dipinti, abiti e anche armi della cultura Mughul.
Old Delhi, Red Fort, Kash Mahal, il Palazzo dei colori, abitazione privata dell’Imperatore Mughul, 1638-1648.
Più tardi, di sera, durante il tragitto in auto verso l’aeroporto, il taxista mi fornisce alcune informazioni sull’India. Mi conferma il fatto che la classe media indiana è notevolmente aumentata negli ultimi anni. Riguardo all’alta efficienza tecnologica della rete metropolitana di Delhi, mi riferisce che il governo si è servito della Germania per gli acquisti e la messa in opera della struttura. Il taxista ha due figli, un maschio e una femmina che studiano entrambi al college. E’ riuscito a comprasi un’ auto che utilizza per i trasporti delle persone soltanto nella città di Delhi, ora. In passato portava i turisti in diverse località dell’India, ma ora è vicino all’età della pensione che qui in India è fissata a 60 anni e preferisce limitarsi ai trasporti in città.
Eccoci arrivati all’aeroporto! Ciao India, ritornerò!