Da Esfahan a Kashan, 22 marzo 2019

Il tratto di strada che congiunge Esfahan a Kashan si presenta per lo più pianeggiante, con delle zone aride che si alternano ai campi coltivati a grano, con le piantine ancora piccole. Più avanti, si vedono altri campi, già arati, pronti per la semina. All’uscita di Esfahan e nelle vicinanze di Kashan si notano numerose fabbriche, alcune con delle alte ciminiere, altre con dei piccoli camini in acciaio, tutti fumanti. Lungo i bordi della strada e in alcune zone si vedono delle piantagioni di conifere, a volte raggruppate per formare dei piccoli boschi. In lontananza appaiono le montagne, basse e aride e, più avanti, molto lontane, si vedono quelle alte, con dei picchi ancora ricoperti dalla neve. A momenti s’intravedono dei gruppi di palazzi tutti uguali, grigiastri e anonimi, con qualche auto parcheggiata accanto. Nei campi coltivati, in tutto questo lungo percorso, noto soltanto una persona, impegnata a spargere i semi, gettandoli con le mani. Qua e là, nella zona pianeggiante, si vedono delle piccole costruzioni di fango, ormai fatiscenti. Poi, appare un gruppo di case, sempre di fango, abbastanza esteso, ma sempre in rovina. Ai bordi delle strade, che si stagliano staccate  e vanno nelle due direzioni, non mancano le auto in sosta sui lati, con i gruppi di persone sedute accanto, impegnate nell’abituale pick nick. Quando arrivo a Kashan, nel tardo pomeriggio, la prima cosa che noto è la grande piazza centrale con numerosi gruppi di gente, anche qui, seduti su delle coloratissime coperte, intenti ad ormeggiare tra pentole, fornelli e piatti. Kashan è una città molto più piccola delle altre che ho visitato fin’ora e la dimensione è quasi simile a quella di un paese.

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Kashan, 22 marzo 2019. Pick-nick nella piazza Kamalalmolk.

Ci sono diversi negozi: di generi alimentari, frutta e verdura, macellerie e mercerie, che si aprono sulle vie principali. Si notano numerose moschee, ma quella che emerge con i minareti e la dimensione più imponente è la Msjed-e-Agha Bozorg, che sta laggiù, in fondo alla via del bazar. Camminando intorno alle strade che portano alla piazza riesco a scorgere il grande gruppo di case antiche, costruite con fango e paglia.

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Kashan, 22 marzo 2019. Kamalalmolk square.

Le vedrò meglio subito dopo, aiutata da un ragazzo che mi farà salire sui tetti di questo interessante sito. Da lassù vedrò, attraverso una delle finestrelle poste sulla cupola dell’antico bazar, il vecchio mercato d’antiquariato che sta sotto.

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Sui tetti di Kashan con la cupola del Vecchio Bazar.

In lontananza, da quassù, spicca la grande moschea, ora illuminata dalla luce del tramonto e, ancora più lontano, tutt’intorno, ricompaiono le montagne, alte e con le loro punte innevate. Anche qui, come a Yazd, le case utilizzavano il sistema dei camini di ventilazione per arieggare le case durante la calura estiva e, anche quassù, su questi tetti, se ne vedono molti.

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Sui tetti della vecchia Kashan. Sullo sfondo la moschea Aghabozorg.

Il tetto di fango essicato della copertura a tratti è stato ricoperto da catrame e alluminio, per sopperire alle infiltrazioni di acqua piovana.

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La moschea Aghabozorg vista dai tetti della vecchia Kashan.

Il paesaggio da quassù è stupendo. Scendo, e quasi per caso arrivo nel vecchio bazar sotto la cupola che ho appena visto dall’alto. Gli oggetti e i mobili esposti sono bellissimi e raffinati.

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Il Vecchio Bazar visto da una finestrella del tetto.

Qui inconto una famiglia composta da una coppia anziana, una coppia giovane e un ragazzo. Sono i genitori dei due ragazzi. Loro, i genitori, vivono vicino a Shush, al Sud dell’Iran, a circa 600 Km da qui. La giovane coppia, lui ingegnere chimico e lei traduttrice d’inglese, abita a Teheran ed anche il fratello più giovane, un ingegnere meccanico, vive là. La famiglia si è riunita in questo viaggio nell’occasione della festa del Nowruz, il nuovo anno iraniano.

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Il Vecchio Bazar di Kashan.

Al ristorante incontro un’altra famiglia composta da una giovane coppia e due ragazzi adolescenti. Sono di Tehran e anche loro sono in viaggio per festeggiare il Nowruz. Dopo Kashan, andranno a Esfahan, dove si fermeranno per tre giorni.

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Esfahan (Iran), 21 marzo 2019

E’ il primo giorno di Primavera, ma sulla Charbagh street c’è poca gente, tutto sembra più tranquillo rispetto ai giorni scorsi. Quando arrivo al ponte Si-o-Seh mi rendo conto, però, che moltissima gente è concentrata qui, sul fiume Zayandeh, dove è tornata a scorrere l’acqua.

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La zona delle piccole barche sul fiume Zayandeh

Mi sposto verso la direzione Ovest dove, anche qui, c’è un grande parco. I percorsi pedonali fra le piante fiancheggiano tutto il fiume e l’area verde si estende fino alla strada che sta più su, dove scorre un intenso traffico. Poco dopo il ponte di Si-o-Seh, c’è una lunga fila di persone che attende il suo turno per accedere a delle piccole imbarcazioni colorate che già stanno muovendosi in quella zona circoscritta del fiume.

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Pick-nick nel parco lungo il fiume Zayandeh

Andando più su, la gente si fa più rara: soltanto qualche pick-nick sui prati, dietro ai cespugli e tra gli alberi in fiore. Il parco è magnifico, le piante sono curatissime e tutto intorno è pulito e ordinato. Servizi igienici e panchine sono collocati ad ogni breve distanza. Alcune famiglie stanno sedute su coperte e tappeti e pranzano con il cibo portato da casa, o cucinato lì, sul prato. Altre persone, invece, stanno già dormendo, avvolte completamente nelle coperte. Una famiglia numerosa sta cucinando, proprio ora, qualcosa su un fornello e mi invita a pranzo, ma le difficoltà della lingua mi portano a rinunciare.

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Pick-nick nei pressi del ponte Si-o-Seh.

Mi siedo su una panchina a guardare la mia planimetria: ho camminato molto e sono quasi arrivata al Marnan bridge, un altro vecchio ponte sul fiume Zayandeh. Qui, un gruppo di ragazzi e adulti sta passeggiando nel parco; si ferma a salutarmi e mi invita a pranzo a casa di uno di loro. Chiamano al telefono una voce femminile per convincermi, ma, oltre al gesto del mangiare, non riesco per nulla a comunicare. Rimango ancora un po’ seduta sulla panchina, in questa zona bellissima e silenziosa, ma meno frequentata delle altre. Sento il bisogno di vedere la gente e torno verso il ponte Si-o-Seh.

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Affitto negrilè nei pressi del ponte Khaju.

Ritrovo le famiglie incontrate poco fa, ma ne sono arrivate delle nuove, che mi salutano con un sorriso. Sulla riva del fiume ci sono dei ragazzini che si stanno divertendo lanciando dei sassi nell’acqua; si sentono bambini che piangono e si vedono degli altri giocare nel parco attrezzato, lì accanto. Ci sono anche donne sedute ad allattare e altre che tengono i figli addormentati in braccio. Il pick-nick e il vivere all’aria aperta per lunghe ore fa proprio parte della cultura di questo popolo.

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Il lungo fiume verso Ovest.

Nella ricorrenza del Nowruz, il nuovo anno iraniano, che coincide con il primo giorno di Primavera, la gente arriva, di continuo, anche qui, ad Esfahan, per festeggiare l’evento. L’attrezzattura per il pick-nick, che le famiglie si portano appresso, è ingombrante e complessa: coperte, tappeti, fornelli, pentole, piatti, borse e anche spesso il negrilè. Qualcuno ha anche montato una piccola tenda per ripararsi dal vento che sta soffiando abbastanza intensamente, anche ora.

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Pick-nick con negrilè.

Mentre passo sotto il ponte moderno che sta tra il Marnan e il Si-o-Seh bridge sento i rumori delle auto che passano sopra, ma anche il vocio delle persone che l’attraversano. Più giù, al ponte Si-o-Seh viene a sedersi accanto a me una famiglia afghana, di Kabul, composta da una giovane coppia e due bambine. Lui, ha 34 anni e si occupa del commercio di fiori, pannelli solari ed ha anche un piccolo servizio di ricariche per cellulari. Soltanto lui, come nella maggior parte dei casi, parla l’inglese. In genere, le mogli, se ne stanno in disparte e soltanto qualche volta il marito le coinvolge nei discorsi. Lui, mi racconta che l’Afghanistan, ora, in generale, è tranquillo; soltanto nelle zone di confine esistono ancora delle tensioni. Le relazioni commerciali del suo Paese con l’Iran sono buone, mentre con l’Iraq persistono dei grossi problemi. Anche con la Cina le relazioni economiche sono ottime, ma il suo sogno è quello di raggiungere l’Europa, al più presto.

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Pick-nick nel parco del fiume Zayandeh.

Torno a passeggiare, tra la gente che sta sui ponti e sul lungo il fiume: rivedo il piccolo ponte e-Chubi e raggiungo l’altro, il maestoso e-Khaju. Tutta questa zona è affollatissima, piena di gente ancora seduta per il pick-nick o intenta e chiacchierare. Anche nel parco che sta al di là del fiume c’è parecchia gente. Passeggiando tra i diversi gruppi scopro che dev’essere giunta l’ora del negrilè, perchè molte persone di ogni età lo stanno fumando. Qua e là ci sono anche dei ragazzi indaffarati a darli in affitto alle persone che li richiedono. Guardo le ragazze e i ragazzi che li stanno fumando: qualcuno di loro mi porge una specie di coloratissimo vaso con un tubo e mi invita a fumare, ma io sono sempre paurosa per questo tipo di esperienze.

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Donna sul ponte Khaju.

Mi fermo un po’ di tempo al Khaju bridge, il mio ponte preferito. Ammiro, ancora, le bellissime maioliche che, girando e alzando lo sguardo, vedo un po’ ovunque. E’ l’ora del crepuscolo: ammiro ancora un po’ il panorama che si apre dalle terrazze dei due lati del ponte. Mi sono affezionata a questa parte di Esfahan, alla vita che si svolge sul lungo fiume e sui ponti, in particolare. Torno, lentamente, attraverso il parco, verso la Charbag street e l’ostello. Domani lascerò Esfahan e mi sposterò a Kashan.

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Esfahan (Iran), 20 marzo 2019

La giornata si presenta calda e luminosa e la mattina torno nella Piazza Naqsh-e Jahan, chiamata più semplicemente Imam Square.

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Esfahan, 20 marzo 2019. Cambio soldi lungo la strada pedonale che porta alla Piazza Imam.

Tutta la zona pedonale che porta là è animata da fiumi di gente. La giornata soleggiata favorisce più che mai la vita all’aperto.

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Postazione del cambio soldi nei pressi della Imam Square

Poco prima di arrivare alla Imam Square, incrocio i soliti uomini, ragguppati di fronte ad una grande banca, che chiedono alla gente di scambiare dei soldi. Sono sempre numerosi e indaffarati a contrattare con i turisti, ma anche con degli iraniani. Probabilmente, questo tipo di business, è redditizio per molti, qui a Esfahan.

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Bambino con cavallino nella Imam Square.

La piazza è animatissima più che altro di turisti iraniani, venuti qui per festeggiare l’arrivo del nuovo anno, che, per loro, coincide con l’inizio della Primavera. Molta gente entra ed esce dai negozi disposti intorno alla piazza, altra si siede sulle panchine e sul prato, o sosta nelle gelaterie e nei fast food che si aprono numerosi accanto alla piazza. Passeggio intorno alla piazza guardando le carrozze che girano in continuazione e le auto elettriche colme di turisti che si muovono lente e silenziose.

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Esfahan, 20 marzo 2019. Dopo il pick-nick nella Piazza Imam.

Della gente è seduta un po’ ovunque, già dal mattino, impegnata a consumare il suo pick-nick. Anche intorno alla grande vasca c’è parecchia gente seduta, ma molti turisti stanno passeggiando tra gli spazi verdi e guardandosi in giro, come me. Una giovane si stacca da un gruppo pick-nick e mi invita ad andare a sedere sull’erba, accanto ad altri tre ragazzi. Sono due coppie: una delle quali è formata dalla ragazza che mi ha avvicinata. Lei, ha 23 anni ed è laureata in ingegneria nucleare; suo marito ne ha 27, e commercia in prodotti alimentari. Dell’altra coppia, lui ha 35 anni ed è notaio, mentre la moglie ne ha 28, è educatrice per diasabili, ma non lavora. I due ragazzi sono fratelli ed entrambi i matrimoni sono stati combinati dalle rispettive famiglie. Sono tutti di Ramsar, una città del Nord che sta a 400 km da qui e stanno viaggiando in auto. Ad Esfahan si sono fermati una notte e ora partiranno per Persepoli e Shiraz.

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Esfahan, 20 marzo 2019. Uomo seduto su una panchina della Piazza Imam.

La moschea non si può visitare in questi giorni perchè all’interno stanno celebrado i rituali e recitando le preghiere per l’anno nuovo. Mi dicono che rimarrà chiusa per 5 giorni e verrà aperta soltanto alla mezzanotte di oggi, per un brevissimo tempo.

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La grande vasca della Imam Square.

Passeggio ancora intorno alla piazza: una coppia di 25 anni lei e 28 lui mi si avvicina desiderosa di parlare. Soltanto lui parla l’inglese e si sta laureando in ingegneria agricola. Lei, studia qualcosa per se stessa, mi dice il marito. Non lavorano e vivono con l’aiuto delle loro famiglie con le quali hanno dei rapporti tesi. Sono di Ahvaz, una città che dista circa 300 km da Esfahan, verso Sud. Sono qui per un consulto ginecologico in ospedale che hanno appena avuto. Vorrebbero avere un figlio, ma lui ha dei problemi e per risolverli e arrivare al concepimento dovrebbero versare la somma di circa 1000 dollari che non sono in grado di disporre. Mi dicono che il loro è un matrimonio d’amore, ma anche concordato dalle famiglie. Lui, appena terminati gli studi dovrà prestare il servizio militare che fino ad ora è stato rimandato per motivi di studio. Il servizio militare qui in Iran è obbligatorio per tutti i ragazzi che abbiano compiuto 18 anni e ha una durata di 24 mesi. Senza aver ottemprato questo obbligo lui non potrà nè avere il visto per uscire dal Paese nè trovare un lavoro qui, in Iran.

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Uno dei parchi lungo il fiume Zayandeh.

Lascio la piazza e m’incammino verso il ponte Syo Se e i parchi che stanno lungo la riva del fiume Zayandeh. Sono le 17:00, il sole è ancora alto, ma si sta avviando verso il tramonto, lentamente. Dopo aver ripulito il fiume, ora hanno riaperto le chiuse e l’acqua sta tornando nel suo letto.

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Il Ponte Khaju, costruito nel 1650.

Molta gente sta camminando negli spazi dove l’acqua non è ancora arrivata, ma la maggior parte sta andando lungo gli argini, sia di qua che di là del fiume, ma soprattutto sul ponte. Domani potrò vedere il fiume nel suo completo aspetto, mi dice qualcuno. Il paesaggio è bellissimo: i raggi del sole filtrano tra archi e aperture ed il ponte si sta specchiando dove l’acqua è già arrivata. Dall’altra parte, verso il quartiere armeno di Jolfa, spicca una montagna solitaria.

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Particolare del Ponte Khaju.

Cammino sul lungo fiume e vado verso Est dove sta un piccolo ponte chiamato Chubi, fatto costruire dallo scià Abbas II nel 1665, principalmente per irrigare i giardini dei palazzi di quella zona. Il ponte Chubi è lungo circa 150 metri ed ha 21 arcate. Più giù, c’è il grande Khaju, il più bello dei tre, ma probabilmente il migliore di tutti gli 11 ponti di Esfahan. Anche questo ponte l’ha fatto costruire lo scià Abbas II, nel 1650, forse, dove, in passato, ne stava uno più antico. Il ponte è lungo 110 metri e presenta due tipi di terrazze porticate con numerose pitture e piastrelle di maiolica colorate con diverse tonalità di verde, bleu e beige.

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Un arco del Ponte Khaju.

Mi affaccio su una terrazza passando attraverso uno splendido arco: il paesaggio è fantastico e laggiù, in lontananza, si scorgono delle montagne innevate. Il cielo, ancora chiaro del crepuscolo, lascia ora intravedere una grande luna piena che si sta levando sopra le montagne. Mi fermo ad ammirare quell’incanto tra la gente che va avanti e indietro sul ponte e si ferma sotto gli archi per scattare fotografie e selfie. E’ buio ormai.

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Esfahan, 20 marzo 2019. Il Ponte Si-o-Seh di sera.

Torno verso il Ponte Si-o-Seh che sta alla fine della Charbagh street, la via del mio ostello. Attraverso la stradina di pietre costruita sul lungo fiume, ora illuminato da intense luci che mettono in risalto le folte siepi di rosmarino, gli alberelli di alloro, di ulivo, i cespugli di pirus e folsizie, gli alberi di ciliegio, mandorlo e pesco in fiore. Oltrepasso, di lato, il piccolo Ponte Chubi e arrivo al Si-o-Seh  Bridge che già da lontano s’intravede, illuminato e pieno di gente.

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Panorama notturno dal Ponte Si-o-Seh. 20 marzo 2019.

Mi fermo un po’ lì a guardare l’acqua che continua a scorrere lentamente e a riformare il grande fiume. E guardando la luna piena, ormai alta nel cielo, laggiù, a levante, torno all’ostello.

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