Sta piovigginando, stamattina. Sono uscita ugualmente e sto aspettando che smetta, sotto il porticato del Chousati ghat, insieme ad altra gente. Dall’alto del portale, si vede il Gange, e laggiù c’è Sonu, indaffarato, su una delle sue barche, sotto la pioggia. Oggi, ll giornata va così, con la pioggia che viene e va.
Venditrice di collane al Dashashwamedh ghat.
Ora ha appena smesso e la gente sta uscendo dai ripari per tornare frenetica sul lungo fiume. Altre folle di pellegrini stanno arrivando sia in barca, attraverso il fiume, sia scendendo dalle scalinate dei ghat principali. E’ domenica ed è anche l’ultimo giorno del Kumbh Mela. Sembra che tutti abbiano una gran fretta, probabilmente per il timore che arrivi un’altra ondata di pioggia. Le venditrici di collane, attorniate dai loro bambini, tutti piccolissimi, riespongono le loro mercanzie nello stesso posto di prima, mentre i pellegrini corrono velocissimi a fare il bagno. Quando escono dall’acqua, si asciugano e vanno alle bancarelle a comprare i ricordi da portarsi a casa.
La tendopoli dei sadhu subito dopo la pioggia. Varanasi, 3 marzo 2019.
Alla Tea-stall del Rama ghat incontro la donna di Arezzo arrivata anche lei qui per il cjai. Mi racconta che riesce a vivere con 500,00 euro al mese, utilizzando i risparmi messi da parte nei periodi in cui lavora, a ore e in nero, come badante. Mi dice che anche quel tipo di attività, sia come badante sia per le pulizie, è difficile da trovare nella sua città, a causa dei problemi economici delle famiglie.
Panni bagnati in una giornata di pioggia al Dashashwamedh ghat.
Mi sposto verso il Dashashwamedh ghat. Sulle ringhiere e in terra sono appoggiati i vestiti usati per il bagno: sono grondanti d’acqua e quasi nessuno si azzarda a metterli a stendere.
Donne di un villaggio nei dintorni di Varanasi al Kumbh Mela.
Sedute su un gradino ci sono delle donne con dei sarees coloratissimi: arrivano da un villaggio agricolo, nei dintorni di Varanasi.
Piccola divinità chiede l’elemosina al Dashashwamedh ghat.
Più in là c’è uno dei bambini che sembrano dei clown, forse di cinque o sei anni, travestito da divinità, con un serpente di plastica avvolto attorno al collo. Indossa un abitino leopardato, porta una parrucca in testa ed ha tanto trucco sulla faccia. E’ seduto anche lui su un gradino, con un piatto, un bicchiere e un pentolino di acciaio davanti a sé. Naturalmente è in attesa di ricevere l’elemosina, in denaro o alimenti.
Turista si fa porre il segno di Shiva sulla fronte. Dashashwamedh ghat, 3 marzo 2019.
Qui, al Dashashwamedh ghat c’è un gran fermento ora anche per i diversi cortei nuziali, che, come sempre, in questo periodo, stanno festeggiando delle coppie di sposi, al suono dei tamburi e con le danze in cerchio. I barcaioli corrono in lungo e in largo sul fiume; pellegrini e turisti scattano foto o si fanno i selfie. I venditori di fiori e corone con le loro bancarelle straccariche, i sacerdoti e i sadhu seduti sui palchetti per le puje e le benedizioni, sono indaffaratissimi a soddisfare le richieste dei pellegrini. Anche di là del fiume c’è parecchia gente. Camminando nella direzione inversa, cioè tornando verso il Chousati ghat e andando oltre, incontro il sadhu che io chiamo “divo”, con gli immancabili occhiali da sole addosso. Mi è molto simpatico perchè, secondo me, è evidente che sta recitando la parte di un personaggio. Ogni volta che lo vedo scoppio a ridere. Oggi, lui mi saluta dandomi due belle scopettate in testa. Quando gli chiedo di dov’è originario, mi risponde che è indiano, ma io dubito che lo sia.
Vita sotto le tende durante il Kumbh Mela.
Sta ricominciando a piovigginare e la gente si sta affrettando ad assoporare questi ultimi momenti del Kumbh Mela. Ma domani inizierà un altro grande evento: lo “Shivaratri”, un festival in onore di Shiva. Mi fermo a guardare un gruppo di donne del Gujarat, arrivate in treno fin qui, passando per Mombay. Nella tenda del Rama ghat, quasi di fronte alla Tea-stall, hanno abbozzato la costruzione di un nuovo lingam, in sostituzione di quello che la pioggia ha sciolto.
Panorama dal Rama ghat.
Ora, un sadhu dentro quella tenda, sta voltando e rivoltando un profumatissimo cjapati. Scoppia un forte tuono e subito dopo inizia, improvvisamente, a piovere a dirotto. Tutti corrono a ripararsi sotto le terrazze dei palazzi, compresi i venditori con le loro merci.
Bambini recitano un mantra davanti una tenda.
Anch’io scappo veloce verso una tettoia, ma per raggiungerla devo salire una ripida scala di ferro in disuso. La pioggia cade intensamente, ma per un breve tempo. Appena smette, di nuovo ricomincia la processione di gente lungo i ghat, di bambini che escono a giocare e tutto ricomincia a muoversi e girare come poco prima.
Venditori di lacrime di Shiva lungo i ghat.
Faccio un giro fino al Kedar ghat, incerta se andare a pranzo all’ashram che mi ha indicato Edoardo o optare per un ristorante. Sono le 14:00. Le tende dei sadhu sono inzuppate di pioggia e molti di loro sono impegnati ad asciugare l’acqua che è penetrata all’interno. Il lungo fiume è pieno di pozzanghere e non ci si può sedere da nessuna parte. Lì vicino ci sono soltanto due venditori di bacche, quelle che, sbucciate, i sadhu portano appese al collo. Decido di tornare indietro, verso i ristoranti di Bangali Tola.
Verso l’ora di cena nelle tendopoli sui ghat. 3 marzo 2019.
Nel pomeriggio torno sui ghat e rimango un bel po’ a lavorare sul mio top. Un gruppetto di indiani di Rajahmundry e Kakinada, nell’Andhra Pradesh, si ferma a guardare quello che sto facendo. Mostro il top, appoggiandolo sul mio torace. Uno di loro mi tocca i piedi, con le mani, come fossi una divinità. E’ la seconda volta che mi capita, in soli due giorni. Chiedo il perchè di questo gesto e l’indiano mi risponde:”You are a mother”!